Sull’Equanimità

pubblicato in: AltroBlog 0
Sull’Equanimità

di Shriman Matsyavatara Prabhu

Bhaktivedanta ashrama, 15 marzo 2010

Rincorrere il piacere e rifuggire il dolore sono atteggiamenti che vanno entrambi evitati. Non
dobbiamo dipendere né dal bene né dal male di questo mondo. Ciò è confermato nello shloka II.50
della Bhagavad-gita: chi è connesso al Signore, al proprio centro spirituale, non è più condizionato
da piacere o dolore. Il saggio è equanime, non perde la sua consapevolezza spirituale o il suo
equilibrio di fronte agli eventi della vita, siano essi piacevoli o dolorosi, sia che riceva
complimenti o che venga coperto di insulti. Non si euforizza né si deprime: rimane centrato nel sé e
per questo è prossimo alla liberazione (Bhagavad-gita II.55).

Pensate a Cristo: le folle lo seguivano, poi Giuda lo vendette ai sacerdoti del Sinedrio e le folle
lo abbandonarono, tant’è che quando alla gente chiesero chi avrebbero dovuto liberare e sottrarre
alla crocifissione, se Cristo o l’assassino Barabba, la gente scelse Barabba. Ma Cristo anche nella
crocifissione fu grande per la sua equanimità: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che
fanno”.

Nel dodicesimo capitolo della Bhagavad-gita Krishna spiega chi è il devoto a Lui più caro: colui che
è equanime, che non si esalta per il successo né si deprime per l’insuccesso, che non è invidioso di
nessuno, che è di tutti un amico benevolo, che non turba gli altri e dagli altri non è mai turbato.
Il bhakta, a prescindere dagli eventi e dal comportamento altrui, agisce sempre per il bene di ogni
essere e sempre più desidera espandere questo bene, fino all’ultimo istante di vita nel corpo e
anche oltre.

Quando nel 1965 Shrila Prabhupada arrivò in America era uno sconosciuto, non aveva nessun seguace né
soldi, nessun mezzo a disposizione. Dieci anni dopo decine di migliaia di sostenitori avrebbero dato
la vita per lui e sarebbero arrivate innumerevoli risorse. Ma Shrila Prabhupada era sempre lo stesso
di dieci anni prima: praticava lui per primo quei principi spirituali che con umiltà, purezza e
amore continuava a diffondere.

Non può esserci che sofferenza in questo mondo per chi non diventa equanime di fronte a successo o
fallimento, al piacere o al dolore. Solo chi è libero da attaccamenti e repulsioni, potrà impostare
bene la propria azione, modellandola a seconda delle circostanze e sempre avendo come scopo
l’evoluzione, propria e altrui, e il ricongiungimento a Dio.

da www.matsyavatara.com

Condividi:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *