LA TEORIA MUSICALE DELLA CRITICA DEL GIUDIZIO 1

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LA TEORIA MUSICALE DELLA CRITICA DEL GIUDIZIO 1

Piero Giordanetti

Kant e la musica

1. Violini, archi e concerti

Il sentimento di piacere [Vergnügen] per la musica è considerato, alla prima comparsa nell’opera,
individuale e soggettivo; la sua validità si limita esclusivamente alla persona che lo prova e a
processi verificantisi nel suo senso interno; il soggetto formula un giudizio che si riferisce a ciò
che è meramente piacevole [angenehm] e non ha propriamente accesso alla contemplazione del bello.
L’udito si rivela equivalente ai sensi della vista, del tatto, dell’olfatto e del gusto; i singoli
suoni sono un esempio di soggettività e di contingenza della sensazione estetica e la loro natura
giustifica il detto comune de gustibus non est disputandum. Se definiamo gradevole il vino delle
Canarie, intendiamo dire che questo giudizio vale solo e soltanto “per noi”; se diciamo che il
colore violetto è soave e amabile, non abbiamo nulla in contrario se un altro individuo lo ritiene
cupo e spento; ad alcuni può piacere il suono degli strumenti da fiato, ad altri il suono degli
archi. Questi giudizi non sono incompatibili e non ha alcun senso “disputare” su essi, per cercare
di dimostrare errato il giudizio altrui come se fosse logicamente incompatibile col nostro. Viene
così respinta la posizione di coloro i quali, come Burke, credevano di poter istituire un legame fra
il bello e il piacevole dei suoni (cfr. CdG, p. 188).

Non ci si può appagare, però, di questa prima definizione: non si può escludere che diversi giudizi,
per quanto soggettivi e individuali, e sebbene mirino a qualificare un oggetto, nel nostro caso un
suono o una sensazione piacevole, possano concordare fra di loro; più individui possono pronunciarsi
positivamente sulla piacevolezza del suono degli strumenti a fiato e al contempo sottolineare lo
scarso valore estetico del suono degli strumenti ad arco, e viceversa. In questo caso l’accordo tra
i soggetti rivela un tipo particolare di validità: si tratta di una universalità non assoluta ma
meramente relativa, i cui criteri sono regole empiriche di carattere generale le quali non possono
essere trasformate in norme universali. La dimensione sociale è qui determinante; si deve
riconoscere che colui il quale, durante un banchetto, sa intrattenere i suoi ospiti con piacevolezze
che suscitano il godimento di tutti i sensi ha “gusto”, ha la facoltà di giudicare il piacevole
nella sua generalità, il piacevole che è tale per un gruppo di individui. L’argomentazione si è
spostata quindi dalla natura meramente privata del senso dell’udito alla generalità delle sensazioni
da esso procurate. Il gusto può così essere definito come facoltà di giudicare del piacevole in
generale (cfr. CdG, pp. 188-189). L’analisi del piacevole, sia esso meramente individuale, oppure
generale, è indagine a posteriori sul sentimento e sulle sue particolarità; se rimaniamo all’interno
di questo ambito non ci sarà mai possibile affermare l’universalità assoluta di un giudizio, ma solo
la sua universalità comparativa; perverremo a regole generali, non universali; potremo certo
raccogliere osservazioni e materiale per un’antropologia empirica come disciplina che procede a
posteriori, ma non saremo mai in grado di stabilire una norma a priori del giudizio, né potremo mai
oltrepassare il principio de gustibus non est disputandum.

Per formulare un criterio che abbia validità universale assoluta e che si fondi su regole universali
dobbiamo abbandonare il terreno dell’antropologia empirica e intraprendere una ricerca di carattere
trascendentale sulla struttura logica del giudizio estetico, introducendo una separazione netta fra
il piacere [Lust] che sorge di fronte al bello e il piacere [Lust] per ciò che è meramente
piacevole, sia esso individuale oppure generale.

È una particolarità della bellezza che il sentimento di piacere che da essa deriva esiga
universalità e necessità; per sua natura la struttura del giudizio sul bello non è assimilabile alla
struttura del giudizio sul piacevole: colui il quale giudica bello un oggetto esige che quest’ultimo
piaccia a tutti gli altri soggetti e presuppone in essi il medesimo piacere che egli prova in sé.
Non appena si abbandoni il campo della singola sensazione individuale e ci si dedichi all’analisi
del bello, si profila la possibilità di attribuire al giudizio di gusto sulla musica un valore a
priori. Colui il quale pronuncia il giudizio “questo concerto è bello” attribuisce il medesimo
piacere agli altri individui e pretende che il concerto debba piacere anche a essi; in questo modo
non giudica solo per se stesso, come nel caso delle singole impressioni sonore, ma per tutti; parla
della bellezza come se essa fosse una proprietà dell’oggetto. Il riferimento alla validità
individuale della sensazione non vale nel caso del concerto (cfr. CdG, p. 188).

