Libertà dal conosciuto (Introduzione all’An-Atman)

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LIBERTA’ DAL CONOSCIUTO

Un’introduzione moderna alla dottrina buddista dell’An-Atman

di Romano – romcampa@inwind.it

IL VELO DI MAYA

Alla luce delle teorie della Fisica del ‘900, principalmente della Meccanica
Quantistica , è ormai certo che quanto percepiamo non è “il” mondo; ma, “un”
mondo. Quanto esiste è uno sterminato mare di campi energetici (più
modernamente denominate superstringhe), mentre l’essere vivente, composto
dagli stessi campi, è una specie di vortice, o bolla, immersa in quel mare.

In tali bolle c’è qualcosa che si amalgama in modo non passiva con l’
esterno, dando origine alla percezione, fenomeno che non consiste in una
rappresentazione della realtà esterna alla bolla, ma in una sua
interpretazione dettata dalle caratteristiche della bolla stessa; come se la
bolla, anziché vedere fuori, si rispecchiasse sulle sue pareti.

Il fenomeno è una dei fatti più sperimentati dalla Meccanica Quantistica,
dove prende il nome di Riduzione della Funzione d’Onda. Trattasi del mitico
velo di Maya, quello che si squarciò davanti al Buddha quando ebbe l’
illuminazione e che gli fece esclamare: Finalmente ti ho visto costruttore
della casa.

LA BARRIERA DELLA PERCEZIONE

Il meccanismo della percezione (che in termini buddisti equivale alla
costruzione della casa) individua, perciò, una specie di barriera della
Percezione, al di là della quale vige il Principio di Indeterminazione di
Heinsenberg; per cui, avanti-indietro, destra-sinistra, sopra-sotto e
perfino prima-dopo sono concetti privi di senso. Colà, cioè oltre la
barriera, naufragano, assieme alle nostre possibilità conoscitive, le
certezze del nostro mondo quotidiano: tempo, spazio, principio di causa ed
effetto.

Gli inequivocabili esperimenti della Meccanica Quantistica, in cui il dopo
determina il prima, fanno saltare la logica. In termini filosofici questo
sta a dimostrare che la ragione, anziché essere qualcosa di trascendente,
risulta essere un semplice, benché potente, strumento di conoscenza, che
vale nell’ambito di quel particolare stadio evolutivo di un ramo degli
esseri viventi, che è la forma umana.

Negli animali sono presenti altri strumenti conoscitvi, ma la ragione non c’
è, così come potrebbe essere sostituita in uno stadio evolutivo superiore
dell’uomo. Anche l’uso intensivo della matematica, attuato dalla Meccanica
Quantistica, non salva la Ragione. La stessa Matematica, regno della Ragione
che permea la Meccanica Quantistica, non ha trovato le regole di
funzionamento dell’ignoto, ma quelle dei suoi effetti sul noto; per cui
riesce a manovrare il laser, i computer, le telecomunicazioni, la chimica,
ma non conosce cosa sono in sé le cose trattate.

IL MOLTEPLICITA’ DELLA VITA

Le Scienze Cognitive, la Teoria Generale dei Sistemi e la Matematica della
Complessità (quella che studia il Caos e i Frattali), consentono di
affermare che la percezione è diversa per le diverse specie viventi, per cui
il mondo percepito dalla felce, ovvero la sua interpretazione dell’ignoto, è
una cosa ben diversa dal mondo percepito da un batterio, o da un
pipistrello.

A loro volta, tali mondi sono ben diversi da quello percepito dall’uomo. La
ragione di tale diversità, cioè della soggettività della percezione a
livello di specie, è causata dal fatto che nei sistemi complessi, quali sono
gli esseri viventi, il rapporto con lo stimolo esterno non è dato dallo
stimolo, ma è il risultato della reazione allo stimolo del sistema in base
al suo determinismo interno (cioè da come è fatto).

