LA TEORIA MUSICALE DELLA CRITICA DEL GIUDIZIO 4

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LA TEORIA MUSICALE DELLA CRITICA DEL GIUDIZIO 4

Piero Giordanetti

Kant e la musica

9.3. La musica è bella o piacevole?

Quale conclusione si può trarre dall’esame degli argomenti a favore e contro la tesi della bellezza
della musica?

Kant stesso spiega a conclusione del paragrafo 51: “come abbiamo fatto”; dichiara quindi di aver
definito la musica “bel gioco di sensazioni” e con questa dichiarazione si accorda l’inserimento fra
le arti belle e la definizione di arte del bel gioco delle sensazioni. Nonostante le oscillazioni è
maggiormente incline a concepire la musica un bel gioco di sensazioni e quindi a riconoscere la
bellezza anche del singolo suono. La musica non è arte piacevole, ma è inserita nel sistema delle
arti belle accanto alla poesia, all’eloquenza, alla pittura, alla scultura, all’architettura;
sebbene occupi il gradino più basso in questa partizione le è comunque riconosciuto lo status di
arte bella.

Si possono addurre motivazioni a favore sia della prima sia della seconda soluzione ed è quindi
molto complesso e arduo designare una delle due soluzioni come quella corretta: “non si può
affermare con certezza se un colore o una nota (suono) siano soltanto sensazioni piacevoli, o se
contengano già in sé un bel gioco di sensazioni” (CdG, p. 298). Kant esprime le proprie incertezze
nel corso del paragrafo 51 ma adduce, come già nel paragrafo 14, ragioni e argomentazioni mirate a
legittimare la tesi che le singole sensazioni acustiche siano belle. In nessun passo il problema è
risolto con certezza, ma sono analizzati il pro e il contra e si spiega che solo assumendo il pro la
bellezza dei suoni può essere dimostrata. Il problema del filosofo di Königsberg consiste proprio in
questo: nel decidere, come egli stesso ripetutamente sottolinea, se la musica debba essere inserita
fra le arti belle oppure fra le arti piacevoli e ciò che lo trattiene dal condividere la prima
ipotesi è l’enigma se i singoli suoni siano belli o piacevoli.

Anche ai colori si possono applicare i risultati ottenuti in relazione ai suoni musicali: essi sono
vibrazioni, non dell’aria, ma dell’etere. Ammesso che Kant abbia esposto dubbi in proposito, ciò non
si dovrebbe comunque interpretare come una negazione, ma come un procedimento spesso adottato
nell’affrontare problemi relativamente ai quali non crede di potere arrivare a una soluzione
definitiva. È però importante richiamare l’attenzione sul fatto che sia le motivazioni a favore sia
quelle contrarie derivano dal confronto con Euler e che Kant ha di fatto dubitato della possibilità
di concepire la musica come arte bella. Le considerazioni sull’analogia fra sensazioni acustiche e
sensazioni ottiche non possono a mio avviso essere interpretate come eredità dell’interesse per
l’invenzione di Castel, per le teorie di Descartes, di Huyghens o di Newton, ma si devono alla
presenza di Euler: abbiamo visto nel capitolo precedente come Kant affronti la questione tanto nelle
Riflessioni quanto nelle Lezioni di fisica ancora sulla base della teoria ondulatoria di Euler.

