Quando Usare la Chemioterapia? Mai se vuoi restare in vita

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Quando Usare la Chemioterapia? Mai se vuoi restare in vita

Se hai amici o parenti che sono stati colpiti dal cancro, perché non li aiuti a documentarsi e
leggere i fatti sulla chemioterapia, così da starne alla larga e vivere più a lungo?

Chemioterapia: le statistiche ufficiali di guarigione e di sopravvivenza

Tratto dal capitolo 2 del libro on-line del dr. Giuseppe Nacci “Mille Piante per guarire dal Cancro
senza Chemio”- maggio 2009 Trieste, 21 aprile 2009

Qualsiasi forma di Chemioterapia causa un grave danno alle condizioni fisiche di coloro che si
espongono all’azione di questi “farmaci cito-tossici” che entrano nel circolo sanguigno tramite
iniezione e/o fleboclisi endovenosa (oppure per assorbimento indiretto dallo stomaco o dalla mucosa
intestinale). Questo tipo di trattamento è quindi diverso dalla Chirurgia o dalla Radio-Terapia, che
concentrano invece i loro effetti su punti o aree specifici del corpo umano (terapie “mirate”).

Negli ospedali si fa ricorso alla Chemioterapia quando c’è la possibilità che le cellule tumorali
possano essere presenti in altre zone dell’organismo oltre alla sede del tumore primario. Ma
raramente la Chemioterapia garantisce un periodo di sopravvivenza di almeno 5 anni, indicato
impropriamente come ”periodo di cura”. La Chemioterapia, in genere, arresta temporaneamente
l’anomala crescita cellulare, oppure può alleviare il dolore per qualche tempo, o allungare di poco
il tempo di sopravvivenza.

Ciò vale anche nel caso di Chemioterapia a basso dosaggio somministrata per bocca: la
somministrazione orale di queste pastiglie ha delle gravissime conseguenze, poiché il sistema
immunitario a livello gastro-intestinale è il più sviluppato di tutti, dato il carico antigenico a
cui l’organismo viene esposto: la superficie cutanea è infatti soltanto di 2 metri quadrati, la
superficie polmonare è di 80 metri quadrati, mentre la superficie gastro-intestinale raggiunge i 300
metri quadrati.

Il sistema immunitario gastro-intestinale, essendo estremamente sviluppato, giustifica l’azione di
molte vitamine date per via orale allo scopo d’indurre una immuno-stimolazione specifica o
aspecifica verso particolari antigeni naturali presenti in alcune specie di piante (vedi cap.9), ma
spiega anche la sua estrema vulnerabilità alla stessa chemioterapia, poiché questa conduce ad una
graduale alterazione dei tessuti della mucosa intestinale (soprattutto del colon) a causa della
morte dei linfociti presenti nei linfonodi mesenterici, nelle Placche di Peyer, nella Lamina
propria.

Questa alterazione determina non solo la graduale alterazione della funzionalità del tessuto
linfatico presente sulla mucosa intestinale, ma anche il graduale blocco delle strutture
linfo-immunitarie poste a distanza, con loro successivo esaurimento funzionale.

Raramente si può parlare di “remissione”: ad esempio, nel 1986, sul British Medical Journal,
Kearsley prendeva in considerazione il cancro in fase avanzato del polmone, dell’intestino, della
mammella, della prostata, della testa e del collo, della vescica, quello endometriale e infine
quello pancreatico, dimostrando già allora il sostanziale fallimento di questo approccio
terapeutico, essendo la Chemioterapia curativa solo nel 6 per cento dei casi su oltre 785.000 casi
studiati, e nel 13 per cento di tutti i casi di cancri (356.250) considerati “curabili [Kearsley
J.H.: Cytotoxic chemotherapy for common adult malignancies: “the emperor’s new clothes” revisited,
British Medical Journal, Vol. 293, 1986, pp.: 871-876 ALLEGATO 1 ].

Esistono circa 60-70 farmaci citotossici in commercio in tutto il mondo. Alcuni di questi causano
meno problemi di altri come: insonnia, spossatezza, diarrea, alopecia, stomatite, leucopenia,
piastrinopenia, anemia, nausea, vomito…

Questi sono gli effetti collaterali immediati e conosciuti perché visibilmente riscontrabili. Ciò di
cui raramente si parla sono gli effetti più gravi e più duraturi, le cui conseguenze deteriorano
profondamente la vita del paziente e il decorso stesso della sua malattia, rendendo inutili persino
le terapie basate sull’immuno-stimolazione dei linfociti Natural Killer, sull’attività apoptosica e
detossificante di estratti di piante mediche.

Questi danni profondi e irreversibili, di cui raramente si discute, sono i seguenti:

1) grave riduzione, stabile e duratura, del numero di particolari tipi e sottotipi di globuli
bianchi, indispensabili alla risposta immunitaria specifica contro il tumore.

2) mutazioni cellulari di tipo somatico, con comparsa di altri tumori secondari e/o metastasi.

3) mutazioni cellulari di tipo germinale (testicoli oppure ovaie), con comparsa di sterilità, aborti
o di bimbi malformati in quei casi di genitore sopravvissuto alla Chemioterapia e al Cancro.

4) accelerazione della crescita del tumore, anziché una sua riduzione, con comparsa di resistenza
crociata del tumore ad altri veleni (pompa glicoproteica di membrana).

La Chemioterapia è quindi controindicata in maniera assoluta in qualsiasi forma di associazione alla
Immuno-Terapia.

La Chemioterapia è infatti gravemente depletoria soprattutto nei confronti dei linfociti, di cui è
stata riconosciuta la buona capacità di identificazione e di distruzione di masse tumorali mediante
Immuno-Terapia specifica anti-neoplastica.

Si può infatti affermare che saranno solo e soltanto le difese immunitarie del paziente stesso a
risolvere la patologia neoplastica, portandolo così ad una completa guarigione dal Cancro.

La Chirurgia e la Radio-Terapia devono essere considerate soltanto come tecniche o metodiche
d’appoggio capaci di eliminare una certa quota della massa tumorale primitiva e delle sue metastasi,
fermo restando che nessuna di queste due componenti deve essere considerata causa di guarigione
finale del paziente dal tumore: l’eventuale ed effettiva guarigione del paziente dal proprio tumore
dipenderà solo e soltanto dalla capacità delle difese immunitarie di riconoscere e distruggere in
maniera selettiva e radicale il tumore stesso.

