La Vita oltre la Vita

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La Vita oltre la Vita

di Giuseppe Bufalo

Da secoli, in occidente, la morte è soggetto di terrore. Non solo ci
colpisce dolorosamente strappandoci gli esseri ai quali teniamo di più e
minacciando noi stessi nel mezzo dei nostri progetti più cari ma, con
l’incognita
che essa nasconde, è presaga di terribili minacce che niente può
scongiurare. Così, è spesso descritta con immagini che mettono in risalto la
sua natura orrida e implacabile, come nelle danze macabre del Medioevo. E
bisogna aggiungere che gli insegnamenti esteriori delle religioni non hanno
fatto che aggravare questo clima di paura.

Lo stesso Gesù, uomo tra gli uomini, avrebbe conosciuto sulla Croce
l’angoscia
della morte al momento di spirare, e si sarebbe sentito abbandonato dal suo
Dio (Matteo, 27,46). Tutto questo, purtroppo, preso alla lettera, da alla
morte un’immagine terrificante: colpevolizzate dall’idea del peccato, le
masse popolari hanno visto in essa il simbolo stesso del castigo assoluto.

In queste condizioni, l’atteggiamento più corrente nei confronti della morte
è il silenzio. Argomento tabù, ci sforziamo di dimenticarla, di non
parlarne, viviamo come se non dovesse mai arrivare. E ci tranquillizziamo
immaginando i defunti che “dormono l’ultimo sonno”.

Però è anche vero che la situazione si è evoluta, fin dal XIX° secolo, con
lo sviluppo dello Spiritismo e, soprattutto nel XX° secolo fino ad oggi, con
il progresso della scienza. Le comunicazioni con gli Spiriti, tramite i
medium, hanno contribuito a dare l’impressione che l’aldilà sia un soggiorno
più luminoso del nostro, e che la morte altro non sia che una liberazione
benefica.

Oggi, le inchieste condotte da ricercatori scientifici rinomati (come il dr.
Moody, suo figlio il dr. Kùbler-Ross, e diversi altri) contribuiscono
notevolmente a scongiurare la paura della morte. Quando possono descrivere
le loro esperienze interiori, le loro visioni, i moribondi non descrivono
affatto dei racconti spaventosi.

Alcuni ricercatori americani, come Karlis Osis, hanno costatato che il
contenuto di quegli esperimenti è d’altronde comparabile anche tra persone
di civiltà diverse. Gli scampati alla morte, rianimati in extremis, dopo
aver cessato di vivere per un periodo più o meno lungo, riferiscono delle
impressioni che non hanno nulla di allarmante: al contrario, la pace che
hanno avvertito aveva una forza tale che essi sono ritornati alla vita solo
con rimpianto ( vedi, a questo proposito, La Vita dopo la Vita del dr. Moody
e Nuove ipotesi della Vita dopo la Vita del dr. Moody Junior).

Queste constatazioni, che scuotono le idee stabilizzate sulla morte,
contribuiscono a sanare il clima di paura che essa stessa alimentava, e
costituiscono l’occasione di discussioni, spesso sterili e ripetitive, tra
“credenti e miscredenti”. Come sempre, ad immagine delle persone della
caverna di Platone, gli uomini hanno tendenza ad inventare spiegazioni
(generalmente materialistiche) dei fatti che scoprono, senza sospettare che
la realtà è in effetti totalmente diversa, poiché non hanno alcuna idea di
quello che esiste fuori dalla caverna.

L’insegnamento della Teosofia sulla Vita dopo la morte non è allegorica, ma
è il risultato dello sforzo compiuto da H. P. Blavatsky per mettere alla
nostra portata i fatti di esperienza osservati direttamente dai suoi Maestri
che hanno acquisito il potere di esplorare coscientemente questo mondo, per
noi pieno di mistero, dove le Anime umane proseguono la loro esistenza dopo
aver lasciato il corpo fisico, e prima di reincarnarsi.

Quest’insegnamento si iscrive nel quadro logico di tutto quello che abbiamo
esposto precedentemente; non saremo quindi sorpresi nello scoprire che la
morte è un fenomeno naturale, nel quale tutti i processi obbediscono a delle
leggi logiche, e che contribuiscono efficacemente al progresso dell’Anima
permettendole non solo di accedere al riposo prima di una nuova
incarnazione, ma anche di assimilare tutta la ricchezza delle sue esperienze
terrene.

