Super marijuana: piu’ alti i rischi di psicosi

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Super marijuana: piu’ alti i rischi di psicosi

Uno studio mette in relazione la cannabis a più alta concentrazione di principio attivo con un
maggiore rischio di disturbi mentali come la psicosi.

14 APRILE 2019 | CHIARA PALMERINI – focus.it

I consumatori abituali di cannabis che fumano varietà o mix più potenti hanno un più alto rischio di
incorrere in episodi psicotici: è il risultato di uno degli ultimi studi sui possibili effetti del
consumo di marijuana, che si aggiunge alla lunga lista dei tentativi di chiarire se e quanto faccia
male consumare per uso ricreativo questa droga leggera.

I CRITERI DELLO STUDIO. Il dibattito sulle conseguenze per la salute va avanti da tempo, con
ricerche che di volta in volta minimizzano o enfatizzano i rischi.

Per questo studio, pubblicato su Lancet Psychiatry, sono stati esaminati i casi di circa 900 persone
di età compresa tra i 18 e i 64 anni, che tra il 2010 e il 2015 si sono presentati per un episodio
di psicosi in dieci centri di psichiatria in diversi Paesi europei (in Italia a Verona, Bologna e
Palermo) e in un ulteriore centro in Brasile.

Come paragone, i ricercatori hanno usato altre 1.000 persone che vivono negli stessi luoghi, ma che
hanno dichiarato di non fare uso di cannabis.

In base al nome comune del tipo di sostanza utilizzata (per esempio skunk e sensimilla,
denominazioni di marijuana di strada) i ricercatori sono risaliti a una stima della concentrazione
del principio attivo, suddividendo le varie sostanze in “potenti” (THC superiore al 10 per cento) e
“leggere” (THC inferiore al 10%). I ricercatori hanno poi calcolato la correlazione tra l’uso di
sostanza più o meno forte e gli episodi di psicosi.

Una delle varietà più potenti di marijuana è la sinsimilla, che si ricava impedendo alle
infiorescenze delle piante femmine di cannabis di essere impollinate: la pianta rimane senza semi e
produce un alto contenuto di resina, con un’alta concentrazione di THC.

ALTE E BASSE CONCENTRAZIONI. È risultato che, in generale, le probabilità di avere un episodio
psicotico erano tre volte superiori per coloro che facevano uso abituale di cannabis (ovvero tutti i
giorni) rispetto a coloro che la fumavano raramente o mai. Ma, in particolare, tra gli utilizzatori
della cannabis “potente”, il rischio di psicosi è risultato cinque volte superiore rispetto alla
popolazione che non ne fa uso.

I ricercatori hanno anche stimato che se la cannabis con alte concentrazioni di THC non fosse più
disponibile sul mercato, si verificherebbero fino al 50 per cento in meno di episodi di psicosi in
città come Amsterdam, dove la sostanza con queste concentrazioni è quasi la norma, e il 30 per cento
in meno a Londra, un’altra delle città prese in esame.

QUANTO FA MALE? Da tempo, e soprattutto da quando in diversi Paesi il consumo di marijuana per uso
medico o ricreativo è stato liberalizzato, si discute sulle conseguenze dell’utilizzo, specialmente
di quello a lungo termine, e specialmente da parte di adolescenti e giovani.

Molti studi (e l’opinione comune) dicono che gli spinelli, rispetto ad altre sostanze, siano tutto
sommato “meno pericolosi”. Sono però innocui? Sulla questione il dibattito scientifico è aperto e
complesso.

Un rapporto della National Academies of Sciences americana del 2017 ha esaminato la mole di ricerche
sull’uso della cannabis per scopi medici o ricreativi. In campo terapeutico, gli unici benefici
accertati sono nel trattamento di alcuni sintomi della sclerosi multipla, e contro il vomito e la
nausea da chemioterapia per i pazienti oncologici. Sulla questione degli effetti negativi del
consumo ricreativo, il rapporto conferma l’idea che in generale la marijuana è “meno pericolosa” di
altre droghe (anche perché non sono mai state stabilite con certezza morti da overdose), ma che
presenta comunque alcuni rischi per la salute: bronchiti e altri sintomi respiratori per i fumatori
di lunga data, un rischio più alto di schizofrenia e psicosi, oltre che di incidenti stradali, per i
consumatori abituali.

Un consumo costante di marijuana può fare danni al cervello, ancora in pieno sviluppo, degli
adolescenti: in questo periodo più che in altri il cervello vive una fase rafforzamento e
sfoltimento di precise connessioni neurali. Il THC è simile agli endocannabinoidi,
neurotrasmettitori naturali del cervello, e interferisce con la loro azione compromettendo le
funzioni nervose. Danneggiando le sinapsi e lasciando i neuroni privi del loro naturale sistema di
regolazione, il THC può favorire, con il tempo, l’insorgenza di depressione, schizofrenia, psicosi e
disturbi nell’apprendimento.

TRA SOSPETTI E CONFERME. Il nuovo studio indaga sui rischi di problemi psichiatrici come la psicosi,
sospettati ma mai del tutto confermati, e li mette in relazione con le concentrazioni del principio
attivo. Il fatto che i nuovi spinelli siano più forti “di quelli di una volta” è un dato ormai
assodato: le analisi sui sequestri hanno dimostrato che la quantità di principio attivo può essere
da 4 a 28 volte superiore rispetto ad anni fa. È proprio la pianta di cannabis ad essere stata
potenziata, con incroci e particolari tecniche di coltivazione.

Anche quest’ultimo studio, tuttavia, benché confermi sospetti già emersi in questi anni, non può
essere considerato conclusivo. Innanzi tutto perché si tratta di uno studio osservazionale: meno
affidabile da un punto di vista epidemiologico per stabilire relazioni di causa-effetto. Inoltre, le
concentrazioni del principio attivo della cannabis non sono state misurate direttamente, ma
“desunte” dal tipo di prodotto che i consumatori hanno affermato di avere usato

Infine, anche in questo caso, non è stato osservato un preciso rapporto di causa-effetto tra consumo
di cannabis ed episodi psicotici, ma solo una correlazione. In altre parole, non si può escludere
che le persone a maggior rischio di psicosi per fattori genetici o ambientali siano quelle che con
più probabilità fanno uso di cannabis, anziché viceversa. La parola “fine” sull’argomento non è
ancora stata scritta, ma certo questo studio suona un campanello d’allarme sui “nuovi spinelli”, che
con quelli dei figli dei fiori hanno davvero poco a che fare.

www.thelancet.com/journals/lanpsy/article/PIIS2215-0366(19)30048-3/fulltext

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