L’Immuno-Terapia nega pertanto alla Chemioterapia qualsiasi valenza curativa e di guarigione nei
confronti del tumore. Da circa dieci anni si sta assistendo però alla commistione di Immuno-Terapia
associata con Chemioterapia: nella fattispecie, impiegando Anticorpi Monoclonali prodotti per
ingegneria genetica dalle Multinazionali Chemio-farmaceutiche in associazione con Chemioterapia…con
risultati superiori alla semplice Chemioterapia. Ma va ribadito che Anticorpi Monoclonali usati da
soli in tumori diffusi, senza Chemioterapia, ottengono in genere risultati superiori.

Ad esempio, nel 1999 venne addirittura dimostrato che Anticorpi Monoclonali (anti HM1.24), usati
senza Chemioterapia, in animali affetti da Mieloma Multiplo, determinavano l’attivazione di una
efficace risposta immunitaria globale contro il Mieloma Multiplo stesso (Maasaki, Blood, vol.93,
No.11, June 1, 1999, pp. 3922-3930), e capaci di indurre, in animale, risposta immunitaria
cito-tossica mediata da linfociti, con regressione completa di malattia, anche se presa in stato
avanzato.

Si può pertanto affermare che è stato già dimostrato in letteratura medica il fallimento sostanziale
della Chemioterapia per quasi tutte le forme tumorali: la Chemioterapia riduce la massa tumorale,
sia pure al gravissimo prezzo di arrecare danni estesi a tutti gli organi e ai tessuti del paziente,
determinando:

1) insufficienza midollare (con la conseguenza di infezioni e di caduta di difesa immunitaria contro
il tumore stesso),

2) insufficienza epatica e renale,

3) possibile evoluzione in fibrosi polmonare con insufficienza respiratoria,

4) danni cardiaci e ai vasi ematici,

5) leucemie e cancri secondari in percentuale variabile.

In ogni caso, la ripresa neoplastica avviene quasi sempre, spesso caratterizzata da resistenza
crociata delle cellule tumorali ad altri farmaci chemio-terapici, in cicli di Chemioterapia
successiva di seconda o terza linea, fino ad essere definita alla fine, in termini del tutto
inappropriati, “Chemioterapia di salvataggio”: in realtà una Chemioterapia finale e distruttiva,
eseguita con farmaci chemioterapici di vario tipo, che non riescono mai a salvare il paziente, né
tanto meno a condurlo a guarigione effettiva….”

Nel 1975, il prof. Hardin Jones, dell’Università della California, dimostra per la prima volta, in
uno studio su ampia scala durato 23 anni, che per gli ammalati di Cancro che si sono rifiutati di
sottoporsi a Chirurgia, Radio-Terapia, e chemioterapia, (comunque con alimentazione libera, senza
diete particolari), la sopravvivenza media è di 3-4 volte più alta, rispetto a quelli che si sono
sottoposti a trattamenti medici standard come Chirurgia, Radio-Terapia e Chemioterapia [Walter Last,
“The Ecologist”, vol. 28, No. 2, marzo/aprile 1998].

Tale constatazione è stata confermata, da allora, più volte nella letteratura medica, ad esempio per
cancro della mammella dove la sopravvivenza media è di 12 anni e mezzo [The natural history of
breast carcinoma in the elderly: implications for screening and treatment, Cancer 2004; 100(9),
pp.:1807-1813, http://www.mednat.org/cancro/MORGAN_%20cancer_no_chemio.pdf ], mentre quelli che si
sono sottoposti a trattamenti medici standard (Chirurgia, Radio-Terapia e Chemioterapia), sono morti
in media entro 3 anni.

Ancora, nel 1990, il prof. Ulrich Abel, dell’Università di Heidelberg affermava: “…sebbene i farmaci
chemioterapici portino ad una “risposta”, cioè ad una diminuzione di massa del tumore, questa
riduzione non produce un prolungamento della sopravvivenza del paziente; anzi, il cancro ritorna più
aggressivo di prima, poiché la Chemio favorisce la crescita di ceppi tumorali resistenti. Inoltre la
Chemio danneggia gravemente le difese dell’organismo, tra cui il sistema immunitario, spesso i reni
e il fegato….”. Secondo i dati presentati dal dott. Abel, i pazienti trattati con Chemioterapia
hanno risultati significativamente minori, in termini di sopravvivenza, rispetto a pazienti trattati
con la medicina convenzionale, raggruppati e confrontati per tipo e stadio di tumore.

Abel afferma: “…Un’analisi bilanciata e imparziale della letteratura medica mostra un indice di
successi terapeutici quasi nullo nei trattamenti impiegati convenzionalmente per la cura delle forme
avanzate dei tumori solidi”…[Chemothrapy of advanced epithelial cancer: a critical survey.
HippokratesVerlag, Stuttgart, 1990; Healing Journal, No.1-2, Vol.7, 1990]; [U. Abel, Lancet, 10
agosto 1991]. Chemioterapia di Carcinomi in Stadio Avanzato (Un inventario critico)

Nel 1991, l’oncologo Albert Braverman scrive: “…nessun tipo di tumore solido che era considerato
incurabile nel 1975 è curabile oggi. Molti oncologi raccomandano la Chemioterapia per praticamente
qualsiasi forma di tumore, con aspettative che il sistematico fallimento non scoraggia…” [A.
Braverman: Medical Oncology in the 90s, Lancet, 1991, vol. 337, pp. 901].

Nel 1996, così scriveva Edward G. Griffin su “World Without Cancer, dell’American Media Publication:
”….i nostri protocolli chemio più efficaci sono in realtà gravidi di rischi, di effetti collaterali
e di problemi. Dopo che tutti i pazienti che abbiamo curato ne hanno pagato le conseguenze, solo
un’esigua percentuale di essi viene ricompensata da un effimero periodo di regressione tumorale,
generalmente parziale…”.

Quando la Chemioterapia è utile

La Chemioterapia è utile soltanto nel 1,5 per cento (uno virgola cinque per cento) dei casi secondo
una commissione OMS del 1980. Secondo una rassegna di 1.500 pubblicazioni scientifiche effettuate
dal prof. Jones dell’Università della California, tale percentuale di successo sale al 2 per cento.

