Strategie per sopravvivere ai colleghi “tossici”

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Strategie per sopravvivere ai colleghi “tossici” (e lavorare meglio)

I colleghi hanno età, storie e soprattutto caratteri diversi. E gli esperti avvertono: per coltivare
relazioni piacevoli sul lavoro, molto di ciò che si può fare dipende da noi.

8 gennaio 2024 – Raffaella Procenzano

Non li abbiamo scelti, eppure passiamo con loro gran parte della nostra giornata: con i colleghi
collaboriamo per la riuscita di qualcosa, ci passiamo informazioni, spesso pranziamo allo stesso
tavolo. Possono essere una croce o diventare amici veri, da frequentare anche al di fuori
dell’orario di lavoro. Certo, la rete di interazioni (più o meno piacevoli) che si crea in un
ufficio, in una fabbrica e in tutti gli altri ambienti professionali è anche questione di fortuna
perché dipende dalla personalità di chi incontriamo sulla nostra strada. Ma per coltivare relazioni
piacevoli sul lavoro, secondo gli psicologi, molto di ciò che si può fare resta in mano nostra.

Perché, come affermano Elwood Chapman e Barb Wingfield, esperti statunitensi di gestione delle
risorse umane, coloro che permettono al carattere altrui di influire sul proprio atteggiamento sono
destinati a soffrire. «Con le persone che si frequentano al di fuori del posto di lavoro le cose
sono diverse», fanno notare. «Di conseguenza, alcuni si aspettano che i rapporti tra colleghi
seguano le stesse leggi della vita quotidiana, ma non è così». Presto si impara invece che essere
inseriti in un team vuol dire adeguarsi a regole non scritte per quanto riguarda tutti gli aspetti
del comportamento: il modo di vestire, di parlare, di scrivere, di muoversi e di socializzare. E
bisogna gestire le proprie debolezze e idiosincrasie in un contesto in cui a volte forma e apparenze
contano quanto, se non di più, della sostanza. Che fare, dunque?

FASTIDIOSO, MA MI PIACI. La convivenza forzata con persone che, di fatto, sono degli estranei in
effetti non è facile: i colleghi hanno età, storie e soprattutto caratteri diversi. Lo scoglio più
difficile da superare è andare al di là dei tratti personali che riteniamo irritanti (lo scorbutico,
il chiacchierone ecc.), ognuno di noi del resto ha comportamenti che non sopporta (negli altri).
Risultato: il conflitto più o meno aperto con il collega molesto sarà inevitabile e la produttività,
ovvero la “resa sul lavoro” di entrambi colerà a picco. Secondo gli psicologi bisognerebbe invece
essere capaci di mettere a fuoco soltanto la relazione di lavoro e pensare soprattutto a quella,
magari cercando di trovare i pregi della persona irritante (quasi tutti ne hanno: l’odiato vicino di
scrivania potrebbe avere anche qualità oppure, pur restando ciò che è, potrebbe essere molto capace
sul lavoro).

GRAZIE DI ESSERCI. Il primo “segreto” per una buona convivenza è praticare la “reciproca
gratitudine”. Sembra una cosa ovvia ma ringraziarsi vicendevolmente dopo aver raggiunto un buon
risultato in team (non importa se gli altri membri del gruppo sono parigrado, sottoposti o
superiori) fa la differenza. Di più: ringraziarsi è fondamentale perfino prima di cominciare un
progetto di lavoro. Lo ha dimostrato una recente ricerca condotta all’Università della California a
San Diego: a 200 studenti di marketing divisi in gruppi di lavoro è stato dato un compito
impossibile e quindi molto stressante: dovevano ideare una bicicletta da commercializzare agli
studenti del campus elaborando il relativo business plan, e tutto ciò in soli 6 minuti. I membri dei
team che si erano reciprocamente ringraziati e stretti la mano prima di cominciare hanno avuto più
idee, ma soprattutto, dato che indossavano alcuni dispositivi medicali, è stato possibile rilevare
che la loro pressione sanguigna e il battito cardiaco avevano le caratteristiche di chi affronta una
sfida e non quelle di chi invece ne è spaventato (cioè non mostravano vasocostrizione); mentre chi
non si era ringraziato era – anche dal punto di vista fisiologico – meno disposto a mettersi in
gioco.

Insomma, il consiglio giusto è considerare i colleghi una risorsa anziché un ostacolo, anche perché
osservare come si muovono gli altri, come affrontano le difficoltà, quanto sono propositivi e come
gestiscono gli errori è una continua fonte di insegnamento, soprattutto se si tratta di colleghi
esperti. E dopo averli osservati un po’ si può decidere su chi investire dal punto di vista umano e
chi invece va (se possibile) evitato.