Come abbiamo già visto, il Karma interviene durante tutte le fasi della vita
dell’essere in incarnazione, ma la legge della Natura qui appare
misericordiosa, contrariamente a ciò che insegnano le religioni sui vari
castighi previsti per punire i peccatori dopo la loro morte. E’ soltanto in
un’altra vita sulla terra che l’Anima dovrà far fronte alle conseguenze dei
suoi errori.

ANALOGIE TRA IL SONNO E LA MORTE

Nel mondo greco si diceva che il sonno (Hypnos) era fratello della morte
(Thanatos). In effetti le analogie tra i due sono numerose; ancor più
strette sono se si fa seguire la rinascita alla morte. Ad un osservatore
esterno, un dormiente sprofondato nel sonno non è affatto diverso da un
morto, se si guarda all’immobilità del suo corpo, all’assenza di qualsiasi
manifestazione di coscienza e di volontà, alla calma della sua espressione.
L’analogia termina se si pensa che il dormiente si sveglierà, ma non il
morto.

Ma la Teosofia ci invita a non identificare l’uomo con il suo corpo: sotto
l’apparenza
del riposo del corpo, la coscienza del dormiente è molto attiva – come
quella dell’uomo nel momento del decesso. Nei due casi, essa si è ritirata
progressivamente dal mondo delle sensazioni fisiche fino ad un piano di
esperienza soggettiva.

Si sa per certo che alcuni problemi assillanti, durante il periodo di
veglia, trovano la loro soluzione durante il sogno. Lo stesso accade per gli
ultimi pensieri del morente; quelli dominanti durante la grande rassegna
finale formeranno la nota caratteristica per l’esperienza post-mortem. Sia
il sonno che la morte offrono all’Anima l’occasione per un riposo riparatore
e l’assimilazione delle esperienze terrestri.

I ricercatori scientifici hanno costatato che il periodo notturno consacrato
a sognare è indispensabile per l’equilibrio vitale degli esseri; allo stesso
modo, l’attività psichica dell’Anima nel Devachan (lett. = “La dimora degli
Dei”) ha un carattere particolarmente benefico, di cui purtroppo non
approfittano quelli che, durante tutta la propria vita terrena, hanno negato
qualsiasi possibilità di sopravvivenza. Nella pratica queste analogie sono
interessanti; bisognerebbe poter dare un posto alla morte nella dinamica
della nostra vita, così come vi integriamo il sonno.

Nel ritmo della nostra esistenza, il sonno ha il suo posto ed è una
necessità accettata. Vi è un igiene del sonno che fa da contr’altare
all’igiene
della vita attiva. Non ci si lascia “cadere” a caso nel sonno, senza
prepararvisi, per dormire in modo riparatore sia per il corpo che per il
mentale ed il cuore. Sarebbe altrettanto auspicabile di non “cadere” a caso
nella morte, ma di prepararvisi.

Se sappiamo utilizzare la nostra volontà per raggiungere la calma in noi
stessi, perché finalmente è giunta l’ora di dormire, e per occupare la mente
con l’immagine spirituale che desideriamo realizzare quaggiù,
l’addormentarsi
sarà più piacevole e quest’ultimo pensiero potrà risvegliare qualche eco nel
nostro essere profondo durante le ore notturne.

Nel momento della morte, questa preparazione al sonno, a lungo ripetuta
durante gli anni, dovrebbe aiutarci naturalmente ad abbordare la morte allo
stesso modo del sonno, cioè nella calma, e con un’attiva volontà capace di
fissare la nostra mente sull’immagine dell’ideale che desideriamo perseguire
ancora nella successiva incarnazione.

Platone ha ben osservato che la morte non è che un passaggio, ma bisogna
diffidare dalle spiegazioni semplicistiche di alcune scuole attuali secondo
le quali l’Anima, liberata dal corpo al momento del decesso, avrebbe la
facoltà di percorrere a suo piacimento il mondo astrale.

