Morte – Jiddu Krishnamurti

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Morte di Jiddu Krishnamurti

“Morte : Fra la morte e la vita c’è solo un illusorio, sottilissimo confine. Meditazione sulla
morte. La morte … la vita?”

liberamente tratto da: Sul vivere e sul morire (On living and dying) J. Krishnamurti

La morte è la nostra eterna compagna. É sempre lì, alla nostra sinistra, ad un passo di distanza da
noi. Ci osserva, ci sussurra all’orecchio, a volte …sentiamo il suo gelo. É lì accanto a noi, ci
osserva, ci osserverà sempre, sino al giorno in cui ci toccherà. La morte è il nostro più vicino
saggio consigliere, ogni volta che ne senti il bisogno, voltati e chiedi consiglio a lei, la
troverai lì, alla tua sinistra, disponibile. Se imparerai a farlo senza vani timori ti sbarazzerai
delle maledette meschinità proprie degli uomini che vivono senza mai cercare di capire cosa sia la
morte e così tirano avanti, come se la morte non dovesse mai toccarli

…faccio seguire alcuni spunti di riflessione di un grande saggio: Jiddu Krishnamurti: vi auguro
una buona lettura

Madras, 9 dicembre 1959 È possibile vivere con un senso di armonia, di bellezza e di soddisfazione
interminabile? Forse “soddisfazione” non è il termine adatto, perché la soddisfazione comporta
sempre frustrazione; forse è meglio formularlo in questi termini: è possibile mantenere
continuamente un modo di essere e di agire in cui non ci sia né sofferenza, né pentimento né motivo
di rimorso. Se una condizione del genere esiste, come possiamo raggiungerla? Ovviamente non è
possibile coltivarla. Non possiamo imporci di essere armoniosi, non avrebbe alcun senso. Supporre
che si debba controllare se stessi al fine di raggiungere una condizione di armonia corrisponde a un
modo di ragionare immaturo. Lo stato di completa integrazione, di azione totale, può essere
realizzato soltanto quando non lo si cerca, quando la mente non si sta sforzando di seguire un
determinato schema di vita.

Generalmente non ci pensiamo a sufficienza. In ogni attività quotidiana la cosa che più ci preoccupa
è il tempo, perché è il tempo che ci permette di dimenticare. E il tempo che rimargina le nostre
ferite, almeno temporaneamente, ed è il tempo che dissipa l’angoscia e le frustrazioni. Intrappolati
nel processo del tempo, come potremo mai raggiungere quella condizione straordinaria in cui non c’è
contraddizione, in cui ogni singolo movimento della vita è azione integrata, in cui la vita
quotidiana è realtà?

Se ci ponessimo seriamente tale problema, penso che potremo davvero mantenerci in comunione
reciproca mentre cerchiamo di chiarire il quesito; tuttavia, se ci limitiamo ad ascoltare le parole,
non riusciremo a stabilire un contatto veramente profondo. Siamo in comunione reciproca solo se si
tratta di un problema che tocca entrambi. A quel punto non è più soltanto un mio problema che io
cerco di imporre a voi o che voi state cercando di interpretare in base al vostro credo e alle
vostre idiosincrasie. É un problema umano, un problema universale, e se ciò sarà assolutamente
chiaro per ognuno di noi, sarà proprio ciò che stiamo dicendo e che stiamo pensando e sentendo che
ci permetterà di giungere a una condizione di comunione, e insieme potremo andare molto a fondo.

Qual è dunque il problema? Ovviamente il problema è che dobbiamo produrre un cambiamento
incredibile, non solo a livello superficiale, nelle nostre attività esteriori, ma anche
internamente, nel profondo. Dobbiamo dar vita a una rivoluzione interiore tale da trasformare il
nostro modo di pensare sino a generare uno stile di vita che sia di per se stesso azione totale.
Perché non riusciamo a promuovere una rivoluzione del genere? Per come la vedo io è questo il
nocciolo della questione. Cerchiamo dunque di penetrare profondamente in noi stessi in modo da
giungere alla radice del problema.

Mi pare che la radice sia proprio la paura. Vi invito a osservare i vostri sentimenti evitando di
considerarmi semplicemente un oratore che si rivolge al pubblico. Voglio affrontare la questione con
voi perché, se la esploriamo insieme e riusciamo a comprendere una parte della verità, da tale
comprensione si produrrà un’azione che non sarà né mia né vostra, e le opinioni, che rappresentano
il nostro eterno campo di battaglia, cesseranno di esistere.

