La libertà di osservare la realtà – Krishamurti

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La libertà di osservare la realtà

di Jiddu Krishamurti

Tratto da: LA FINE DEL DOLORE – Discorsi a Saanen – 1980

– LA LIBERTÀ DI OSSERVARE LA REALTÀ –

Quarto discorso – domenica 13 luglio

L’essere umano che vive sulla terra da cinque, sei milioni di anni o forse
più, non è stato capace, pur in un periodo di evoluzione
così lungo, di superare l’enorme problema del conflitto esteriore e
interiore,
Esteriormente ci sono state guerre, massacri, e interiormente è stato
alimentato un tormento continuo. Il cervello umano si è
formato, si è plasmato in questa situazione.

Attualmente ci stiamo muovendo ancora nella stessa direzione, seguendo una
corrente di disordine, di infelicità, di grande
sofferenza.

Ma se siamo persone serie, partecipi di quanto accade nel mondo, dobbiamo
chiederci perché esseri umani che si considerano tanto
evoluti, colti, raffinati, sono ancora disposti a distruggersi
reciprocamente, a vivere gli uni contro gli altri, separati da religioni, da
nazionalismi, da barriere di ogni genere.

Dobbiamo chiederci se è possibile produrre un cambiamento sostanziale
proprio nella struttura stessa del nostro cervello, della
nostra mente.

La mente, che non è separata dal cervello, include le sensazioni, le
emozioni, i pensieri, le reazioni dell’intero organismo.
Per mente intendiamo l’intera struttura psicologica e biologica dell’essere
umano.

Nei nostri incontri precedenti abbiamo sottolineato il fatto che qui non ci
stiamo occupando di idee.
È inverosimile la quantità di idee e di ideologie che esistono al mondo.

Ci sono le ideologie di Marx, di Lenin, di Mao; ci sono le ideologie di
sinistra, quelle di centro e quelle di destra; e tutte quante,
che si tratti di ideologie politiche o religiose, hanno portato con sé
soltanto distruzione.
È in questa situazione che il nostro cervello, l’intera nostra struttura
psicologica, si sono formati ed hanno vissuto.
Ora dobbiamo affrontare insieme il problema.
Affrontarlo con un semplice interesse intellettuale non basta. Non è questo
lo scopo dei nostri incontri.
Dobbiamo muoverci insieme, se vogliamo essere capaci di pensare insieme.

Stiamo affrontando dei problemi che dovrebbero interessare profondamente
ognuno di noi, perché riguardano l’essere umano,
dovunque si trovi a vivere, in Russia, in Oriente, in Occidente, nel
Meridione o nel Settentrione.
Tutti quanti noi passiamo attraverso il dolore, il tormento, l’angoscia, la
paura, l’infelicità; è un destino comune a tutti gli esseri
umani. È il destino comune di tutta l’umanità e anche di coloro che sono
seduti qui, in questa tenda.
Ovunque ci troviamo sulla terra, a nord, a sud, a est o a ovest, noi siamo
umanità.

Il nostro cervello, la nostra mente sono il cervello e la mente dell’umanità
e non esclusivamente nostri.
Molti di voi forse potranno non sentirsi d’accordo, ma se esaminate la
situazione obiettivamente, imparzialmente, scientificamente,
scoprirete che il nostro cervello non ci appartiene in esclusiva, ma è un
apparato che si è prodotto in un processo di evoluzione e che
è comune a tutti gli esseri umani.

Senza far ricorso all’analisi, ma osservando i fatti, ci siamo chiesti
perché gli esseri umani vivono nella frustrazione, nello
sconforto, nella disperazione.
Sono passati millenni ma gli esseri umani non sono cambiati. Perché?
Ne abbiamo discusso insieme. Abbiamo approfondito insieme la questione,
perché non basta stare a sentire qualcuno che parla,
limitandoci a trarre l’impressione che stia dicendo delle sciocchezze o stia
esponendo qualche strana teoria orientale.
Il pensiero non è orientale né occidentale. Questo è un fatto fondamentale.
In Occidente il pensiero può svilupparsi in una direzione scientifica o
tecnica, mentre in Oriente può prendere un indirizzo
diverso. Ma fondamentalmente si tratta di un processo che è comune a tutti
quanti noi.
Pensare è il destino dell’uomo.