Annotazione

Diversa è l’ipotesi di Dahlhaus: il regno inferiore della musica è a suo avviso il suono singolo,
mero gioco delle sensazioni nel tempo; solo la connessione fra più suoni è per Kant, sebbene con
riserve, forma matematica che racchiude il particolare nell’universale, e quindi è bella. Le
differenze fra i suoni sono ‘begreifliche Unterschiede’, e la percezione di una successione di suoni
non è più un mero gioco delle sensazioni, ma l’effetto di un giudizio della forma nel gioco di molte
sensazioni. Kant pensa all’elemento matematico della proporzione delle vibrazioni e alla percezione
di un mutamento della qualità (non solo del grado della sensazione). L’affermazione che i suoni
siano sensazioni unite alla riflessione contenuta nel paragrafo 42 non può essere utilizzata per
dimostrare il contrario perché la proposizione si riferisce manifestamente a successioni di suoni
(Dahlhaus 1953, p. 342). Si può obiettare a Dahlhaus che il paragrafo 51 definisce la musica arte
del bel gioco delle sensazioni e che non si può dimostrare che nella proposizione citata dal
paragrafo 42 Kant si riferisca manifestamente a successioni di suoni, in quanto è certo che il suo
discorso verte in quel contesto su singoli e isolati suoni naturali. Secondo Meredith le
considerazioni sulla musica e l’arte dei colori nel paragrafo 51 sono un’aggiunta più tarda. Non
possediamo documenti che possano giustificare l’ipotesi di una stesura stratificata dell’opera. Il
contenuto del paragrafo 51 al quale si riferisce Meredith non legittima l’idea che esso sia di
origine più tarda dei paragrafi 14 e 54 (Kant 1911, p. 247). Wieninger crede che il paragrafo 51 si
pronunci a favore della bellezza e che esso si differenzi quindi dal paragrafo 14 (Wieninger 1929,
p. 40). Windelband non assegna un significato rilevante all’indecisione di Kant e crede che egli sia
certo della bellezza dei suoni. Per Windelband le ragioni addotte non sono ipotesi, né condizioni
imprescindibili, ma la soluzione del problema. Riethmüller sottolinea che la musica non è
considerata arte piacevole, ma al tempo stesso arte bella e arte piacevole (cfr. Riethmüller
1979-80, pp. 194 sg.). Riethmüller e Nachtsheim si limitano però alla constatazione che il piacevole
non è rifiutato, ma posto accanto al bello. A loro avviso non vi è nulla di irritante nel fatto che
la musica prima sia annoverata fra le arti belle e poi fra le arti piacevoli, perché come tutte le
arti rientra in tutte e due le categorie. Nachtsheim si allontana dal contenuto e dalla lettera
della teoria di Kant quando si sforza di dimostrare la validità della tesi che non vi sia nella
contrapposizione fra piacevole e bello in generale alcuna indecisione, né alcuna oscillazione. “Non
si tratta di un’oscillazione se Kant constata che la musica ammette entrambe le forme di valutazione
che di per sé sono rigorosamente diverse, senza che l’una si risolva nell’altra. Sulla base della
sua teoria della validità questa idea non presenta alcuna difficoltà. E proprio perché Kant aveva un
concetto chiaro sia del bello sia del piacevole poteva attribuire senza esitazioni l’artefatto
musicale sia alla sfera del piacevole sia a quella del bello, poiché ciò è giustificato dal punto di
vista oggettivo. Questa duplice determinatezza non sarebbe frutto di un’oscillazione né di
un’indecisione teoretica, ma esclusivamente una visione corretta dell’oggetto stesso (cfr.
Nachtsheim 1997, p. 31; si veda anche Nachstheim 1997, p. 28). A differenza di Windelband La Rocca
crede che il paragrafo 51 possieda ancora un carattere problematico (cfr. La Rocca 1998, p. 537
nota). Dell’opinione di Windelband è invece Butts (cfr. Butts 1993, p. 12).

10. L’oratorio e il sublime

Se nei paragrafi 14 e 51 si è posto l’elemento essenziale dell’arte bella nella forma, ora non si
discorre più soltanto della forma in sé che può essere oggetto di un giudizio di gusto puro, ma
della forma come fondamento della cultura; la forma soltanto rende possibile la cultura, nella quale
si comprende sia l’incremento delle facoltà conoscitive sia lo sviluppo di idee morali, in un
processo di formazione che non si realizza necessariamente nella società, poiché né la cultura né il
gusto sono favoriti, come vorrebbero i fautori dell’empirismo estetico, dalla socievolezza.

La cultura presuppone in noi un nesso con le idee estetiche le quali a loro volta sono in relazione
con idee morali; per diventare cultura la forma deve essere posta in rapporto con idee estetiche e
deve rifiutare come suo unico fine la distrazione volta ad allontanare la scontentezza di sé. Queste
considerazioni valgono sia per il canto, in cui la poesia può essere abbinata alla musica, sia per
la danza, in cui i suoni musicali sono combinati con le figure e con il loro movimento nello spazio,
sia per un oratorio in cui vi può essere un predominio del momento artistico sulla bellezza. L’arte
diventa l’elemento fondamentale nel quale si unificano i due tipi diversi del piacere [Wohlgefallen] per il bello e per il sublime (cfr. CdG., p. 325); l’oratorio, si pensi ai grandi oratori di Haydn e
Bach, è, dunque, bello e sublime al tempo stesso, ed ha un significato morale. Mentre nel paragrafo
42 la musica, come ogni arte piacevole, era giudicata inferiore alla natura, ora la si considera
arte bella.

Annotazione

L’oratorio è musica per lo più religiosa in cui possono convenire le più svariate forme vocali e
sinfoniche; pur essendo molto simile all’opera, non ha né scena, né azione, ma consta essenzialmente
di suono e parola; di solito rievoca una vicenda sacra affidandosi alla voce di un solista e a
cantori che riferiscono le parole dei vari personaggi; al coro spetta impersonare la folla. Si pensi
ai più grandi fra gli oratori del Settecento: la Creazione e le Stagioni di Haydn, e le Passioni
secondo Matteo e secondo Giovanni di Johann Sebastian Bach. A Königsberg l’oratorio di Philipp
Emanuel Bach, Hasse, Rolle, Graun, Pergolese e Händel fu particolarmente apprezzato e suonato nei
concerti pubblici. Particolare successo ebbero le opere di Friedrich Ludwig Bendas Padre nostro, La
religione, La morte. Johann Friedrich Henrich Riel, successore di Benda e Richter, introdusse
l’oratorio nella sua forma classica (Haydn e Händel). Dell’oratorio siamo certi che Kant ebbe
conoscenza almeno attraverso Johann Jakob Heidegger. Nato a Zurigo nel 1666, morto a Richmond,
Surrey nel 1749, fu impresario svizzero attivo a Londra dai primi anni del secolo XVIII; sostenitore
dell’opera italiana fu nel 1713 successore di O. Swiney nella direzione del Queen’s Theatre che
mantenne sino al 1745. Al 1719 risale la fondazione dell’Accademia Reale di Musica e agli anni fra
il 1729 e il 1734 la sua collaborazione con Georg Friedrich Händel che scritturò nel 1737 come
direttore musicale e a cui affidò nel 1738 il teatro per l’esecuzione dei suoi oratori (ne riferisce
Bielfeld 1770, vol. I, pp. 348-349; si veda AA XXV, p. 1330).