Al singolo suono, al suono degli strumenti a fiato o a corda è contrapposto il concerto;
quest’ultimo non può essere catalogato né sotto la rubrica della sensazione piacevole, né nella
sfera del piacevole in generale. La bellezza di un concerto è sullo stesso piano della bellezza di
un edificio e di una poesia. Anche l’udito come senso esterno ha così accesso alla dimensione dell’a
priori: l’armonia di un concerto e il rapporto fra più suoni non sono tema di una disciplina
antropologica, poiché il giudizio su di essi si fonda su un principio a priori (cfr. CdG, p. 189).

La critica trascendentale del gusto è stata così integrata da osservazioni antropologiche. Se
l’indagine prende drasticamente le distanze da princìpi psicologici ed empirici, può però esser
messo in risalto che le ricerche della psicologia empirica non sono rifiutate come inutili, ma anzi
rivelano un valore particolare per una trattazione trascendentale la quale le assuma come punto di
partenza che deve essere superato.

2. Suoni attraenti, puri e belli

Sin qui il giudizio di gusto disinteressato è stato distinto dal giudizio sul piacevole; ora anche
l’oggetto di questo giudizio è differenziato dall’oggetto del giudizio sul bello. La rigida
separazione fra bello e piacevole sembra mostrare come Kant proponga un’eliminazione degli elementi
sensibili. Questa netta contrapposizione è stata spesso interpretata come una conseguenza del
rigorismo morale di Kant. Basch scrive che qui come ovunque Kant ha commesso l’errore di ammettere
una sola forma del bello e di voler ridurre l’inesauribile ricchezza dei fenomeni a un’unica
formula. Il disprezzo con cui Kant si accosta alla sensibilità e che molto probabilmente si deve al
profondo influsso della sue educazione pietistica sarebbe errato sia nell’estetica sia nella morale
(citato in Kulenkampff 1974, pp. 258-259). Michäelis rivaluta contro Kant l’attrattiva dei suoni,
affermando che essa non si può eliminare completamente e che non esistono né una musica senza suono,
né un dipinto senza colori, perché l’attrattiva non reca danno al bello se si mantiene entro certi
limiti (Michäelis 1892, p. 21). Per Fischer l’estetica di Kant accetta solo la forma della
sensibilità non l’attrattiva e un’ascesi ipostatizzata esige in lui il sacrificio della vita fisica
(Fischer 1994, p. 129). Ketzer rileva che l’estetica come disciplina scientifica può essere ammessa
se è in grado di rapportarsi non solo ai fenomeni idealtipici ma anche a fenomeni del mondo della
vita e che proprio con questa esigenza essa urta contro i limiti posti da una estetica filosofica di
carattere kantiano (Ketzer 1993, p. 146).

In effetti, per Kant attrattiva ed emozione sono azioni prodotte dagli oggetti che colpiscono il
soggetto e possono corromperne il giudizio. Gli esponenti dell’empirismo estetico errano a suo
avviso in quanto attribuiscono bellezza proprio alla materia e trascurano completamente il valore
della forma. Le singole sensazioni acustiche sono mera attrattiva (cfr. CdG, p. 199). Kant pensa
anche qui a un singolo suono, al suono di un violino; i suoni sono a suo avviso mera materia nella
quale non si possono reperire elementi a priori, residuo non ulteriormente riconducibile ad una
forma, il quale si oppone anzi a quest’ultima in una radicale eterogeneità. Un oggetto che dà
origine al sentimento del piacevole attrae e l’attrazione è la sua azione sul soggetto; un oggetto
che attrae implica che nel soggetto sorga la volontà di indugiare nella sua contemplazione.
Nell’attrattiva l’animo è meramente passivo, esposto ad un’azione che proviene dall’esterno, dalle
impressioni sensibili. La Verweilung nell’attrattiva del piacevole si muove su di un livello diverso
rispetto al gioco della facoltà nel piacere per il bello: solo in quest’ultimo si mostra la
spontaneità dell’animo, solo il gioco delle facoltà conoscitive che costituisce il fondamento del
giudizio di gusto deve essere inteso come una vis viva che si rafforza e si riproduce autonomamente.
Il giudizio di gusto empirico è contrapposto al giudizio di gusto puro: mentre i giudizi empirici
hanno come oggetto il piacevole e sono giudizi dei sensi o giudizi estetici materiali, i giudizi
estetici formali si riferiscono alla bellezza.

Il quadro della teoria sin qui delineato non è però ancora completo. Infatti, Kant sottolinea anche
che l’attrattiva può esser considerata analoga al gioco delle facoltà conoscitive: se la
considerazione del bello si rafforza e si riproduce, anche l’effetto dell’attrattiva si presenta
come un continuo essere risvegliati alla contemplazione del bello.

I singoli suoni possono contribuire al piacere per la forma: la loro attrattiva suscita attenzione
grazie alla molteplicità, al contrasto e infine alla purezza. Questa funzione positiva
dell’attrattiva non coincide con il gioco delle facoltà originato dalle facoltà conoscitive nel
singolo individuo; che i suoni possano offrire un incentivo al piacere per la forma con la loro
attrattiva non significa che essi si trovino sul medesimo livello della forma; non sono elementi
formali. Fra il gioco e l’attrattiva vi sono però punti di contatto. La purezza, la molteplicità, il
contrasto possono contribuire sotto un certo profilo alla bellezza, avvicinando la forma
all’intuizione sensibile e rendendola più precisa, più completa, più determinata e anche più
intuitiva; possono vivificare la rappresentazione con la loro attrattiva e risvegliare e mantenere
l’attenzione.

Kant non si limita, però, ad osservare la relatività delle singole sensazioni e il loro contributo
empirico al piacere per la forma, ma cerca di spogliare il singolo suono dell’empiricità
dell’attrattiva e di scoprirne il nesso con l’a priori. Il paragrafo 14 compie il tentativo di
salvare l’empiricità delle sensazioni acustiche esaminando l’oggetto del giudizio di gusto puro.
Anzitutto chiarisce che, anche sotto il profilo oggettivo, al giudizio di gusto sul bello
corrisponde una struttura che non si può ridurre alla contingenza della sensazione. I suoni sono la
qualità della sensazione che non è uguale per tutti e di conseguenza non può essere comunicata ad
altri; sarà compito del filosofo, ora, mostrare l’elemento formale presente anche in queste datità
empiriche che di per sé possono produrre solo attrattiva, e conferire loro la qualifica di oggetti
belli. L’unica condizione che possa garantire la bellezza dei suoni è l’idea della loro purezza.

Quali sono i suoni che possono essere identificati come suoni puri? Posto che solo la forma può
essere considerata oggetto di un giudizio passibile di validità a priori, esclusivamente i suoni
semplici possono essere oggetto di un giudizio puro, poiché proprio grazie alla costanza e alla
stabilità della loro forma non colpiscono l’udito con la medesima forza dei suoni forti e misti.

Nonostante questi tentativi di unificare il concetto della purezza trascendentale con il concetto
della purezza delle modalità di sensazione, la posizione di Kant permane decisa e drastica. Il
riconoscimento del valore dell’attrattiva e l’introduzione delle modalità di sensazione pura non
sono sufficienti a salvare le sensazioni e la materia; vero e autentico oggetto del giudizio puro di
gusto è, infatti, la composizione; attrattiva e sensazioni non giocano qui alcun ruolo. L’udito il
quale, insieme alla vista, è il senso esterno che presenta interesse per il filosofo trascendentale
ha come punto di riferimento il gioco ed è sottoposto alla forma pura del tempo. Il gioco delle
sensazioni è una struttura che non appartiene al soggetto, ma alla forma dell’oggetto e si può
ulteriormente definire “composizione”. Oggetto del giudizio di gusto puro è, dunque, la composizione
che risulta da rapporti matematici fra suoni.