In realtà, come ha insegnato Plutarco, l’itinerario dell’Anima dopo la fine
della vita terrena passa attraverso due morti distinte, separate da un
intervallo di tempo di durata variabile. La prima morte – che è la morte
fisica – può alcune volte essere violenta; separa l’uomo settuplo in due
parti le cui sorti sono differenti:

– il cadavere, con il suo doppio eterico privato di ogni legame con l’Ego
Immortale, è destinato a una decomposizione più o meno rapida;

– L’Ego Immortale rimane legato ai Corpi Astrale e Mentale che sono serviti
da base all’attività psichica ed emozionale della personalità terrestre.
Questa entità astrale conserva una certa vitalità (un aspetto energetico di
prana) che le conferisce una coesione permettendogli una sopravvivenza,( nel
Kama-Loka = Luogo del Desiderio) a volte considerevole.

La seconda morte corrisponde ad un processo naturale molto più lungo del
primo; permette all’Ego Immortale di liberarsi progressivamente del Corpo
Astrale, che finisce per rigettare nella sfera astrale della Terra, come una
specie di cadavere psichico (Kama-Rupa = Corpo del Desiderio) destinato ad
una disgregazione generalmente molto più lenta di quella del cadavere
fisico. Chiamiamo spesso “guscio astrale” questa parvenza di anima, priva di
ogni coscienza ragionata. In effetti, in questi gusci astrali rimane
“l’odore”
della coscienza del suo possessore.

Questo spoglio progressivo, in quello che è chiamato il Kama-loka (lo stadio
della vita post-mortem dove le forze e le immagini del desiderio hanno la
facoltà di darsi libero sfogo), corrisponde al purgatorio delle religioni.
In questo stadio l’essere soffre di tutte le sofferenze che ha prodotto
durante la vita ai suoi simili ed alla Natura. Egli però non soffre
coscientemente della grande separazione che avviene tra gli aspetti
puramente egoisti e terreni della personalità e gli elementi superiori.

Notiamo che questa seconda morte non mira solo a liberare l’Ego Immortale da
uno strumento psichico ormai inutilizzabile, ma permette anche all’Anima di
portare con sé il “bottino” spirituale della vita trascorsa, che servirà di
base all’esperienza della fase seguente, chiamata Devachan , secondo un
termine orientale che evoca uno stato di piena felicità (lett. = “La dimora
degli Dei”).

A questo punto l’Ego Immortale, liberato da tutti i suoi strumenti
psico-fisici, si prepara al Devachan attraverso un periodo di gestazione,
più o meno lungo, durante il quale egli si avvolge di tutto il tessuto di
immagini e di aspirazioni ideali della sua personalità per trarne tutto il
succo, per tutti i lunghi anni di sogno paradisiaco, nel quale si
rinchiuderà in profonda contemplazione.

Il guscio astrale, che è ancora pieno di energie e di desideri per la vita
terrena, a sua volta và alla deriva nelle correnti della Luce astrale. Esso
può essere attirato magneticamente verso esseri viventi, come i medium. E
poiché questi gusci astrali sono portatori di tutta la memoria dettagliata
della vita trascorsa, è possibile, in una seduta spiritica, entrare in
contatto con esso ed ottenerne numerose informazioni, dando ai presenti
l’illusione
perfetta di comunicare con la vera Anima del defunto.

A questo stadio dell’esperienza post-mortem, la Teosofia esclude ogni
possibilità di dialogo (possibile nello stadio precedente) con l’Ego
Immortale che, nel suo mondo Spirituale, è al fuori della portata degli
strumenti psichici degli uomini incarnati.

Nelle visioni celesti del Devachan, L’Ego Immortale assapora una felicità
assoluta, nella quale riceve le compensazioni per le sofferenze che l’uomo
aveva sentite come immeritate; dà libero sfogo a tutte le sue aspirazioni
frustrate e vive pienamente l’ideale che aveva sognato, che non aveva potuto
raggiungere in vita. E’ ancora prigioniero di immagini personali, ma ne
assimila la quintessenza e, al tempo stesso, esercita pienamente i suoi
poteri di ideazione in attinenza con i temi più spirituali della vita umana.

Si capisce che questo periodo prolungato di riposo e di assimilazione è
indispensabile per l’Ego Immortale che si colloca integralmente nel
programma naturale della sua evoluzione, che mira all’incarnazione del
Divino nell’uomo.

Per la Teosofia, il tempo di “residenza nel cielo” non è eterno. Prima o
poi, le energie che sostengono e mantengono l’Ego Immortale nella sua
esperienza soggettiva, vengono ad esaurimento. Poiché tutti gli elementi
della personalità terrena sono stati assimilati dall’Anima, oppure rigettati
durante la seconda morte, di questa personalità non rimane più niente che
sia capace di trattenere l’Ego Immortale in un esperienza di coscienza.

