Usi terapeutici della Cannabis

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Usi terapeutici della Cannabis

di Marcello Pamio

Non dovevo occuparmene più!

Dopo aver scritto Cannabis connection, mi ero promesso di regalare alla pianta più boicottata
dell’umanità un meritato e doveroso riposo. Invece…parlando con diverse persone ho potuto constatare
quanto sia ancora radicata la disinformazione sulla canapa. Una disinformazione medica che mi ha
costretto a riprendere in mano la questione e trattare una volta per tutte l’aspetto forse più
importante della pianta: quello terapeutico.
A tal proposito esiste una documentazione faraonica: libri, articoli, antichissimi erbari, ricerche
e pubblicazioni scientifiche, esperienze di volontari, ecc. Tutto testimonia a favore della cannabis
nella cura di patologie che vanno dai dolori muscolo-scheletrici, al glaucoma, dall’anoressia e
depressione a malattie tremende come epilessia e sclerosi multipla, per non parlare del validissimo
aiuto nell’alleviamento degli effetti secondari dei trattamenti chemioterapici nel cancro, come
nausea e vomito, e negli stati debilitanti della Sindrome da Immunodeficienza (AIDS).

I risultati sono così entusiasmanti che oggi sperimentazioni mediche controllate sono iniziate in
Stati Uniti, Germania, Spagna, Inghilterra, Belgio, Israele, Olanda e Canada. In quest’ultimo paese
addirittura, l’Associazione Medica che riunisce tutti i 52 mila medici canadesi vorrebbe rimuovere
dal codice penale l’uso personale della cannabis e sostituirlo con una semplice ammenda[1]. Cosa
dire poi del recentissimo studio sull’abuso della droga da parte di una Commissione governativa
inglese la cui conclusione è a dir poco incredibile: “Lo spinello dà meno assuefazione delle
sigarette e dell’alcol[2]”. Non solo, il gruppo di esperti incaricati dal Ministro dell’Interno
britannico per valutare i pro e i contro di un alleggerimento della legge sulle sostanze illecite,
sostiene che la cannabis potrebbe addirittura fare bene alla salute: “l’azione cardiovascolare –
spiega il rapporto – è simile agli effetti dell’esercizio fisico”.

Ma cosa sta succedendo? Una delle piante più antiche viene prima messa al bando rendendola illegale
per decine di anni – paragonata ad una droga tossica e pericolosa per la salute – per poi saltare
agli onori delle cronache vivendo oggi un periodo di quasi religiosa redenzione.
Una redenzione ostacolata da pochi e osannata da molti per via delle altre numerose applicazioni
pratiche da guinness dei primati. Dalla canapa infatti oltre a medicinali che funzionano, e questo
basterebbe, si possono ottenere: carta indistruttibile, materiale tipo plastica, coloranti,
solventi, tessuti resistentissimi, cordame e molto altro ancora. Per questo, molto probabilmente, è
stata oggetto della più grande opera di boicottaggio mai realizzata nella storia a noi conosciuta.
Una fitocospirazione da fantascienza, che se non lo avete ancora letto vi consiglio di farlo al più
presto (art. Cannabis connection su questa lista).

Questo recente riconoscimento è la presa di coscienza di un errore passato di proibizionismo
gratuito – anche se di gratuito non ha proprio nulla – o la riabilitazione obbligatoria per via di
un numero sempre maggiore di utilizzatori e di prove della sua efficacia, almeno in termini medici?
La cosa certa è che oggi chi giova di tutto questo, tranne pochissime persone autorizzate dai
rispettivi governi a fumarsi la “piantina”, sono le corporazioni chimico-farmaceutiche che
approfittando della situazione stanno commercializzando prodotti di sintesi, i cosiddetti analoghi,
che emulano il principio attivo della cannabis: il THC. Una emulazione che vedremo in seguito
presenta qualche piccolo inconveniente.

Prima però osserviamo a livello fisiologico come agiscono questi cannabinoidi “colpevoli” degli
eccezionali risultati terapeutici.
Il THC, come abbiamo detto è il principio attivo della cannabis, cioè quello che agisce direttamente
sull’organismo. Per essere più precisi interagisce con un sistema detto cannabinoide[3] normalmente
presente nel corpo umano, e produce i suoi effetti agendo sui recettori del sistema. I recettori
sono delle proteine molto speciali che si trovano sulle superfici di determinate cellule. La droga,
in soldoni, forma una specie di ponte, un legame con queste proteine e per così dire attiva delle
funzioni cellulari interne molto precise. Sono stati identificati due tipi di recettore: il CB1 e il
CB2.
I CB1 sono presenti sui neurociti encefalici e spinali come in certi tessuti periferici; i CB2 si
trovano principalmente sulle cellule del sistema immunitario ma non nel cervello[4].
Questo è molto interessante: abbiamo recettori della cannabis sul cervello e addirittura nel sistema
immunitario[5].