Credo che ci sia una paura fondamentale che deve essere scoperta, una paura assai più profonda di
quella di perdere il proprio lavoro, o della paura di sbagliare, oppure della paura dovuta a
un’insicurezza interiore o esteriore.

Tuttavia, per poter raggiungere il cuore del problema, dobbiamo partire dalle paure che già
conosciamo, le paure di cui tutti noi siamo ben coscienti. Non c e bisogno che vi dica di cosa si
tratta, perché ognuno di noi può osservarle in sé: la paura dell’opinione pubblica; la paura di
perdere il figlio, la moglie o il marito per via di quella triste esperienza che chiamiamo morte; la
paura della malattia e della solitudine; la paura dell’insuccesso o di non potersi realizzare; la
paura di non riuscire a ottenere la conoscenza della verità, di dio, del paradiso, eccetera. Il
selvaggio deve affrontare poche e semplici paure, mentre noi siamo vittime di innumerevoli paure la
cui complessità aumenta man mano che diventiamo sempre più ‘civilizzati’.

Ora, cos’è la paura? L’avete mai sperimentata realmente? Potremmo perdere il lavoro, non avere
successo, oppure il nostro vicino potrebbe dire qualcosa di spiacevole su di noi; inoltre la morte è
sempre in agguato dietro l’angolo. Tutto ciò genera paura, alla quale cerchiamo di sfuggire tramite
lo yoga, tramite la lettura, credendo in dio, divertendoci in vari modi, e via dicendo. Allora vi
chiedo: “Avete mai sperimentato davvero la paura, oppure la vostra mente non ha mai fatto altro che
sfuggirla? .

Prendiamo a esempio la paura della morte. Avendo paura della morte razionalizziamo la paura cercando
di eluderla con affermazioni del tipo: “La morte è inevitabile, ogni cosa muore . Il pro- cesso di
razionalizzazione non è altro che una fuga dalla realtà. Oppure crediamo nella reincarnazione, idea
che soddisfa e conforta, anche se non può eliminare la paura. Magari cerchiamo di vivere
completamente nel presente, dimenticando tutto ciò che riguarda il passato e il futuro,
preoccupandoci soltanto del presente, ma la paura continua. Mi chiedo se avete mai sperimentato la
vera paura, invece della paura teorica, che è semplicemente ciò che la mente elabora sulla paura?
Forse non mi sono spiegato sufficientemente bene. Conosciamo il sapore del sale. Abbiamo
sperimentato il dolore, la lussuria e l’invidia, e sappiamo per esperienza personale cosa
significhi- no tali parole. Conosciamo altrettanto bene la paura? Oppure abbiamo soltanto un’idea
della paura, senza averla mai sperimentata realmente? Ora è chiaro?

Abbiamo paura della morte, ma che cos’è la paura? Comprendiamo l’inevitabilità della morte, e poiché
non vogliamo morire, ne abbiamo paura. Ma non abbiamo mai saputo cosa sia la morte, non abbiamo
fatto altro che proiettarne un’idea, un’opinione. Quindi abbiamo paura della nostra idea della
morte. È talmente semplice che non riesco ad accettare la nostra difficoltà nel comprenderlo. Per
poter sperimentare realmente la paura, dobbiamo essere un’unica cosa con essa. Dobbiamo essere
completamente pervasi dalla paura, senza evitarla; lasciamo stare quello che pensiamo, che crediamo,
su di essa. In ogni caso non penso che molti tra noi abbiano mai sperimentato la paura in tale modo,
perché siamo sempre intenti a evitarla, a sfuggirla. Non restiamo mai in sua compagnia,
osservandola, cercando di capire di cosa si tratti.

Mi chiedo se la mente sia capace di vivere con la paura, fondendosi con essa. Le è possibile
penetrare quell’emozione invece di evitarla o di cercare di sfuggirla? Penso che il fatto che
viviamo una vita talmente piena di contraddizioni sia in gran parte dovuto al nostro continuo
tentativo di sfuggire alla paura.

Signori, siamo ben consapevoli, soprattutto con il passare degli anni, che la morte ci sta
aspettando. E ne abbiamo paura, non è vero? Ora, come possiamo capire tale paura? Come possiamo
liberarci dalla paura della morte? Cos’è la morte? È esattamente la fine di tutto ciò che abbiamo
conosciuto. Ecco la realtà. Il punto non è se sopravviveremo o non sopravviveremo. La sopravvivenza
dopo la morte non è che un concetto. Noi non sappiamo, ma crediamo, perché credere ci conforta. Non
affrontiamo mai il problema della morte in sé e per sé, perché l’idea stessa di arrivare a una fine,
di penetrare nel regno dell’ignoto è talmente orripilante da risvegliare la paura. Avendo paura,
facciamo ricorso a varie forme di credo religioso, che sono semplicemente vie di fuga.