Presto suonerà l’ora della rinascita in un quadro interamente nuovo. Ma
nulla di ciò che è meritevole di essere conservato andrà perduto, e l’Ego
Immortale conserverà sempre la memoria integrata di tutte le sue vite
passate. Quindi, come si può vedere, l’avventura umana, dopo la morte
fisica, obbedisce ad un programma che appare perfettamente logico e
necessario, dal momento che si conosce la costituzione settupla dell’uomo
vivente. Constatiamo anche a che punto tutti questi processi riflettano
l’economia
della Natura, obbedendo sempre alla Legge Karmica.

Vediamo pure che la morte è un mondo di effetti, subiti dall’Anima senza che
la sua volontà intervenga, per lo meno nello stadio attuale dell’evoluzione.

IL DECESSO

Parliamo ora di ciò che avviene nei momenti che precedono immediatamente o
che seguono il decesso. Il processo dell’arresto della vita avviene per
tappe sul piano fisico; è accompagnato da una progressiva ritirata della
coscienza, che, dapprima, perde l’uso degli organi di azione volontaria e
dei sensi (l’udito può spesso restare attivo a lungo) per risalire, in
seguito, gradualmente, dal piano delle emozioni e dei pensieri terreni fino
alla radice della coscienza personale.

Durante questa risalita, Helena Petrovna Blavatsky precisa che il morente
potrebbe avere delle visioni di coloro che ama e che pensa di più. Il Dr.
Moody asserisce che, alcune persone tornate dalla morte hanno confermato di
essere stati accolti nell’aldilà da parenti deceduti, venuti a rassicurarli
ed a condurli verso il loro destino. Queste apparizioni, più o meno fugaci,
lasciano in seguito posto all’esperienza decisiva del passare in rassegna
tutta la propria esistenza.

Riflettiamo sulle caratteristiche di questa visione: essa è completa ed
integrale (tutto è rivisitato fedelmente, fino al più piccolo dettaglio);
mette in luce la sottile concatenazione tra causa ed effetto di cui è stata
intessuta l’esistenza; è obiettiva (l’uomo si vede quale è stato realmente)
ed è vissuta al di fuori del dominio delle emozioni.

E’ sicuramente un esperienza solenne, una sorta di illuminazione che si
impone alla coscienza con forza e chiarezza: pazienti rianimati in extremis
hanno più volte dichiarato al Dr. Moody di essersi trovati di fronte ad una
presenza soprannaturale – un Essere di Luce pieno d’amore e comprensione –
che li faceva assistere a questa visione retrospettiva della loro esistenza.

Questo Essere luminoso e comprensivo non ci deve sorprendere, specie se
pensiamo alla natura dell’Ego Superiore che è quasi onnisciente nella sua
natura immortale. Ne La Chiave della Teosofia è chiamato “Filo Dorato”, ma è
anche, per la personalità terrena, come un congiunto che la sostiene
instancabilmente con i suoi poteri durante tutta la sua esistenza.

Si capisce perché i morenti si sentano amati e totalmente capiti da questo
Essere di Luce, senza dover neanche parlarsi. Alcuni di questi rinvenuti
hanno addirittura assicurato di aver fatto con Lui una sorta di esperienza
di totale onniscienza (vedi: Luci nuove sulla vita dopo la vita del
Dr.Moody) . Ne La chiave della Teosofia, H.P.Blavatsky fa riferimento in più
punti a questo carattere quasi onnisciente dell’Ego Immortale o Anima.

Notiamo che queste esperienze dei morenti sono totalmente sorprendenti per
coloro che le vivono, che essi generalmente le interpretano nel quadro delle
loro credenze religiose: sono persuasi che Dio, o il Cristo è apparso loro.

Ne L’Oceano della Teosofia, W.Q.Judge, distingue – in prossimità della
morte – fra i fenomeni esteriori legati alla fisiologia (sintomi della
morte, la concentrazione delle forze del corpo e del mentale nel cervello,
la cui attività si svolge ora a beneficio dell’Ego Immortale) e le
esperienze peculiari della persona che lascia questo mondo, non in fretta,
bensì quando il suo compito sia terminato.

