Neuroteologia

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Neuroteologia

di: Alessio Mannucci – ecplanet.net

Gli stati di coscienza mistici possono essere visualizzati? Secondo la “neuro-teologia”, a produrre
tali stati sarebbero niente altro che determinate configurazioni bio-chimiche neuro-sinaptiche. Il
primo ad esplorare le basi neurologiche dell’esperienza mistica è stato il neurologo James Austin
con il libro “Lo Zen e il Cervello”, pubblicato dalla Mit Press nel 1998.

La teoria basilare di Austin è che quegli occasionali momenti di chiarezza intuitiva che sono detti
nello Zen “kensho” o “satori” corrispondano a una sorta di ‘riavvio’ (re-boot) del cervello che
dissolve strutture mentali abituali (centrate sul senso dell’io e del mio) e ne ricostruisce altre
più elastiche, più ricettive, inter-individuali, fino a raggiungere quello stato (“samadhi”) di
perfetta trascendenza estatica, non duale, che permette di fare l’esperienza del Brahman.

Quando tiene conferenze sulle tematiche di Zen e cervello, Austin a volte proietta delle diapositive
di antiche statue di Buddha. Molte di queste statue hanno sulla testa una strana protuberanza, che
solitamente è vista come uno “chignon”, ma che per Austin rappresenta un simbolo di accresciuti
poteri cerebrali. “Io la leggo come metafora di un’espansione delle facoltà mentali”, dice. “Il
cervello dell’Homo sapiens è più grande, più convoluto e più efficiente di quello dell’uomo di
Neanderthal. L’evoluzione biologica del cervello è un fatto, spero che fra altri 200.000 anni avremo
un Homo sapiens sapiens”.

In seguito, Andrew Newberg, dell’Università della Pennsylvania, ha condotto alcuni esperimenti in
tal senso su un monaco tibetano. Durante le sedute di meditazione del monaco, gli ha iniettato nel
sangue una particolare sostanza e con l’ausilio di una macchina chiamata Spect, che consente di
visualizzare immagini del cervello, ha provato a ridurre la “neuro-mistica”, quel senso di tutt’uno
con l’universo o con Dio a seconda dei punti di vista, ad una serie di dati sul monitor. Che
indicherebbero come la regione dell’encefalo posteriore, durante questi stati di super-coscienza,
rimanga vittima di un black out. Privata degli input sensori, questa “zona di orientamento” smette
di svolgere il compito di marcare il confine tra l’io e il mondo: “Il cervello non ha scelta”,
spiega Newberg. “Percepisce l’io come infinito, un tutt’uno con il creato. È una sensazione del
tutto reale”.

I primi a studiare l’esperienza “neuro-religiosa” avevano scoperto un collegamento con l’epilessia
del lobo temporale (una abnorme di attività elettrica). Newberg insieme a Eugene d’Aquili, ha
chiamato questo campo “neuro-teologia”, pubblicando un libro (“Dio nel Cervello”, D’Aquili, Eugene –
Newberg, Andrew – Rause, Vince, Mondadori, Collana: Uomini e religioni, 2002) in cui conclude che le
esperienze spirituali sono l’inevitabile conseguenza di una certa configurazione cerebrale. “Il
cervello umano è stato geneticamente configurato per incoraggiare la fede religiosa”.

Anche la semplice preghiera ha un effetto particolare a livello cerebrale. Nelle immagini cerebrali
registrate dalla Spect, riferite a suore francescane in preghiera, Newberg ha notato un
rallentamento dell’attività nell’area deputata all’orientamento, che dava alle suore un senso
tangibile di unione con Dio. “L’assorbimento dell’io all’interno di qualcosa di più vasto, non
deriva da una costruzione emotiva o da un pensiero pio”, scrivono Newberg e d’Aquili in “Perché Dio
non se ne andrà”, “scaturisce invece da eventi neurologici”.

Attenzione a non cadere nel facile riduzionismo, tentazione a cui gli scienziati indulgono troppo
spesso. Non è che si possa considerare il cervello come organo a sè, al suo funzionamento
contribuisce tutto il corpo con tutti i suoi apparati sensoriali, partecipano l’esperienza, la
memoria, il pensiero, l’emotività, l’unicità di ogni essere umano. Ogni cervello è unico,
ricordiamocelo.

Ciò che di notevole si può ricavare dall’indagine neuro-teologica, è la nostra predisposizione, come
specie, alla religiosità e al sentire mistico. La neuroteologia spiega ad es. come il comportamento
rituale susciti stati cerebrali da cui deriva una vasta gamma di sensazioni, dal sentirsi parte di
una comunità, all’avvertire un’unione spirituale profonda. Dalle nenie liturgiche, capaci di
infondere un senso di quiete estatico, alle vorticose danze Sufi, capaci di indurre stati di trance,
si può intervenire con le più diverse ritualità in modo da facilitare il sopraggiungere di questi
stati mistici. Anche le immagini simboliche religiose, come una croce o una torah rivestita
d’argento, hanno lo stesso scopo: attivare la modalità “neuro-teologica”.

Lo studioso di religioni Mircea Eliade, che ha studiato a fondo lo sciamanesimo, le chiamava
“tecniche arcaiche dell’estasi”. Questi rituali riescono a mettere in moto i meccanismi cerebrali
neuro-teologici focalizzando l’attenzione sulla mente, arrestando il flusso di coscienza ordinario,
intervenendo sulla zona deputata all’orientamento che stabilisce i confini dell’io, della coscienza
individuale. Per dirla alla Nietzsche, sono dei mezzi per passare dalla “modalità apollinea” a
quella “dionisiaca”. “Finché il nostro cervello avrà questa struttura”, dice Newberg, “Dio non andrà
via”.

L’esperto di bioetica nonché vice-presidente della Pontificia Accademia per la vita, monsignor Elio
Sgreccia, da parte sua non nega il possibile legame fra religione e neurologia: “Non contrasta con
la fede affermare che in una parte del cervello c’è traccia dei momenti di preghiera. Il che però
non significa che è il cervello a creare la fede”.

“Non tutti coloro che meditano provano esperienze religiose forti”, dice Robert K.C. Forman,
studioso di religione dell’Hunter College di New York, “pensiamo che alcuni individui possano essere
predisposti geneticamente o caratterialmente ad avere esperienze mistiche”. Le persone più aperte a
queste esperienze tendono anche ad essere aperte a nuove esperienze di natura più generale. Sono di
solito creative e innovative, con molti interessi e una certa tolleranza per l’ambiguità. Sono
inclini alla fantasia, il chè suggerisce una particolare capacità di sospendere il processo di
discernimento che permette di distinguere tra fatti reali e immaginari. Chi invece tende più alla
razionalità, avrà più difficoltà a fare questo tipo di esperienze.

I TRANSUMANI

Una ricercatrice del SETI riesce a decodificare un messaggio proveniente da Alpha Centauri. Sono le
istruzioni per costruire un manufatto alieno che spalanca le porte della supermente
quadrimensionale, una sorta di pisco-astronave per navigare nell’inconscio collettivo dell’universo,
l’accesso ad una nuova dimensione che prelude ad un nuovo stadio dell’evoluzione umana.

(Robert Sawyer, “Factoring Humanity”, 1998)

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