L’ORDINE IMPLICATO

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L’ORDINE IMPLICATO

di David Peat

“Tutto quello che vediamo intorno – affermò Bohm – la provincia della fisica Newtoniana altro non è
che la superficie del mondo, il suo ordine esplicato. Lì giace qualcosa di molto più profondo dal
quale si dispiega il nostro ordine esplicato”.

Il catalizzatore, di quella che fu la maggiore trasformazione della vita e del lavoro di Bohm, fu
scoperto da Saral Bohm, durante una delle loro visite in libreria. Lì, lei venne a contatto con un
libro che conteneva la frase “l’osservatore è l’osservato”. Questo suonava esattamente come quel
tipo di cose di cui, sempre, Bohm parlava nel contesto della teoria quantistica.

Saral gli mostrò The first and last freedom, (La prima e ultima libertà – Astrolabio 1969 – ndt)
scritto dal maestro indiano Jiddu Krishnamurti. Bohm lo lesse il più velocemente possibile, poi
prese in prestito altri libri dello stesso autore.

Testimoniavano l’esistenza di un pensatore che aveva visto profondamente e autenticamente
nell’essenza del problema umano. […] Avendo sognato a lungo sulla trascendenza, si apriva ora per
Bohm un passaggio verso ciò che giace oltre i pensieri. […] Entrò appassionatamente e con tutto il
cuore dentro questo irruente mondo esoterico. Nei libri di Krishnamurti trovava un’analisi chiara
della natura della coscienza e del meccanismo grazie al quale il pensatore separa se stesso – se
stessa, quale entità distaccata, indipendente. […] Le osservazioni di Krishnamurti che “il pensatore
è il pensiero” e “l’osservatore è l’osservato” colpirono Bohm in quanto somiglianti con la sua
stessa – e di Niels Bohr – meditazione sul ruolo dell’osservatore nella teoria quantistica. Bohm
aveva sperimentato personalmente il modo in cui l’osservazione di un determinato pensiero cambia il
movimento del pensiero stesso. […]

Il maestro indiano indicava una consapevolezza diretta del piano universale, lo stesso piano che
Bohm stava cercando di descrivere nella sua fisica. Non appena ebbero modo di parlare, l’energia
focalizzata di Bhom lo rese capace di penetrare e rimanere nell’ “indicibile”, allo stesso tempo
sollecitando il maestro indiano a chiarire ed espandere il suo insegnamento. […] Le sue
conversazioni con il maestro indiano erano così importanti per Bohm che ogni anno lui e Saral
andarono a Saanen, in Svizzera, dove Krishnamurti teneva i sui discorsi. Fu durante questo periodo
che Bohm gli parlò di fisica. Krishnamurti non si soffermava molto sulla scienza, o su ciò che
riguarda la musica, l’arte, la filosofia o la letteratura. In ogni caso avvisò Bohm di “cercare di
cominciare dallo sconosciuto”. Per Bohm il tema cruciale era come dissolvere i compartimenti stagni
della conoscenza e permettere che operasse qualcosa di nuovo e creativo.

Il pensiero è lo strumento grazie al quale la scienza va avanti, tuttavia, anche, il pensiero
controlla il pensatore. La più profonda intuizione scientifica si manifesta, credeva Bohm, solo
quando la mente raggiunge uno stato di così intensa energia che gli abituali modelli di pensiero
sono dissolti. Il momento creativo di un Archimede, di un Newton o di un Einstein includono la
stessa trasformazione di cui parlava Krishnamurti. […]

Egli chiedeva che il pensiero fosse spinto al suo limite, fino a quel punto in cui apre la strada a
qualcosa d’altro. Bohm, in ogni caso, credeva che il pensiero avesse ancora un ruolo significativo
da giocare. Quando “era portato all’interno dell’ordine”, poteva essere un valido strumento. Pensare
era il centro della sua vita, come avrebbe potuto portare avanti la fisica senza? Questa domanda
continuava a confonderlo. […] Bohm era consapevole di un’intensa, attenta capacità di osservazione in Krishnamurti. In particolare
aveva notato l’attenzione che Krisnhamurti dava ai movimenti degli occhi. […]

Nel 1974, quando veniva a farmi visita da Ottawa, abbiamo passato diversi giorni a parlare di
Krishnamurti. A quel tempo lo provocavo, nello spirito amabile della nostra conversazione, che fino
a quando egli stesso non avesse sperimentato lo stato di cui Krishnamurti parlava, la sua
discussione sulla trasformazione era ipotetica e vuota. A questo replicò: “beh, lasciamelo dire, ho
visto alcune delle cose di cui parla Krishnamurti. Ho guardato la realtà e ho visto che è
un’illusione.”
Molti si sono meravigliati dell’estensione del coinvolgimento con il maestro indiano. La sua
comprensione di Krisnamurti era puramente “intellettuale” o dovette anch’egli entrare in uno stato
di trasformazione?” […].

Bohm da parte sua arrivò a chiedersi perché tale trasformazione era accaduta solo a Krishnamurti…[…] era davvero libero dai condizionamenti? […]. Perché intorno a lui nessuno aveva sperimentato una
trasformazione radicale della coscienza? Per Bohm la mente è “non locale”, perché la trasformazione
non si era trasmessa? Nessuno dei suoi ascoltatori lo aveva ascoltato come si doveva? C’erano dei
problemi nella sua comunicazione? C’era qualcosa d’incompleto nel suo messaggio? […]

Guardando al passato è difficile determinarlo, ma è certo che mentre alcuni dettero il benvenuto
alla vicinanza tra Bohm e Krishnamurti, altri sarebbero stati felici di vedere il crearsi di un
dissapore tra i due. […]

Verso la fine della sua vita per esempio[Bohm], parlò delle umiliazioni che aveva subito per mezzo
di Krishnamurti il quale in sua presenza faceva delle battute taglienti sui “professori” e non aveva
compreso l’importanza del lavoro di Bohm. Se solo, pensava Bohm, Krishnamurti avesse avuto la
volontà di ascoltare le sue idee sull’ordine implicato, avrebbero magari trovato un modo di indagare
ancora più approfondito. Forse l’idea dell’ordine implicato avrebbe aiutato le persone a comprendere
quello che diceva Krishnamurti.

Tuttavia il maestro indiano non sembrò mai prendere troppo sul serio tali cose, definendole
probabilmente un altro prodotto del pensiero. Se da un lato i confini del suo ego talvolta si
dissolvevano in un’essenza o in piano ben più grandi, dall’altro l’immagine di Se impoverita di Bohm
doveva essere difesa.

“Ora sono essenzialmente libero dai miei dolori [al petto ndt] così come sono libero, su K. e quello
che dice, di prendere ciò che giusto e lasciare ciò che è sbagliato”
(da una lettera di Bohm del gennaio 1980)

Il pezzo è un mosaico di stralci tratti dal libro:
David Peat, Infinite Potential – The life and time of David Bohm – Perseus Publishing 1997
cura e traduzione di: Elsa Nityama Masetti

da www.scienzaeconoscenza.it

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