L’universo emozionale del bambino

pubblicato in: AltroBlog 0
L’universo emozionale del bambino

Durante la gestazione, madre e bambino costituiscono un tutt’uno emozionale

di Alberto Greco, Daniela Gavazzi – 19/09/2012

>> goo.gl/wvKIQ

Nel film 2001 Odissea nello spazio Stanley Kubrick ripercorre tutti i passaggi dell’evoluzione della
vita su questo pianeta come processo necessario a rinnovare la meraviglia, lo stupore, ma anche a
stimolare una rinnovata attenzione alla vita così come si presenta a ciascun uomo e a ciascuna donna
nella sua interezza. Che cos’è il nostro esserCi se non un eterno accorgersi della vita intorno e
della vita dentro? Ogni nostro gesto, ogni nostro pensiero, le nostre azioni, anche le più semplici,
da dove originano, da cosa sono motivate? Noi siamo liberi così come crediamo? Chi siamo noi? Chi
sono io? Perché un odore può dare fastidio e un altro può suscitare una commozione, perché alcune
persone compiono gesti che suscitano dei ricordi, perché fumo, perché mangio troppo o troppo poco e
così via? Ognuno di noi potrebbe campionare tranquillamente tutta una serie di comportamenti propri
o degli altri a cui è consapevolmente sensibile e da cui è inspiegabilmente attivato a livello
emozionale, secondo vari gradienti, fino ad arrivare, talvolta, a essere bloccato nell’agire a causa
del proprio modo di “sentire” la realtà. Joaquin Grau descrive questo mondo emozionale, talvolta
così travolgente, come “verità sentita” e la definisce coraggiosamente come l’“unica verità”.

E ipotizza, così come tanti altri autori, che molte delle azioni, pensieri, scelte che le persone
compiono in età adulta siano il necessario svolgersi di una sinfonia le cui note primordiali sono
state tutte scritte, sotto dettatura, dal concepimento alla nascita, e successivamente nei primi
anni di vita. Nostro malgrado ci troveremmo cioè costretti a sviluppare nella nostra esistenza tutta
una serie di comportamenti per rinnovare l’attenzione emozionale necessaria alla risoluzione o alla
compensazione delle condizioni traumatiche che si sono presentate dal concepimento alla nascita e
successivamente almeno nei primi anni di vita. Grau definisce queste condizioni con l’acronimo
“CAT”, cioè Cumuli Analogici Traumatici: le prime note, il primo deposito nella memoria cellulare,
di emozioni qualitativamente e soggettivamente dolorose e quindi non pienamente ascoltate o respinte
come “sentire”. Ovvero ipotizza come presupposto di partenza per un percorso di comprensione e
superamento, la possibilità di attivare una consapevolezza di noi nell’attraversamento delle nostre
emozioni, quando percepite come dolorose e spiacevoli.

L’universo emozionale del bambino

Questa riflessione, che non vuole essere un’affermazione, bensì uno stimolo di ricerca, ci può
portare a riconsiderare tutto il processo, dal concepimento alla nascita, come interregno di
sviluppo e deposito dei primi nuclei traumatici emozionali a carico della memoria cellulare
dell’embrione, del feto e poi del bambino. Come sappiamo, il primo aggregato di cellule nel grembo
della madre non pensa, perché non ha a disposizione un sistema nervoso centrale maturo, ma è
suscettibile alle emozioni della madre che inconsapevolmente trasmette il suo sentire piacevole o
spiacevole al tutto in potenza, ma ancora indifferenziato, che ospita all’interno del suo corpo e
che sta diventando, giorno dopo giorno, il “suo” bambino. Durante la gestazione, madre e bambino
costituiscono un tutt’uno emozionale in cui la madre processa il suo sentire, ovvero lo comprende e
lo trasforma, mentre l’embrione – poi feto e bambino – ne viene impregnato mantenendo nella propria
memoria profonda l’emozione, la quale potrà poi successivamente riemergere in età adulta in presenza
di situazioni emozionalmente analoghe. Il bambino cresce, si sviluppa e apprende fino all’età di
circa sette anni sostenuto da processi di pensiero tipicamente definiti come analogici e prelogici,
mantenuti dalle onde cerebrali theta, caratteristiche dell’emisfero cerebrale destro.