Per poter liberare la mente dalla paura dobbiamo assolutamente conoscere cosa voglia dire morire
mentre siamo ancora nel pieno delle nostre facoltà fisiche e mentali, per esempio mentre andiamo in
ufficio o partecipiamo a qualche evento. Dobbiamo penetrare la natura della morte da vivi. La fede
non ci libererà dalla paura. Potremo anche leggere un bel po’ di libri sull’aldilà, ma non ci
aiuterà a liberare la mente dalla paura, perché la mente è abituata a un’unica cosa, che è la
continuità perpetuata dalla memoria, e quindi l’idea stessa di cessare di esistere appare orribile.
Il costante ricordo delle cose che abbiamo sperimentato e goduto, tutto ciò che abbiamo posseduto,
il carattere che ci siamo forgiati, gli ideali, le visioni, la conoscenza: tutto ciò è destinato a
finire. Come possiamo liberarci dalla paura? È questo il problema, non le varie ipotesi sulla vita
oltre la morte.

Se voglio essere libero dalla paura della morte, è sicuramente necessario che io ne indaghi la
natura. Devo farne esperienza, devo sapere di cosa si tratti, devo conoscere la sua bellezza, le sue
impressionanti caratteristiche. Morire dev’essere qualcosa di straordinario, entrare in una
dimensione che non abbiamo mai immaginato, totalmente sconosciuta.

Ora, in che modo può la mente sperimentare, da vivi, quella cessazione che chiamiamo morte’? La
morte è la cessazione. È la cessazione del corpo, e forse anche della mente. Non sto cercando di
scoprire se ci sia vita dopo la morte. Ciò che mi interessa è la cessazione. Posso sperimentare tale
cessazione mentre sono ancora in vita? Come posso far sì che la mia mente, con tutti i suoi
pensieri, le attività, i ricordi, giunga alla fine mentre sono in vita, con il corpo non ancora
intaccato dalla vecchiaia e dalla malattia, o spazzato via da un incidente? La mia mente, che ha
edificato un senso di continuità, può cessare ora, invece che all’ultimo respiro? Voglio dire, è
davvero impossibile liberare la mente da tutto ciò che la sua memoria ha accumulato?

Qualsiasi cosa siate, buddhisti, induisti, cristiani o altro ancora, siete plasmati dal passato,
dalle abitudini, dalla tradizione. Siete avidità, invidia, gioia, piacere, il godimento di qualcosa
di bello, l’angoscia del non essere amati, del non riuscire a realizzarsi; siete tutto ciò, ovvero
il processo della continuità. Consideriamone un aspetto: siete attaccati a ciò che possedete, a
vostra moglie. È un dato di fatto. Non intendo parlare del distacco. Siete attaccati alle vostre
opinioni, al vostro modo di pensare.

Ora, siete capaci di porre fine a tale attaccamento? Perché siete attaccati? È questo il punto, non
come realizzare il distacco. Se vi sforzate di essere distaccati, non fate altro che alimentare
l’opposto, e di conseguenza la contraddizione continua. Tuttavia nel momento in cui la vostra mente
è libera dall’attaccamento, è anche libera da quel senso di continuità che è generato proprio
dall’attaccamento, non vi pare? Allora, perché siete attaccati a qualcosa? Perché avete paura che
senza tale attaccamento non sareste nulla; quindi voi siete la vostra casa, siete vostra moglie,
siete il vostro conto in banca, siete il vostro lavoro. Siete tutte queste cose. Se riuscirete a
mettere fine a tale senso di continuità, generato dall’attaccamento, facendolo cessare
completamente, saprete cos’è la morte.

È chiaro? Per esempio, supponiamo che io odi e che mi sia trascinato quest’odio nella memoria per
anni, lottando continuamente con esso. Posso smettere di odiare all’istante? Posso lasciarlo andare
con la stessa definitività della morte?

Quando la morte sopraggiunge non ci chiede il permesso, arriva e si prende la nostra vita, ci
distrugge in un sol colpo. Possiamo lasciar andare nello stesso modo l’odio, l’invidia, l’orgoglio
del possesso, l’attaccamento al credo, alle opinioni, alle idee, a un certo modo di pensare?
Possiamo abbandonare tutto ciò all’istante? Non c e un metodo’ per farlo, perché ciò non
rappresenterebbe altro che una forma di continuità. Abbandonare credo, opinioni, attaccamenti,
avidità o invidia vuoi dire morire, morire ogni giorno, in ogni momento. Se giungiamo alla
cessazione di ogni ambizione, istante dopo istante, conosceremo quella condizione straordinaria che
consiste nel non essere nulla, nel raggiungere, per cosi dire, l’abisso dell’eterno movimento, e
oltrepassarne il confine, che è la morte.