11. Tema, affetto dominante, idea estetica

Il paragrafo 51 ha mostrato che alla musica spetta l’ultimo posto dopo le arti dell’articolazione e
del gesto e che essa è arte della modulazione. Per quale motivo una suddivisione sistematica fra le
arti dovesse comportare la collocazione dell’arte musicale al gradino inferiore a fianco dell’arte
dei colori, non è però stato ancora completamente spiegato. Ora emerge con chiarezza il rapporto con
il concetto della cultura; e proprio da questo punto di vista e solo quando si accetta questo
criterio di giudizio la musica rivela di avere, commisurata alle altre arti, un valore culturale
inferiore. Il paragrafo 53 si prefigge di sviluppare una valutazione estetica delle singole arti e
compie questo esame adottando successivamente due punti di vista: le arti sono analizzate dapprima
in relazione al sentimento del piacevole e in un secondo momento in rapporto alla loro capacità di
comunicare idee morali e di incrementare in tal modo la cultura delle facoltà conoscitive. Il
discorso, più volte affrontato, della piacevolezza o, in alternativa, della bellezza della musica,
ha offerto il fianco a critiche che hanno accusato Kant di avere sottovalutato la musica e di averla
intesa come arte piacevole; nel paragrafo 51 la musica è comunque inserita fra le arti belle
nonostante il dubbio che Kant esprime a chiare lettere. Il paragrafo 53 mostra che la piacevolezza
non è una qualità che si possa assegnare esclusivamente alla musica: se si compie un’analisi del
Vergnügen e dell’attrattiva, l’arte musicale non si trova al primo gradino del sistema ma è
preceduta dalla poesia; non si può certo dire che Kant abbia sottovalutato o condannato la poesia.
La musica soggiace, come tutte le arti, a un duplice criterio di valutazione: e sotto il profilo del
piacevole è affine alla poesia perché agisce con la sua attrattiva.

11.1. Attrattiva e affetti

L’analisi si concentra dapprima sull’aspetto dell’attrattiva e dei movimenti dell’animo da essa
suscitati; entrambi sono oggetto di una ricerca antropologica e hanno ben poco a che fare con una
valutazione estetica dell’arte; la loro presenza in una critica del Giudizio deriva dal fatto che
sono inscindibili dalla natura della musica e costituiscono l’esatto opposto dei princìpi a priori
che è compito di una critica trascendentale stabilire. Considerata sotto l’aspetto dell’attrattiva e
dei movimenti dell’animo la musica, arte che non fa riferimento alla parola, è costituita da mere
sensazioni che non offrono alcuna materia alla riflessione del filosofo; l’assenza di concettualità
conoscitiva è constatata ancora una volta in piena coerenza con le altre parti dell’opera così come
si ribadisce che la musica attrae e muove il nostro animo. Sebbene questa attrattiva sia passeggera,
essa è più profonda di quella delle altre arti; ciò significa che la musica è anche godimento, anzi
più godimento che cultura e suscita noia quando è ripetuta. Poiché la musica ci attrae, poiché ci
procura godimento deve essere considerata come ogni altra attrattiva e ogni altro godimento; come
ogni altro diletto dei sensi, esige alternanza e non può essere ripetuta senza trasformarsi nel suo
contrario. Le impressioni musicali riescono più fastidiose che piacevoli se sono richiamate dalla
nostra immaginazione involontaria; nelle Lezioni di antropologia è commentato da Kant un fatto, che
può apparire insignificante, narrato da Johann Wilhelm Albrecht: ai soldati svizzeri dell’esercito
francese fu proibito di cantare una musica tipica delle loro montagne, accompagnata dalla danza,
perché avrebbero sofferto di nostalgia della patria e della giovinezza, e ciò ne avrebbe diminuita
la forza e l’impegno; la fantasia avrebbe rievocato in loro un passato molto più piacevole del
presente, ostacolandone la serenità (Albrecht 1734, § 299, p. 121. Cfr. AA XXV 951-952, 1259; AA
XXVIII 853; questo tema era già stato esaminato da Hofer 1678, cfr. AA VII, pp. 178-179, AA IX, pp.
244 sgg., AA XXVIII, p. 853).