La fondamentale differenza di questa modalità di apprendimento rispetto a quella fondata su processi
logici e razionali (che appartengono all’emisfero sinistro e che si muovono sulle onde beta, più
veloci) che si sviluppano nel corso della crescita e dominano la vita adulta, consiste nel fatto che
il bambino si muove, in questo periodo della sua esistenza, in una dimensione in cui non è il nesso
causale a costruire il suo universo di conoscenza, bensì quello analogico. Le cose, le esperienze,
si richiamano perché riconducono allo stesso vissuto emozionale e non perché sono simili per
caratteristiche oggettive: è la qualità dei vissuti a generare i nessi che costituiscono il mondo in
cui il bambino vive. Un’esperienza emozionale di abbandono, ad esempio, può essere vissuta in
diverse circostanze e per motivi completamente diversi, ma tutto ciò, per l’emisfero cerebrale
destro, che è l’archivio delle nostre emozioni, non riveste alcuna importanza. Ciò che conta è che
il bambino, in quel momento, anche in una circostanza oggettiva radicalmente diversa, si trova a
esperire nuovamente quella emozione. Né va dimenticato che il bambino, nella pancia della mamma e in
diversa misura fino a circa due anni, non distingue tra le sue emozioni e quelle che gli provengono
dal quel sé più grande che per lui è l’unico universo esistente: la madre.

Fino all’età di sette anni il bambino non riesce a produrre i primi tentativi di ragionamento
formale, cioè consequenziale, secondo un punto di vista logico, tant’è che per poter comunicare con
lui ci riferiamo alla necessità di utilizzare linguaggi magici e analogici, tipicamente utilizzati
nelle fiabe, nelle ninne nanne e nelle cantilene. Fino all’età di sei anni circa, è impossibile
consolare un bambino che piange perché ha avuto paura del rumore di un aereo che sta passando nel
cielo, o delle urla di persone che discutono fra loro. Inutile convincerlo a parole di non aver
paura e che questi stimoli non lo riguardano e che tantomeno sono pericolosi per lui: egli li
percepisce come un cucciolo indifeso nella foresta, che non sa interpretare correttamente la realtà
che o circonda e che prova potenzialmente paura per tutto. Conviene invece abbracciarlo,
coccolarlo, accarezzarlo, cioè fargli “sentire” attraverso l’esperienza fisica, un’emozione
gratificante e piacevole, per scacciare l’esperienza spiacevole dal suo qui e ora. Il bambino vive
costantemente nel presente. Dai sei o sette anni in poi, con la maturazione del pensiero logico
sostenuto dalla maturazione delle onde cerebrali beta, il bambino è in grado di “leggere” la realtà
e di “discernere”, acquisendo una risorsa di protezione per il mondo emozionale. È caratteristica
del pensiero beta l’analizzare, dividere, distinguere e selezionare. Non a caso in questa fase di
sviluppo del bambino si stabilizzano ed entrano a far parte della sua esperienza concreta i concetti
di tempo, spazio, io, mio, e il linguaggio verbale viene utilizzato stabilmente come strumento di
comunicazione col mondo esterno.

Comprendere i nuclei emozionali traumatici

A partire da questo impianto, quali sono le risorse reali che consentono di fronteggiare lo sviluppo
di contesti emozionali disfunzionali o addirittura dannosi per il benessere della persona? Grau
definisce e riunisce l’insieme di queste risorse nell’Anateoresi, che non è una disciplina o una
scienza esatta, bensì un’esperienza del soggetto, affettivamente ed emozionalmente presente a sé e
che consapevolmente ricontatta i propri nuclei emozionali traumatici per risentirli in modo
consapevole anche a livello fisico. Questa riconnessione permette di ricondurre quei nuclei a un
contesto che viene visto, sentito, attraversato, in una parola compreso: finalmente theta può
parlare a beta, e l’esperienza dolorosa può essere integrata dai due emisferi, il destro e il
sinistro, e dai due linguaggi – logico e analogico – e diventare bagaglio di esperienza vissuta e
sapienza reale da trasformare in accresciuta consapevolezza ed equilibrio della persona. Nel
percorso dell’Anateoresi è l’operatore ad accompagnare la persona in questo incontro con parti di
sé, attraverso un rilassamento profondo a onde theta in un’esperienza di soglia da cui affacciarsi
consapevolmente sui contenuti emozionali nascosti, celati e dimenticati, ma ricontattati con
l’utilizzo di linguaggi specifici, squisitamente analogici. L’Anateoresi mette quindi a disposizione
due esperienze reali: un rilassamento profondo, che prende il nome di “induzione allo stato
regressivo anateoretico” e il dialogo anateoretico, modalità di accompagnamento all’esperienza. Sono
questi gli strumenti che contraddistinguono la prassi anateoretica da altre tecniche di supporto
alla persona per il proprio benessere.