Il pensiero, che ha le sue radici nell’esperienza, nella conoscenza, nella
memoria, ha creato industrie, ha costruito ponti
meravigliosi, ha fatto grandi invenzioni scientifiche, ha sviluppato la
medicina, la chirurgia; e ha prodotto anche le guerre.
Il pensiero ha creato architettura bella e brutta, straordinari dipinti,
statue, musiche.
E ha prodotto anche tutto quello che sta dentro le cattedrali, i templi, le
moschee.
Il pensiero ha diviso gli esseri umani in cristiani, induisti, buddisti.

Questi sono fatti del tutto evidenti, che potete osservare quando volete.
Non mi sto inventando nulla.
Viviamo separati gli uni dagli altri; abbiamo glorificato i nazionalismi.

Qualsiasi persona, che sia veramente seria, deve chiedersi se c’è la
possibilità di farla finita con un sistema di vita che giustifica
guerre, antagonismi, paure, angosce, sofferenze di ogni genere.
È possibile che il cervello smetta di funzionare sempre secondo gli stessi
schemi di accettazione o di rifiuto, di obbedienza o di
ribellione, di attesa, di speranza, di delusione, di tormento?

Chiediamoci: perché il cervello, che ha sviluppato capacità immense, non è
stato capace di risolvere i suoi problemi psicologici e
di modificare radicalmente il proprio modo di vivere?

L’altro giorno abbiamo detto che il pensiero è al centro di tutti i nostri
tormenti.
Il pensiero proviene dall’esperienza, dalla conoscenza, e dalla memoria che
si imprime nelle cellule cerebrali. Questo significa che
il pensiero è un processo materiale.
Il pensiero è sempre stato il perno di sostegno di ogni sforzo umano; ha
sempre alimentato l’esigenza dell’uomo di andare al di là
di se stesso, il suo bisogno di trovare Dio, ammesso che Dio esista.
È il pensiero che ha spinto l’uomo a cercare l’illuminazione, a cercar di
scoprire se c’è qualcosa, al di là del tempo, al di là del
pensiero stesso, qualcosa che sia eterno.
Fin dall’inizio dei tempi, l’essere umano si è servito del pensiero. E il
pensiero ha creato l’immagine che l’uomo debba evolversi,
crescere, diventare qualcosa.

Spero che stiate seguendo. No, non state seguendo la persona che è qui a
parlarvi, ma state seguendo voi stessi. Non ci sono né
maestri né discepoli. È così, è la verità. In campo psicologico non ci sono
né guide né seguaci. C’è soltanto l’atto di imparare, che
non significa raccogliere informazioni da qualcun altro.

La vita degli esseri umani è un fatto tremendamente complesso. Ce ne stiamo
occupando insieme, ma se vogliamo addentrarci in
una simile complessità, dobbiamo avere una mente libera da qualsiasi
attaccamento, una mente capace di non legarsi a nulla, né a
un guru, né a delle conclusioni, né a dei concetti o a delle idee. Perché se
vi legate a qualcosa – una religione, un modo di pensare,
un sistema di meditazione, una fede particolare – vi trovate a camminare
nella corruzione.
La mente che rimane confinata in un suo particolare modo di credere o di
pensare, non può scoprire la possibilità di trasformarsi.
Lo so, è molto difficile per voi accettare un punto di vista del genere,
perché ogni essere umano desidera dedicarsi a qualcosa che
lo tenga occupato e lo faccia sentire al sicuro.

Vi sentite al sicuro quando avete un capo, un guru, un regolamento – cioè
qualcuno o qualcosa su cui fare affidamento.
Ma tutto ciò implica anche paura, ansia, antagonismo, e quindi corruzione.

Fare affidamento su un’idea, un concetto, una fede, un’immagine particolare,
o sui simboli di una religione, significa aprire la
porta alla corruzione.