Quale funzione assolve la matematica se la consideriamo sotto questo punto di vista antropologico?
Certo essa non ha la benché minima parte nell’attrattiva e nel gioco di emozioni, ma è solo la
condizione indispensabile, la conditio sine qua non, di quella proporzione delle impressioni, sia
nel loro rapporto sia nel mutamento, che permette di considerarle in unità, evitando che si
distruggano a vicenda, facendo anzi sì ch’esse cospirino a produrre un duraturo stato di emozione e
animazione mediante affetti, e quindi di tranquillo, intimo godimento. Questa tesi è spesso
interpretata come l’ammissione che la struttura dei rapporti fra suoni espressa in proporzioni
matematiche non ha alcun ruolo nella fondazione della bellezza dell’arte musicale. Kant, si dice,
esprime l’opposizione, tipica del Romanticismo, alla proporzione, all’unificazione di numero e
calcolo, proporzione e misurazione razionalistica (Zeuch 1996, pp. 240-241). Si deve sottolineare,
però, che l’argomentazione riguarda l’attrattiva e i movimenti dell’animo, non la bellezza; la
struttura matematica in se stessa non può suscitare né attrattiva né movimenti dell’animo, ma ciò è
compatibile con l’idea che la bellezza dipenda dalla forma, perché significa esclusivamente che il
principio della forma non può essere fonte di attrattiva empirica. Kant però non si arresta a questa
considerazione: vuole analizzare il contributo della forma matematica all’attrattiva empirica che è
necessariamente connessa con il concetto della percezione della musica. Già nella Nota generale alla
prima sezione dell’Analitica del bello la funzione della struttura matematica è stata considerata
secondo questa particolare prospettiva e si è affermato che il canto degli uccelli risveglia il
gusto più di un canto composto secondo tutte le regole dell’arte musicale. Il punto di vista dal
quale era compiuta la valutazione della musica vocale non era il piacere estetico [Wohlgefallen], ma
il diletto corporeo [Vergnügen].

La caratteristica essenziale che ci spiega per quale motivo la musica eserciti questa azione sui
movimenti dell’animo è la sua “comunicabilità universale”. Come si può interpretare questo concetto?
Qual è il suo rapporto con il Wohlgefallen an der Form, con il piacere estetico? È stato di recente
affermato che istituendo un legame con l’idea della comunicabilità universale Kant ha fatto
dell’arte qualcosa di più di un secondo ambito della bellezza oltre all’ambito della natura; poiché
la musica comunica un sentimento, la forma entro la quale avviene questa comunicazione deve assumere
un aspetto diverso da una proposizione, dal modello del discorso razionale; questo secondo modello
nel quale si realizza la comunicazione di sentimenti, non il discorso su sentimenti, si esprime
nella sua forma più pura laddove nella comunicazione sono assolutamente assenti pensieri. Proprio
per questo motivo acquisterebbe un ruolo di primo piano quell’arte che di solito è respinta da Kant
come pensatore rigoroso e che occupa la posizione inferiore nella gerarchia delle arti: la musica.
Secondo questa interpretazione Kant si fonderebbe su di un modello di comunicazione presentato per
la prima volta da Jakob Böhme: siamo di fronte ad un linguaggio di sentimenti, all’espressione e
alla comprensione interiore. Sebbene non tutti siano geni, né possano rendere altri partecipi del
proprio stato d’animo grazie alla creazione di opere d’arte come espressione, ci si attende che
chiunque sia dotato di gusto sia capace di giudizio e di scelta. Chi dunque non sappia comunicare il
proprio sentimento con la produzione di opere d’arte, sarà comunque capace, come uomo di gusto, di
rendere partecipi altri del suo piacere estetico; l’uomo di gusto, l’uomo fine abbellisce ciò che lo
circonda e si circonda di oggetti belli, rendendo anche altri partecipi del suo piacere estetico per
il mondo. La validità universale dei giudizi di gusto sulla musica li rende dunque in linea di
principio comunicabili; ciò che può essere comunicato non è però un contenuto logico o un’asserzione
oggettiva, ma un sentimento relativo, in questo caso, a un determinato brano musicale riconosciuto
come bello. Questa definizione sarebbe tipica del contesto sociale della borghesia colta nell’epoca
del Rococò; il bello non è origine del terribile né oggetto di desiderio né qualcosa di divino, ma
serve a coltivare la vita, preparando così alla moralità ed alla autentica socialità (così
interpreta Böhme 1999, pp. 29-34).

Se così fosse, tra comunicabilità universale e bellezza vi sarebbe un nesso diretto; la
comunicabilità universale di cui Kant ricerca il fondamento sarebbe dunque identica alla
comunicabilità universale del giudizio estetico puro. A mio avviso, questa identificazione è però
piuttosto dubbia. La comunicabilità universale di cui Kant qui parla non è infatti identica alla
comunicabilità universale che sta alla base dell’apriorità del giudizio di gusto.