Voglio sapere tutto della morte, perché la morte potrebbe essere la realtà, potrebbe essere ciò che
chiamiamo dio’, quel qualcosa di assolutamente straordinario che vive e si muove, eppure non ha
inizio né fine. Ecco perché voglio conoscere la morte completamente. Perciò devo morire a tutto ciò
che già conosco. La mente può essere consapevole del non conosciuto solo se muore al conosciuto, se
muore senza avere obiettivi, senza sperare in una ricompensa né temere una punizione. Allora potrò
scoprire cosa sia la morte mentre sono ancora in vita, ed è in tale scoperta che posso trovare la
libertà dalla paura. Che ci sia o non ci sia una continuità dopo la morte fisica è irrilevante. Che
ci sia o non ci sia una rinascita è una questione di nessun conto.

Per me la vita non è separata dalla morte perché nella vita c’è la morte. Non c’è separazione tra la
morte e la vita. Possiamo conoscere la morte perché la mente muore in ogni istante, ed è in quella
cessazione, non nella continuità, che si cela il rinnovamento, la novità, la vitalità e l’innocenza.
Tuttavia, per molti di noi la morte è una cosa che la mente non ha mai davvero sperimentato. Per
poter sperimentare la morte mentre siamo ancora vivi, dobbiamo abbandonare ogni sotterfugio mentale,
ovvero tutto ciò che ci impedisce un’esperienza diretta.

Mi chiedo se abbiate mai conosciuto veramente l’amore. Penso che in realtà morte e amore vadano di
pari passo. Morte, amore e vita sono la stessa identica cosa. Ma noi abbiamo diviso la vita, così
come abbiamo fatto con la terra. Parliamo dell’amore come di qualcosa che può essere carnale o
spirituale, e abbiamo dato avvio a una battaglia tra il sacro e il profano. Abbiamo separato ciò che
l’amore è realmente da ciò che dovrebbe essere, cosicché non giungiamo mai a sapere cosa sia.

L’amore è senza dubbio una sensazione totale che non è sentimentale, nella quale non c’è alcun senso
di separazione. È la completa purezza della sensazione senza le caratteristiche divisorie e
frammentanti dell’intelletto. L’amore non ha un senso di continuità. Laddove c’è un senso di
continuità l’amore è già morto, ha il retaggio dello ieri, con i suoi tristi ricordi, le liti e le
brutalità. Per amare bisogna morire.

La morte è amore, le due cose non sono separate. Tuttavia non voglio che vi lasciate incantare dalle
mie parole: dovete sperimentarlo, e cioè penetrarlo, gustarlo e scoprirlo da soli.

La paura della più totale solitudine, dell’isolamento, del non essere nulla è la base, la radice
stessa della nostra autocontraddizione. Poiché abbiamo paura di non essere nulla, subiamo la
frammentazione generata dai nostri desideri, ognuno dei quali ci spinge in una direzione diversa.
Ecco perché c’è sicuramente libertà dalla paura quando la mente conosce l’azione totale, non
contraddittoria; un azione nella quale andare in ufficio non è diverso dal non andarci, dal
diventare un sannyasin, dal meditare o dall’osservare il cielo al tramonto. Tuttavia la paura stessa
dev’essere sperimentata, altrimenti non può esserci libertà dalla paura, e per sperimentare la paura
occorre rinunciare a ogni metodo e mezzo per sfuggirla. Il dio in cui credete è un meraviglioso
espediente per sfuggire alla paura. I rituali, i libri, le teorie e il credo ci impediscono di
sperimentarla realmente. Scopriremo che solo nella cessazione c’è una totale assenza di paura; la
cessazione dello ieri, di ciò che è stato, ovvero del terreno in cui la paura affonda le sue radici.
Solo così capiremo che l’amore, la morte e la vita sono un’unica cosa. La mente è libera solo quando
è stata abbandonata l’accumulazione della memoria. La creazione è nella cessazione, non nella
continuità. È l’unica via per giungere a quell’azione totale che è vita, amore e morte. Jiddu
Krishnamurti – liberamente tratto da: Sul vivere e sul morire (On living and dying) J. Krishnamurti

© 1992, Krishnamurti Foundation Trust Limited and Krishnamurti Foundation of America © 1998, Casa
Editrice Astrolabio – Ubaldini – Roma

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