Rimangono però ancora irrisolti due problemi: anzitutto, la giustificazione dei suoni puri non è
condotta relativamente al giudizio, ma riguarda la struttura dell’oggetto. Non si è quindi ancora
dimostrato come non si possa negare la dimensione dell’a priori al singolo suono quando ci si
soffermi sul lato soggettivo del giudizio e non sulla struttura dell’oggetto. In secondo luogo:
sebbene alcuni suoni si differenzino da altri per la loro necessità in quanto puri, non si è ancora
chiarito se tutti i suoni possano essere giudicati belli. Che ne è di quei suoni che non sono
semplici e quindi non possono essere definiti puri? Al centro delle considerazioni sin qui svolte si
trova un passo nel quale si argomenta che non solo i singoli suoni, ma tutti i suoni in generale,
considerati in sé e per sé, sono belli. Kant dice qui “per se stessi” (CdG, p. 200): questa
espressione indica, a mio avviso, che l’autore si riferisce a tutti i suoni nel loro complesso, non
solo a quelli semplici o puri. Il fatto che ci occupiamo di questo passo solo ora, dopo aver dato la
precedenza alla trattazione delle sensazioni acustiche semplici, è giustificato dalla considerazione
che esse ben difficilmente rientrano nel contesto; sembrano piuttosto costituire un excursus; se
avessimo seguito la struttura del testo avremmo dovuto interrompere la trattazione delle sensazioni
pure e riprenderla più avanti. Non è facile stabilire se questa disposizione abbia un significato
particolare, se l’excursus sia un’aggiunta più tarda e rifletta una fase più tarda della teoria. È
certo, però, che il tema dell’excursus sarà ripreso nel paragrafo 51 sotto l’aspetto della teoria
dell’arte e che Kant lo ha comunque voluto consapevolmente inserire nel paragrafo 14.

Se con Euler interpretiamo i colori come vibrazioni (pulsus) di frequenza regolare dell’etere, così
come i suoni lo sono dell’aria perturbata, e, ciò che più importa, ammettiamo che l’animo non si
limiti a percepire l’effetto di eccitazione sensibile sull’organo, ma anche – e su ciò non ho dubbi
-, con la riflessione, il gioco regolare delle impressioni (quindi la forma nell’unione di
rappresentazioni diverse): in tal caso colore e suono non sarebbero semplici sensazioni, ma già
determinazione formale dell’unità d’una molteplicità di sensazioni, ma già determinazione formale
dell’unità d’una molteplicità di sensazioni, potendo quindi venir considerati per se stessi come
cose belle (CdG, pp. 199-200).

Si profila qui uno fra i problemi più discussi e controversi dell’interpretazione e soprattutto
dell’edizione della terza Critica. Dopo la parola “percepire” si trova, fra parentesi, nella prima
(1790) e nella seconda edizione (1793) l’espressione: woran ich doch gar sehr zweifle. Nella terza
edizione il testo è stato modificato e il termine sehr è stato sostituito dalla negazione nicht
dando alla parentesi un nuovo significato. Nelle prime due edizioni Kant afferma: “e su ciò dubito
molto”, nella terza: “e su ciò non ho dubbi”. Quale fra le due varianti ci restituisce la posizione
effettiva di Kant? Si deve stabilire se Kant abbia o non abbia dubitato, se entrambe le varianti
siano corrette e se esse rispecchino un mutamento nella teoria nel periodo compreso fra il 1793 e il
1799. E, inoltre, a che cosa si riferisce l’eventuale dubbio: alla teoria ondulatoria oppure al
rapporto fra suoni e riflessione? Infine, si deve chiarire se Kant attribuisca a Euler le due tesi
oppure solo la prima: Euler ha proposto, secondo Kant, solo una teoria ondulatoria oppure ha anche
sviluppato una teoria della riflessione valida per la critica del giudizio di gusto?

La costruzione della proposizione rende difficile comprenderne il significato. Ritorniamo però al
testo e cerchiamo di analizzare le singole proposizioni. I suoni, si può ipotizzare, sono pulsus
aëris. Quale significato ha questa ipotesi? Il lettore deve porsi questa domanda perché tema del
paragrafo è l’enumerazione di esempi a conferma della tesi che il giudizio puro di gusto esclude
attrattiva ed emozione. L’ipotesi ha a che vedere con la costituzione fisica dei suoni musicali? Si
deve constatare che non abbiamo qui un’ipotesi di natura estetica, ma un’affermazione desunta dalla
fisica che ci spiega, all’interno di una Critica del Giudizio estetico, che la struttura fisica dei
suoni musicali è un susseguirsi regolare di pulsus dell’aria che agiscono sul nostro orecchio. Con
questa ipotesi l’autore mira, dunque, a definire la struttura dell’oggetto, e oggetto sono qui le
singole sensazioni acustiche.