Molto più ottimista l’Istituto Gerson, che giunge a stimare una percentuale di successo
(sopravvissuti a cinque anni dalla diagnosi) addirittura del 15 per cento, con un fallimento
sostanziale però dell’85 per cento dei casi, fallimento che sale al 93 per cento nel caso dei tumori
dell’intestino, al 97 per cento nel caso di tumore al fegato, al 99 cento di fallimento se tumore al
pancreas (749, 750, 1360-1364).

Ma secondo un recente studio australiano pubblicato nel 2004 [Morgan G.: The contribution of
cytotoxic chemotherapy to 5-year survival in adult malignancies, Clinical Oncol., 2004, 16, pp.:
549-560], che ha analizzato tutti gli studi clinici condotti in Australia e in America (USA), per
ben 14 anni, cioè dal gennaio 1990 al gennaio 2004, è risultato invece che la Chemioterapia è
efficace solo nel 2 per cento dei casi. Questi risultati, usciti dallo spoglio di un campione
immenso e più che rappresentativo di circa 227.800 casi di tumore, sono a dir poco catastrofici.
www.mednat.org/cancro/MORGAN.PDF.

Validità dubbia delle statistiche ufficiali

Le statistiche ufficiali di riuscita del successo terapeutico delle terapie standard attuali non
hanno alcun fondamento:

Moss R.: “Questioning chemotherapy: a critique of the use of toxic drugs in the treatment of
cancer”, Equinox press, 1995, ISBN 188192525x

Anderson J.R.: Analysis and interpretation of the comparison of survival by treatment outcome
variable in cancer clinical tirals, in: Cancer Treatment Rep., vol. 69, pp.: 1139-1144, 1985 Becker
N.: Time trends in cancer mortality in the Federal Republic of Germany: progress against cancer?,
in: Int. J. Cancer, vol. 43, pp.: 245-249, 1989

Berlin J.A.: An assessment of publication bias using a sample of published clinical trials, in:
J.AM.Statistic Assoc., vol. 84, pp.: 381-392, 1989 Cohen M.H.: Prognostic factors may account for
the increase survival of advanced ovarian cancer patients receiving high dose intensity
chemotherapy, Abstract No. 614, in: Proc. Am. Soc. Clin. Oncol. Vol. 9, pag. 158, 1990 J.E.:
Interpreting cancer survival rates, in : Science, vol. 195, pp.: 847-851, 1977

Hankey B.F.: Black/white differences in bladder cancer patient survival, in: J. Chron Dis., vol. 40,
pp.: 65-73 Hughes M.D.: Stopping rules and estimation problems in clinical trials, in : Statist. In
Med., vol. 7, pp.: 1231-1242.

Nel 1985, il prof. John Cairns dell’università di Havard pubblica una critica devastante su
Scientific American: “…a parte rari tipi di leucemia, non è possibile rilevare alcun significativo
cambiamento dell’incidenza di morti per cancro a seguito dell’uso su ampia scala della
Chemioterapia. Non ci sono evidenze scientifiche che la Chemioterapia possa curare i vari tipi di
cancro che oggi affliggono la società…”.

Nel 1987, 42 parlamentari del Congresso USA chiedono che si faccia chiarezza sulle terapie
alternative che potrebbero essere usate per la cura del Cancro. Tra le altre cose, viene fatto
notare che neanche la Chirurgia è approvata come trattamento per il Cancro, poiché neanche uno
studio con il tradizionale gruppo di controllo è stato mai effettuato per valutarne i risultati a
lungo termine. Neanche la Chemioterapia è approvata: è solo in fase sperimentale da ormai 50 anni.

In sostanza:

Buona “Incidenza di Risposta” vuol dire solo che il tumore si è soltanto ridotto di volume, ma non
vuol dire che è stato debellato. “Risposta”: vuol dire: diminuzione del volume della massa tumorale
nota. “Incidenza di Risposta”: percentuale di pazienti in cui si osserva, nei mesi successivi alla
Chemioterapia, una diminuzione della massa tumorale nota. “Durata di Risposta”: vuol dire quanto
tempo dura tale riduzione di massa tumorale. “Risposta Completa” massa tumorale non più rilevabile
alle indagini diagnostiche. “Risposta Parziale”: riduzione della massa tumorale del 50 per cento.

Gli studi ECRI (Emergency Care Research Institute) affermano che l’ “Incidenza di Risposta”, cioè la
riduzione di massa tumorale a seguito della Chemioterapia, non si correla affatto con il
“Prolungamento della sopravvivenza della vita del paziente”. “Remissione” non significa affatto
“sopravvivere più a lungo”.

La letteratura medica inerente alla Chemioterapia non usa mai termini quali: “guarigione” e “qualità
della vita”. Viceversa, nella letteratura medica su Chemioterapia Intensiva e Trapianto di Midollo
Osseo per casi di cancro con metastasi, le statistiche pubblicate fanno spesso apparire i risultati
come migliori di quanto lo siano in realtà.

Ad esempio, vengono esclusi dalle statistiche quei pazienti che muoiono a causa delle infezioni
subentrate subito dopo il trapianto di midollo osseo, non attecchito, con fallimento quindi del
trapianto. Questi pazienti vengono definiti dai ricercatori con il termine di “decessi prematuri”.

Ad esempio, l’incidenza di decessi prematuri nelle donne con metastasi alla mammella è stata
riportata in 31 studi pubblicati dal 1984 al 1994. La media era del 10 per cento negli studi fatti
dal 1992 al 1994. Viceversa sale al 17 per cento considerando solo gli studi del 1994. In altri
casi, i pazienti morti per un’infezione non risultano morti per il cancro, e compaiono invece nel
numero dei pazienti “guariti”.

Costo economico della Chemioterapia: si ritiene che la Chemioterapia costi allo Stato italiano
DIVERSI miliardi di Euro l’anno.

STATISTICHE UFFICIALI

Analizziamo adesso i tempi di sopravvivenza, dopo Chemioterapia, di vari tipi di tumori maligni
(Astrocitomi di quarto grado, Cancri del Capo e del Collo, Cancro del Polmone a grandi e piccole
cellule, Cancro della Mammella, Cancro dello Stomaco, Cancro del Pancreas, Cancro del Rene, Cancro
della Prostata, Cancro dell’Ovaio, Cancro dell’Utero, Cancro del Colon-Retto, Leucemie mieloidi e
linfatiche, acute e croniche, Mieloma Multiplo, Linfoma di Hodgkin/NON Hodgkin.