Uno dei fattori che determina la corruzione è l’autorità. Possiamo renderci
conto del fatto che legarsi, attaccarsi a qualcosa, ad una
persona, a un’idea, a una fede, significa corrompersi? Che siate marxisti,
leninisti, maoisti, o i seguaci di qualche guru dell’ultimo
momento, vi state corrompendo.

Riusciamo a vedere questo fatto?

Se io sono convinto di essere indù, mentre voi siete cattolici, protestanti,
buddisti, oppure i seguaci di una setta qualsiasi, non può
esserci libertà, e quindi non esiste alcuna possibilità di indagare la
realtà.

Deve esserci libertà.

Subire l’autorità di qualcuno a livello psicologico, persuaderci ad
accettare i dogmi teologici, le teorie marxiste oppure i sistemi di
qualcuno che vive in India o in Asia, significa corrompere le nostre azioni.

Guardiamo insieme quali sono le conseguenze del fatto di dipendere da
un’autorità, nel campo psicologico.
È stata proprio questa dipendenza a dividere gli esseri umani e a far
precipitare il mondo nell’attuale caos.
Possiamo essere luce a noi stessi? È possibile non dipendere dalla luce di
qualcun altro?

Il nostro cervello è stato sistematicamente educato ad accettare l’autorità;
non solo l’autorità della legge nel mondo circostante –
che è necessaria -, ma anche l’autorità cosiddetta spirituale, a livello
psicologico. Psicologicamente siamo diventati degli schiavi;
subiamo continuamente l’influenza di quelli che dicono: «Noi conosciamo la
verità; l’abbiamo realizzata. Seguiteci, vi salveremo dai
vostri peccati, vi diremo che cosa fare, vi condurremo in cielo».

Ora, una mente che dipende da un’autorità psicologica, non potrà mai essere
libera. Ma senza libertà non saremo capaci di scoprire
che cos’è la verità.

Siamo convinti di non poter stare in piedi da soli, così vogliamo
appoggiarci continuamente a qualcuno.
Riteniamo che appoggiandoci a qualcun altro – il marito, la moglie, il
ragazzo, la ragazza – cercando il conforto di un’altra
persona, saremo al sicuro.

Così portiamo impressa nelle cellule del cervello l’esigenza di dipendere
psicologicamente da qualcun altro.
Il nostro cervello è condizionato ad accettare un’autorità spirituale,
l’autorità dei preti, dei guru, di qualcuno che afferma: «Io sono
illuminato, e vi condurrò all’illuminazione».

Un uomo che sia veramente illuminato non lo dice. Se dice di esserlo, non lo
è.
L’illuminazione non è un’esperienza. È uno stato della mente al di là del
pensiero.
La mente, il cervello che sono stati profondamente condizionati ad accettare
un’autorità e quindi a subire determinate imposizioni,
possono liberarsi immediatamente da qualsiasi dipendenza?

Stiamo parlando evidentemente di libertà da un’autorità psicologica, e non
di sottrarsi al rispetto della legge civile, della legge che
il poliziotto fa rispettare. Potete non essere d’accordo col poliziotto, ma
si suppone che egli si adoperi per far rispettare una legge
utile alla comunità: la legge di tenere la destra, quando viaggiate in
automobile, oppure la sinistra, se siete in Inghilterra.
Possiamo capire a quali conseguenze andiamo incontro quando accettiamo
l’autorità dei preti, che impongono dovunque un dio
inventato dal pensiero e che vi dicono: «Siamo qui per aiutarvi a
raggiungere, a realizzare il divino»?
Accettare una simile autorità significa diventare propagatori del disordine;
significa portare il disordine non solo dentro di voi ma
anche nell’ambiente in cui vivete, dove mantenete autorità di ogni genere:
autorità islamiche, autorità buddiste, e così via.
Quando accettate un’autorità psicologica, un’autorità cosiddetta spirituale,
diventate i portatori del conflitto e quindi generate
disordine.