Già nel paragrafo 7 si è sottolineato che si deve attribuire al gusto un rilievo sociale poiché esso
si fonda su un accordo empirico nel quale convengono tutti gli esseri umani; si tratta di una
“universalità relativa” che deve essere nettamente distinta dall’universalità a priori; l’attrattiva
si identifica con l’effetto piacevole sull’animo dell’ascoltatore; che essa sia universalmente
comunicabile significa allora che è passibile di una “universalità comparativa”, oggetto non di una
critica trascendentale ma di un’antropologia empirica. Se poi questo concetto sia l’espressione del
“mondo della vita della borghesia del Rococò” risulta irrilevante per la determinazione della sua
funzione nella teoria.

Il paragrafo 53 introduce un nuovo concetto: l’attrattiva è ora connessa con la facoltà di generare
affetti; come la modulazione è una lingua universale delle sensazioni da tutti comprensibile, nella
quale ogni suono rivela in chi parla e genera in chi ascolta un’idea corrispondente a un affetto
secondo la legge dell’associazione psicologica, così la musica come linguaggio degli affetti
comunica universalmente le idee estetiche congiunte in modo naturale a quel linguaggio, secondo la
legge dell’associazione. Martin Sherlock, noto a Kant, si sofferma sul potente effetto della musica
italiana sugli ascoltatori e sulla sua differenza rispetto alla musica francese: l’impressione che
producono le cantanti italiane è notevolmente più forte di quella prodotta dalle cantanti francesi e
gli italiani si recano all’opera solo per sentire le arie, non l’intera composizione; non vanno a
teatro, ma ad un concerto e negli intervalli fra le arie amoreggiano, giocano a carte oppure
banchettano (Sherlock 1782, Lettera 34, p. 183). La “condanna” non è così grave come si ipotizza,
perché la musica non agisce direttamente sulla facoltà di desiderare, ma solo sul sentimento di
piacere e dispiacere; la volontà non è ostacolata dal fatto che agli affetti sia conferito impulso,
dato che gli affetti non costituiscono l’eliminazione definitiva della libertà come le passioni. La
riconduzione della musica agli affetti presuppone la distinzione fra affetti e passioni che la Nota
generale all’esposizione dei giudizi estetici riflettenti riprende immutata dalle Lezioni di
antropologia. Non si tratta, precisiamo, di una condanna inappellabile dal punto di vista morale;
solo le passioni, infatti, riguardano la facoltà di desiderare, oggetto della filosofia pratica, e
sopprimono la libertà, mentre gli affetti si limitano a ostacolare momentaneamente la
determinabilità dell’arbitrio in base a princìpi morali. Non mi pare accettabile la convinzione di
Cohen (citato in Nachstheim 1997, pp. 192-193) che gli affetti non siano distinti dalle passioni, ma
rappresentino la coscienza del movimento in tutta la sua estensione come coscienza del volere; per
Cohen i suoni non sono solo i segni degli affetti, ma anche i testimoni dei dolori e delle gioie;
per questo motivo la musica commuove intimamente l’animo. Si deve dunque constatare che la cultura è
presente nella musica in un senso completamente diverso dalle altre arti, perché essa “gioca” con
sensazioni; se consideriamo che nell’ascolto di un’opera d’arte musicale percepiamo sensazioni,
dobbiamo trarre la conclusione che, in conformità con la natura delle sensazioni, la musica offre
impressioni passeggere; l’immaginazione involontaria può rievocarne alcune, e ricavarne una
sensazione di piacere, ma altre si estinguono interamente, oppure, se sono ripetute
involontariamente dall’immaginazione, ci riescono più moleste che piacevoli (CdG, p. 303).

Annotazione

Se ci si attenesse alle argomentazioni sin qui esposte si potrebbe avere l’impressione che la musica
sia il risultato di sensazioni soggettive e mutevoli; questa è di fatto l’opinione che ha dominato
quasi incontrastata nella ricerca su Kant, la quale interpreta l’espressione bloßes Spiel der
Empfindungen nel senso di una derivazione dalla mera sensazione; la matematica, si afferma, è solo
la conditio sine qua non dell’attrattiva e non gioca alcun ruolo nella fondazione della bellezza. Se
così fosse la musica sarebbe solo godimento e non cultura (Schering 1910, pp. 174-175; Desmond 1998,
p. 613); Kant apprezzerebbe quest’arte all’unica condizione che essa sia applicata alla parola, sia
musica vocale; la musica strumentale pura sarebbe un gioco di pensieri divertente ma comunque
infruttuoso, dal quale eventualmente guardarsi. Rilevando che la musica sia “più piacere che
cultura, e che quindi abbia, considerata in base alla ragione, un valore inferiore a qualsiasi altra
arte” (Friedländer 1867, p. 124), Friedländer ne ricava la conclusione che Kant non ha certo avuto
una grande opinione di quest’arte.

