Avatara 1

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Avatara 1

di Annie Besant

Quattro conferenze tenute al raduno del ventiquattresimo anniversario
della Società Teosofica ad Adyar, Madras, dicembre 1899.

Contenuti:

Cos’è un Avatara
La Fonte e la necessità di Avatara
Alcuni Avatara Speciali
Shri Krishna

Titolo originale: ‘Avataras’
Traduzione italiana di Tancredi Marrone
(ISTITUTO CINTAMANI)

-Parte Prima –

PRIMA CONFERENZA

Cos’è un Avatara

Fratelli, ogni volta che ci riuniamo qui per studiare le verità
fondamentali di tutte le religioni, non posso che sentire la vastità
dell’argomento, la pochezza dell’espositore, quanto sia ampio
l’orizzonte che si apre di fronte ai nostri pensieri, e quanto siano
insufficienti le parole che cercano di descriverlo ai nostri occhi. Ci
incontriamo anno dopo anno, di volta in volta cerchiamo di studiare
alcuni di quei grandi misteri della vita, del Sé, che forma il solo
argomento veramente degno della più profonda riflessione umana. Tutto
il resto è passeggero, tutto il resto è transitorio, tutto il resto
non è che il giocattolo momentaneo di fama e potere, di ricchezza e
scienza – tutto ciò che si trova nel mondo inferiore è nulla se
comparato alla grandezza del Sé Eterno nell’universo e nell’uomo,
unico in tutte le Sue molteplici manifestazioni, meraviglioso e bello
in ogni forma che Egli esterna. Quest’anno, di tutte le manifestazioni
del Supremo, oseremo studiare le più sacre di tutte, quelle
manifestazioni di Dio nel mondo, in cui Egli si rivela nella sua
Divinità, venendo in aiuto al mondo che ha creato, risplendente della
Sua natura essenziale, essendo la forma un sottile velo che occulta
appena la Divinità ai nostri occhi. Come possiamo dunque avvicinarci,
come possiamo osare studiarlo, salvo che con la più grande reverenza,
con la più profonda umiltà; perché, se per lo studio delle Sue opere
c’è bisogno di pazienza, reverenza e umiltà, di cosa abbiamo allora
bisogno quando studiamo Lui, le cui opere Lo rivelano solo in modo
parziale, quando cerchiamo di capire cosa s’intende per un Avatara,
qual è il significato, qual’è il valore di una tale rivelazione?