Può sembrarvi che accettare un’autorità sia utile, per il senso di
protezione e di appoggio che ne traete.
Ma se dipendete da qualcun altro, dovete essere disposti anche ad accettare
le conseguenze che sono implicite in questo fatto, e
cioè paura, separazione reciproca, e un conflitto ininterrotto tra quello
che siete e quello che dovreste essere.
Il cervello che vive in questo stato di disordine, vaga da un guru
all’altro. Se non riuscite a raggiungere l’illuminazione qui, dove
siete, ve ne andate in India o in Giappone. La verità non è in India o in
qualche altro paese. La verità è qui, dove siete voi. Non
cercatela altrove. La verità è qui dove siete voi, dove sono le vostre pene,
i vostri tormenti, il vostro sconforto, la vostra infelicità.
Tutto questo deve finire, se volete andate oltre.

Nessuno al mondo potrà mai liberarvi dal vostro dolore, dalla vostra
angoscia. Nessuno, all’infuori di voi, potrà farlo. Spetta a voi
farlo.

Perciò è inutile e vano andare in paesi lontani a cercare persone,
considerate autorità spirituali, per vivere in quei loro campi di
concentramento chiamati «ashram».
Questo gioco non è nuovo: è andato avanti per migliaia di anni.
In Occidente, con i preti, dura da duemila anni; in India dura da molto di
più.
Il nostro dipendere da qualcun altro porta con sé il conflitto.

Ora, approfondendo insieme la questione, lavorandoci sopra insieme, potete
cominciare a muovervi su un sentiero che non
appartiene a me o a voi, ma che è capacità di osservare?
Potete rendervi conto immediatamente di che cosa sono diventati la vostra
mente, il vostro cervello, e farla finita con qualsiasi
autorità spirituale?
Se lo fate, è l’umanità a farlo, perché voi siete umanità. Tra voi non ci
sono sostanziali differenze: tutti quanti passate attraverso il
dolore, l’angoscia, la debolezza, la paura, il tormento.
Dovunque al mondo, l’umanità soffre. Voi siete l’umanità, voi siete il
mondo. Il vostro cervello è il mondo.
Il conflitto non può fare a meno di sorgere quando subite l’autorità
psicologica di un’altra persona.
Tuttavia non è solo questo fatto che determina e mantiene il conflitto. A
dare continuità al conflitto in cui vivete è soprattutto la
vostra incapacità di osservare.
Non siete capaci di osservare quello che accade interiormente o
esteriormente, senza deformare, senza giudicare quello che vedete.
Dovete sapere che è necessario che ci sia ordine nella nostra vita. L’ordine
è fondamentale.
L’ordine non è qualcosa di relativo. O c’è ordine, oppure c’è disordine. O
l’ordine è completo, totale, oppure c’è disordine. Non c’è
una via di mezzo tra ordine e disordine.

Dobbiamo scoprire che cos’è l’ordine. L’ordine assoluto esiste. Cosmo
significa ordine. L’universo è in ordine, ma le nostre vite di
esseri umani sono in disordine. La Natura è in ordine, ma quando l’uomo
interferisce con l’equilibrio naturale crea disordine, perché
il disordine l’essere umano lo porta dentro di sé.
Allora, che cos’è l’ordine? Ordine significa farla finita col conflitto?
Ricordatevi che state osservando la vostra struttura psicologica, una
struttura che è in movimento ininterrotto perché siete vivi.
Una cosa viva è in movimento.

Ma in voi questo movimento è disordine.
Potete avere ogni tanto un momento di pace, di tranquillità, ma la pace, la
tranquillità, il silenzio che il pensiero si sforza di
raggiungere con la cosiddetta meditazione, non sono né vero silenzio, né
vera pace.
Allora l’uomo è condannato a vivere eternamente nel disordine?
Ordine e disordine non possono stare insieme. Una mente in disordine non può
scoprire che cos’è l’ordine.
Non ha senso cercare di scoprire che cos’è l’ordine; ma quello che possiamo
fare è renderci conto di che cosa determina il disordine
in noi.
È come se un pover’uomo ignorante cercasse di scoprire il cielo. Un uomo
ignorante, accecato dall’ignoranza, deve prima di tutto
essere libero dall’ignoranza.
Allo stesso modo, una mente ignorante non potrà mai scoprire l’ordine, se
prima di tutto non si libera del suo disordine.
Qual è la causa del disordine?