Kant formula poi una seconda ipotesi: supponiamo che l’animo non percepisca solo l’effetto delle
vibrazioni sulla vivificazione dell’organo di senso, ma anche il gioco regolare delle impressioni e
quindi la forma nella connessione di molteplici rappresentazioni. In questo secondo caso il giudizio
sarebbe opera non già del senso ma della riflessione, e l’animo sarebbe in grado di percepire la
struttura regolare dell’oggetto. Se l’animo fosse in grado di elevarsi alla riflessione sulla forma
non sarebbe più sottoposto all’azione causale delle vibrazioni dell’aria che vivificano l’organo di
senso dell’udito. L’autore suppone, peraltro, che l’animo possa percepire le oscillazioni e
distinguerle l’una dall’altra giungendo a riconoscere la struttura fisica oggettiva dei suoni. Sulle
caratteristiche della percezione non sono date qui ulteriori indicazioni, che troveremo però nel
paragrafo 51 e saranno approfondite nel paragrafo 53. Da queste due ipotesi Kant trae la conclusione
che i singoli suoni possono essere considerati belli solo nel caso in cui le prime due premesse
siano corrette. Anche se non si potesse decidere quale fra le varianti woran ich doch gar sehr e
woran ich doch gar nicht si debba considerare corretta, l’argomentazione risulterebbe comunque
comprensibile; la risposta è resa più facile dalla ricostruzione dell’argomentazione e della sua
struttura. Ci troviamo di fronte a due premesse alle quali fa seguito una conclusione: se è valida
la teoria fisica in base alla quale i suoni sono pulsus dell’aria che si susseguono con regolarità,
e se è vero che l’animo possiede la facoltà di percepire la proporzione sussistente fra le singole
oscillazioni, ne segue che anche il singolo suono può ricevere l’appellativo “bello”. La prima
premessa è derivata dalla teoria di Euler e accettata da Kant, la seconda contiene al tempo stesso
sia la teoria della riflessione che in Euler non è presente, ma è elaborata da Kant, sia il
riferimento alla teoria della percepibilità dei suoni, di Euler e altri. Emergerà dall’analisi del
paragrafo 51 che anche nella seconda premessa sono implicite suggestioni provenienti da Euler.
L’argomentazione non è dunque modificata dal contenuto della parentesi; la conclusione è possibile a
condizione che si accettino le premesse, e può essere spiegata indipendentemente da Euler. Si può
notare che la prima premessa si inserisce completamente nell’ottica e nell’acustica, mentre la
seconda premessa e la conclusione sono parte integrante di una Critica del Giudizio estetico.

Annotazione. Edizioni e interpretazioni della variante del § 14: “E su ciò non ho dubbi”.

Questo complesso problema è stato discusso a più riprese dopo la pubblicazione della Critica del
Giudizio nell’edizione dell’Accademia delle Scienze di Berlino. Fino al suo apparire si adottò la
variante della prima e della seconda edizione e si accettò la tesi che nulla sarebbe mutato fra il
1790 e il 1799; il cambiamento nella terza edizione sarebbe, quindi, un errore di stampa. Kirchmann
accetta il testo delle due prime edizioni: woran ich doch gar sehr zweifle, e soggiunge in nota: “3.
Edizione: ‘doch gar nicht’; è evidente che qui ‘nicht’ è stato sostituito a ‘sehr’ solo per un
errore di stampa” (Kant 1869, p. 67). Benno Erdmann pubblica l’opera fondandosi sulla seconda
edizione del 1793 e non segnala in nota la modifica apportata dalla terza (Kant 1880, p. 60). Questa
decisione è ripresa da Vorländer, il quale nell’edizione della Critica del Giudizio del 1902 ripete
in nota la tesi di Kirchmann e giustifica la sua decisione mediante il ricorso a una pretesa
evidenza (Kant 1902, p. 67).