Per dover di cronaca è doveroso anche sottolineare che non esiste solo il THC, questo indubbiamente
è il più famoso e il più presente nella pianta, ma esistono oltre 60 cannabinoidi diversi l’uno
dall’altro. Al momento attuale non si sa molto sulle proprietà di questi cannabinoidi se non che
sembrano essere privi di effetti psicoattivi e/o psicotropi sul cervello. Quindi l’ipotesi che
anch’essi influenzino positivamente gli effetti terapeutici della cannabis senza però interferire
sul comportamento umano non è da scartare.

In definitiva questi cannabinoidi di origine naturale interagiscono con parecchie funzioni organiche
e sono in grado tra le altre cose di bloccare la liberazione dell’acido glutammico, il principale
neurotrasmettitore implicato nella patogenesi dell’ictus[6]; liberare dopamina, un altro
importantissimo neurotrasmettitore collegato alla capacità di controllare i movimenti, e tanti altri
aspetti più sottili che sono in fase avanzata di studio. A proposito di studi: prima ho accennato
alle numerose sperimentazioni che si stanno facendo in tutto il mondo. Bene. Le sperimentazioni per
chi non lo sapesse sono sempre costosissime, e nessun istituto di ricerca si sognerebbe di spendere
soldi senza la certezza matematica di un notevole tornaconto. Un tornaconto che si materializza
molto spesso in un farmaco o una terapia. Nel caso della cannabis abbiamo, per il momento, due
tornaconti sintetici: Dronabinolo e Nabilone. Ce ne sarebbero altri, come il Levonantradolo,
l’HU-210, il SR141716A, ecc. ma per il momento sono disponibili solo per usi sperimentali. Per il
momento però. Domani…è un altro giorno.

Il Dronabinolo, il cui nome commerciale è Marinol® è prodotto dalla Unimed Pharmaceuticals Inc., una
compagnia della Solvay Pharmaceuticals Corporation. Il Nabilone detto anche Cesamet® è prodotto in
Inghilterra dalla Cambridge Selfcare Diagnostics Ltd per conto della Eli Lilly & Corporation, quella
del Prozac® per intendersi.[7]
Naturalmente a questo punto era d’obbligo spulciare i foglietti illustrativi di questi farmaci. Cosa
secondo voi abbiamo trovato? Siamo sempre alle solite: svariati effetti collaterali! Fin qui nulla
di strano, visto che non esistono medicinali di sintesi privi di controindicazioni. Però se vi
dicessi che le reazioni avverse sono le stesse curate però dalla pianta naturale, come anoressia,
depressione, astenia[8], la cosa non assume una aspetto tragicomico? Se uso per esempio la “cannabis
sintesis” per aiutare un’astenia potrei vedere insorgere una depressione accompagnata pure da
vertigini. Oppure, che ne so, per alleviare nausea e vomito provoco palpitazioni e/o ansietà.
Interessante vero? Si cura da una parte e si pagano le conseguenze dall’altra! L’onnipresente
rovescio della medaglia. Sicuramente il dritto sarà un basso costo di vendita al pubblico, giusto?
Sbagliato. Una ventina di capsule di Cesamet® per esempio, costano 102 sterline circa[9]! E il
Marinol è ancora più costoso[10]. Avete capito? Una singola pastiglia, per capirci, costa oltre
15mila di vecchie lire! Più che un dritto, mi sembra un altro rovescio! Il problema è che nessuno
sta giocando a tennis, qui abbiamo a che fare con la vita e la salute, già precarie, di tantissime
persone sofferenti.

Allo stato attuale quindi, abbiamo da una parte una pianta illegale a gratis che si potrebbe
coltivare quasi ad ogni latitudine senza necessità di pesticidi e con un tempo di maturazione
rapidissimo di pochi mesi, dall’altra dei prodotti sintetici che costano molto, richiedono diversi
anni di studi e presentano inconvenienti secondari da non sottovalutare.
Cosa fare a questo punto? Legalizzare la pianta proibita per antonomasia, catalogata fin dagli anni
’60 nel campo delle “droghe senza alcun effetto terapeutico”[11], oppure continuare a non vederne i
risultati in ambito terapeutico puntando esclusivamente nella chimica di sintesi? Secondo voi cosa
opteranno i governi democratici dell’unione europea indirizzati magari dalle potenti corporazioni
transnazionali della chimica e della farmaceutica? Una vaga idea io ce l’ho, non so voi…

Nessuno certamente vorrebbe una società in cui persone sane si spacciano per malati immaginari
inventandosi patologie o peggio ancora falsificando esami per farsi prescrivere dal proprio medico
una sigarettina farcita, o peggio ancora vedere malati che soffrono realmente di gravose patologie
debilitanti che non possono utilizzare i derivati della cannabis se non da degenti ospedalieri, come
sta succedendo oggi nel nostro paese. La farmacia del Policlinico Umberto I per esempio, ma questo è
valido per tutti gli ospedali, può somministrare il farmaco derivato dal THC solo dopo il
ricovero[12]. Non è questa una burocratica assurdità all’italiana? Una persona in grado
tranquillamente di seguire la terapia nella comodità del focolare domestico, magari con la vicinanza
dei propri cari, si vede costretta a entrare nell’ambiente asettico e freddo di un nosocomio.

Speriamo allora che passi il recente Disegno di Legge che introdurrebbe l’uso terapeutico della
cannabis. Questo almeno permetterebbe di trovare i fitofarmaci sintetici direttamente in farmacia,
previa naturalmente ricetta di un medico del servizio sanitario.
Nell’attesa di questo Disegno concludiamo con una comparazione dal punto di vista pratico e
farmacologico tra la pillola sintetica e la sempreverde pianta plurimillennaria.
Apro una parentesi doverosa perché i fattori influenzanti nel caso della cannabis naturale sono
numerosissimi: stati d’animo della persona, quanto e come il fumo viene aspirato, quanta cannabis
contiene la sigaretta, quanto THC è presente nella pianta, dal tipo di pianta, ecc.
Chiudiamo la parentesi e prepariamoci ad entrare in campo.

Il fumo di una sigaretta di cannabis rilascia in circolo oltre il 30% del THC totale, mentre per via
orale, la pillola, è di 2 o 3 volte inferiore perché dopo essere stata assorbita attraverso
l’intestino viene metabolizzata dal fegato prima di raggiungere il grande circolo[13].
Uno a zero per la cannabis e palla al centro. Per essere onesti ci sarebbe una punizione per la
chimica se consideriamo le supposte rettali che bypassando il fegato permettono un maggior
assorbimento del THC in circolo.
Una volta entrato nel torrente circolatorio il THC si distribuisce in tutto il corpo principalmente
nel tessuto adiposo perché essendo liposolubile si scioglie solo nel grasso. Questa proprietà
intrinseca della cannabis è un grosso limite per la formulazione dei preparati cannabinoidi, oltre a
rallentare il loro assorbimento intestinale[14].
Due a zero e di nuovo palla al centro.

Per quanto riguarda gli effetti farmacologici della cannabis documentati finora sono relativi alle
vie respiratorie. Uno studio del Western Journal of Medicine del 9 giugno 1993[15] afferma che chi
fuma cannabis rischia malattie alle vie respiratorie per il 19% in più di chi non fuma, e che
nessuna dipendenza e/o assuefazione fisica è stata dimostrata se non una sporadica dipendenza
psicologica in alcuni soggetti. Dall’altra abbiamo gli effetti secondari del Marinol® e del Cesamet®
visti prima.

Diamo un punto alla sintesi chimica perché non tutte le persone sarebbero disposte a utilizzare la
pianta attraverso la sigaretta. Se però consideriamo che dei sessanta cannabinoidi naturali
contenuti nella canapa, i prodotti farmacologici attualmente in commercio sono basati quasi
esclusivamente nel Tetraidrocannabinolo (THC), l’unico con effetti psicotropi, tralasciando gli
altri cinquantanove privi di attività sul cervello, è lecito pensare che al momento attuale la
pianta potrebbe essere almeno sessanta volte più completa di qualsivoglia prodotto uscito da un
laboratorio di ricerca. Calcolando infine i costi rispettivi decisamente incomparabili il risultato
finale è di quattro a uno per la cannabis! Avrete capito che questa è una gara surreale perché se
avvenisse realmente l’arbrito, rappresentato dalle lobby del farmaco, fischierebbe almeno due o tre
rigori per la chimica espellendo magari qualche cannabinoide per “intervento” troppo deciso. Non ci
resta che sperare quindi in una invasione di campo che metta fine una volta per tutte a questa
assurda e controproducente rivalità. Un “invasione pacifica” da parte di una maggiore consapevolezza
che dia, anzi ri-dia, al malato il suo ruolo principale di essere vivente e che santifichi una volta
per tutte uno dei diritti più importanti: quello della libera scelta terapeutica. Una scelta che
spetta esclusivamente ai singoli individui e non alle organizzazioni sanitarie, tanto meno alle
corporazioni; perché…una volta imboccata la strada terapeutica siamo noi a pagarne le conseguenze
e/o goderne i benefici. Nessun altro!

Marcello Pamio

[1] ANSA 15 marzo 2002
[2] Il Corriere della Sera del 17 Giugno 2002
[3] Veniva usato per designare la famiglia delle sostanze chimiche presenti nella cannabis. Oggi
abbraccia tutte le sostanze in grado di attivare i recettori.
[4] Uso terapeutico della cannabis. Il rapporto della Camera dei Lord –
www.cgil.it/org.diritti/fuoriluogo/Rapporto.htm
[5] Idem
[6] Inserto Salute di Repubblica del 16 maggio 2002
[7] Uso terapeutico della cannabis. Il rapporto della Camera dei Lord
[8] Sito ufficiale MARINOL® www.marinol.com
[9] Uso terapeutico della cannabis. Il rapporto della Camera dei Lord
[10] Idem
[11] Inserto Salute di Repubblica del 16 maggio 2002
[12] Trasmissione Report del 18 febbraio 2002
[13] Uso terapeutico della cannabis. Il rapporto della Camera dei Lord
[14] Idem
[15] Tratto dal sito www.dica33.it

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