Infine, dopo il bilancio dell’esistenza e la lotta dell’uomo per sganciarsi
dal corpo, l’astrale si stacca dall’involucro fisico – la morte è allora
definitiva e la vita nel corpo fisico si spegne, come la fiamma di una
candela su cui si soffia.

MORTE NATURALE E MORTE VIOLENTA

Cerchiamo ora di chiarire le differenze che esistono tra la morte naturale e
quella violenta e quali sono le conseguenze nell’aldilà.

La morte violenta è in un certo qual modo un avvenimento contro natura : non
ne sono preparate la parte fisica né la sua controparte astrale e vitale
dell’essere. Essa lo sorprende prima della fine del suo “programma
biologico” e spesso quando è ancora in piena forma fisica e psichica. Così,
brutalmente privato del suo corpo fisico, questo essere resterà ancora
“vivo” – fino a quando il vero termine naturale della via sia sopraggiunto,
che si tratti di un mese o di sessant’anni. Solo allora la forza coesiva dei
principi inferiori si sarà esaurita e il processo della seconda morte potrà
cominciare.

In questi particolari casi, lo stato di “morte parziale”, viene di norma
vissuto in una semi-incoscienza, se l’individuo apparteneva alla media degli
esseri umani. Ma se si tratta di un essere perverso, pieno di appetiti
grossolani, o pieno di rancori nei confronti dei suoi simili, o della
società (è il caso di criminali giustiziati), oppure se ha messo fine alla
sua esistenza volontariamente, disperato per non poterne più godere a
volontà, non può sfuggire ad una determinata esperienza cosciente del
Kama-Loka, che molto probabilmente è dolorosa.

Se un uomo muore – anche di morte naturale – con un violento desiderio di
vivere, o eventualmente di portare a termine la sua missione, può accadere
che l’entità, privata del proprio corpo, rimanga per un certo periodo
nell’ambiente
terreno, manifestandosi persino ai vivi ( senza per altro esserne
consapevole).

Per quanto riguarda i giustiziati, o i suicidi, l’energia del desiderio che
li trattiene prigionieri nel nostro mondo può essere ancora più forte: vi è
persino il rischio che diventi parassita di alcuni viventi che sono indotti
allora, causa la loro natura troppo passiva, a manifestare a loro volta le
caratteristiche dell’entità trapassata.

Lo stato di coscienza dell’essere disincarnato, morto in situazioni
tragiche, può essere drammatico. Egli rivive un incubo ricorrente, in cui
sono incessantemente passate in rassegna, in ogni dettaglio, le drammatiche
circostanze che hanno portato alla morte.

Notiamo che alcuni sopravvissuti al suicidio hanno confermato al Dr. Moody
quanto è stato già formulato molto più di un secolo fa dalla Società
Teosofica. E’ facile capire come la durata e la qualità delle esperienze
postume siano essenzialmente variabili da uomo a uomo, direttamente in
relazione con la qualità e la molteplicità delle esperienze terrene.

Per esempio, se l’individuo ha dato libero corso ad ogni tipo di passioni e
desideri, mobilitando a tal fine tutte le energie disponibili (materiali e
spirituali), ha creato in se stesso una sorta di entità astrale o psichica,
potente, capace di sopravvivere a lungo nella sfera del Kama-loka ed alla
quale l’Ego Immortale dovrà – per così dire – strappare con fatica le
energie psichiche omogenee alla propria natura spirituale: si presume che la
durata del processo di questa seconda morte non possa essere paragonato a
quella che vivrà un uomo puro e totalmente consacrato ad una nobile causa.

La regola, per chi muore di morte naturale, è che resterà nella sfera
d’attrazione
terrestre ( il Kama-loka ) per un periodo che va “da pochi giorni a qualche
anno”. Vi sono tuttavia delle eccezioni, come abbiamo accennato sopra.

Per quanto concerne il Devachan, per la media degli individui esso dura
alcuni secoli. Ben inteso, se si prende in considerazione ogni singolo
essere, il tempo che intercorrerà realmente tra la sua morte e la sua
reincarnazione può variare considerevolmente. Può accadere persino che un
individuo non faccia nessuna esperienza nel Devachan (come il caso di un
essere grossolano, pieno di egoismo). Come abbiamo già visto, questa
esperienza non dipende soltanto dalla ricchezza delle energie spirituali da
assimilare per l’Ego Immortale: essa viene attivata dalla fede nella
sopravvivenza.