Sviluppo emozionale in utero un percorso per mamme in attesa

Questo percorso riguarda le persone adulte che decidono di affrontare eventuali nodi irrisolti, di
natura fisica o emozionale, che avvertono presenti in loro. La domanda da porre a questo punto però
è: come intervenire preventivamente per contenere, ridurre, governare l’impatto emozionale
traumatico sul figlio in gestazione? A questo scopo è stato ideato, costruito e sperimentato il
percorso prenatale rivolto alle mamme in attesa. La mamma che prende coscienza della relazione che
esiste tra quello che vive personalmente e quello che si trova a vivere il bambino, può, prima di
tutto, con questa consapevolezza, cercare di evitare, per quanto possibile, impatti emotivi forti e
stress particolari, sia psichici che fisici. A un livello più profondo, però, può andare a ritrovare
o a riscoprire la forte connessione di natura percettiva ed emozionale che da sempre ha in sé, in
nuce, col proprio bambino, ma di cui non sempre è consapevole, e che ruota intorno a due elementi
fondamentali: la trasmissione di amore e la trasmissione di presenza, di esserci. Queste due chiavi,
apparentemente “ovvie”, certamente naturali, e assolutamente sufficienti, costituiscono a un livello
profondo la base su cui il bambino ha la possibilità di costruire una biografia emozionale
equilibrata e serena. Grau articola il percorso prenatale intorno al contatto percettivo con il
bambino, che apre a un ventaglio molto ampio di esperienze da vivere insieme – mamma e bambino – e
che sono tutte di natura gratificante. In questa dimensione la cosa più importante è che la madre
possa trasmettere amore in maniera profonda e consapevole, scoprendo una possibilità di
comunicazione e scambio a cui lei sola può accedere, facendo percepire al bambino il fatto di essere
costantemente accanto a lui, e di trasmettergli amore e presenza. Questo tipo di contatto
percettivo-emozionale può essere ritrovato attraverso alcune sedute di Anateoresi prenatale per poi,
una volta compreso, essere esperito e rivissuto in qualunque momento della giornata dalla madre
stessa, senza bisogno di altro sostegno se non quello della fiducia in se stessa e della sua
capacità di “sentire” il suo bambino.

Chi è Joaquin Grau

Laureato in Scienze dell’Informazione all’Università di Madrid, fin dai primi anni dei suoi studi ha
concentrato l’attenzione sui diversi stadi percettivi della mente umana e sulle diverse forme di
comunicazione. A partire dagli anni Settanta ha creato l’Anateoresi, che si presenta come una
disciplina di radice antropologica che ha un forte legame anche con l’osservazione sul campo dei
comportamenti e dei linguaggi analogici preservati in modo incontaminato dalle comunità Auca
dell’Amazzonia ecuadoriana. Questo incontro gli ha fornito la base esperienziale su cui fondare le
modalità di dialogo analogico per contattare esperienze accadute, ma dimenticate nell’età preverbale
dello sviluppo della mente. Vive e lavora a Madrid. In Italia delle sue opere è stato pubblicato il
volume Le chiavi della malattia. Trattato teorico-pratico di Anateoresi (Servitium, 2006).

Per informazioni:
www.grau-anatheoresis.com
www.percorsiconsapevoli.it

>> goo.gl/wvKIQ

Condividi:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *