Dio si annoia perche’ non ha nulla da scoprire?

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Dio si annoia perche’ non ha nulla da scoprire?

Da Tgcom.it

Stephen Hawking
L’uomo che gioca a dadi con Dio

di Francesco Specchia

Il destino del cosmo cigola, in un’umida giornata veneta, sopra una sedia a rotelle. Se ne sta
infilato in una mente potente che ha ribaltato la scienza moderna, ma avvolta in un mucchietto
d’ossa fragile e sbilenche.
“Qual è la storia dell’Universo? Ci sono sette dimensioni extra rispetto a quelle conosciute, e
stanno tutte in un piccolo spazio interno. La vita può essere possibile, quindi, in altre parti
dell’Universo. E noi viviamo nella regione entropicamente permessa, anche se penso sempre che
avremmo potuto scegliere un posto migliore”, sussurra la mente potente.

Ecco. Quando Stephen Hawking, 65 anni, l’uomo che gioca a dadi con Dio, l’erede innaturale di Albert
Einstein, il cosmologo che siede a Cambridge sulla cattedra di Isaac Newton (matematica); quando
Hawking, insomma, chiosa la sua unica lezione d’astrofisica in Italia – qualche mese fa al
Palazzetto dello sport di Padova, noi infrattati nell’evento – la commozione vela gli occhi. E
l’applauso di 4000 tra studenti da ogni dove scroscia come gli algoritmi che s’intrecciano sul suo
computer. Il computer, per Hawking, è importante. Una protesi dell’anima. Da quando, a diciott’anni,
brillante studente oxfordiano, gli diagnosticarono la sclerosi amiotropica, malattia che induce alla
paralisi neurologica progressiva, la sua vita è incollata al pc. Hawking muove un unico muscolo
facciale, dalla mandibola destra. Quando tenta di parlare gli occhi brillano ma il volto si contrae,
diventa orribile e straziante come le statue mostruose dei giardini di Bomarzo; e solo con un
impercettibile gioco di palpebre (ad oggi solo una palpebra, la destra appunto) che si riverbera in
un cursore, egli è in grado di comporre singole frasi che si riversano nel computer che, a sua
volta, le sputa fuori con un sintetizzatore vocale.

Certo, quindici parole al minuto sono poche. Mica bastano. Né per spiegare che i filosofi sono
cialtroni (dice Hawking: «Non stanno al passo coi tempi, liquidano la scienza come un dettaglio
tecnico; la filosofia rischia di diventare un gioco banale»); né per cancellare d’un botto i
caposaldi della fantascienza («Se si potesse superare la velocità della luce, si dovrebbe anche
tornare indietro nel tempo. Siccome non conosco nessuno che venga dal futuro deduco che non sia
possibile…»), proprio lui che, anni fa, si divertì ad essere ospite in una puntata di Star Trek che
divenne oggetto di culto tra i collezionisti. E che oggi, per quanto malconcio, scheletrico e quasi
immobilizzato, rivela: “Andrò nello spazio, quest’anno ho previsto un volo atmosferico, prima di
proceder a un volo spaziale in senso stretto, nel 2009”.

Né quindici parole al minuto sono sufficienti per unificare la teoria quantistica con quella della
relatività. Dice Hawking: “Oggi abbiamo una teoria candidata a superare la relatività. Stiamo
tentando la teoria M, una “teoria del tutto è possibile”, cioè una serie di teorie che riflettono la
stessa teoria fondamentale. Noi speriamo di comprendere questa teoria ed imparare così il
significato della nostra esistenza. Ma ancora la teoria M non è esprimibile direttamente, e dobbiamo
ricorrere ad una serie di approssimazioni diverse. Così forse non raggiungeremo mai la fine di
questa ricerca, e comprendere completamente l’universo. In qualche modo, sono contento di ciò. Dopo
aver trovato la teoria ultima, la Scienza sarebbe come uno scalatore dopo aver raggiunto la cima
dell’Everest. La specie umana ha bisogno di sfide intellettuali. Sarebbe noioso essere Dio, e non
aver nulla da scoprire”.