Il nostro Presidente ha affermato giustamente che in tutte le fedi del
mondo si crede in tali manifestazioni, e quanto sia vera e valida
quella massima antica – come il marchio sull’argento sta a significare
che il metallo è puro – cioè, che se qualcosa è stata creduta sempre e
dovunque, in tutte le epoche e da ciascun popolo, allora essa è vera,
è una realtà. Le religioni sono in disaccordo su molti dettagli; gli
uomini disputano sulle molte asserzioni; ma dove il cuore e la voce
umana parlano con un’unica voce, è lì che si trova il segno della
verità, è lì che si trova il segno della realtà spirituale. Ma nel
trattare l’argomento ci scontriamo con una difficoltà che si presenta
a voi quali uditori e a me come oratore. In ogni religione dei tempi
moderni la verità viene spogliata della sua interezza; l’intelletto da
solo non può cogliere i molti aspetti della verità unica. Per questo
abbiamo una scuola dopo l’altra, una filosofia dopo l’altra, ognuna
che mostra un aspetto della verità, ignorando, o anche negando, gli
altri aspetti che sono ugualmente veri. Non solo, ma con il passare
del tempo, di secolo in secolo, di millennio in millennio, la
conoscenza si affievolisce, l’illuminazione spirituale diventa più
rara, coloro che ripetono diventano numericamente superiori a coloro
che sanno; coloro che parlano con visione chiara della verità
spirituale si perdono in mezzo alla folla che si aggrappa a tradizioni
di cui non conosce l’origine. Il prete e il profeta, tanto per usare
due parole ben conosciute, anche in tempi recenti sono entrati in
conflitto reciproco. Il prete porta avanti le tradizioni
dell’antichità, anche se troppo spesso ha perso la conoscenza che le
rendeva reali. Il profeta – facendosi avanti di tanto in tanto con la
parola divina, ardente come fuoco sulle sue labbra – parla delle
antiche verità e illumina la tradizione. Ma quelli che si attaccano
alle parole della tradizione sono propensi a essere accecati dal
bagliore del fuoco e accusare come “eretici” tutti coloro che danno
voce alla verità che essi hanno perduto. Di conseguenza, di religione
in religione, quando è apparso qualche grande istruttore, ci sono
stati opposizione, proteste, rifiuto, perché la verità che egli
enunciava era troppo potente da poter essere compresa nei limiti di
uomini quasi ciechi. E in un tema come quello che stiamo per studiare
oggi, si sono formate alcune routines, cioè alcuni solchi in cui
s’incanala la mente umana, ed io so che ponendovi di fronte alla
verità occulta dovrò necessariamente, in certi punti, scontrarmi con i
dettagli di una tradizione che viene ripetuta più a memoria che
compresa, o in cui siano afferrate le verità sottostanti. Scusatemi
dunque fratelli, se in un discorso su questo grande argomento potrei
infrangere alcune delle linee di demarcazione delle diverse scuole del
pensiero indiano; io non potrei, né vorrei, limitare la conoscenza che
ho appreso, per adattarla alle limitazioni che si sono sviluppate nei
secoli, e neanche rendere conforme alle vuote tradizioni che
permangono nelle fedi del mondo quella che è la verità spirituale. Per
il dovere imposto su di me dal Maestro che servo, per la verità che
Egli mi ha ordinato di comunicare agli uomini di tutte le fedi che si
trovano in questo mondo d’oggi, per questi devo dire ciò che è vero,
non importa che ci crediate immediatamente o no; poiché la verità che
viene pronunciata non ottiene consensi subito, ma con il passare del
tempo; e chiunque parli dei Rishi dell’antichità deve parlare delle
verità che venivano insegnate nella loro epoca, e non ripetere le
semplici ovvietà dei commentatori dell’Era moderna e delle
insignificanti ortodossie che risuonano dappertutto e separano l’uomo
dall’uomo.

Propongo, per semplificare questo grande argomento, di dividerlo in
sezioni. Propongo anzitutto di ricordarvi le due grandi divisioni
riconosciute da tutti coloro che hanno riflettuto sull’argomento, per
poi affrontare in maniera specifica questa mattina la domanda “Cos’è
un Avatara?” Domani proporremo e cercheremo di rispondere, almeno
parzialmente, alla domanda: “Qual’è la fonte degli Avatara?” Più tardi
esamineremo gli Avatara speciali sia della razza umana che di quella
cosmica. Spero dunque di mettervi di fronte ad una chiara e definita
sequenza d’idee su questo vasto argomento. Non chiedendovi di crederci
perché ve le espongo io, non chiedendovi di accettarle perché le
affermo io. La vostra ragione è il metro con cui deve confrontarsi
ogni verità che sia vera per voi; e sbagliate profondamente, quasi
fatalmente, se lasciate che la voce dell’autorità si imponga quando
non condividete quanto avete ascoltato. Ogni verità è vera per voi se
la riconoscete tale e quando essa illumina la mente; e la verità, per
quanto possa essere vera, non è tale per voi se il vostro cuore non si
apre per riceverla, come il fiore schiude il suo bocciolo per ricevere
i raggi del sole mattutino.

Per prima cosa, dunque, prendiamo l’affermazione che uomini di ogni
religione accettano che le manifestazioni divine di un certo tipo
avvengono di tanto in tanto, quando sorge la necessità della loro
apparizione, e che queste manifestazioni speciali sono diverse e
distinte dalla manifestazione universale di Dio nel suo cosmo; poiché
non dovete mai dimenticare che nella creatura più infima che striscia
sulla terra, come nel più alto Deva, è presente Ishvara. Ma vi sono
delle manifestazioni speciali non contraddistinte da questa
auto-rivelazione generale del cosmo, e sono queste manifestazioni che
vengono richieste per delle necessità particolari. Due parole in
genere sono state usate nell’induismo, definendo una certa distinzione
nella natura della manifestazione Ð una, la parola “Avatara,” l’altra
la parola “A’vesha.” Abbiamo bisogno di soffermarci solo un momento
sul significato delle parole, importanti per noi perché il significato
letterale delle parole indica la differenza fondamentale tra i due. La
parola “Avatara,” come sapete, ha la sua radice “tri,” passando sopra,
con il prefisso che viene aggiunto, l’“ava,” e si rende l’idea del
discendere, uno che discende. Questo è il significato letterale della
parola. L’altra parola ha la sua radice in “vish,” permeare,
penetrare, pervadere, e rende quindi l’idea di qualcosa che sia
permeata o penetrata. Così, nel primo caso, Avatara, c’è l’idea di una
discesa dall’alto, da Ishvara all’uomo animale. Nell’altro, c’è
piuttosto l’idea di un’entità già esistente che è influenzata,
penetrata, pervasa dal potere divino, specialmente illuminato. E
dunque abbiamo una sorta di passo intermedio, se così si può dire, tra
la manifestazione divina nell’Avatara nel cosmo Ð la manifestazione
parzialmente divina in un individuo che viene adombrato dall’influenza
del Supremo, o da un qualche altro essere che effettivamente domina
l’individuo, l’ego che viene così permeato.

Quali sono dunque le occasioni che conducono a queste grandi
manifestazioni? Nessuno può parlare con maggiore autorità su questo
punto di Colui che venne Egli stesso quale Avatara proprio prima
dell’avvento della nostra Era, Il Divino Signore Krishna in persona.
Citiamo quel meraviglioso poema, la Bhagavad Gita, quarto Adhyaya,
Shloka 7 e 8; lì Egli ci racconta cosa Lo spinge a manifestarsi nel
Suo mondo sotto forma di Supremo:

“Quando il Dharma – la giustizia, la legge – decade, quando l’Adharma
– l’ingiustizia, la mancanza di legge – prevale, allora Io appaio in
Prima Persona: per proteggere il bene, per distruggere il male, per
stabilire fermamente il Dharma, Io rinasco di Era in Era.”

Ecco cosa Egli dice dell’apparire dell’Avatara, cioè che i bisogni del
Suo mondo Lo chiamano a manifestarsi nella Sua potenza divina, e noi
sappiamo da altri Suoi insegnamenti che oltre a quei bisogni che sono
prettamente umani, vi sono state alcune necessità karmiche che nelle
Ere passate della storia del mondo richiesero delle manifestazioni
speciali. Quando nella grande ruota dell’evoluzione dev’essere dato un
altro giro di chiave, quando una nuova forma, un nuovo tipo di vita
sta per iniziare, allora anche il Supremo rivela Se Stesso, incarnando
il tipo che così Egli inizia nel Suo cosmo; è in questo modo, facendo
girare quella ruota eterna, che Egli si manifesta come Ishvara, per
metterla in movimento. In questi termini generali, troviamo il
significato della parola e il motivo della Sua venuta.