RECITAZIONE PROFONDA. Possono perfino diventare provvidenziali: nei casi di emergenza, quelli in cui
proprio non si riesce a portare a termine il compito assegnato, molti di noi hanno almeno un collega
pronto a tirarci fuori dai guai. Gentilezza e disponibilità, dunque. E sembrerebbero scontate, come
abbiamo già detto, ma metterle in pratica non è affatto semplice. Gli esperti di psicologia del
lavoro chiamano il sistema per diventare i colleghi ideali “Deep acting” (recitazione profonda). Si
tratta di forzarsi ad assumere un atteggiamento positivo verso i compagni di lavoro “credendoci”
davvero e finché questo modo di fare non diventerà quello spontaneo.

Non basta essere gentili, dunque, bisogna intervenire sul proprio stato d’animo per cambiarlo.
Allison Gabriel, ricercatrice all’Università dell’Arizona, in una vasta ricerca condotta su 2.500
lavoratori ha dimostrato che chi riesce a mettere davvero in pratica il metodo è più felice e
soddisfatto della propria vita professionale.

Facile vero? Mica tanto: le controindicazioni non mancano. I ricercatori dell’Università della
Georgia (Usa) hanno recentemente dimostrato che la gentilezza forzata ha un costo cognitivo alto che
può portare chi la pratica a distrarsi di più sul lavoro, a causa della stanchezza mentale. Sarà
gentile sì, ma andrà a casa esausto.

NON SOCCOMBERE. Anche con tutti questi limiti, riassumendo, con i colleghi la ricetta ideale è
essere positivi, mantenere aperta la comunicazione, cercare di non essere troppo sensibili alle
differenze caratteriali, utilizzare spesso la gratificazione reciproca ed essere capaci, in caso di
controversie, di fare il primo passo per riavvicinarsi, non importa se si è dalla parte del giusto.
Per ripristinare i buoni rapporti Chapman e Wingfield suggeriscono di rivolgersi al collega con una
frase tipo: «Per quanto mi riguarda il nostro rapporto è importante e vorrei sapere che cosa posso
fare per riaggiustarlo e conservarlo nel tempo».

Insomma, occorre essere disponibili a dare di più di ciò che si riceve e soprattutto permettere
all’altro di salvare la faccia (mai quindi umiliare qualcuno anche se ha torto marcio). Bisogna poi
cercare di non reagire con rabbia ai piccoli contrattempi, perché alla fine chi perde le staffe
passa dalla parte del torto. Il suggerimento di Chapman e Wingfield è ripetere a se stessi che le
persone in gamba passano oltre con eleganza in caso di episodi spiacevoli e non si lasciano
trascinare in liti futili.

Questo non significa soccombere o lasciarsi maltrattare da colleghi “tossici”, disposti a tutto pur
di primeggiare. Innanzitutto i conflitti non vanno sepolti dentro, cercando di far finta di nulla:
in un rapporto di lavoro pensare a se stessi come vittime comporta cattivo umore, risentimento,
stress mentale e qualche volta esplosioni di rabbia. Con il collega che vuole pestarti i piedi e si
attribuisce tutti i meriti meglio passare all’azione. Il metodo migliore è prenderlo da parte e fare
un discorso che suoni più o meno così: «Per me il mio lavoro è importante quanto lo è per te il tuo.
Io non amo la competizione ma ti dico anche che non sarò la tua vittima. Non prenderti mai più gioco
di me». Molto spesso funziona e il prepotente di turno cercherà qualcun altro su cui sfogarsi.

NO AI PRIMI DELLA CLASSE. Il rapporto di lavoro più importante è naturalmente quello con il capo
che, se si incrina, va riaggiustato subito, ricordando che non tutti i capi sono a proprio agio con
lo status di “superiore” e magari tendono senza volere a mostrarsi troppo severi o troppo amiconi,
oppure – peggio – ambivalenti.

Se provare a usare il metodo del ringraziamento reciproco oppure definire con fermezza qualche
limite ovviamente dipende dalle situazioni, ma un ottimo modo per ingraziarsi un superiore è proprio
avere eccellenti rapporti con i colleghi. La capacità di lavorare bene in gruppo è sempre molto
apprezzata dai capi che (anche giustamente, visto che di solito hanno altro da fare) non vogliono e
non possono perdere tempo a dirimere controversie caratteriali tra colleghi. Attenzione poi
all’orgoglio e alla sindrome da primi della classe: chi si dà più da fare e magari porta più
risultati finisce per provare disagio guardando la bassa produttività altrui, se ne lamenta e così
finisce per perdere il sostegno degli altri membri del gruppo, e alla fine l’intero team funziona
male. In questi casi, di nuovo, occorre mettere in campo tecniche di risoluzione dei conflitti come
la comprensione reciproca, la contrattazione o la collaborazione. Sembra una corsa a ostacoli, ma ne
vale la pena: in un buon ambiente di lavoro non sembra nemmeno… di lavorare.

da focus.it

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