David Bohm: un’illusione chiamata realtà

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David Bohm: un’illusione chiamata realtà

23 settembre 2011

Negli anni quaranta, Dennis Gabor, premio Nobel per la fisica, sviluppò una teoria matematica che
solo venti anni dopo, grazie allo sviluppo tecnologico, poté essere meglio esposta e compresa. Essa
infatti richiedeva l’invenzione del laser, per apparire in tutta la sua strabiliante originalità.
Stiamo parlando di quella che potrebbe rivelarsi la scoperta più sconvolgente nella storia del
pensiero scientifico contemporaneo, la quale aprirebbe scenari e possibilità mai ipotizzate prima
d’ora.

“Nel 1982” – spiega il Prof. Richard Boylan, “un équipe di ricerca dell’Università di Parigi,
diretta dal fisico Alain Aspect, ha condotto quello che potrebbe rivelarsi il più importante
esperimento del ventesimo secolo. Aspect ed il suo team hanno infatti scoperto che, sottoponendo a
determinate condizioni delle particelle subatomiche, come gli elettroni, esse sono capaci di
comunicare istantaneamente l’una con l’altra, indipendentemente dalla distanza che le separa, sia
che si tratti di dieci metri o di dieci miliardi di chilometri. E’ come se ogni singola particella
sapesse cosa stiano facendo tutte le altre.

Questo fenomeno può essere spiegato solo in due modi: o la teoria di Einstein che esclude la
possibilità di comunicazioni più veloci della luce è da considerarsi errata, oppure le particelle
subatomiche sono connesse non-localmente. Poiché la maggior parte dei fisici nega la possibilità di
fenomeni che oltrepassino la velocità della luce, l’ipotesi più accreditata è che l’esperimento di
Aspect sia la prova che il legame tra le particelle subatomiche sia effettivamente di tipo non
locale”.

Nel suo libro “La realtà quantistica”, Nick Herbert afferma che la non-localizzazione delle
particelle spiegherebbe questa loro incredibile comunicazione non mediata né da campi né da nessun
altro fenomeno (proprio perché le loro influenze e i loro contatti avverrebbero all’istante). Nessun
filosofo e nessuno scienziato avrebbe mai pensato che le categorie di spazio e tempo, si sarebbero
potute annullare così facilmente! Nonostante ciò, le quattro forze fondamentali della natura (forza
gravitazionale, forza elettromagnetica, interazione nucleare forte e interazione nucleare debole),
possono tranquillamente essere descritte senza ricorrere ai concetti della non-localizzazione.

Ma allora perché proporre questa teoria? Semplicemente perché le spiega ancora meglio!

Parlando della non-località applicata alla forza gravitazionale: come fa la terra a sapere che io ci
sono, per tirarmi verso il basso?! Oppure riguardo all’interazione nucleare forte: perché un
elettrone rimane intorno al nucleo piuttosto che andarsene altrove? Cioè, come fanno a comunicare?
Non solo…

Il modello non-locale della realtà può addirittura condurre la fisica teorica verso quello che è
stato il principale obbiettivo di Einstein: la definizione di una quinta forza, una superforza che
racchiuda e spieghi in sé tutte le altre interazioni della natura.

Nel 1964 il fisico irlandese John Stewart Bell, dimostrò l’effettiva esistenza di un mondo non
localizzato. In una prova matematica confermata da diversi esperimenti, chiamata “Teorema di Bell”,
egli dimostrò che l’ipotesi secondo cui il mondo è intrinsecamente localizzato, è assolutamente
errata. Se da tempi antichi, se non antichissimi, questa teoria si dà per scontata (considerandola
nemmeno come tale ma come dato di fatto), per lo meno in ambito esoterico, ai giorni nostri sono
veramente tanti, e aumentano a vista d’occhio, gli studiosi coraggiosi e i ricercatori
all’avanguardia che cominciano ad appoggiarla: pensiamo a Capra, Bateson, Prigogine, Laszlo,
Jantsch, Talbot ecc.. D’altronde anche eminenti fisici quali Einstein, Pauli, Bohr, Schrödinger,
Heisenberg e Hoppenheimer non erano del tutto contrari ad una visione del mondo arricchita anche da
una valenza prettamente spirituale. Arrivare però a dire che la realtà è un’illusione confermando
quanto vanno dicendo da millenni le tradizioni esoteriche, sia Occidentali che Orientali, è
veramente rivoluzionario. E’ addirittura esageratamente oltraggioso, quasi ridicolo agli occhi di
qualche scienziato legato a modelli di comprensione tradizionali – o forse verrebbe da dire
“superati” – se non fosse per la levatura scientifica di colui il quale illustrò ancora più
approfonditamente questa incredibile scoperta.

Sto parlando ovviamente di David Bohm, già collaboratore di Einstein e Professore di fisica teorica
al Birbeck College di Londra.

Da poco scomparso, e già fortemente rimpianto, Bohm, fu uno dei più illustri scienziati dell’era
contemporanea. Costui, grazie al concetto di “ologramma” è riuscito a spiegarci in termini
scientifici che cos’è il velo di maya di cui la filosofia indiana, ha sempre parlato, illuminando
gli occhi di chi ha orecchie attente.

Dalle teorie di Bohm, si evince che le energie elettromagnetiche e l’intera realtà fisica, sono
create dalla prodigiosa e “magica” natura delle particelle subatomiche, le quali, incredibilmente,
si presentano sotto il duplice aspetto di particelle e di onde. Ciò permette a tali particelle di
rimanere in contatto e di venire quindi informate a vicenda, indipendentemente dalla distanza che le
separa, la quale dunque, a questo punto, è una pura illusione. Le distanze quindi, servirebbero alla
mente, per organizzare meglio i dati sensoriali provenienti dal mondo “esterno”, esse però, tranne
che nella costruzione di questo ordine mentale, non esistono in realtà. In sostanza, secondo Bohm,
le particelle non sono entità individuali ma estensioni di uno stesso organismo, e il fatto che
appaiano separate, deriva dalla nostra incapacità di vedere la realtà nella sua interezza. Noi
vediamo solo la parte e non il tutto, non riuscendo dunque a capire che il tutto è la parte e la
parte è il tutto.

Immaginiamo un acquario, al cui interno sta nuotando un pesce. Noi non vediamo il pesce a occhio
nudo ma solo grazie a due telecamere, una posizionata di fronte all’acquario, l’altra di lato.
All’apparenza sembrerebbero due entità separate, due pesci diversi, uno visto da davanti, l’altro di
lato ma guardandoli meglio potremmo scoprire un legame interessante: quando uno si gira, si gira
anche l’altro. Ignari dell’esperimento, potremmo addirittura pensare che i due pesci comunicano tra
loro, istantaneamente e misteriosamente. Il comportamento delle particelle subatomiche è altrettanto
misterioso, e non fa che accreditare l’esistenza di un livello di realtà, del quale noi non siamo
minimamente consapevoli.

Grazie agli ologrammi prodotti dal laser, Bohm, in sostanza, è arrivato a scoprire che la minima
parte dell’ologramma di un oggetto contiene l’oggetto intero. Tutto ciò è assolutamente
sconvolgente. Se noi produciamo l’ologramma di una rosa e poi scomponiamo in piccolissime parti
quell’ologramma, non perderemmo mai l’oggetto nella sua interezza, pur avendolo più volte diviso!
Esso infatti è contenuto in ogni singola frammentazione, in ogni – a questo punto apparente –
divisione della rosa stessa.

Karl Pribram, neurofisiologo dell’Università di Stanford, ha avvalorato ancora di più la natura
olografica della realtà, grazie a numerosi studi condotti su ratti, a cui veniva asportata una parte
di cervello. Nonostante diverse e successive asportazioni infatti, i ratti continuavano a conservare
i ricordi, dei quali dunque, in seguito all’esito degli esperimenti, non si può più ammettere
un’esistenza localizzata. La stessa capacità umana di attingere all’istante, ad un qualsiasi
ricordo, tra miliardi e miliardi di informazioni contenute nel nostro cervello, non fa che
avvalorare la non-localizzazione dei ricordi, e quindi la non “catalogabilità” del tempo.

Queste importanti rivelazioni, di parte del mondo scientifico contemporaneo, che per chi ha
familiarità con l’energia e le sue incredibili manifestazioni, non sono che l’ennesima conferma di
saggezze antiche, possono dunque dirigere il mondo intero verso una convivenza migliore. Se tutto è
connesso infatti, è assolutamente controproducente da parte di un essere, provocare il dolore o
addirittura la morte di un altro essere. Ad un livello profondo di realtà infatti, Bohm direbbe
“implicito”, è come far male a se stessi.

Gli indiani parlavano di karma, ma ne parlavano già 3.500 anni fa.

Dobbiamo aspettare ancora?

Autore: Lucio Giuliodori
Fonte: luciogiuliodori.net

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