Tumori al cervello

La percentuale di sopravvivenza a 5 anni, dopo Chemioterapia, nel caso di astrocitomi di quarto
grado (glioblastoma multiforme) è appena del 4-5%. [McLendon R: Cancer, 98 (8), pp.: 1745-1748, 2003
ALLEGATO 2 ]. In 30 anni, dice l’articolo scientifico, tale valore non è migliorato di un solo
punto.

Carcinomi della regione testa/collo

Molti lavori dimostrano che la Chemioterapia post-operatoria non apporta alcun prolungamento della
vita rispetto ai pazienti non trattati con Chemioterapia, comunque con alimentazione libera, senza
diete particolari [Stell P.M.: Br. J. Cancer, vol. 61, pp. 779-787, 1990 ALLEGATO 3] ; [Chalmers T.
in: De Vita: “Cancro, principi e pratica dell’oncologia”, Lippincott and Co, Philadelphia , 4.a
edizione, pp 235-241, 1993].

Altri lavori dimostrano, su un totale di 23 studi su Chemioterapia pre-operatoria e Chemioterapia
post-operatoria, che non c’è alcuna differenza fra gruppi trattati e quelli non trattati (comunque
con alimentazione libera, senza diete particolari).

[Tannock I.F.: J.Clin. Oncol., Vol. 6, pp.1337-1387, 1984];

[Clark J.R.: Seminars in Oncology, vol. 15, Suppl. 3, pp. 35-44, 1988];

[Dodion P.: Raven Press, New York, pp. 525-547, 1986];

[Choski A.J.: Seminars in Oncology, vol. 15, Suppl. 3, pp. 45-49, 1998];

[Schantz S.P. : in : De Vita V. “Cancro, principi e pratica dell’oncologia”, Lippincott and Co,
Philadelphia, 4 a. edizione, pp. 574-630, 1993];

[Jacobs C.: J. Clin. Oncol., vol. 8 pp. 838-847, 1990 ALLEGATO 4].

Infine, secondo un recente lavoro del 2004, che ha preso in considerazione oltre 7.500 pazienti,
soltanto il 2,5 per cento di loro erano ancora vivi dopo 5 anni dall’inizio della Chemio (Morgan G.:
The contribution of cytotoxic chemotherapy to 5-year survival in adult malignancies, Clinical
Oncol., 2004, 16, pp.: 549-560 www.mednat.org/cancro/MORGAN.PDF).

Carcinoma del polmone a cellule non piccole

Per il carcinoma del polmone a cellule non piccole in stadio avanzato non esistono indicazioni di un
evidente influsso sulla prognosi esercitato dalla sola Chemioterapia [Abel U.: Biomed and
Pharmacother, vol. 46, 1992, aggiorn. 1995, pp. 439-452]. Chemioterapia di Carcinomi in Stadio
Avanzato (Un inventario critico)

Nel caso del carcinoma bronchiale a cellule non piccole, vengono evidenziati in alcuni studi
miglioramenti della sopravvivenza non significativi statisticamente, che sono così limitati che non
giustificano l’impiego di terapie tossiche come da Chemio. Ad esempio, non si evidenzia alcun
vantaggio significativo tra Chemioterapia precoce aggressiva e Chemioterapia ritardata, essendole
mediane di sopravvivenza di appena 193 giorni contro 175 giorni. [Lad T.E.: Immediate versus
postponed combination chemotherapy (CAMP) for unresectable Non-Small Cell Lung Cancer: a randomized
trial, Cancer Treatment Reports, Vol. 65, No.11-12, 1981 ALLEGATO 5].

Queste valutazioni sono condivise anche dagli autori di numerosi altri lavori:

[Bakowski M.T.: Cancer Treatments Reviews, vol.10, pp. 159-172, 1983, ALLEGATO 6];

[Mitrou P.S.: Atemw.-Lungenkrhk., vol. 12, pp. 544-549, 1986];

[Rankin E.M.: Slevin and Staquet, Studi randomizzati del cancro: un inventario critico per
locazioni, Raven Press, New York, pp. 447-492, 1986];

[Liu R.J.: Seminars in Oncol., vol. 20, pp. 296-301, 1993];

[Hansen: J.Clin. Oncol., vol. 5, pp. 1711-1712, 1987];

[Browen M.: in: Rosenthal S.: “Supporto medico del paziente con cancro”, W.B. Saunders Co,
Philadelphia, pp. 200-215, 1987].

Anche in tempi recenti, le percentuali di sopravvivenza non cambiano:

in un lavoro giapponese del 2002, su 41 pazienti, sottoposti a Chemioterapia con impiego di
Radio-Terapia, la sopravvivenza a 3 anni è di 24 per cento e a 5 anni è del 10 per cento [Ikuo
Semine: Phase II study of twice-daily high-dose thoracic radiotherapy alternating with Cisplatin and
Vindesine for unresectable stage III Non-Small-Cell Lung Cancer: Japan Clinical Oncology Group Study
9306, Journal of Clinical Oncology, Vol. 20, No.3, 2002, pp.: 797-803].

In un altro lavoro successivo, sempre giapponese, del 2004, su 70 pazienti indagati, sottoposti a
Chemioterapia e a Radio-Terapia, una Completa Risposta si evidenziò solo in 2 pazienti, con una
percentuale di sopravvivenza, per tutti i pazienti, a 2 anni del 33 per cento [Yukito Ichinose:
Uracil/Tegafur plus Cisplatin with concurrent Radioterapy for locally advanced Non-Small-Cell Lung
Cancer: a Multi-institutional Phase II Trial, Clinical Cancer Research, Vol. 10, 2004, pp.:
4369-4373].

In un lavoro olandese, del 2004, su 57 pazienti sottoposti a Chemioterapia da sola, senza
Radio-Terapia, i risultati finali non cambiano: il 50 per cento dei pazienti era ancora vivo dopo 4
mesi circa; la percentuale di sopravvissuti dopo un anno era però già scesa al 32 per cento e nel
dicembre del 2002, dopo 2 anni e mezzo dall’inizio della terapia, erano già tutti morti [F.M.
Wachters: Phase II Study of docetaxel and carboplatin as second-line treatment in NSCLC, Lung
Cancer, 2004, Vol. 45, pp.255-262].

