VYASADEVA L’incarnazione letteraria di Dio

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VYASADEVA L’incarnazione letteraria di Dio

Migliaia d’anni fa egli s’impegnò per rendere accessibile
a noi oggi, la conoscenza più importante

di Satyaraja Dasa

L’antico saggio Vyasadeva, ossia Krsna Dvaipayana Vyasa, era il figlio divino di Parasara Muni e
Satyavati.
Secondo la tradizione Vaisnava, la sua missione fu quella di dividere in parti il Veda originale
(Vyasa significa “dividere”) e di scrivere testi supplementari per mettere in evidenza il messaggio
principale: la devozione a Krsna.
Questa tradizione vedica ci dice che prima dell’apparizione di Vyasa, cinquemila anni or sono la
gente poteva ricordare i Veda anche ascoltando una sola volta e poteva capirne anche le
implicazioni.

Nell’epoca attuale invece, nota come Kali-yuga, le persone sono spiritualmente meno acute e la
durata della vita e la memoria si sono ridotte. Perciò Vyasa discese in questo mondo per mettere i
Veda in forma scritta e per diffonderli dopo averli resi accessibili alla comprensione dell’uomo
moderno.
Egli compì questa potente impresa recitando centinaia di migliaia di difficili versi sariscriti
senza mai interrompersi e intanto i versi venivano scritti da Ganesa, il suo scriba.

È attribuita a Vyasadeva non soltanto la sistemazione dei Veda in quattro opere distinte (Rg, Sama,
Yajur e Atharva), ma anche la composizione di molti corollari vedici compreso il Mahabharata e lo
Srimad-Bhagavatam, la crema di tutti i testi vedici.
Lo Srimad-Bhagavatam informa che Vyasa si senti depresso dopo la compilazione del canone vedico ed
avvicinò il suo maestro spirituale, Narada, per poter comprenderne la ragione.
Narada gli rispose che nell’affrontare la vasta complessità dei Veda, aveva trascurato la vera
essenza: la glorificazione del nome, della fama, della forma, delle qualità e dei divertimenti del
Signore Supremo, Krsna.

Subito Vyasa s’impegnò a colmare questa lacuna scrivendo lo Srimad-Bhagavatam, che a ragione può
essere considerato il pinnacolo della tradizione letteraria dei Veda.
Dopo aver compiuto quest’opera imponente di stabilire i Veda in forma scritta, corredata da
spiegazioni letterarie, Vyasa si preoccupò di trasmettere questi libri in un’età che evita la
conoscenza spirituale.
Insegnò quindi i quattro Veda a quattro discepoli: a Paila, il Rg Veda; a Vaisampayana, lo Yajur
Veda; a Jaimini, il Sama Veda; e a Sumantu, l’Atharva Veda.
Egli insegnò anche le storie dell’Itihasa-Purana a Romaharsana Suta e a Sukadeva Gosvami, il figlio
di Vyasa che fu il primo a recitare pubblicamente lo Srimad-Bhagavatam. Tutti questi valenti devoti
del Signore diventarono esperti nei loro rispettivi Veda e trasmisero questa conoscenza ai loro
numerosi discepoli.
Così il messaggio si trasferì da maestro a discepolo nella successione di maestri.

LE QUALITÀ DI VYASA

Dalla letteratura vedica apprendiamo le qualità straordinarie di Vyasadeva.
Egli è identificato nel Mahabharata e nei Purana come Bhagavan, ossia la Persona Suprema, e talvolta
Egli è definito un’incarnazione di Narayana.
Nella Bhagavad-gita, Krsna afferma d’essere Vyasa tra i saggi (10.37) e Arjuna cita Vyasa come
un’autorità a proposito dell’identità di Krsna. (10.13).
Srila Prabhupada risolve la possibile confusione riguardo all’identità di Vyasa:
Vyasa è Dio solo nel senso che è uno saktyavesa-avatara, un jiva eternamente liberato (un’anima come
noi, non il Signore Supremo), in modo particolare investito di potere grazie a un’opulenza degna di
Dio.

Sia nel Mahabharata sia nei Purana Vyasa è definito:
1) un rsi, un veggente,
2) un rtvij, ossia un prete,
3) un tapa-svin, o un asceta,
4) uno yogi, ossia un mistico
5) un guru.

I Purana e il Mahabharata riferiscono esempi sull’abilità di Vyasa nel prevedere il futuro.
Lo Srimad-Bhagavatam (1.4.16-33) asserisce che egli previde il Kali-yuga incombente con la relativa
conseguente degradazione.
Nella letteratura dell’Itihasa-Purana egli viene citato ripetutamente come rtvij, ossia un “prete”.
Nel Mahabharata egli celebrò per i Pandava importanti rituali vedici, e fu sacerdote in carica
durante i sacrifici Rajasuya e Asvamedha.
Nel Mahabharata Vyasa è citato come modello di ascetismo.
Egli esibì molti poteri mistici -inclusa la sua conoscenza sovrannaturale di passato, presente e
futuro- il che si dice fosse il risultato delle sue penitenze e austerità.
Egli è in grado di apparire e scomparire secondo la sua volontà e di elargire favori e anche di
annullare maledizioni.

IL GURU ORIGINALE

Come preminente maestro di conoscenza vedica, Vyasadeva è considerato il guru originale.
Secondo il Mahabharata egli era noto come guru per coloro che condividevano con lui la conoscenza
vedica -Paila, Jaimini, Vaisampayana, Sumantu, Romaharsana Suta, Sukadeva e altri, si riferivano
tutti a lui come “il guru”.
Vyasa aveva una relazione informale di guru con i cinque principi Pandava che lo consideravano il
loro “benevolo consigliere” (mantri priyahitah). In tutti i corollari vedici, Vyasa agisce come
perfetto guru dando istruzioni a grandi personalità che appaiono in quei testi.
Fu lui a instillare nel cuore di Sukadeva Gosvami il messaggio del Bhagavatam.
Srila Prabhupada si riferisce a Vyasadeva definendolo “il precettore spirituale di tutto il genere
umano”.

In onore di Vyasa i Vaisnava celebrano una festa annuale nel giorno dell’anniversario della nascita
del loro maestro spirituale, giorno noto come Vyasa-puja.
Il guru autentico è il rappresentante di Vyasa, il guru perfetto.
Vyasa è inoltre considerato per tradizione uno dei sette ciran-jiva, o persone immortali (gli altri
sono Asvatthama, Bali, Hanuman, Vibhisana, Krpa e Parasurama).
È detto che ancora oggi Egli può essere trovato in una caverna dell’Himalaya, da ricercatori
d’eccelso merito.

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