Trattasi di un’interazione, per cui il sistema ha una reazione condizionata
dalla sua struttura (o corpo); ma, la reazione consiste, a sua volta, in una
modifica di se stesso, cioè della propria struttura per adattarla alla
novità dello stimolo. Col tempo, da infinitesime variazioni iniziali, si è
giunti ad una quasi infinità varietà e diversità degli esseri viventi, come
struttura e, quindi, come percezione. Si noti che l’unità fondamentale che
mantiene l’unicità della percezione è la specie più che l’individuo e che il
confine tra i tipi di percezione è data dalla possibilità di perpetuare gli
adattamenti intervenuti, quindi dalla possibilità di riprodurre se stessi
(non è rilevante il modo sessuato o asessuato)

L’UNICITA’ DELL’UOMO

Nel Buddismo è essenziale nascere uomini. Secondo le più recenti ricerche
delle Scienze Cognitive lo sviluppo e il comportamento degli animali è
determinato dalla specie, che memorizza il suo livello evolutivo nel DNA.

Nell’uomo, invece, il DNA ha un ruolo ridotto, perché il comportamento è in
gran parte determinato dai lobi cerebrali, dove i collegamenti fra neuroni
vengono stabiliti in base alla formazione avuta (trasmessa col linguaggio,
specialmente nei primi 12-15 anni di vita) e all’esperienza.

Quei collegamenti sono le sinapsi, i veri agenti che collegialmente
determinano la percezione, e sono un milione di miliardi. Per questo, la
parte individuale (cioè non determinata dalla specie) nello sviluppo dell’
uomo è incomparabilmente più ampia che nell’animale e, sempre a livello
individuale, come è stata costruita così può essere destrutturata. E’ questo
il fondamento biologico della spiritualità, una caratteristica che deriva
dal privilegio di possedere una possibilità evolutiva a livello individuale.

IL CONDIZIONAMENTO

Finchè l’individuo non reagisce alla sua formazione è fondamentalmente
condizionato come gli animali. Essere governati dal DNA, o da un cervello
formatosi nell’infanzia in piatta conformità al gruppo di appartenenza, non
sono due cose, poi, tanto diverse. L’unica vera differenza è che dell’una ci
si può liberare dell’altra no. Quindi, l’uomo può diventare quello che
vuole, l’animale no.

Le sinapsi tra neuroni “sono”, non rappresentano soltanto, la formazione
ricevuta; più propriamente sono la registrazione del passato, quindi la
memoria. Il sistema sinaptico è mantenuto vivo mediante il pensiero (quello
che Castaneda chiama “dialogo interno”, cioè con se stessi).

Ed è tramite il dialogo interno che agisce sul presente. Di fronte ad un
stimolo nuovo le sinapsi reagiscono in base alla loro organizzazione in
atto, cioè in base al passato che le ha determinate. Noi, in effetti,
parliamo sempre con noi stessi e affrontiamo ogni stimolo nuovo alla luce
del passato, attualizzato tramite il pensiero.

Quindi, il rapporto col nuovo non è un qualcosa di vivo, ma un semplice
adattamento del vecchio, cioè della propria conformazione. Quindi, come
avviene a livello fisico, lo stimolo nuovo non è percepito in sé, ma
trasformato in esperienza, che costituisce una interpretazione dello stimolo
nell’ambito del vecchio.

LA COSCIENZA

Lo “screaming” (scrematura) è quel fenomeno per cui la percezione raduna più
elementi per strutturali in uno solo, cioè in una nuova percezione. Un
albero, ad esempio, è un insieme di percezione; ma, noi riusciamo a
percepirlo come una cosa sola. A livello psicologico avviene la stessa cosa
che con l’albero avveniva a livello visivo: l’insieme dei pensieri, per
meglio articolarsi, dà origine ad una nuova struttura, che è la nostra
coscienza, il nostro io.

In altri termini il dialogo interno si costruisce un suo interlocutore
(alcuni bambini in via provvisoria inventano l’amico immaginario). Quindi, l
’io, o coscienza, non ha una realtà oggettiva, ma è l’insieme dei pensieri.
Noi riteniamo che esiste la coscienza, palestra dove i pensieri si muovono,
ma che ha una sua esistenza autonoma. Invece la coscienza senza il suo
contenuto non esiste.

