Coerenza

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Coerenza

Essere coerenti significa essere senza pensiero. E’ piu’
facile e piu’ sicuro seguire un modello di condotta senza
deviazioni, conformarsi a un’ideologia o a una tradizione,
che rischiare la pena di pensare. Obbedire all’autorita’,
intima o esteriore, non richiede discussioni, sostituisce
il pensiero, con le sue ansie e i suoi turbamenti. Seguire
le nostre stesse conclusioni, esperienze, decisioni non
crea contraddizioni dentro di noi; siamo coerenti col
nostro stesso fine; scegliamo una data via e la seguiamo,
risoluti, senza cedere.

La maggior parte di noi non cerca forse un modo di vita che
non sia troppo scomodo, in cui vi sia almeno una certa
sicurezza psicologica? E come rispettiamo un uomo che vive
secondo il suo ideale! Uomini simili, noi li prendiamo a
esempio, vanno imitati e adorati. L’approssimazione a un
ideale, pur richiedendo una certa quantita’ di fatica e di
sforzi, e’ in complesso piacevole; perche’ dopo tutto gli
ideali sono di nostra creazione, proiezioni del nostro io.
Scegliamo il nostro eroe, religioso o mondano, e lo
seguiamo. Il desiderio di essere coerenti da’ una
particolare forza, una certa soddisfazione, perche’ nella
sincerita’ c’e’ sicurezza.

Ma la sincerita’ non e’ semplicita’, e senza semplicita’
non vi puo’ essere comprensione. Essere coerenti con un
modello di condotta elaborato con cura soddisfa l’impulso
di completezza, e nella sua riuscita c’e’ conforto e
sicurezza. Lo stabilire un ideale e la costante
approssimazione a questo ideale coltiva la resistenza e
l’adattabilita’ si trova entro i limiti del modello. La
coerenza offre sicurezza e certezza, ed e’ per questo che
noi ci aggrappiamo ad essa con tanta disperazione. Essere
in contraddizione con se stessi significa vivere nel
conflitto e nel dolore.

L’io, per la sua stessa struttura, e’ contraddittorio; si
compone di molte entita’ ognuna con una maschera diversa,
ognuna in contrasto alle altre. L’intera struttura dell’io
e’ il risultato di interessi e valori contraddittori, di
molti desideri differenti a differenti livelli del suo
essere; e questi desideri generano tutti i loro opposti. Il
se stesso, l’ “io”, e’ una rete di desideri complessi, ogni
desiderio avendo il suo impulso e il suo fine, spesso in
opposizione ad altre speranze e aspirazioni. Queste
maschere sono messe secondo circostanze e sensazioni
stimolanti; cosi’, nell’interno della struttura dell’io, la
contraddizione e’ inevitabile. Questa contraddizione
all’interno di noi genera illusione e dolore e per fuggirne
noi ricorriamo a ogni maniera d’autoillusione, che non fa
che aumentare il nostro conflitto e la nostra infelicita’.

Quando l’intima contraddizione diviene insopportabile,
consciamente o inconsciamente cerchiamo di sfuggire
attraverso la morte, o attraverso la follia; o ci diamo a
un’idea, a un gruppo, a una patria, a qualche attivita’ che
assorba completamente il nostro essere; o ci volgiamo a
qualche religione costituita, coi suoi dogmi e i suoi riti.
Cosi’ questa scissione in noi stessi porta o a una ulteriore
espansione dell’io, o alla sua distruzione, la follia. Nel
tentativo di essere qualche altra cosa da cio’ che siamo,
coltiviamo la contraddizione; la paura di cio’ che e’
genera l’illusione del suo opposto e nel perseguire il suo
opposto noi speriamo di sfuggire alla paura.

La sintesi non e’ coltivare l’opposto; la sintesi non viene
dalla opposizione, perche’ tutti gli opposti contengono gli
elementi dei loro stessi opposti. La contraddizione in noi
porta a ogni specie di reazione fisica e psicologica, dolce
o violenta, accettabile o pericolosa; e la coerenza non fa
che rendere piu’ confusa e oscura la contraddizione. Il
perseguire unilateralmente un solo desiderio, un
particolare interesse, porta all’opposizione chiusa in se
stessa. La contraddizione interna porta il conflitto
all’esterno, e il conflitto indica contraddizione. Soltanto
attraverso la comprensione dei modi del desiderio c’e’
liberta’ dalla contraddizione con se stessi.

L’integrazione non puo’ mai essere limitata agli strati
superiori della mente; non e’ una cosa che si possa
imparare a scuola; non viene in essere col sapere o con
l’immolazione di se stessi. Soltanto l’integrazione porta
la liberta’ dalla coerenza e dalla contraddizione; ma
l’integrazione non e’ faccenda che fonda in uno tutti i
desideri e i molteplici interessi. L’integrazione non e’
conformarsi a un dato modello, per nobile e intelligente
che sia; deve essere affrontata, non direttamente,
positivamente, ma obliquamente, negativamente. Avere il
concetto d’integrazione significa conformarsi a un modello,
cosa che coltiva soltanto la stupidita’ e la distruzione.

Perseguire l’integrazione significa farne un ideale, una
meta che e’ una proiezione dell’io. Poi che tutti gli
ideali sono una proiezione dell’io, essi causano
inevitabilmente conflitto e inimicizia. Cio’ che l’io
proietta dev’essere della sua stessa natura, e pertanto
contraddittorio e causa di confusione. L’integrazione non
e’ un’idea, una semplice risposta della memoria, e cosi’
non la si puo’ coltivare. Il desiderio d’integrazione viene
in essere a causa del conflitto; ma pur coltivando
l’integrazione non si trascende il conflitto. Potete
nascondere, negare la contraddizione, o non rendervi conto
di essa; ma essa e’ presente, pronta a emergere alla
superficie.

Il conflitto e’ la nostra preoccupazione, non
l’integrazione. l’integrazione, come la pace, e’ un
sottoprodotto, non un fine in se’; e’ semplicemente un
risultato, quindi di secondaria importanza. Nella
comprensione dei conflitto ci sara’ non soltanto
integrazione e pace, ma qualche cosa d’infinitamente piu’
grande. Il conflitto non puo’ essere sublimato o soppresso,
e non c’e’ nemmeno un succedaneo per esso. I conflitti
vengono col desiderio, con la brama di continuare, di
divenire di piu’, il che non significa che debba esservi
una forma di soddisfazione stagnante.

“Sempre di piu'” e’ il grido costante dell’io; e’ la brama
di sensazione, tanto del passato quanto del futuro. La
sensazione e’ della mente, percio’ la mente non e’ lo
strumento per comprendere il conflitto. La comprensione non
e’ un processo verbale, ne’ mentale, percio’ non e’ cosa
dell’esperienza. L’esperienza e’ memoria, e senza parole,
simboli, immagini, non c’e’ memoria. Si possono leggere
interi volumi sul conflitto, ma cio’ puo’ non aver nulla a
che fare con la comprensione del conflitto. Per comprendere
il conflitto, il pensiero non deve interferire; ci deve
essere consapevolezza del conflitto senza il soggetto
pensante.

Colui che pensa e’ colui che sceglie, che cioe’ si schiera
invariabilmente dalla parte del piacevole, della cosa
gradita e pertanto sostiene il conflitto; potra’ liberarsi
di un particolare conflitto, ma c’e’ il terreno adatto per
un ulteriore conflitto. Colui che pensa, giustifica o
condanna, impedendo cosi’ la comprensione. Con l’assenza
del soggetto pensante, c’e’ diretta sperimentazione del
conflitto, ma non come esperienza che uno sperimentatore
subisce. Nello stato di sperimentazione non c’e’ ne’ lo
sperimentatore ne’ lo sperimentato. La sperimentazione e’
diretta; quindi il rapporto e’ diretto, non si verifica
attraverso la memoria. E’ il rapporto diretto che porta la
comprensione. La comprensione porta la liberazione dal
conflitto; e nella liberta’ dal conflitto c’e’
l’integrazione.

Jiddu Krishnamurti

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