Da questo punto possiamo prontamente passare all’importante questione:
“Cos’è un Avatara?” Ed è qui che ho bisogno della vostra attenzione,
della vostra paziente considerazione, quando vi troverete di fronte ad
alcuni punti che in qualche misura possono sembrarvi poco familiari,
perché, come ho detto, è la visione occulta della verità che sto per
rivelare parzialmente, e coloro che non hanno studiato la verità hanno
bisogno di pensare molto, altrimenti la rigettano; hanno bisogno di
fare attente valutazioni prima di rifiutarla. Vedremo durante il
tentativo di rispondere a queste domande, quanto le grandi autorità ci
hanno aiutato a capire e quanto la mancanza di conoscenza nello
studiare quelle autorità ha portato all’incomprensione. Potrete
ricordare come il defunto T. Subba Row, che era un erudito, nelle sue
conferenze sulla Bhagavad Gita diede una certa visione dell’Avatara,
come se fosse una discesa di Ishvara – o come disse, usando il termine
teosofico, il Logos, che è semplicemente il termine greco per dire
Ishvara – una discesa di Ishvara che si unisce con un’anima umana. Con
tutto il rispetto per la profonda conoscenza del compianto pandit, io
posso pensare che questa sia solo una definizione parziale.
Probabilmente, in quel momento non ne aveva l’intenzione, forse perché
non aveva il tempo di trattare caso per caso, trovandosi di fronte ad
un tema così vasto da spiegare nel ristretto numero di conferenze che
fece, e di conseguenza scelse una forma, per così dire, di
rivelazione, lasciandone da parte altre, che ora, dedicandoci
unicamente a quell’argomento, abbiamo tutto il tempo di studiare.
Lasciatemi cominciare come se fosse dall’inizio, e citarvi certe
autorità che possono rendere l’idea più facile da accettare;
lasciatemi affermare, senza alcun desiderio di occultare o nascondere,
cos’è veramente un Avatara. Fondamentalmente Egli è il risultato
dell’evoluzione. Nei Kalpa passati, in altri mondi diversi da questo,
cioè in universi anteriori al nostro, coloro che sarebbero diventati
poi degli Avatara salivano lentamente, passo dopo passo, la lunga
scala dell’evoluzione, cominciando dal minerale alla pianta, dalla
pianta all’animale, dall’animale all’essere umano, dall’essere umano
al Jivanmukta, e dal Jivanmukta ancora più e più in alto, su per la
possente gerarchia che si estende oltre Coloro che si sono liberati
dai vincoli dell’umanità; fino a quando Essi, continuando ad
ascendere, non si liberano soltanto delle limitazioni dell’ego
separato, non solo si proiettano e squarciano totalmente i limiti del
Sé separato, ma accedono all’Ishvara Stesso, e si espandono nella
coscienza universale del Signore, diventando consapevolmente un
tutt’uno, come sempre sono stati in essenza, con quella Vita eterna da
cui in principio Essi furono emanati, vivendo in quella vita, centri
senza circonferenze, centri viventi, in unione con il Supremo. Dietro
tale individuo si estende una catena infinita di nascite dopo nascite,
manifestazioni dopo manifestazioni. Durante la fase in cui Egli fu
umano durante la lunga ascesa della scala dell’umanità, c’erano due
caratteristiche speciali che avrebbero potuto indicare il futuro
Avatara tra i ranghi umani. Una, la sua assoluta bhakti, la sua
devozione al Supremo, poiché solo coloro che sono dei bhakta e la cui
bhakti si sia unita col jnana, o conoscenza, può raggiungere il suo
obiettivo, poiché per devozione, dice Shri Krishna, un uomo può
“entrare entro il Mio essere.” E la necessità di devozione per il
futuro di un Avatara è questa. Egli deve mantenere il centro che ha
costruito anche nella vita di Ishvara, così che possa disegnare la
circonferenza ancora una volta intorno a quel centro, e possa quindi
palesarsi quale manifestazione di Ishvara, uno con Lui nella
conoscenza, uno con Lui nel Suo potere, proprio l’Essere Supremo
stesso della vita terrena. Deve dunque avere il potere di limitarsi
nella forma, poiché nessuna forma può esistere nell’universo a meno
che non ci sia un centro al suo interno, attorno al quale quella forma
viene attratta. Dev’essere così devoto da rimanere al servizio
dell’universo finché Ishvara Stesso resta in esso, per condividere lo
sforzo del sacrificio continuo fatto da Lui, il sacrificio per cui
l’universo vive. Ma non è solamente la devozione che rende grande
Colui che sta scalando questo percorso divino. Deve anche essere, come
lo è Ishvara, un amante dell’umanità. A meno che in lui non bruci la
fiamma dell’amore per gli uomini – no, ho detto uomini? è troppo poco
– a meno che in lui non bruci la fiamma dell’amore per tutto ciò che
esiste, dotato di movimento o immobile, in questo universo di Dio, non
sarà capace di ergersi come il Supremo la cui vita e il cui amore sono
in ciò che Egli ha fatto scaturire dalla sua eterna ed inesauribile
vita. “Non c’è nulla,” dice l’Amato, “dotato di moto o immobile, che
esista all’infuori di me,” (Bhagavad Gita, X. 39) e, a meno che l’uomo
non possa inserirlo all’interno della sua natura, a meno che non possa
amare tutto ciò che è, non solo il bello ma anche il brutto, non solo
il buono ma anche il cattivo, non solo l’affascinante ma anche il
repellente, a meno che in ogni forma non veda il Sé, non potrà
percorrere la ripida ascesa che l’Avatara deve percorrere.