Si è affermato che Kant avrebbe sussunto valore estetico e valore culturale sotto un unico concetto;
gli si è fatto notare che i due problemi non sono identici, ma anzi incompatibili, in quanto il
primo rientra in una problematica trascendentale, mentre il riferimento alla morale occupa un altro
livello. Wieninger ritiene che il punto debole della Critica del Giudizio nel suo complesso debba
essere colto nella contaminazione fra valore estetico e significato culturale. Con questo passaggio
Kant, attratto dal primato della morale, abbandona il terreno della problematica trascendentale
(Wieninger 1929, p. 74). Anche Nachtsheim muove dal presupposto che la dimensione estetica sia in
Kant completamente separata dalla dimensione morale e che la determinazione del valore culturale
della musica non dipenda da punti di vista relativi alla validità estetica. Di fatto, si tratterebbe
in ultima analisi di criteri pratici o pragmatici e, di conseguenza, anche pedagogici (Nachstheim
1997, p. 31 nota). Per Schubert, nel superamento delle sensazioni con idee indeterminate nel bello
musicale si abbandona il campo dell’estetica. Questa violazione dell’immanenza del giudizio di gusto
è compiuta nel nome della moralità e dell’eticità. Il giudizio fondato sulla ragione elimina questa
autonomia (Schubert 1975, p. 24). Meyer nota che il contenuto artistico non possiede valore
culturale poiché consiste solo nelle sensazioni (Meyer 1920-21, p. 481). Per Maecklenburg Kant
intende in modo troppo ristretto il concetto di cultura, poiché lo limita alla conoscenza. La musica
ha valore culturale perché produce un gioco di pensieri che è spiegato come effetto di una
associazione quasi meccanica (cfr. Maecklenburg 1914-15, p. 215). Secondo Dahlhaus la musica è
esclusa dall’ambito della cultura (Dahlhaus 1953, pp. 52-54). Klinkhammer scrive che questa
valutazione dipende dal fatto che Kant ha un concetto limitato della cultura e non si può liberare
dall’impressione che l’essenza della cultura consista nell’estensione delle facoltà conoscitive e,
quindi, nell’incremento della conoscenza concettuale (Klinkhammer 1926, p. 29). Queste osservazioni
non tengono però conto dell’autentica intenzione del paragrafo, che trova la sua chiara espressione
nel titolo: Vergleichung des ästhetischen Werts der schönen Künste untereinander. La prospettiva
nella quale Kant si pone non è quella della valutazione pratica o pragmatica o pedagogica, ma è
ancora un interesse estetico, sebbene ciò non significhi certo che egli rinneghi la fondazione
dell’estetica sul sentimento morale. La costruzione sistematica della terza Critica risulterebbe
radicalmente compromessa dalle riserve appena esposte, consistendo essa proprio nella riconduzione
della necessità estetica al sentimento morale; Kant non ha mai l’intenzione di abbandonare il
terreno della ricerca trascendentale, quando introduce il rapporto con il sentimento morale, né deve
decidersi in una scelta tra morale ed estetica, perché la Critica del Giudizio estetico non è
Critica del Giudizio morale.

11.2. Cultura e matematica

Occupiamoci ora, però, del secondo criterio adottato nel paragrafo 53 per la valutazione estetica
dell’arte musicale: l’incremento della cultura. Se fino a questo punto la ricerca ha esaminato
attrattiva e movimenti dell’animo, ora si ritorna al piacere per il bello e si integrano i risultati
ottenuti nelle pagine precedenti. Kant non è dell’idea che la musica produca esclusivamente
attrattiva, affetti e benessere corporeo, ma la compara con le altre arti; la musica suscita
sensazioni in misura maggiore delle altre arti. Non si pone in dubbio che a suo fondamento vi sia
qualcosa che non è godimento corporeo; è sufficiente analizzare i concetti della composizione e
dell’elemento matematico per rendersi conto della forma e del contenuto a priori dell’arte del bel
gioco delle sensazioni.

La composizione è un accordo di note basato sul numero delle vibrazioni dell’aria per unità di
tempo, in cui le note sono legate in simultaneità o successione, accordo che può essere riportato a
leggi matematiche definite; la forma compositiva delle sensazioni è data dall’armonia e dalla
melodia. È già emerso dal paragrafo 51 che sia i rapporti fra molteplici note, sia le singole note
si possono riportare al concetto della “divisione del tempo”. La forma matematica non è
rappresentata in base a concetti; il bersaglio polemico potrebbe essere Leibniz, la cui teoria del
calcolo inconscio era costruita proprio sul presupposto che l’anima potesse generare un’attività
concettuale inconscia. Il gioco delle sensazioni sottoposto a leggi matematiche è il correlato del
piacere estetico e sull’elemento matematico poggiano sia la validità universale sia la validità
necessaria del giudizio di gusto a priori.

La facoltà, da parte dell’anima, di dividere il tempo è presente già nella Critica della ragion pura
in cui è rilevante per la Deduzione dei concetti puri dell’intelletto. La condizione di possibilità
della rappresentazione di un molteplice nell’intuizione dipende dalla facoltà dell’animo di
distinguere il tempo nella successione delle impressioni; da ciò sorge l’intuizione della
molteplicità che altrimenti rimarrebbe sempre semplice unità. Questa proprietà dell’animo è fondata
nell’intuizione stessa, che opera una sintesi dell’apprensione; a prescindere dal significato della
sintesi dell’apprensione, la divisione del tempo è condizione della distinzione del molteplice e
della sua sintesi (AA IV, p. 77).