L’altro giorno abbiamo detto che se c’è una causa, esiste anche la
possibilità che essa scompaia.
Questa è una legge. Dove c’è un inizio, deve esserci anche una fine.
Una causa che determina un male fisico, prima o poi scomparirà, o con la
morte o con una cura appropriata. Un mal di denti può
essere causato da un’infezione; ma l’infezione può essere curata ed
eliminata. Vi pare?
Il disordine in cui viviamo deve avere una causa. Qual è questa causa? Le
cause potrebbero essere diverse, ma alla base di tutto
potrebbe anche esserci un solo fattore fondamentale.
Prima di tutto, ci rendiamo conto di vivere nel disordine?
Ogni tanto possiamo avere un raro sprazzo di sole, ma la maggior parte della
vita la passiamo sotto la pioggia e una densa coltre di
nuvole, proprio come ci succede qui ora.
Non ci interessano degli sprazzi di ordine, che in realtà sono momenti in
cui semplicemente ci dimentichiamo del disordine.
Vogliamo capire che cos’è che determina il disordine.
Se c’è contraddizione tra il nostro modo di pensare e il nostro modo di
agire, evidentemente ci sarà disordine.
Contraddizione significa dire una cosa e farne un’altra.

Se accettiamo di vivere secondo un ideale, un’immagine, un concetto, presi a
prestito da qualcun altro, creeremo disordine.
Ci sarà disordine finché la mente umana tenterà di modificare quello che è
in quello che dovrebbe essere.
I teorici del comunismo – i vari Marx, Engels, Lenin, Stalin, ecc. – hanno
creato un concetto, un sistema ideologico, al quale la
gente dovrebbe conformarsi, persuasa a farlo dal potere e dall’autorità del
governo comunista.
Anche le religioni si sono sempre comportate allo stesso modo. Non c’è molta
differenza tra le religioni e gli stati dittatoriali,
comunisti o fascisti. La direzione in cui si muovono è la stessa, anche se i
mezzi usati sono diversi: i regimi totalitari si servono
della violenza e del terrore, mentre l’imposizione religiosa è più sottile,
tollerante, condiscendente.
Qual è la causa fondamentale del nostro disordine? Pensiamoci attentamente.
Dovrà esserci disordine finché il nostro modo di agire sarà dominato dal
pensiero.
Abbiamo detto che il pensiero è frutto dell’esperienza, della conoscenza e
della memoria, che portiamo impressa nelle cellule
cerebrali.
Una conoscenza completa non esiste, perciò la conoscenza è sempre parziale,
limitata e quindi anche il pensiero è limitato. Ora
guardate che cosa hanno combinato gli esseri umani.
Probabilmente a livello inconscio, gli esseri umani sanno che una conoscenza
completa non può esistere, e allora dicono: «Dio è
onnipotente, è onnisciente». Rendendosi conto dei loro limiti e del fatto
che la loro conoscenza sarà sempre limitata, creano
un’astrazione alla quale conferiscono la conoscenza totale, l’onniscienza, e
poi compiono ogni genere di sforzi per avvicinarsi ad
essa.

Capite in che situazione sono andati a mettersi gli esseri umani?
Ora, chiediamoci: è il pensiero il responsabile del disordine?

Il pensiero è il creatore degli opposti. Ci sono i fatti e il pensiero crea
gli opposti ai fatti.
Sono infelice, ma mi ricordo di essere stato felice qualche volta. Allora mi
aggrappo a quel ricordo, ed ecco che mi sono messo in
contraddizione con quello che è, con l’infelicità di questo momento. Capite?
Il fatto è ciò che accade. E il pensiero, partendo dal fatto, crea l’opposto
al fatto, crea un non-fatto.
Il fatto è che gli esseri umani sono violenti.