Vediamo quindi a qual punto la durata ed il contenuto della vita dopo la
morte fisica siano sottomessi alla Legge del Karma: la morte apre un campo
di esperienza in cui l’uomo raccoglie le esatte conseguenze dei suoi atti e
pensieri volontari, nei limiti concessi dagli strumenti di cui dispone per
questa esperienza.

Riassumendo, bisogna distinguere, per quanto riguarda il Devachan, tre
categorie ben distinte:

1° – Gli esseri umani materialisti e grossolani – anche se si professano
seguaci di una religione – senza alcuna ricchezza interiore da raccogliere :
questi si reincarneranno dopo poco tempo;

2° – Gli uomini che, benché buoni e generosi, professano un incallito
scetticismo nei confronti dell’Anima e del suo divenire dopo la morte del
corpo fisico: costoro si privano dell’esperienza vivificante
dell’assimilazione
delle loro energie spirituali. Questa assimilazione avviene comunque, ma in
un registro incosciente, paragonabile al sonno profondo di un bambino. La
loro unica possibilità di Devachan cosciente è collegata alle aspirazioni
che possono aver avuto nell’infanzia o nell’adolescenza, prima cioè di
adottare definitivamente le idee materialistiche.

3° – La maggioranza degli esseri umani che conservano l’idea innata della
loro immortalità. costoro costituiscono la maggioranza.

Quale pura mente, coperta di una veste assai eterea, che poi abbandonerà
quando giunge l’ora del ritorno sulla Terra, l’Ego Immortale, chiuso nella
sua esperienza paradisiaca, si stacca poco a poca dalla morsa della sua
vecchia personalità per accedere infine a piani di coscienza più universali.

L’Ego Immortale, svegliato dal suo sogno, dopo aver “digerito” nel Devachan
tutti gli elementi nutrizionali ricavati dalla sua vita terrena, ritrova per
un attimo la libertà della propria piena coscienza manasica, mentre i legami
Karmici che lo riportano nella prova dell’incarnazione, si riaffermano.

La costruzione dei nuovi involucri, che l’Ego Immortale utilizzerà, avviene
sulla base di un programma in cui intervengono gli elementi attivi della
personalità antecedente – gli Skandha, che erano rimasti allo stadio di
germi per tutta la durata del Devachan, ma che ora si riattivano, come
effetti Karmici, per fissarsi nei tratti e nelle tendenze della nuova
personalità.

Dal punto di vista della coscienza, il ritorno sulla terra è caratterizzato
dal fatto che l’essere cade in uno stato di incoscienza, che è un periodo di
oscurità e di sonno profondo. Questo stato è caratteristico del passaggio di
un piano d’esperienza ad un altro. Questo però non è il caso, come abbiamo
già visto, dei Maestri di Saggezza che rimangono coscienti anche durante
tale passaggio.

La Teosofia ci da qui un fondamentale insegnamento: proprio prima della
nascita, l’Ego Immortale ha una visione prospettiva della vita che lo
attende e percepisce all’istante tutte le cause che lo hanno condotto nel
Devachan e che lo riportano alla nuova vita. Con la sua piena coscienza
Manasica, egli vede il concatenamento di tutte le sue vite, con le loro
giuste conseguenze sull’istante presente e i futuri prolungamenti. Egli non
borbotta, ma si fa nuovamente carico della propria Croce: “Un’altra Anima è
tornata in Terra”.

Possiamo notare una specie di simmetria tra il movimento che allontana l’Ego
Immortale dall’incarnazione e quello che ve lo riconduce: la visione
retrospettiva che avviene al momento della morte è essenzialmente accentrata
sulla vita appena trascorsa. Eccezionalmente, se l’essere è particolarmente
puro, questa visione può inglobare la catena logica di più esistenze.

Al ritorno, l’Ego Immortale, libero dalla catena dei legami della sua
vecchia personalità, ha una visione ben più ampia, ma in quest’istante ,
siccome è di nuovo riagganciato ad un preciso contesto terreno (proprio
prima della nascita), le linee karmiche della vita che lo attende sono
perciò molto ben tracciate, per permettergli di percepirne nettamente
l’orientamento
e persino il contenuto.

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