Sono queste dunque le grandi caratteristiche dell’uomo che deve
diventare la manifestazione speciale di Dio – bhakti, amore per Colui
nel quale si deve fondere, e amare coloro la cui vita è la vita di
Dio. Solo quando queste caratteristiche si rivelano nell’uomo, allora
egli si ritrova sul percorso che lo condurrà a essere – negli universi
futuri, in lontanissimi kalpa – un Avatara, venendo agli uomini come
Dio.

Ora, io so che con quest’idea sugli Avatara nascono dei problemi. Ma
sono difficoltà che sorgono da una conoscenza parziale, e poi, da
quella conoscenza che è stata semplicemente accettata come regola
sull’autorità di un nome importante, invece che per ragionamento e nel
tentativo di comprensione dell’uomo che ripete dottrine della sua
setta o scuola. Ne consegue che ogni testo in Shruti o in Smriti che
va contro quest’idea viene spogliato del suo significato naturale, in
modo da farlo accordare con l’idea che già predomina la mente. Ecco la
difficoltà di ogni religione: un uomo acquisisce il suo punto di vista
tramite tradizione, abitudine, nascita, opinione pubblica, l’ambiente
del suo tempo e del suo periodo. Trova nelle Scritture – che non
appartengono a nessun tempo, a nessun periodo, a nessuna epoca, a
nessun popolo, ma sono espressioni degli eterni Veda – trova in esse
molti testi che non combaciano con la struttura che egli ha creato, e
poiché troppo spesso gli importa più di questa struttura che della
verità, manipola il testo fino a quando non riesce, in qualche
maniera, ad adattarlo alla sua struttura; e l’ingenuità del
commentatore troppo spesso si rivela nell’abilità di manipolare le
parole con un significato che non c’è nel loro senso esplicito e
grammaticale. Dunque, uomini di ogni scuola, sotto i potenti nomi
degli uomini che conoscevano la verità – i quali però potevano
elargire solo quella porzione di verità che essi ritenevano
comprensibile all’uomo di quel periodo – usarono i loro nomi per
sostenere interpretazioni sbagliate, e dunque venivano continuamente
costruiti muri per impedire il progresso nella vita dell’uomo.