Il fatto è la violenza.
Ma il pensiero crea l’opposto, cioè la non-violenza, e poi dice: «Devo
raggiungere lo stato di non-violenza». Così dà luogo al
conflitto.
Se il pensiero non creasse l’opposto dei fatti, allora avremmo a che fare
soltanto con quello che è. Nei confronti di un fatto potete
fare qualcosa, ma non potete fare nulla nei confronti di un non-fatto.
Vedete qual è la causa del disordine?
È il nostro tentativo ininterrotto di diventare qualcosa che è l’opposto di
quello che siamo.
«Sono ignorante, devo aumentare la mia conoscenza».
«Non so che cos’è l’illuminazione. Devo diventare un illuminato».
«La mia mente chiacchiera senza tregua, è sconvolta dal conflitto. Devo
calmarla, renderla tranquilla».
È ancora in funzione lo stesso principio che spinge l’impiegato a diventare
direttore, il parroco a diventare vescovo, il vescovo a
diventare cardinale e il cardinale a diventare papa.

Viviamo in uno stato di disordine, ma il pensiero comincia a dire: «Devo
mettere in ordine la mia vita». Così crea dei modelli di
comportamento e dei valori che considera ordine.
Vivendo in mezzo al disordine, il pensiero crea quello che ritiene sia
ordine, così dà inizio al conflitto.
Se questa è la causa dei nostri tormenti quotidiani, nessuno ci impedisce di
eliminarla.
State attenti: la causa può essere tolta di mezzo.

Immediatamente, a questo punto, voi domandate: «Come?». E così cadete di
nuovo nel vecchio condizionamento di chiedere a
qualcun altro che cosa dovete fare.

Guardate: è evidente che il pensiero crea un’astrazione, che è l’opposto del
fatto; questo opposto diventa subito enormemente
importante, perché si ritiene che serva a risolvere il fatto, ad andare al
di là del fatto.
Prendete il fatto della violenza.

Il pensiero crea l’opposto: la non-violenza; in quanto crede di potersi
liberare dalla violenza sforzandosi di raggiungere l’opposto,
lottando contro il fatto. Ma proprio questo sforzo, questa lotta, sono
violenza!
Mi domando se capite.
La nostra mente ha sempre vissuto in questo corridoio degli opposti: il
fatto è la violenza e l’ideale, il non-fatto, è la non-violenza.
Ora, è possibile che la mente viva insieme al fatto, e lo guardi, lo
osservi, senza fare nulla per allontanarsene? Avete capito?
Allontanarsi dal fatto significa tentar di sopprimere, di analizzare, di
fuggire, di trascendere il fatto. Il fatto è la violenza. Ma il
cervello non ha fatto altro che vivere sballottato tra i fatti e i loro
contrari, i non-fatti. Così non gli è mai stato possibile uscire dal
conflitto.
Ma quando ci rendiamo conto dell’assurdità, dell’inutilità di andare avanti
così, allora siamo capaci di rimanere soltanto con i fatti.
Come osservate un fatto?
Prendete la violenza. Violenza significa uno stato di contraddizione
interiore, di dipendenza psicologica da una persona, da
un’idea.
C’è divisione tra voi e il guru che seguite; ma il guru è furbo e vi dice:
«Siamo una cosa sola». Così rimanete presi in trappola.
Chiediamoci, invece, se è possibile osservare un fatto senza allontanarcene
minimamente. Potete osservarlo senza pretendere di
incanalarlo, di indirizzarlo in una direzione qualsiasi?
Altrimenti c’è un motivo dietro la vostra osservazione, e il motivo è quello
di intervenire sul fatto. Capite?
Stiamo affrontando un argomento che richiede tremenda attenzione. Ci stiamo
chiedendo come guardare i fatti. Esistono solo i
fatti e non i loro opposti. Solo i fatti contano, mentre non hanno alcuna
importanza le astrazioni che si possono ricavare dai fatti.
Per ricavare un’astrazione da un fatto ci si deve servire della conoscenza,
che dipende dal passato; ma questo significa che ci
stiamo allontanando dal fatto.

Esiste un modo di osservare, un atto di osservare, nel quale non compare
alcuna interpretazione dei fatti.
Quando esiste un interprete che giudica il fatto, e che quindi è diviso dal
fatto, deve generarsi inevitabilmente un conflitto. Il
conflitto finisce solo quando scompare colui che interpreta il fatto. Allora
c’è soltanto osservazione pura. In questa osservazione
pura, il fatto non esiste.
Potete vedere che è così?
Colui che si preoccupa di intervenire per modificare un fatto, dà
consistenza a quel fatto.
Ma quando non c’è alcun osservatore, quando non c’è colui che interpreta il
fatto, allora il fatto non esiste.
Facciamo il caso della violenza.

