Il circolo vizioso del samsara

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Il circolo vizioso del samsara

di Stephen Batchelor

Tratto da Gaia House Newsletter, autunno 2001.

Un uomo perduto in un deserto arranca per ore nella sabbia finché vede
davanti a sé un’inconfondibile traccia di orme che arrivano fino
all’orizzonte. Ma la sua gioia nel trovare una pista si muta in
disperazione quando si accorge che le orme sono le sue. Il fatto che
uno dei suoi arti è di qualche millimetro più lungo dell’altro, oppure
una radicata abitudine o una lesione subita, lo hanno portato a fare
il passo un po’ più lungo con una gamba rispetto all’altra. Di
conseguenza, ha continuato a girare sempre verso destra o verso
sinistra. Senza un sentiero o un punto di riferimento che lo guidasse,
ha tracciato un enorme cerchio mentre era convinto di camminare in
linea retta.

Il termine samsara denota la tendenza innata della vita a propendere
verso modalità ripetitive. In Tibetano è tradotto con khor ba che
significa “andare intorno in circolo”. Tradizio­ nalmente, questo
circolo vizioso è descritto come un cerchio infinito di nascita e di
morte, in cui le creature sono spinte dallo slancio delle loro azioni
nei vari regni dell’esistenza, che vanno dal paradiso all’inferno. Gli
esseri sono felici o soffrono a seconda del caso, finché i denti
aguzzi della Morte non si chiudono di scatto su di loro ed essi sono
scagliati in un altro diverso destino. Tale condizione viene definita
come “rinascere sempre di nuovo senza scelta”.

”Circolo vizioso” in tedesco si dice Teufelskreis, che significa
letteralmente “circolo del diavolo”. Proprio come una persona perduta
nel deserto, noi seguiamo ciecamente l’impulso di continuare a
lottare, ignari del fatto che il sentiero del diavolo invariabilmente
ci riporta indietro al punto di partenza. Nel corso degli anni
ritorniamo sempre alla stessa profusione di ossessioni. Sfogliamo il
volume delle nostre realizzazioni in un batter d’occhio, solo per
percepire che niente è veramente cambiato. Siamo ancora il bambino
ansioso e confuso che era partito per il viaggio. “Lungo è il periodo
di vita per gli esseri umani” afferma Mara (il diavolo) in uno dei
sutra buddhisti. “Vivi come un bambino che succhia il latte”. Succhia
il capezzolo dell’esperienza abbastanza a lungo, sembra dire, ed esso
ti offrirà ben più del semplice latte.

Il samsara crea dipendenza. Ci innalza alle vertiginose altezze
dell’estasi solo per poterci trascinare giù negli abissi della
disperazione. Eppure non esitiamo a ricominciare il circolo. Come un
fumatore coatto, non possiamo resistere al bisogno urgente di
ripercorrere i movimenti familiari e rassicuranti del comportamento
abituale, anche quando sappiamo che il risultato finale sarà l’ansioso
desiderio di ripetere l’esperienza ancora una volta. Sia che la nostra
ossessione particolare sia il cibo, o il potere, o la religione, o il
sesso, o il fare acquisti, o le droghe, il modello sottostante è
sempre il medesimo. Non importa che cosa raggiungiamo, ci sarà sempre
qualcosa di più da ottenere, che ci sta allettando giusto poco più
oltre.

Quando si fa strada il terribile sospetto che stiamo procedendo in
circolo, capiamo che cosa significa avere perso la strada. Ci siamo
incamminati su un sentiero solo perché esso slittasse
impercettibilmente verso una routine familiare e confortevole. In
quanto insidiosa deriva della vita verso modalità cicliche, il samsara
è incompatibile con un sentiero spirituale. Intraprendere un cammino
spirituale significa liberarsi dall’orbita ripetitiva di un cerchio.
Si fanno scelte senza precedenti, si abbandonano le abitudini, si
rinuncia alle consolazioni di successo e di fama, e si affrontano dei
rischi. Un sentiero spirituale porta in un territorio sconosciuto,
mentre un circolo ritorna sempre allo stesso posto. I grandi ombrosi
viali che il samsara ci offre non sono affatto sentieri spirituali.

Il samsara è il nostro anestetico contro le difficoltà contingenti e
l’intimità. Mantenendoci entro modelli ben stabiliti di pensiero e
comportamento, cerchiamo di bandire il senso della sconcertante
impermanenza e imprevedibilità della vita. Il fatto di considerare noi
stessi come un elemento auto-sufficiente di abitudini e routine ci
fornisce uno scudo contro la fastidiosa e continua incertezza della
vita. Nel limitare il nostro rapporto con gli altri ai rituali, alle
convenzioni e a giochi appropriati ai nostri ruoli, diventiamo abili
nell’eludere momenti imbarazzanti di potenziale intimità. Impariamo
come scrutare gli occhi di un altro senza vederlo, come rispondere
alle sue parole senza sentirlo. Il samsara ci rende ciechi a quegli
squarci nel mondo attraverso cui potremmo uscire dal suo circolo
vizioso e approdare a un sentiero spirituale.

“Questo è il mondo” scrisse John Keats apprendendo la notizia che il
padre di un suo amico era morto. Le circostanze sono come nubi che
continuamente si condensano e si lacerano. Mentre ridiamo, il seme di
qualche sventura viene fatto cadere nell’ampio terreno arabile degli
eventi – mentre ridiamo germoglia, cresce e improvvisamente sboccia in
un fiore velenoso che dobbiamo estirpare. Il circolo vizioso di Mara
si estende dalle condizioni ampiamente imprevedibili del tempo
atmosferico al fastidioso ciclo delle dipendenze quotidiane. Anche se
riusciamo a osservare con chiarezza queste modalità cicliche nel mondo
naturale e nella vita degli altri, la ferma convinzione che la nostra
propria esperienza sia invece costante e lineare ci impedisce di
essere consapevoli del loro svolgersi dentro di noi.

La pratica della consapevolezza implica il risvegliarsi alle modalità
del samsara che ci fanno continuare a girare sempre negli stessi
diabolici circoli. Col tempo impariamo a osservarli senza soccombere
al loro richiamo. La calma e lo spazio aperto della meditazione ci
forniscono non solo l’opportunità di capire la nostra condizione, ma
anche, il che è più cruciale, la libertà di scegliere un’alternativa.
Piuttosto che ripetere semplicemente ciò che ci è familiare, siamo
liberi di intraprendere un sentiero che apra per noi panorami senza
precedenti, facendoci vedere che cosa le nostre vite potrebbero
essere.

Traduzione di Franca Zucalli

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