La differenza rispetto alla terza Critica risiede nel fatto che la divisione del tempo è qui
presentata come atto dell’intuizione, la quale, come abbiamo visto, non è un senso esterno. Nella
Critica del Giudizio la forma matematica percepita dall’animo che divide il tempo è il correlato
oggettivo dell’universalità del piacere [Wohlgefallen]: è la sola condizione che rende possibile
l’apriorità come necessità del giudizio di gusto sulla musica e riconduce quest’arte nell’ambito
delle arti belle. Questa dimensione della necessità a priori era già presente nei primi paragrafi,
ma non era in essi oggetto di discussione. La necessità – in base al paragrafo 29 – è ciò che rende
possibile il fatto che i giudizi sul bello siano sottratti alla psicologia empirica e inseriti a
pieno titolo nella filosofia trascendentale.

Annotazione

Nachtsheim sostiene che la composizione nel gioco delle sensazioni acustiche permette di valutare la
musica in relazione alla bellezza in generale, ma non permette ancora di dichiararla necessariamente
bella. È decisivo che la bellezza non elimini in alcun modo, ma anzi ponga la possibilità della
piacevolezza (Nachtsheim 1997, p. 27). Se si accetta questa interpretazione la differenza
sistematica fra psicologia empirica o antropologia e critica trascendentale del gusto sottesa
all’intera Critica del Giudizio estetico va persa e i due livelli vengono unificati e confusi l’uno
con l’altro. Ciò è ancora più strano se si pensa che Nachtsheim conosce questa distinzione e la pone
a ragione in rapporto con il problema della piacevolezza o della bellezza della musica. La
composizione permette certo di valutare la musica nella sua relazione con bellezza in quanto fa
parte delle motivazioni che possono fondare questa bellezza. Con questa concezione è però
incompatibile la considerazione che la composizione non renda la musica “necessariamente bella”. La
bellezza di quest’arte è infatti determinata da due elementi: in primo luogo dalla struttura
matematica oggettiva della composizione, in secondo luogo dal giudizio, dal riconoscimento che
l’animo possiede la facoltà di percepire la struttura matematica. Se si accettano questi due punti
ne consegue che la musica è bella; la composizione è sempre bella e la sua valutazione nella
riflessione dà sempre luogo a un giudizio a priori. Essa è piacevole se non è percepita come
composizione. Affermare che la composizione non è necessariamente bella significa conferirle un
significato empirico e antropologico, perché l’antropologia ha il compito di osservare in qual modo
gli esseri umani sentono con l’udito, non di ricercare i fondamenti a priori della sensazione. La
bellezza è oggetto di una teoria trascendentale, la piacevolezza di un’antropologia empirica; esse
possono coesistere, ma non si può accettare che le stesse condizioni che danno luogo alla bellezza
siano, considerate da un altro punto di vista, meramente piacevoli. L’a priori non può infatti
essere al tempo stesso uno a posteriori.

Wieninger ritiene che Kant abbia mantenuto nella Critica del Giudizio il medesimo punto di vista da
lui assunto negli anni Settanta; l’a priori della musica dipende per Wieninger ancora dal concetto
del tempo inteso come coordinazione. Un’analisi dei documenti a nostra disposizione, sostiene, ha
condotto al risultato che Kant non ha ancora superato relativamente alla fondazione a priori del
piacere per la musica il punto di vista iniziale della sua estetica, che considerava la dottrina del
bello come un’estetica particolare, come una parte della teoria delle leggi universali della
sensibilità, dell’estetica trascendentale. Questa interpretazione – riconosce Wieninger – non si può
giustificare né comprovare appoggiandosi al testo perché in esso non si trova espressamente
formulata (cfr. Wieninger 1929, p. 36). Non mi pare si possa condividere questa lettura. La
matematica ha la funzione di scienza dei numeri e come tale è fondata su un principio a priori,
l’intuizione pura del tempo. Questa forma pura dell’intuizione non ha però la medesima funzione che
aveva nelle dissertazione del 1770. Il paragrafo 53 si esprime molto chiaramente sul fatto che la
forma matematica non è mai rappresentata in concetti determinati. Non si può quindi accettare senza
riserve ciò che Wieninger dice sul tempo nel paragrafo 51, ovvero che la musica sia interpretata
come intuizione pura, perché già il paragrafo 16 ha mostrato quale sia la sua relazione con il gioco
delle facoltà.