Sulla base di queste edizioni si è sostenuta la tesi che la posizione di Kant sia negativa tanto nei
confronti della teoria ondulatoria quanto nei confronti della teoria della riflessione e che
entrambe siano state esposte da Euler. Il dubbio espresso fra parentesi riguarderebbe quindi
entrambe le ipotesi e si identificherebbe con una negazione. I suoni sarebbero sensazioni piacevoli
e la musica rientrerebbe nella sfera del piacevole (cfr. Mellin 1799, vol. II, tomo I, articolo
“Euler”, pp. 456-462). Meyer fonda su questo presunto atteggiamento negativo l’interpretazione
secondo la quale Kant, a differenza di Euler, non sarebbe da considerarsi formalista puro, poiché se
fosse tale, riconoscerebbe, d’accordo con Euler, già al singolo suono la qualifica della bellezza;
questa sensazione rientrerebbe dunque espressamente nel campo del piacevole, poiché in assenza di
una forma in senso kantiano non può sorgere alcuna riflessione (Meyer 1920-21, p. 478). Carl
Klinkhammer segue Meyer: “Non si potrà quindi più designare Kant formalista puro [… ]. In favore
di questa ipotesi vi è inoltre il fatto che egli ha completamente rifiutato le teorie matematiche di
Euler sulla musica, perché a suo avviso esse sono completamente contrarie ai suoi princìpi”
(Klinkhammer 1926, p. 44). Neppure per Cohen Kant concede ad Euler che l’animo non percepisca solo
le vibrazioni dell’aria fra le note, ma anche il regolare gioco delle impressioni attraverso la
sensazione. “Kant dubita di ciò che insegna Euler: che cioè nei suoni sia percepita la riflessione
stessa sulla forma; e riconosce al contrario senza riserve che i suoni, in quanto siano puri, diano
origine alla riflessione” (Cohen 1889, p. 312). Della medesima idea è Paul Menzer: “Il problema più
complesso per Kant è mostrare nei singoli colori e nei singoli suoni la qualità che conferisce ai
giudizi su di essi il carattere di giudizi estetici e non quello di meri giudizi dei sensi. Sembra
che entrambi abbiano a fondamento solo la materia delle rappresentazioni, ovvero solo la sensazione.
L’idea che un suono o un colore siano puri e che ciò riguardi già la forma può convincere ben poco.
Rimane problematico se Kant abbia realmente accettato la teoria dei suoni e dei colori di Euler. In
questo caso avrebbe potuto applicare il principio dell’unità nella molteplicità e avrebbe potuto
guadagnare il concetto di forma. Ciò tuttavia non è verosimile e in ogni caso la sua intera
spiegazione non contiene questo momento” (Menzer 1952, p. 141). In modo analogo si esprime Dahlhaus:
“[…] Kant nutre forti dubbi sulla teoria di Euler, in base a cui percepiamo vibrazioni dell’etere
e dell’aria di singoli colori e di singoli suoni come un regolare gioco di impressioni e che quindi
colore e suono non siano mere sensazioni ma siano già una determinazione formale dell’unità di un
molteplice e quindi possano anche di per sé essere considerati belli”.

Altri interpreti, sebbene propendano per l’idea che la parentesi si riferisca sia al rapporto fra
Kant e Euler sia al problema della bellezza delle singole sensazioni, credono al contrario che Kant
non abbia espresso alcun dubbio né sulla teoria di Euler, né sulla bellezza delle sensazioni ottiche
e acustiche e assumono la variante della prima e della seconda edizione. Otto Buek, editore della
Kritik der Urteilskraft per la Cassirer-Ausgabe sostiene che la variante della terza edizione
corrisponde in tutto e per tutto alla posizione che Kant ha sempre assunto nei confronti di questo
problema. Rinvia poi al De Igne, ai Primi fondamenti metafisici della scienza della natura, al § 19
dell’Antropologia dal punto di vista pragmatico, e infine anche ai paragrafi 42 e 51 della terza
Critica (cfr. Kant 1911-1922, vol. V, pp. 612-613).

Nell’Edizione dell’Accademia ha dedicato a questo controverso problema un’estesa nota Wilhelm
Windelband. Poiché l’edizione da lui curata ha costituito sinora il fondamento cui si sono per lo
più richiamate sia le edizioni italiane sia le edizioni straniere e le sue proposte sono state quasi
unanimemente accettate sembra opportuno soffermarsi su di essa. Sebbene richiami l’attenzione sul
fatto che la variante della terza edizione probabilmente non risale a Kant stesso ma al correttore
del testo, Windelband assume la variante della terza edizione; decisione che sarebbe a suo avviso
pienamente giustificata in quanto Kant non avrebbe dubitato né della teoria ondulatoria di Euler né
della propria teoria della riflessione. Windelband separa così, a differenza degli altri interpreti,
la prima dalla seconda questione e attribuisce ad Euler la teoria della vibrazione, mentre ritiene
che la teoria della riflessione sia propria di Kant. La posizione di Kant è poi analizzata sotto un
duplice punto di vista: dapprima si propone una breve storia dello sviluppo del pensiero kantiano
sulla teoria ondulatoria, rilevando come negli scritti che precedono la terza Critica il lettore non
possa mai rintracciare un atteggiamento critico o dubitativo nei confronti della teoria ondulatoria
della luce. In secondo luogo, Windelband concentra la sua attenzione direttamente sulla Critica del
Giudizio e le dedica un’analisi immanente; la conseguenza che ne ricava è che neppure la terza
Critica espone dubbi sulla teoria di Euler: il ricorso all’elemento matematico dimostra che Kant
inserisce la teoria di Euler nell’ambito estetico. Il problema della bellezza dei singoli suoni è
risolto quindi in modo positivo sulla base della teoria di Euler (cfr. AA V, pp. 527-528).
Windelband conclude con queste parole le sue considerazioni: “Anche nel caso in cui, come si
suppone, il correttore ignoto della terza edizione avesse sostituito il gar sehr con il gar nicht e
perfino se la forma da lui proposta in correlazione con il testo precedente avesse prodotto
un’espressione troppo forte, questa variante corrisponde alla teoria esposta da Kant in tutta
l’opera, cosicché la sua assunzione nel testo non solo è parsa giustificata, ma addirittura
necessaria” (AA V, pp. 528-529).