Adesso lasciatemi fare l’esempio di uno dei nomi più grandi, che
conosceva la verità che proferiva, ma che doveva, come ogni
insegnante, ricordare che mentre egli era un uomo, coloro con cui
parlava erano bambini i quali non potevano afferrare la verità con
intelletto maturo. Quel grande insegnante fondatore di una della
quattro scuole del Vedanta, Shri Ramanujacharya, nel suo commentario
sulla Bhagavad Gita – un’opera inestimabile che gli uomini di ogni
scuola possono leggere con profitto – trattando la frase in cui Shri
Krishna dichiara che Lui ha avuto “bahuni Janmani,” “molte nascite,”
indica quanto sia vasta la varietà di quelle vite. Poi, confinandosi
alle Sue manifestazioni in qualità di Ishvara – cioè dopo che Egli
aveva raggiunto il Supremo – dice in verità che Egli era nato di Sua
Propria Volontà, non per il karma che Lo costringeva, né per le forze
esterne che Lo obbligavano, ma di Sua Propria Volontà. Egli nacque
come Ishvara incarnato in una o in un’altra forma. Ma qui non vi è
detto nulla degli innumerevoli passi intrapresi dal Possente prima di
unificarsi con il Supremo. Essi vengono lasciati da parte,
dimenticati, ignorati, perché ciò che lo scrittore aveva in mente era
di presentare ai cuori degli uomini un grande Oggetto di adorazione
che potesse gradualmente innalzarli sempre più su fino a quando il Sé
sarebbe a Sua volta sbocciato in loro. Nessuna parola viene
pronunciata sui precedenti kalpa, sugli universi che si estendevano
verso un passato infinito. Egli parla della Sua nascita come Deva,
come Naga, come Gandharva, quelle tante forme che Egli ha preso di Sua
Propria Volontà. Come sapete o come potete apprendere se vi rivolgete
al Shrimad-Bhagavata, c’è un elenco di manifestazioni molto più lungo
dei soliti dieci che sono chiamati Avatara. Vengono date, una dietro
l’altra, le forme che sembrano strane al lettore superficiale se
connesse con il pensiero moderno del Supremo. Ma troviamo maggior
chiarezza sull’argomento in alcune altre parole del grande Signore; e
troviamo anche in un libro famoso, pieno di citazioni occulte – sia
pure con poche spiegazioni date sulle citazioni esposte – lo Yoga
Vasishtha – un’esauriente affermazione che le divinità come Mahadeva,
Vishnu e Brahma, hanno dovuto salire verso l’alto per raggiungere i
loro possenti troni (Parte II, Capitolo II, Shloka 14, 15, 16). E può
essere benissimo così, se ci pensate bene; non c’è niente di umiliante
per Loro in questo pensiero, poiché esiste solo un’Esistenza, la fonte
eterna di tutto ciò che si manifesta come separato: separato
nell’universo come Ishvara, o separato nella copia dell’universo
nell’uomo. Non c’è che l’Uno senza secondo; non esiste vita se non la
Sua, nessuna indipendenza se non la Sua, nessuna auto-esistenza se non
la Sua; da Lui gli Dei, gli uomini e tutte le cose, prendono la radice
ed esistono per sempre nella e per la Sua eterna vita una. Si hanno
diverse fasi di manifestazione, ma il Sé è Uno in tutte le differenti
fasi, l’Uno che vive in tutto; e se è vero – ed è vero – che il Sé
nell’uomo è “innato, costante, eterno, antico,” è perché il Sé
nell’uomo è un tutt’uno con il Sé Uno Auto-esistente; ed Ishvara
Stesso è solo la più maestosa manifestazione di quell’Uno che non
conosce secondo diverso da Sé. Dice un poeta inglese :

Egli è più vicino del respiro, più vicino delle mani e dei piedi.

Il Sé è in me e in voi, e altrettanto è in Ishvara, quell’Uno, eterno,
immutabile, indecomponibile, di cui ogni esistenza manifesta non è che
un raggio di gloria. È dunque vero ciò che viene insegnato nello Yoga
Vasishtha; è vero che anche il più Grande, di fronte al quale ci
inchiniamo in venerazione, ha scalato nelle epoche passate tutti gli
stati umani per essere un tutt’uno con il Supremo, e per manifestare
Se Stesso come Dio di fronte al mondo.

Ma ora arriviamo alla distinzione che è stata fatta, e che è reale.
Leggiamo di un 1 Alfred Lord Tennyson, poeta inglese (1809 – 1892) –
n.d.t.

