Principio antropico ed entropia

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Principio antropico ed entropia

di Sabrina Mugnos

Siamo immersi in un universo che si evolve sperperando energia, ma secondo una danza sincronizzata
all’unisono di ogni suo componente, disposto in vari sistemi con una gerarchia ben precisa: i
pianeti attorno alle stelle, che a loro volta si raggruppano in ammassi, quindi in galassie, che si
dispongono in gruppi. Come si spiega questo paradosso? E che ruolo gioca la vita in questa sinfonia
cosmica?

Il DNA, l’anima della vita. Ha avuto bisogno di condizioni particolari per dare origine agli
organismi complessi (tra cui l’uomo) che conosciamo oggi. Le dimensioni, la forma e la posizione del
nostro pianeta nell’universo hanno quindi giocato un ruolo fondamentale nello sviluppo della vita, e
nessun particolare sembra essere stato lasciato al caso.
Se la Terra fosse stata solo leggermente più vicina al nostro astro, l’intenso calore ne avrebbe
fatto evaporare l’atmosfera e tutte le acque superficiali e le radiazioni letali provenienti da esso
avrebbero sterilizzato l’intera superficie. Al contrario una maggiore distanza l’avrebbe relegata in
una morsa di freddo. Inoltre essa possiede un campo magnetico, ovvero una forza generata al suo
interno che, come una calamita, attira e devia il flusso di particelle energetiche provenienti dal
Sole, comportandosi come uno scudo. E ancora la sua massa le permette di trattenere una densa
atmosfera indispensabile alla vita, e la sua geologia è strutturata in modo tale da essere
estremamente dinamica, permettendo un rinnovamento continuo della superficie. Inoltre possiede tutta
una serie di movimenti che le permettono di distribuire equamente il calore ricevuto dal Sole.

E poi c’è la Luna, il nostro satellite, che non è solo un romantico ornamento del cielo, bensì un
elemento che stabilizza l’asse terrestre al punto da garantire un certo clima per periodi lunghi e
favorire quindi lo sviluppo della vita.
Ma nelle condizioni favorevoli sono incluse anche le caratteristiche della nostra stella. Se fosse
stata troppo grande avrebbe inghiottito la Terra o, quantomeno, avrebbe bruciato troppo in fretta
per accompagnare le tappe dell’evoluzione biologica. E se fosse stata troppo piccola il suo calore
non sarebbe stato sufficiente a scaldarci.

Inoltre il Sistema Solare è posizionato in una zona periferica della galassia, abbastanza distante
dalla zona centrale da salvaguardarsi dall’energia mortale prodotta dai fenomeni molto violenti che
vi avvengono, ma non troppo per fare a meno degli elementi chimici pesanti che utilizza la vita.
Sebbene di per sé già eloquenti, queste osservazioni assumono addirittura un ruolo di secondo piano
se proiettate nel contesto più generale delle caratteristiche del cosmo, che è strutturato in modo
che ogni suo fenomeno avviene coordinato all’unisono con tutto il resto, al punto che il cambiamento
minimo di una grandezza fisica ne sconvolgerebbe totalmente le caratteristiche e l’evoluzione.
Quindi avrebbero potuto esistere infiniti universi differenti da quello che vediamo oggi, tanti
quante le combinazioni nei parametri fisici che conosciamo. Allora perché l’universo è così com’è? E
se fosse stato diverso, cosa ne sarebbe stato di noi? La nostra esistenza necessita di condizioni
talmente particolari che sembra quasi siano state create apposta in questo modo per permettere la
nostra presenza.
Ma allora qual è lo scopo della nostra esistenza? E che rapporto c’è tra la nostra creazione e
quella di un cosmo che sembra fatto apposta per noi? Il suo creatore (qualsiasi sia la sua natura)
aveva forse una scelta o un progetto?

Questa considerazioni ci pongono di fronte ad un bivio: o l’universo è stato confezionato
appositamente per noi (circostanza nota nel mondo scientifico con il nome di Principio Antropico),
oppure siamo sulla strada sbagliata e stiamo prendendo in esame solo i processi correlati alla
nostra presenza, allo stesso modo in cui un pesce in uno stagno è interessato solo alla pozza
d’acqua che lo circonda.
Il Principio Antropico si rispecchia nella visione antropocentrica del cosmo predicata dalla chiesa
cattolica qualche secolo fa, dove l’uomo e il suo pianeta erano al centro del Creato e la sua
ragione ultima. Secoli di storia e di sofferente ricerca scientifica hanno lentamente scardinato
tale dogma; tuttavia l’interpretazione dei nuovi dati sperimentali tende a ridare un ruolo di primo
piano all’essere umano. Sì, perché?
La materia e l’energia nell’universo sono disposte in modo estremamente ordinato, organizzate ad
ogni livello in strutture complesse. Tuttavia ciò è in palese contrasto con la tendenza spontanea
dei fenomeni naturali di passare da forme concentrate e organizzate di materia ed energia verso
distribuzioni più casuali. Nel linguaggio scientifico questa proprietà della natura viene chiamata
Entropia. Ogni volta che viene compiuta un’azione, c’è una trasformazione da uno stato di ordine a
quello caotico dal quale non si può ricavare più lavoro utile.

I processi legati alla vita sono l’esempio più eclatante di tale regola; assumiamo alimenti
strutturati per estrarre la loro energia chimica che consumiamo nei nostri gesti quotidiani, così
come le stelle sviluppano calore grazie alla combustione delle loro masse avviandosi verso
un’inesorabile morte termica.
Ma se i processi fisici tendono al caos, perché questa ordinata complessità della vita perfettamente
inserita nell’architettura del cosmo?

Siamo immersi in un universo che si evolve sperperando energia, ma secondo una danza sincronizzata
all’unisono di ogni suo componente, disposto in vari sistemi con una gerarchia ben precisa: i
pianeti attorno alle stelle, che a loro volta si raggruppano in ammassi, quindi in galassie, che si
dispongono in gruppi.
Come si spiega questo paradosso? E che ruolo gioca la vita in questa sinfonia cosmica?
I nostri strumenti di ricerca hanno raccolto una quantità considerevole di informazioni sul cosmo,
consentendoci di costruirne un modello accettabile. Ma quando cerchiamo di risalire alle sue origini
per comprenderne i meccanismi, esso comincia a eludere le nostre tecniche d’indagine rendendole
vane. In sostanza le stesse leggi fisiche che ci permettono di interpretare i fenomeni, si rivelano
inadeguate per ipotizzarne la genesi.
Come è possibile tutto ciò? Come possono venire meno i fondamenti su cui si basa tutta la nostra
cultura scientifica?

Tratto da L’Universo che pensa di Sabrina Mugnos (Macro Edizioni, 2005).

Sabrina Mugnos
L’Universo che Pensa
Alla ricerca di vita intelligente nel cosmo. Dalle origini dell’uomo alle dimensioni nascoste
Macro Edizioni

www.macrolibrarsi.it/libri/__luniverso_che_pensa.php?pn=6

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