GUARDARE ALLA MORTE DA UN’ALTRA PROSPETTIVA – 1

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GUARDARE ALLA MORTE DA UN’ALTRA PROSPETTIVA – 1

(PARTE PRIMA)

Di Marco Ferrini

Le grandi innovazioni della tecnologia medica e della scienza sono in grado oggi di mantenere in
vita malati per i quali in passato non vi era nessuna speranza di prolungare artificialmente
l’esistenza, pur sapendo che non ritroveranno mai più una condizione di salute e di vita
accettabili. Tale situazione viene comunemente definita “accanimento terapeutico”. La definizione di
morte cerebrale, risalente alla fine degli anni ’60, ha permesso peraltro lo sviluppo della
chirurgia dei trapianti, quando in precedenza il prelievo degli organi da un paziente con cuore
ancora battente era comunque considerato reato. Al centro dell’odierno dibattito scientifico e
sociale ci sono interrogativi sempre più cruciali: fino a che punto è giusto mantenere in vita un
corpo ormai logoro e incapace di assicurare la minima dignità all’insieme psico-fisico definito
persona?

Qual è la linea che segna il confine decisivo tra l’ineludibile assistenza medica e l’accanimento
terapeutico? La recente vicenda di Eluana Englaro ed altre simili, come quelle di Piergiorgio Welby
e di Terry Schiavo, hanno fatto riflettere il mondo intero, evidenziando l’urgenza di tale
riflessione. Il valore incomparabile della libertà, della sacralità e della dignità della vita e del
rispetto di tutte le vite, dovrebbe essere patrimonio comune di ogni corpo sociale, a prescindere
dall’orientamento scientifico o religioso individuale e andrebbe tutelato non solo nei confronti
degli umani ma verso ogni creatura vivente, anche se non umana. E’ la vita che va tutelata in ogni
sua manifestazione. Sulla base di tale imprescindibile valore comune, la scienza e la cultura
religiosa possono offrire prospettive preziose di comprensione, da cui derivare suggerimenti e
orientamenti che aiutino ciascuno di noi a ben definire le nostre scelte, poiché in ultima analisi
non può essere che il singolo individuo, nell’intimo della propria coscienza, ad essere responsabile
delle proprie decisioni, libero di autodeterminarle sempre nel rispetto delle libertà altrui.

Nel complesso contesto umano, sociale e scientifico diventa sempre più importante, e oramai urgente,
offrire informazioni e insegnamenti sul processo del morire ma anche sul post-mortem, secondo
prospettive medico-scientifiche ma necessariamente anche spirituali, umanistiche ed esistenziali,
operando con sensibilità e riguardo, affinché ciascuno possa costruirsi – liberato da intrusioni o
pregiudizi culturali – una chiara visione del proprio volere e darne esplicita ed altrettanto chiara
indicazione attraverso il testamento biologico ed altri utili strumenti che la società potrà
individuare e destinare a questo scopo. Possiamo avere migliori opportunità di auto-determinare il
nostro presente e il nostro futuro se ci apriamo ad una più profonda comprensione del fenomeno
morte, prendendo le distanze dai tanti tabù e dalle tante rimozioni dell’immaginario collettivo che
abitualmente ne ostacolano una matura elaborazione.

Infatti, solo crescendo in consapevolezza possiamo crescere in senso di responsabilità e in libertà.
A questo scopo chi scrive si sta occupando personalmente e da anni dell’assistenza ai malati
incurabili, ai parenti stretti di tali malati e a tutto il corpo medico coinvolto nella cura e
nell’assistenza, offrendo strumenti di riflessione sulla base della tradizione sociologica,
psicologica, filosofica e spirituale indovedica che può estendere in maniera significativa la nostra
percezione e concezione della persona e dell’evento morte. Il come lo si può comprendere attraverso
un tessuto continuo di considerazioni intimamente collegate fra di loro, peraltro contenute nel
testo “Psicologia del Ciclo della Vita – Esperienze oltre nascita e morte” (Edizioni Centro Studi
Bhaktivedanta).

da psicologiaespiritualita.blogspot.com/

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