Carcinoma bronchiale a piccole cellule

George e altri, nel 1986 scrivevano: “…con solo modeste percentuali di remissione, incapacità a
lungo termine di azione palliativa (contenimento dei sintomi di malattia), ed un modestissimo numero
di sopravvissuti a 2-3 anni di distanza anche tra i pazienti presi negli stadi iniziali di malattia,
nessun trattamento con Chemio può essere considerato standard per il carcinoma del polmone a piccole
cellule [George TK, in : Cancer, vol. 58, pp. 1193-1198, 1986, ALLEGATO 7].

Nel decennio successivo, Klastersky (1995) fece un riassunto dei più importanti studi che erano
stati seguiti: “…recentemente, sono stati tentati numerosi diversi regimi chemioterapici, nella
speranza di migliorare i risultati aumentando l’intensità della dose. Tutti questi sforzi, dal più
estremo (Chemioterapia con trapianto di midollo osseo) al più semplice (raddoppiamento delle dosi),
sono falliti. Nessun risultato significativo è stato ottenuto per aumento delle dosi chemioterapiche
nel trattamento del carcinoma del polmone a piccole cellule, né per combinazione di singoli agenti…”
[Klastersky J., in Seminars in Oncology, vol. 22, Suppl. 2, pp. 11-12, 1995].

Kokron (1982) osservava: … “nel gruppo di controllo non trattato con Chemioterapia (comunque con
alimentazione libera, senza diete particolari, n.d.t.), evidenti vantaggi erano relativi alla
qualità della vita a seguito dell’assenza degli effetti collaterali dei chemioterapici e della più
breve durata della fase terminale della malattia…” [Kokron O., in : Onkologie , vol. 5, pp. 56-59,
1982].

Secondo un recente lavoro del 2004, che ha preso in considerazione circa 28.000 pazienti, (sia
cancro a piccole cellule che cancro non a piccole cellule), solo il 2 per cento di loro era ancora
vivo dopo 5 anni dall’inizio della Chemio (Morgan G.: The contribution of cytotoxic chemotherapy to
5-year survival in adult malignancies, Clinical Oncol., 2004, 16, pp.: 549-560
www.mednat.org/cancro/MORGAN.PDF).

Cancro della mammella

La letteratura medica è piena di lavori che dimostrano la sostanziale inutilità della Chemioterapia
nella cura del carcinoma mammario.

[Chlebowski R.T.: A decade of breast cancer clinical investigation: results as reported in the
program/proceedings of the American Society of Clinical Oncology, Journal of Clinical Oncology, Vol.
12, No.9, 1994, pp.: 1789-1795 ALLEGATO 8];

[A prospective randomized trial comparing Epirubicin monochemotherapy to two Fluorouracil,
Cyclophosphamide, and Epirubicin regimens differing in Epirubicin dose in advanced breast cancer
patients, Journal of Clinical Oncology, vol.9, No.2, 1991, pp.: 305-312 ALLEGATO 9];

[Hoogstraten B.: Combination chemotherapy and adriamycin in patients with advanced breast cancer, a
Southwest Oncology Group Study, Cancer, 38, pp.. 13-20, 1976 ALLEGATO 10];

[Petru E.: No relevant influence on overall survival time in patients with metastatic breast cancer
undergoing combination chemotherapy, J.Cancer Res.Clin.Oncol., 1988, No: 114, pp.: 183-185 ALLEGATO
11];

[Romero A: Vinorelbine as first-line Chemotherapy for metastatic breast Carcinoma, Journal of
Clinical Oncology, Vol. 12, No.2, 1994, pp.:336-341];

[Walters R.S.: Arandomized trial of two dosage schedules of mitomycin C in advanced breast
carcinoma, Cancer,1992, Vol. 69, No.2, pp. :476-481 ALLEGATO 12].

A fronte di tutto ciò, studi multicentrici di sperimentazioni cliniche su donne affette da cancro al
seno, pubblicati nel 2003-2004, in merito agli esiti di combinazioni varie di Chemio-Terapie,
riportano esiti totalmente inconcludenti: ad esempio con tempo libero di malattia di circa 5 mesi, e
mediana di sopravvivenza di 15 mesi [Fumoleau P.: Multicentre, phase II study evaluating
capecitabine monotherapy in patients with anthracycline and taxane-pretreated metastatic breast
cancer, Eur. J.Cancer, 2004; 40(4), pp:536-542 ALLEGATO 13],

oppure, nella cosiddetta “chemio di salvataggio”, con mediane di sopravvivenza libera di soli 8
mesi, con tempo medio di risposta di 4 mesi, e una progressione di malattia entro 5 mesi [Full dose
paclitaxel plus vinorelbine as salvage chemotherapy anthracycline-resistant advanced breast cancer:
a phase II study, J.Chemother. 2003,15(6),pp.:607-612],

oppure, con tempi di sopravvivenza libera da progressione di malattia di 3 anni con mediana di
sopravvivenza di circa 1 anno [Humphreys: Phase II study of docetaxel in combination with epirubicin
an protracted venous infusion 5-fluorouracil (ETF) in patients with recurrent or metastatic breast
cancer. A Yorkshire breast cancer research group study, Br.J.Cancer, 2004, 90(11),pp.:2131-2134,
ALLEGATO 14],

oppure con mediana di sopravvivenza di 2 anni [Capecitabine plus paclitaxel as front-line
combination therapy for metastatic breast cancer: a multicenter phase II study,
J.Clin.Oncol.2004,22(12),pp: 2321-2327],

oppure con sopravvivenza libera da progressione di malattia di 8-10 mesi, con mediana di
sopravvivenza di 18-19 mesi [Phase III study of intravenous vinorelbine in combination with
epirubicin versus epirubicin alone in patients with advanced breast cancer: a Scandinavian Breast
Group Trial, J.Clin.Oncol.2004, 22(12),pp.:2313-2320].

Infine, l’impiego “compassionevole” della Chemioterapia somministrata per bocca: “…An open-label,
non randomized, compassionate-use study was carried…”[Oral capecitabine in anthracycline and
taxane-pretreated advanced/metastatic breast cancer, Acta Oncol.,2004,43(2), pp.:186-189].