Purnavatara, un Avatara pienamente completo. Cos’è il significato di
quell’“pienamente” applicabile all’Avatara? Il nome viene dato, come
sappiamo, a Shri Krishna. È evidenziato soprattutto da quel nome. È
vero che il termine “purna” non può essere applicato all’Illimitabile,
l’Infinito; Egli non può essere mostrato in alcuna forma; l’occhio non
potrà mai vederlo; solo lo spirito che è Egli Stesso può conoscere
l’Uno. Ciò che s’intende con questo è che, sia pure entro le
possibilità della forma, l’apparizione del senza forma si manifesta,
per quanto è possibile, emanata in quel Grande Essere che è venuto ad
aiutare il mondo. Questo potrebbe aiutarvi nella comprensione di tale
distinzione. Dove la manifestazione è quella di Purnavatara, allora in
qualsiasi momento, di Sua Propria Volontà, con lo Yoga o altri mezzi,
Egli può trascendere ogni limite della forma in cui Egli si vincola di
Sua Propria Volontà, e splendere come Signore dell’Universo, entro il
quale tutto l’Universo è contenuto. Pensate per un attimo ancora a
Shri Krishna, che ci insegna così tanto sull’argomento. Rivolgetevi a
quell’enorme riserva di saggezza spirituale, il Mahabharata,
all’Ashvamedha Parva che contiene l’Anugita, e scoprirete che Arjuna,
dopo la grande battaglia, dimenticando l’insegnamento che gli era
stato dato sul campo di Kurukshetra, chiese al suo maestro di ripetere
quell’insegnamento ancora una volta. E Shri Krishna, rimproverandolo
per l’inconstanza della sua mente e asserendo di essere molto
dispiaciuto che una tale conoscenza venisse dimenticata a causa di una
simile instabilità, pronunciò queste frasi straordinarie: “Non era
possibile per me dirlo in pieno con quelle parole. Ho discorso con te
del Supremo Brahman avendo concentrato me stesso nello Yoga.” Poi Egli
continua dando l’essenza di quell’insegnamento, ma non nella stessa
forma sublime che ritroviamo nella Bhagavad Gita. Ecco una cosa che vi
dimostra ciò che s’intende per Purnavatara; in un contesto di Yoga, in
cui s’immerge a volontà, Egli riconosce Se Stesso come Signore di
tutto, come il Supremo su cui è costruito l’Universo. Anzi, di più;
tre volte almeno, non sono sicura se ci siano stati altri casi, ma se
è così non posso in questo momento ricordarmeli, tre volte almeno
durante la Sua vita come Shri Krishna Egli si mostrò sotto l’aspetto
di Ishvara, il Supremo. Una volta alla corte di Dhritarashtra, quando
il folle e stupido Duryodhana parlò di imprigionare all’interno delle
mura di una cella il Signore universale che l’universo non può
contenere. Per dimostrare la feroce follia del principe arrogante,
davanti alla corte, di fronte agli occhi di tutti, Egli risplendette
come Signore di ogni cosa, riempiendo il cielo e la terra della Sua
gloria; e tutte le forme, divine e umane, subumane e sovrumane, furono
viste riunirsi attorno a Lui nella vita da cui nascono. Poi sul campo
di Kurukshetra si manifestò ad Arjuna, il Suo amato discepolo, al
quale manifestò la visione divina che Lo mostrava nella Sua forma
Vaishnava, la forma di Vishnu, il Supremo Reggitore dell’Universo. E
più tardi, durante il suo ritorno a Dvaraka, incontrandosi con Utanka,
Lui e il saggio pervennero a un diverbio, e già il saggio si preparava
a maledire il Signore; per salvarlo dalla follia di pronunciare una
maledizione contro il Supremo – come un bambino potrebbe lanciare una
pietruzza contro una roccia di età immemore, Egli risplendette di
fronte gli occhi di colui che era realmente il Suo bhakta, e gli
manifestò la grande forma Vaihnava, quella del Supremo. Cosa mostrano
queste manifestazioni? Che a volontà Egli può mostrarsi quale Signore
di tutto, abbandonando i limiti della forma umana in cui vivono gli
uomini; abbandonando l’aspetto così familiare a quelli che lo
circondano, egli può mostrarsi quale il possente, Ishvara che è la
vita di tutto. Ecco il marchio di un Purnavatara; sempre a portata di
mano, a volontà, è il potere di mostrarsi come Ishvara.

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