Nella violenza entrano imitazione, conformismo, confronto, rabbia, odio,
gelosia, paura, dolore, sconforto, esaltazione. Tutti questi
sono fatti che riconosciamo, avendoli visti già accadere in passato.
Prendete l’avidità, per esempio. Con la parola «avidità» identificate un
fatto che è accaduto in passato. Gli avete dato un nome e
riconoscete quel che sta accadendo ora, mediante qualcosa che ormai fa parte
del passato.
Capite che cosa avete fatto?

Succede la stessa cosa con l’arrabbiarsi. Nel momento in cui vi arrabbiate,
non vi preoccupate di riconoscere un bel niente. Reagite
semplicemente ad una provocazione, a qualcosa che vi colpisce.
Nel momento in cui scatta la reazione, non c’è niente in voi che dice:
«Esplodo di rabbia». Solo qualche secondo più tardi vedete
che cosa è successo. Perché? Perché è soltanto più tardi che la mente, il
pensiero, può riconoscere il fatto, in base a quanto è già
accaduto in passato. Quindi affronta la realtà attuale, servendosi del
passato.
Così si alimenta il conflitto.
Ma esiste un modo di osservare che non è associato né alle parole, né ai
ricordi, che sono necessari per dare un nome al fatto
osservato?
Nell’istante in cui ha inizio il processo di riconoscimento di un fatto da
parte del pensiero, ecco che si produce anche il non-fatto.
Prendiamo il fatto di arrabbiarsi. Nel momento in cui c’è un accesso di
rabbia, esiste soltanto l’azione dell’adrenalina. Ma pochi
secondi più tardi affiora il pensiero, che dice: «Mi sono arrabbiato».
Questo significa che quanto è accaduto è stato riconosciuto in base al
passato. Ma in questo modo, presente e passato si mettono in
conflitto.
È possibile osservare senza riconoscere, senza far ricorso ad alcuna parola
che descriva il fatto osservato?
Allora non ci sarebbe alcun osservatore che direbbe: «Mi ricordo, era già
successo, ed ora è capitato un’altra volta».
Ma quello che accade ora, non è mai accaduto prima.
Non so se ve ne rendete conto.
Solo quando guardate con gli occhi del passato, vi sembra che si ripeta
qualcosa, che lo stesso fatto accada un’altra volta.
Da tempi immemorabili, la mente, il cervello, hanno vissuto nel conflitto
generato dal pensiero, che ha dato luogo alla separazione
tra quello che accade realmente, cioè il fatto, e l’ideale, cioè quello che,
secondo noi, dovrebbe verificarsi.
Ma l’ideale è sempre e comunque un non-fatto.
Solo ciò che è, accade realmente.

Il fatto che realmente accade è la mia angoscia, la mia paura, la mia
solitudine, la mia disperata solitudine.
Come faccio a riconoscere di essere solo?

Dico di sapere che cosa significa sentirmi solo, perché mi è già accaduto in
passato di sentirmi solo.
Così il passato determina il presente e si crea il conflitto.
Ma esiste un modo di osservare che sia completamente libero dal passato?
Certo che deve esserci! Allora il fatto non esiste più. È
colui che osserva, che pensa, che interpreta, a creare il fatto.
Prendete il fatto di arrabbiarsi. Se lo soffocate, se lo tenete a freno con
un sacco di parole e di concetti, gli state dando importanza e
lo rafforzate.

Ma se lascio perdere tutto quello che è successo in passato, il fatto
scompare! Ve ne rendete conto?
Provate; fatelo!
La causa del disordine risiede proprio nel conflitto che esiste tra quello
che accade realmente e quello che noi riteniamo dovrebbe
accadere.

Quando smettiamo di dare importanza al non-fatto, alla non-violenza, allora
non ci resta che affrontare il fatto della violenza, così
com’è.

Solo i fatti contano, mentre non ha alcun senso dare importanza ai
non-fatti.

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