Secondo il dott. Ulich Abel, non vi è nessuna evidenza diretta che la Chemioterapia prolunghi la
sopravvivenza; ciò è particolarmente degno di nota, poiché tutte le donne affette da tumore al seno
vengono sottoposte a Chemio sia prima che dopo il trattamento chirurgico [Chemotherapy of advanced
epithelian cancer, Healing Journal, No.1-2, Vol. 7, 1990, Gerson Institute.
http://www.macrolibrarsi.it/libri/__chemioterapia_di_carcinomi_in_stadio_avanzato.php]

Il dott. Nelson Erlick, direttore dell’ECRI (Emergency Care Research Institute), effettuò nel marzo
1996 un’approfondita analisi degli studi pubblicati dalla letteratura medica sul cancro della
mammella fino all’anno 1994. Furono studiati 1.500 lavori scientifici.

Basandosi su tutti i dati disponibili, risultò che:

1) Nella fase iniziale della Chemioterapia c’è una “Incidenza di Risposta” più elevata con
Chemioterapia Intensiva e Trapianto di Midollo Osseo che con la Chemioterapia standard. Cioè: la
massa del tumore diminuisce (“Incidenza di Risposta”). Però la “Risposta” non dura a lungo e il
cancro ricomincia successivamente a progredire.

2) La Chemioterapia standard offre alle pazienti con metastasi del cancro alla mammella un “Tempo di
Risposta” più lungo (cioè il numero di mesi nel quale la diminuzione della massa tumorale dura più a
lungo), e inoltre più pazienti sopravvivono per un anno rispetto a quelli trattati con Chemioterapia
Intensiva e Trapianto di Midollo Osseo.

3) La ricerca scientifica su Chemioterapia Intensiva e Trapianto di Midollo Osseo non ha ancora
identificato alcun sotto-gruppo della popolazione in cui tale trattamento può garantire un periodo
di non-progressione del cancro che sia maggiore di quello dei gruppi di controllo.

Fino ad ora, la letteratura medica non ha mai affermato che la Chemioterapia Intensiva e Trapianto
di Midollo Osseo possa comportare la guarigione da cancro della mammella. La Chemioterapia Intensiva
e Trapianto di Midollo Osseo comporta però un guadagno di circa 150-200 mila Euro-dollari per ogni
trapianto di midollo osseo.

Senza considerare però l’elevata percentuale di decessi nei mesi successi al trapianto di midollo
osseo, a causa di infezioni mortali da germi, sopravvenute nelle pazienti prive, in quel momento, di
difese immunitarie adeguate, causa la pesante Chemioterapia effettuata e la mancanza di midollo
osseo attivo, poiché non ancora attecchito, nonostante il trapianto effettuato nelle settimane
precedenti.

Su questo fatto, è importante far rilevare che sul Wall Street Journal del 17 novembre 1994, in un
articolo di copertina che descriveva la pressione politica esercitata sulle compagnie assicurative,
affinché pagassero per i trapianti di midollo osseo in caso di tumore al seno di stadio avanzato,
gli esperti fornivano anche qui rapporti totalmente negativi su questo tipo di approccio.

Sempre a proposito invece di tumori della mammella in fase iniziale, Phillip Day, nel suo celebre
libro “Cancro: se vuoi la vita prepara la verità”, alle pagine 20 e 21 riporta l’incredibile
testimonianza del Dott. Irwin Bross del Roswell Memorial Park Institute di New York, testimonianza
che si riporta per intero:

“…Se si è una donna, alla quale è stato diagnosticato un tumore al seno in fase iniziale (cioè senza
evidenza di metastasi), c’è un semplice dato scientifico che bisognerebbe conoscere. Quando un
patologo diagnostica una lesione del tipo “tumore al seno in stadio iniziale”, più della metà delle
volte il patologo sta commettendo un errore, ossia non si tratta realmente di tumore al seno. Quello
che la maggioranza delle donne ha realmente, è un tumore che, visto al microscopio illuminato,
somiglia al cancro per il patologo. Esistono possibilità che tale tumore non abbia la capacità di
metastatizzare…cosa che caratterizza il cancro vero e proprio. Il primo trial clinico controllato al
mondo, riguardante le terapie coadiuvanti per il tumore al seno, fu condotto nel mio dipartimento.
Il dott. Lesile Blumenson ed io facemmo una sorprendente scoperta: più della metà delle pazienti
avevano un tumore, ma essi, all’apparenza, si presentavano piuttosto come lesioni benigne. La nostra
scoperta non risultò popolare tra i medici professionisti. Essi non avrebbero potuto mai sopportare
di ammettere la verità scientifica perché, a quel tempo, la terapia consisteva nella mastectomia
radicale. Ammettere la verità avrebbe potuto condurre le donne, che avevano perso una mammella a
causa di una diagnosi scorretta, ad intraprendere azioni legali per imperizia. I medici del National
Cancer Institute, furiosi, ci allontanarono dalla ricerca. Probabilmente riuscirono ad insabbiare le
nostre scoperte e a bloccare nuove pubblicazioni. Il tumore al seno e il cancro della prostata sono
statisticamente gemelli: quando le funzioni dei due organi sessuali interessati diminuiscono, le
cellule spesso divengono anormali e appaiono come cellule tumorali. Il Journal of the American
Medical Association ha riferito di valori di sopravvivenza sorprendentemente alti in cancri della
prostata non trattati, il che dimostra che 7 tumori su 8 NON erano cancri. Non c’è quindi motivo per
le donne di entrare in panico nel momento in cui sentono pronunciare la parola “cancro”. È il panico
invece a renderle facili vittime….”

Infine, secondo un recente lavoro del 2004 (1340), che ha preso in considerazione oltre 42.000
pazienti, soltanto l’1,5 per cento di loro erano ancora vive dopo 5 anni dall’inizio della Chemio
(Morgan G.: The contribution of cytotoxic chemotherapy to 5-year survival in adult malignancies,
Clinical Oncol., 2004, 16, pp.: 549-560 www.mednat.org/cancro/MORGAN.PDF).

Carcinoma dello stomaco

Kingston valutò l’efficacia dei chemioterapici rispetto a placebo (comunque con alimentazione
libera, senza diete particolari), in pazienti con carcinoma gastrico inoperabile. Il gruppo di 95
pazienti sottoposti a Chemioterapia dimostrò di avere un tempo di sopravvivenza medio del tutto
sovrapponibile a quello dei pazienti trattati con placebo [Kingston R.D.: Clinical Oncology, vol. 4,
pp. 55-69, 1978].

L’unanime valutazione di molti altri autori è che la letteratura medica non evidenzia alcun
prolungamento della vita attraverso la Chemioterapia, nel caso dei carcinomi dello stomaco:

[Moertel CG.: Cancer, vol. 36, pp. 675-682, 1975]; [Queiber W.: Onkologie, vol. 9, pp. 319-331,
1986]; [Hockey M.S.: Slevin and Staquet, Raven Press, New York, pp. 221-240, 1986]; [Mc Donald:
Seminars in Oncology, vol. 15, Suppl. 3, pp. 42-49, 1988].

Dodici studi randomizzati, che hanno confrontato la Chemioterapia post-operatoria con pazienti di
controllo (comunque con alimentazione libera, senza diete particolari), hanno dimostrato la
sovrapposizione dei tempi di sopravvivenza:

[Alexander H.L. in DeVita: Cancro, principi e pratica dell’oncologia, Lippincott and Co.,
Philadelphia, 1993, 4.a ediz.]; [Kelsen D.: Seminars in Oncol., vol. 18, pp. 543-559, 1991];
[Hermans J.: J.Clin.Oncol. Vol. 11, pp. 1441-1447, 1993, ALLEGATO 15]; [Hallissey M.T.: The Lancet,
vol. 343, pp. 1309-1312, 1994].

Negli ultimi 10 anni le cose non sono migliorate. Ad esempio, considerando un recente lavoro
giapponese, del 2004, in cui sono stati presi in considerazione circa 500 pazienti, dal 1985 al
1997, la sopravvivenza fu dell’8 per cento a 2 anni dall’inizio della terapia, e di appena il 2 per
cento a 5 anni dall’inizio della Chemio. [Yoshida M.: Long-term survival and prognostic factors in
patients with metastatic gastric cancers treated with chemotherapy in the Japan Clinical Oncology
Group study, Jpn J. Clin. Oncol. 2004, 34, pp.: 654-9, FREE full text article at :
jjco.oupjournals.org].

In altri lavori recenti, le Risposte Complete riguardano sempre e comunque pochissimi casi; ad
esempio, in un lavoro americano del 2005, in cui si prendono in considerazione 43 pazienti con
cancro dello stomaco e dell’esofago, viene documentata una sola Risposta Completa e 5 Risposte
Parziali, con sopravvivenza al 50 per cento dopo circa 6 mesi, al 20 per cento dopo 15 mesi, al 12
per cento dopo 2 anni… [Enzinger PC. : A phase II trial of irinotecan in patients with previously
untreated advanced esophageal and gastric adenocarcinoma, Dig. Dis. Sci. 2005, 50, pp.: 2218-2223].

In un altro lavoro del 2006, italiano, su 52 pazienti trattati, la metà era ancora viva dopo un anno
dall’inizio della terapia, ma si erano registrati 3 soli casi di Risposta Completa e 15 casi di
Risposta Parziale. Siamo in attesa di conoscere la percentuale di sopravvissuti a 2 e 5 anni [Felici
A.: Bi-weekly chemotherapy with cisplatin, epirubicin, folinic acid and 5-fluiorouracil continuous
infusion plus g-csf in advanced gastric cancer: a multicentric phase II study, Cancer Chemother.
Pharmacol., 2006, 57, pp.: 59-64].

Un altro lavoro, coreano, su 30 pazienti sottoposti a Chemio, si è avuta una sola Risposta Completa
e 13 Risposte Parziali, con una mediana di sopravvivenza per tutti i pazienti di 11 mesi. [Lee SH:
Combination chemotherapy with epirubicin, docetaxel and cisplatin (EDP) in metastatic or recurrent,
unresectable gastric cancer, Br. J. Cancer, 2004, 91, pp.: 18-22].

Sempre in un altro lavoro coreano, del 2005, 43 pazienti furono sottoposti a chemioterapia dal
gennaio 2002 a novembre 2002: anche qui la lenta discesa della curva dei sopravvissuti è
sovrapponibile a molti altri lavori: 40 per cento circa di sopravvissuti a 9 mesi dall’inizio della
terapia, 20 per cento circa di sopravvissuti a 14 mesi dall’inizio della terapia, lieve
stabilizzazione del numero di sopravvissuti a 20 mesi circa dall’inizio della terapia, con circa il
18 per cento di sopravvissuti, successiva discesa a meno del 5 per cento dei pazienti ancora vivi
dopo 2 anni e mezzo dall’inizio della terapia [Do-Youn: Docetaxel + 5-Fluorouracil + Cisplatin 3 day
combination chemotherapy as a first-line treatment in patients with unresectable Gastric Cancer,
Japanes Journal Clin. Oncol., 2005, 35, pp.: 380-385]

In un altro lavoro, svizzero, del 2004, su 52 pazienti si ebbe una sola Risposta Completa con il 50
per cento dei pazienti ancora vivi dopo 9 mesi, il 24 per cento circa dopo 18 mesi, il 20 per cento
dopo 20 mesi, il 18 per cento circa dopo 24-30 mesi, assestandosi intorno al 10 per cento dopo 2
anni. Non riportate, da pubblicazioni successive dello stesso autore, le percentuali di
sopravvivenza attuali, a 4 anni [Roth AD: 5-Fluorouracil as protracted continuous intravenous
infusion can be added to full-dose docetaxel (Taxotere)-cisplatin in advanced gastric carcinoma: a
phase I-II trial, Ann. Oncol. 2004, 15, pp.: 759-764, FREE full text article at :
annonc.oupjournals.org].

In un altro lavoro coreano del 2002, su 35 pazienti sottoposti a Chemioterapia, dal 1999 al 2001, si
ebbe una sola Risposta Completa e ben 19 Risposte Parziali; ma la percentuale di sopravvissuti
ancora vivi dopo dieci mesi era già sceso del 50 per cento, calando poi al 20 per cento dopo 18
mesi. Non riportate, da pubblicazioni successive, le percentuali di sopravvivenza a 5 anni [Eun
Kyung Cho: Epirubicin, Cisplatin, and Protracted venous infusion of 5-Fluorouracil for advanced
gastric carcinoma, Journal Korean Med. Sci., 2002, 17, pp. 348-52].