Manfred Frank e Veronique Zanetti citano il De igne, I primi princìpi metafisici della scienza della
natura e l’Antropologia dal punto di vista pragmatico (1798) e notano che anche nella Critica del
Giudizio luce e suono sono considerati in un rapporto di parallelismo in relazione ai sensi
superiori (cfr. §§ 42 e 51). “La correzione è significativa perché Kant ha effettivamente accettato
in più passi della sua opera la teoria ondulatoria della luce sviluppata dal matematico e fisico
svizzero Leonhard Euler (1707-1783)” (Kant 1996, p. 1332).

Vorländer ha modificato in una riedizione della Critica del Giudizio la sua posizione originaria con
la motivazione che Windelband ha dimostrato, con verosimiglianza e grazie a citazioni da diversi
scritti di Kant, che la variante della terza edizione corrisponde all’effettiva posizione del
filosofo. Anche Uehling ritiene che Windelband abbia addotto ragioni più che valide a sostegno della
variante della terza edizione. Ciò che egli tenta di mostrare è che la dottrina che i colori puri e
i suoni puri non sono solo prodotti del senso ma implicano anche una riflessione sul gioco regolare
delle impressioni è proposta in tutta la Critica del Giudizio. Nel paragrafo 51, che secondo Uehling
sarebbe, stranamente, parte dell’“Analitica del sublime” (si deve però notare che l’“Analitica del
sublime” è conclusa al paragrafo 29) Kant prenderebbe in considerazione l’impiego estetico della
teoria fisica di Euler e sembrerebbe dire che la musica deve essere interpretata come un bel gioco
di sensazioni (Uehling 1971, pp. 23-25). Weatherstone crede che Kant sia d’accordo con Euler nel
ritenere la forma percepibile nei colori e nei suoni puri e che quindi la variante della terza
edizione debba essere preferita (Weatherstone 1996, p. 64 nota 3). Infine, Nachtsheim afferma: “La
possibilità che le sensazioni acustiche si accordino entro una forma dipende soprattutto dalla
possibilità che sia percepita la differenza nell’altezza dei suoni. Kant si appoggia all’acustica di
Leonhard Euler che gli suggerisce che i singoli suoni, a differenza del suono o del rumore, non sono
mera attrattiva” (Nachtsheim 1996, p. 338).

Si può a questo punto rilevare che Windelband non procede secondo considerazioni di natura
filologica ma condivide con le interpretazioni a lui precedenti la convinzione che la parentesi si
riferisca sia alla teoria ondulatoria di Euler sia alla teoria della riflessione di Kant. Anche
ammesso che la parentesi si riferisca ad Euler, non sarebbe però giustificato dedurre dalla
ricostruzione della posizione kantiana rispetto alla teoria di Euler negli anni che precedono la
terza Critica che questa posizione, considerata positiva, si sia mantenuta immutata anche all’epoca
della stesura dell’opera. La storia dello sviluppo può, infatti, delineare le fasi precedenti del
confronto di Kant con il problema, ma non può sostituire un’analisi immanente della teoria
dell’opera più tarda; lo studio della genesi della teoria non permette di per sé la comprensione
dell’opera matura.

Diversa la lettura proposta da Erich Adickes, per il quale Kant non avrebbe mosso alcuna obiezione
alla teoria di Euler e le sue riserve riguarderebbero solo la teoria della riflessione che Kant non
attribuirebbe a Euler. “Si è voluto a torto vedere nelle prime due edizioni della KdU un’opposizione
a Euler. Si tratta di un passo del paragrafo 14 […]. Nella terza edizione del 1799 nell’ultima
parentesi sehr è sostituto da nicht, probabilmente non da Kant, ma dal correttore di Berlino. A
prescindere dalla legittimità di questa modifica, la parentesi si può riferire per ragioni
stilistiche solo alla seconda metà della proposizione (che inizia con und, was das Vornehmste ist),
non all’osservazione su Euler e sul rapporto fra colori-etere e suoni-aria. Così inteso il passo
contiene un indubbio apprezzamento della teoria di Euler, perché nella prima metà della
proposizione, al contrario della seconda, non è introdotta alcuna riserva” (Adickes 1924-25, pp.
169-170). Alcuni interpreti si oppongono a Windelband, affermando che mentre il paragrafo 14 dubita
della bellezza delle singole sensazioni, il paragrafo 42 e il paragrafo 51 modificano la posizione
originariamente oscillante di Kant a favore della tesi della bellezza (Von Aster 1909, pp. 465 sg.;
Schöndörffer 1911, pp. 16 sgg.). Meredith ritiene che gar sehr sia fedele al contenuto della teoria
della prima edizione, ed è irrilevante a suo avviso determinare se Kant abbia accettato la teoria di
Euler, perché la parentesi si riferisce solo all’uso estetico di quella dottrina che sarebbe il vero
e proprio fulcro del problema. Il capoverso del paragrafo 14 è, secondo Meredith, un’aggiunta più
tarda come del resto la conclusione del paragrafo 51. Kant credeva originariamente che la musica
fosse un’arte piacevole, come emerge dal paragrafo 54, che risale a una fase antecedente della
stesura dell’opera: durante la stesura Kant, convintosi che colori e suoni siano percepiti
dall’animo come unità regolari del molteplice, avrebbe aggiunto fra parentesi che non aveva dubbi in
proposito. Meredith ne ricava la conseguenza che gar nicht debba essere preferito a gar sehr; la
variante gar sehr sarebbe stata aggiunta da Kiesewetter, il quale notò che la parentesi non era
coerente con il contenuto del paragrafo 14 (cfr. Kant 1911, pp. 246-248).

Per Eckart Förster la variante della terza edizione corrisponde alle intenzioni di Kant, il quale
non dubita che i suoni siano vibrazioni dell’aria, ma sembra essere meno sicuro che i colori siano
vibrazioni dell’etere e sembra più incline a pensare che i suoni, più che i colori, siano percepiti
dalla riflessione. Nel 1796 Kant ipotizza in base alla sua teoria della materia un etere dinamico e
proprio per questo motivo modifica il testo (cfr. Förster 1993, passim). La Rocca ritiene che la
variante risalga a Kant e che non si tratti di un errore di stampa, ma di una modificazione della
sua posizione (cfr. La Rocca 1998, p. 537 nota). Secondo Tomasi, sia in relazione alla costituzione
fisica dei colori e dei suoni sia relativamente al loro valore estetico Kant si rivela incerto; “a
motivo dell’incertezza sulla natura fisica del colore, le affermazioni di Kant a questo proposito
sono piuttosto prudenti” (Tomasi 1996, p. 49 nota 33): infatti da un lato suoni e colori sono
attribuiti alla sensazione, dall’altro sembrano presupporre la riflessione; ipotesi quest’ultima che
si fonda sia sulla teoria di Euler sia sulla teoria della riflessione di Kant; se esse sono entrambe
accettate, le singole sensazioni sono belle. Alla tesi dell’insicurezza Tomasi affianca però una
conclusione positiva: la parentesi riguarderebbe solo la teoria della riflessione e Kant non avrebbe
alcun dubbio su di essa (cfr. Tomasi 1996, p. 63). Per Hohenegger-Garroni, Kant non approda a una
decisione definitiva e il suo dubbio non riguarda Euler: “Kant non sta dubitando affatto della
teoria di Euler [… ], ma, sì, della possibilità di cogliere la regolarità dei colori e dei suoni
puri mediante la riflessione, cioè attraverso la sensazione” (Kant 1999, pp. 59-60).

Schmidt afferma che nel paragrafo 14 Kant dubita manifestamente della possibilità che l’animo
percepisca la forma. Se comunque avesse ammesso questa possibilità non ne avrebbe dedotto alcuna
conclusione sul timbro, né sulla differenza fra l’altezza dei diversi suoni, ma solo la differenza
fra un suono e il mero rumore. Tuttavia il problema del significato formale del suono singolo non ha
significato determinante, dato che la musica si risolve nell’unificazione ordinata dei suoni
(Schmidt 1990, p. 19).

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