LA RADICE DELLA SOFFERENZA

La sofferenza deriva direttamente dalla necessità animale di prevenire gli
ostacoli (paura) e venire a conoscenza dei danni ricevuti (dolore). Ma,
mentre nell’animale la fase si limita alla reazione fisica , in cui l’
organismo fornisce la necessaria adrenalina , l’uomo interviene su di essa
con l’equivoco della dualità tra pensatore (la coscienza o io) e i pensieri;
quindi, viene proiettata nel tempo, ben oltre il momento in cui è attiva l’
adrenalina.

Quelle che vengono chiamate angosce, tribolazioni, ecc.. non sono che
dialogo interno: se riuscissimo a non parlare con noi stessi potrebbe
esistere la sofferenza? Siamo nel cuore della dottrina buddista dell’
An-Atman (=inesistenza dell’io).

La cessazione del dolore, punto focale di tutto il Buddismo, passa per di
qua.

Chiese un discepolo: “Maestro, se l’io non esiste, chi godrà del Nirvana?”;
la risposta: “Nessuno perché finchè c’è un ‘chi’ non c’è il Nirvana”.

LE REGISTRAZIONI INUTILI

La coscienza è quella continuità virtuale che collega passato, presente e
futuro: il passato come conoscenza; il presente come adattamento della
realtà al passato per poterla ri-conoscere, trasformandola da ignoto a noto;
il futuro come speranza come fonte di sicurezza.

Il collegamento col passato è indispensabile per il cervello, perché tale
collegamento costituisce la conoscenza, necessaria per vivere. Anche l’
animale, che nel suo DNA non ha l’immagine dell’automobile, impara a
conoscere che si tratta di una cosa pericolosa.

Il cervello, per pigrizia, si adagia sulla sicurezza, che dà il passato e
non riesce più a distinguere tra registrazioni necessarie per vivere e altre
non necessarie.

Se il mio passato vede una buca nella strada, in base al suo condizionamento
interno sa che ne può derivare un danno e la evita; poi, memorizza quell’
esperienza, cioè arricchisce la sua conoscenza e la proietta nel futuro,
stando attento a non passare da quella parte della strada.

Ma, questo tipo di registrazione è sempre necessaria? Se uno mi offende è
necessario che il cervello registri quella offesa? Non è in gioco la
sopravvivenza, ma solo il nostro io, la coscienza, quello che non esiste. E
questo se ben osservate dà la stura ad una devastante serie di sofferenze.

LIBERTA’ DAL CONOSCIUTO

La fuga dal dolore viene cercata nell’ambito della coscienza, del meccanismo
passato-presente-futuro: vengono inventate tutte le droghe psicologiche, si
cercano maestri, ideologie.

Se un maestro dà una ricetta spirituale lo si ascolta col conosciuto e lo
accettate se è conforme ad esso, poi con quell’insegnamento si programma il
futuro.

Ci sono possibilità di salvezza in questo modo?

No perché il meccanismo è lo stesso e la radice del dolore “è il” meccanismo
(non “sta nel”); cioè è la coscienza. Bisogna cioè a livello psicologico
guardare il fluire del pensiero senza una coscienza che l’osservi. E’
inutile cercare di fermare il dialogo interno solo perché è evidente che sta
in quello la sofferenza; è necessario invece comprendere “chi” vuol fermare
il dialogo interno, comprendere quindi che non è necessario avere un futuro
in termini psicologici, che una soluzione alle nostre angosce non c’è.

Perché deve esserci una soluzione? Se si accetta che nessuno può fornire una
soluzione perché una soluzione non c’è, se si vede che un futuro non c’è, se
si guarda il presente senza il passato, perché è inutile preparare il
futuro, allora crollerà l’io, crolleranno i muri della casa, quelli che
impediscono di vedere fuori, la luce.

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