Infine, secondo un recente lavoro del 2004, che ha preso in considerazione circa 5.000 pazienti con
cancro allo stomaco, soltanto lo 0,7 per cento di loro erano ancora vivi dopo 5 anni dall’inizio
della Chemio. Viceversa, sempre nello stesso lavoro, su 2.500 pazienti con cancro dell’esofago,
circa il 5 per cento di loro erano ancora vivi dopo 5 anni dall’inizio della Chemio (Morgan G.: The
contribution of cytotoxic chemotherapy to 5-year survival in adult malignancies, Clinical Oncol.,
2004, 16, pp.: 549-560 www.mednat.org/cancro/MORGAN.PDF).

Conclusione

Paul Wintre mostra una visione più cruda dei fatti e spiega così la dinamica del sistema: “È
improbabile che qualche medico interrompa consapevolmente una terapia oncologica per proteggere i
suoi affari o la sua carriera. Ma ogni medico ha le sue idee in merito al miglior trattamento, sulla
base di quanto ha appreso.

Tuttavia, le Multinazionali Chemio-farmaceutiche hanno un’influenza estremamente marcata su quanto
viene insegnato ai medici. I medici hanno troppo da fare per approfondire le statistiche sui
trattamenti del cancro, e danno per scontato che ciò che viene loro insegnato all’Università, o ciò
che viene dimostrato nelle pagine delle riviste di aggiornamento, sia il miglior trattamento
possibile, poiché scientificamente dimostrato.

Né possono permettersi il sospetto che tali trattamenti rappresentino la cosa migliore solo per le
Multinazionali Chemio-farmaceutiche, che esercitano la loro influenza sulle “istituzioni culturali
mediche di livello elevato”, a loro appartenenti …” (Winter, Paul: the cancell Home page,
www.best.com/handpen/Cancell/cancell.htm).

Così, sostenendo la tesi che la Chemioterapia NON è curativa e che realmente ha scarsa efficacia
sulle forme più diffuse di cancro, il dott. Martin F. Shapiro affermava sul Los Angeles Times, il 9
gennaio 1991: “…mentre alcuni oncologi informano i loro pazienti sulla mancanza di prove che la
terapia abbia efficacia, altri potrebbero essere stati sviati da documenti scientifici che esprimono
ottimismo senza garanzie sulla Chemioterapia. Altri ancora sono sensibili agli incentivi economici.
I medici possono guadagnare molto più denaro portando avanti pratiche di Chemioterapia di quanto
possano apportando sollievo e conforto a pazienti in fin di vita e alle loro famiglie…”.

E il dott. Samuel Epstein, il 4 febbraio 1992, dichiara: “…esprimiamo la preoccupazione che il
sistema generosamente finanziato per la lotta contro il cancro, il National Cancer Institute (NCI),
l’American Cancer Society (ACS) e circa altri venti centri per il trattamento del cancro, abbiano
sviato e confuso il pubblico e il Congresso (degli Stati Uniti) attraverso ripetute dichiarazioni in
base alle quali si starebbe per vincere la guerra al cancro…”.

Di fronte alla Chemioterapia, l’autore del presente lavoro non può che rivendicare, per proprio
contrario convincimento clinico, fondato su innumerevoli prove scientifiche, il diritto alla piena
libertà di terapia e all’assoluta autonomia tecnica (art. 12 del Codice di Deontologia Medica),
nella responsabile scelta e applicazione di presidi diagnostici e terapeutici ritenuti più idonei,
richiamandosi a quanto soventemente espresso anche in letteratura giuridica, in particolare nel
testo di Amedeo Santosuosso (Libertà di cura e libertà di terapia. La medicina tra razionalità
scientifica e soggettività del malato.

Il Pensiero Scientifico Editore, 1998, pagina 57), dove, a commento dell’articolo 19 del Codice di
Deontologia Medica, si legge:

“…La libertà di valutazione del medico trova la sua norma di chiusura nell’articolo 19, intitolato
“Rifiuto d’opera professionale”: secondo questo articolo, che riproduce sostanzialmente il testo del
precedente Codice deontologico, il medico, qualora venga richiesto di interventi sanitari che
contrastino con la sua Coscienza o con il suo convincimento Clinico, può rifiutare la propria opera,
a meno che questo atteggiamento non sia di grave e immediato nocumento al paziente…”

È degna di nota la particolare ampiezza e rigidità di questa norma. Essa consente infatti
l’obiezione di coscienza non solo nei casi esplicitamente previsti dalla legge e secondo quelle
procedure, ma a trecentosessanta gradi. Inoltre essa autorizza il rifiuto di terapie anche per il
solo convincimento clinico, pure quando non siano coinvolte questioni di coscienza. L’unico limite
posto riguarda situazioni estreme, quelle cioè nelle quali il paziente riceva un nocumento grave e
immediato.

Del resto, in favore dell’autonomia del medico nelle scelte terapeutiche, ancor più esplicitamente
si esprime la Corte di Cassazione che, in una propria sentenza del 2001 (Sezione IV, sent. n.
301/2001), così argomenta:

“…è corretto valorizzare l’autonomia del medico nelle scelte terapeutiche, perché l’arte medica,
mancando per sua natura di protocolli scientifici a base matematica, spesso prospetta diverse
pratiche o soluzioni che l’esperienza ha dimostrato efficaci, da scegliere con attenta valutazione
di una quantità di varianti che solo il medico può apprezzare; tale valore di libertà nelle scelte
terapeutiche non può essere avventata né fondata su semplici esperienze personali.

Una volta effettuata la scelta, il medico deve restare vigile osservatore dell’evolversi della
situazione, in modo da poter intervenire immediatamente in caso di urgenza, qualora capisca che la
scelta fatta non era quella appropriata; quanto tutto ciò sia stato realizzato, il medico non può
rispondere di un eventuale insuccesso; il giudice, per valutare la correttezza della scelta
terapeutica operata dal medico e l’eventuale imperizia del suo operato, deve operare un giudizio “ex
ante”, collocandosi cioè mentalmente nel momento in cui il medico viene chiamato a operare la scelta
e considerando anche la consistenza scientifica di questa…”.

Tratto dal capitolo 2 del libro on-line del dr. Giuseppe Nacci “Mille Piante per guarire dal Cancro
senza Chemio”- maggio 2009 (www.naturaolistica.it/Files/1000_piante_cancro_Nacci.pdf).

Il Timor di Dio dev’essere il Primo Principio della Scienza. (Re Salomone, figlio di Davide.)

Autore Marco A. di it.salute, consulente per lo sviluppo delle medicine non convenzionali
opinionista sulla medicina ufficiale e la ricerca medica

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