L’elemento matematico è interpretato secondo Schmidt come se esso fosse la mera forma della
proporzione fra i suoni senza che però sia nominato il ritmo, la proporzione relativa alla durata
temporale. Il fattore temporale non ha alcuna funzione nell’elemento matematico (Schmidt 1990, p.
20). Per Schmidt il primato della composizione nel paragrafo 51 non è determinato dalla struttura
temporale del singolo suono, ma dalle differenze comprensibili che si rendono note nelle
costellazioni degli intervalli e non sono legate alla percezione temporale. Kant crede al contrario
che la velocità delle vibrazioni dell’aria superi la capacità percettiva del soggetto. Il primato
della composizione sulla Klangfarbe deriverebbe dal ricorso alla tradizione della teoria dell’arte
(Schmidt 1990, p. 332 nota 15).

Le considerazioni sulla struttura matematica della musica mostrano che Kant conosce una tradizione
ben precisa che trova le sue prime espressioni nell’antichità; sebbene Euler non sia più nominato
nella discussione dei rapporti fra i suoni, l’esame appena condotto può dimostrare come Kant non
abbia mutato la sua posizione rispetto agli anni precedenti per quanto concerne il suo apprezzamento
della teoria del matematico svizzero.

Annotazione

L’importanza della lettura di opere di Euler è stata spesso studiata in rapporto ad altre dottrine
kantiane. Heimsoeth sottolinea il ruolo di Euler nella genesi della teoria dello spazio e del tempo
e nella formazione del problema delle antinomie (Heimsoeth 1960, pp. 379-380). Cantelli afferma che
“le sue analisi dei concetti di spazio e di tempo, la determinazione che egli compie dei princìpi
del movimento e la definizione che egli riesce a stabilire delle proprietà dei corpi, esercitarono
la più grande influenza su Kant” (Cantelli 1958, p. XX).

È rimasta, però, sinora inosservata la presenza di Euler nella teoria kantiana dei rapporti
matematici fra i suoni musicali. Alcuni esempi. Kathi Meyer sostiene che Kant sapeva orientarsi bene
nel giudizio sulle arti figurative, perché aveva letto le opere di Winckelmann, e che era invece
privo di una guida nello studio dell’arte musicale. Per questo motivo egli non era in grado di
elaborare una teoria coerente, tanto più che gli faceva difetto anche un rapporto diretto con la
musica (Meyer 1920-21, p. 477). Klinkhammer rinvia a Platone, Aristotele e Leonardo e all’idea
dell’unità nella molteplicità. “Qui l’estetica musicale di Kant si fonda manifestamente su una delle
fondamentali leggi della bellezza che fu elaborata già da Leonardo, grande artista del Rinascimento,
e risale ad Aristotele e Platone” (Klinkhammer 1926, p. 27). Anche Schueller ricorda che il ricorso
ai rapporti matematici nella Critica del Giudizio presuppone una tradizione: “egli dice qui qualcosa
che è stato detto molte volte prima che egli scrivesse la Critica del Giudizio e che è stato
ripetuto altrettante volte dopo che egli scrisse quest’opera (‘La musica razionalizza il suono’,
dice Santayana, intendendo che il suono può essere espresso in rapporti matematici)” (Schueller
1955, p. 225). Le ricerche che hanno cercato di determinare l’influsso esercitato da Euler sulla
Critica del Giudizio prendono le mosse dalla citazione del paragrafo 14 la quale però, come abbiamo
visto, non riguarda i rapporti matematici fra i suoni, ma l’ipotesi di Euler sulla costituzione
fisica dei singoli suoni e della loro percezione. Uehling affronta ad esempio esclusivamente il
problema dei suoni singoli (Uehling 1971, pp. 30-32). Sebbene Butts ponga il problema: “Kant ha
superato le teorie precedenti, le quali ammettevano che le consonanze sono rapporti matematici
regolari? Siamo ritornati a un problema che si presenta frequentemente nelle teorie musicali: che
cosa collega la forma matematica all’esperienza del piacere?” (Butts 1993, p. 7), non si occupa poi
di Euler (cfr. Butts 1993, p. 21). Morpurgo-Tagliabue rinvia a Leibniz, Rameau e Diderot
(Morpurgo-Tagliabue 1991, p. 268). Per Nachtsheim, Euler fu rilevante per Kant relativamente alla
determinabilità matematica del singolo suono, ma non si sa con certezza se Kant abbia letto il
Tentamen (Nachtsheim 1997, p. 26 e nota; cfr. Nachtsheim 1997, p. 13 e nota 27). Nachtsheim non cita
le Lettere di Euler, ma il Musicae mathematicae Hodegus curiosus del 1687 di Andreas Werckmeister, e
invita il lettore a non considerare Werckmeister fonte di Kant (Nachtsheim 1997, p. 12 nota 22). A
parere di Wolfgang Riedel l’allontanamento dalla connessione tradizionale di musica e matematica,
che si può documentare ancora in Leibniz, si riflette nell’estetica da Batteux a Kant e inoltre
nella definizione standard della musica come linguaggio delle sensazioni (Riedel 1996, p. 432; si
veda anche Schlapp 1901, Marschner 1901, Basch 1927, Art. “Musik” nello Historisches Wörterbuch der
Philosophie 1971 sgg).

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