Quindici parole al minuto non bastano nemmeno per affermare che il Big Bang ha lasciato dei
fastidiosi refoli elettromagnetici in giro, o che “l’Universo è in espansione accelerata grazie a
una forza chiamata energia oscura”. Quindici parole al minuto sono un’inezia per ancorare un genio
alle inconsistenti – concordate – domande dei cronisti.
Roba tipo: cosa la ha spinta, professor Hawking, a scrivere libri di divulgazione e come pensa che
questi libri le abbiano permesso di spiegare complicate teorie astrofisiche alla gente comune
(Hawking, ribadiamo, è il divulgatore scientifico più letto al mondo)? Risposta, tenace: “Tutti ci
chiediamo da dove veniamo, e quale sia il significato della nostra esistenza. Io scrivo i miei libri
perché voglio che la gente abbia il diritto di conoscere le scoperte che la scienza fa e condivida
l’entusiasmo della scoperta”. Ed eccolo che accenna ad Albert Einstein, il precursore, il modello
incomparabile: “Nel 1915 Einstein introdusse la sua rivoluzionaria Teoria Generale della Relatività.
In essa, spazio e tempo non sono più assoluti né uno sfondo fisso per gli eventi. Invece essi sono
quantità dinamiche modellate dalla materia e dall’energia nell’universo. Esse sono definite solo
dentro l’universo, così non ha senso parlare di un tempo prima che l’universo inizi. Sarebbe come
cercare un punto più a Sud del Polo Sud. È indefinito. (ndr: questo vale anche per lo spazio. Non
esiste al di fuori dell’universo). Si va sul tecnico, insomma. Molto tecnico. L’astrofisico
riaccenna alla “materia oscura”, uno degli elementi quasi misterici su cui sta lavorando da tempo;
ma cos’è la materia oscura, qual è la sua forma, e quali sarebbero i suoi componenti? E lui, con
sforzo: “La materia ordinaria, di cui sono fatti i corpi celesti, costituisce appena il 5% della
massa dell’universo. Un altro 25% della sua massa è nella forma di materia oscura, che produce forza
di gravità ma che non possiamo vedere. Ma sembra che il 70% dell’universo sia nella forma che noi
chiamiamo energia oscura, un misterioso tipo di materia che accelera l’espansione dell’universo,
piuttosto che frenarla come fa la materia ordinaria e la stessa materia oscura. Probabilmente la
materia oscura è fatta da deboli particelle interagenti, ma l’energia oscura è più difficile da
spiegare. Potrebbe essere un campo di forze in lento decadimento oppure, come io penso sia più
probabile, ciò che si chiama l’energia del vuoto. La risposta ci deve essere data dalle
osservazioni, con nuove e più accurate misure”.

Le misure, i numeri le dimensioni, il flusso temporale, il prima e il dopo: sono concetti
insignificanti parlando con uno che ha tentato di ricreare i buchi neri in laboratorio (al Cern di
Ginevra con un acceleratore di particelle in grado di riprodurre 86.400 mini buchi neri al giorno).
Ma il cronista si crede furbo. E formula una domandina semplice semplice ma stupida stupida: è
possibile immaginare “il prima” del Big Bang? Risposta degna della domanda: “Chiedersi cosa ci sia
dopo il Big Bang è come chiedersi cosa c’è a sud del Polo Sud; è una domanda senza senso”. Ben ci
sta. E rincara la dose; aggiunge che la risposta è inconsistente non solo per la scienza, ma anche
per la filosofia (“I filosofi, come dicevo, non hanno seguito il moderno sviluppo della fisica e
biologia. Come risultato le loro discussioni sembrano sempre più datate e irrilevanti. Non è bene
ridurre la scienza ad un puro dettaglio tecnico. Darwin, la biologia molecolare e la moderna
cosmologia hanno portato un profondo cambiamento nella nostra visione di noi stessi e del nostro
posto nell’universo. La filosofia dovrebbe riflettere questo cambiamento, altrimenti è solo un
banale gioco di parole”). E la risposta è vacua anche per la religione, e per tutto il trascendente,
l’ultimo rifugio del dubbio umano: “La scienza risponde a sempre più domande che erano di solito un
monopolio della religione. La sola area restante che la religione può oggi sostenere come propria è
l’origine dell’universo, ma anche qui la scienza sta facendo progressi e dovrebbe presto fornire una
risposta definitiva su come l’universo sia iniziato”.
Però lo stesso Hawking si chiude a riccio, quando si accenna alla sua religiosità: “Questi sono
affari personali, non li discuto”.

In soldoni. Stephen Hawking rimane il più grande genio vivente, una grande massa cerebrale ambulante
che tratta piccole argomentazioni degli interlocutori come pulviscolo cosmico. Sicché, dato per
scontato lo scienziato, rimane l’uomo Hawking. Cioè colui che, nonostante una fama mondiale, due
moglie giovani e tre figli (l’apparato riproduttivo è l’unico che la malattia non ha ghermito)
ostenta sempre uno sguardo malinconico. Rimane l’Uomo che, nel retropalco di questa giornata che
racconteremo ai nostri nipoti, incrocia la sua sedia a rotelle con quelle di due fan paraplegici
anch’essi; e firma loro un libro, facendosi torcere il pollice, che timbra un’impronta sulla
risvolto di copertina: «Ora non fatevelo fregare», bofonchia. Ed è proprio osservando quell’Hawking,
così fragile e così potente, che rimbomba la frase di Shakespeare:

«Potrei essere rinchiuso in un guscio di noce e tuttavia sentirmi re dell’infinito spazio».

www.tgcom.mediaset.it/tgfin/articoli/articolo370443.shtml

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