Jiddu Krishnamurti, così come l’ho conosciuto – del Dr. S. Balasundaram

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Jiddu Krishnamurti, così come l’ho conosciuto

(Discorso tenuto all’Adyar Convention dal Dr. S. Balasundaram, nel 1995 in occasione del

Krishnamurti Birth Centenary Year

Traduzione dall’inglese curata da Aetos

tratto da lista Sadhana

Non ero un teosofo e nessuno dei miei parenti lo era; tuttavia, la mia ultima moglie, Vina
Visalakshi, trascorse la vita a Madras ed ebbe molti amici fra loro. Ella conobbe Krishnaji, così
come lo conobbi io.

Sebbene l’oggetto di questo incontro sia: “Krishnamurti così come l’ho conosciuto”, come posso dire
di averlo conosciuto? Non si conosce nemmeno un amico, o la propria moglie. Tuttavia vorrei
condividere con voi alcuni ricordi relativi a quel grande uomo.

Io ero un studioso ricercatore dell’ e scettico per natura. Non sono mai
andato in cerca, né mi capitò mai di incontrare nessuno; senonché, casualmente, nel 1947, incontrai
Krishnaji, mentre mi trovavo in compagnia di mia moglie.

Sin dal primo giorno K. ebbe più volte occasione di riferirsi a me dicendo:

“Balasundaram, sono vostro amico”.

Sia nel lavoro che in ogni tipo di situazione egli era un amico; dalla sua persona trasudava nobiltà
e immenso amore.

Quando venne dall’India, subito dopo la guerra, era molto amorevole e cercava contatti con i giovani
per fraternizzare con loro. Si piazzava con una tenda a ridosso della casa in Stirling Road, a
Madras, ove egli risiedeva, e usava restare, lì seduto, per la maggior parte del tempo.

Un giorno, vidi entrare nella sua stanza un signore in kurta e dhoti [una lunga striscia di cotone,
usata come indumento, dagli indù, per coprire la parte inferiore del corpo], con un cappello viola,
che teneva sotto il braccio una certa quantità di racconti polizieschi.

Osservai e pensai: “Questo non può essere un santo uomo”. Dopo un po’, l’uomo uscì e andò via ed io,
spinto da una grande curiosità, mi affrettai ad entrare e, vedendo i libri vicino a Krishnaji, gli
chiesi:

“Signore, lei legge queste cose?”

Mi rispose:

“Sì, ma sono un lettore lento”.

Allorché gli chiesi: “Chi era quel signore che vi ha portato i libri?”, mi disse:

“Non lo conosce? E’ Jinarajadasa, il Presidente della Società Teosofica”.

Ciò aveva luogo nel 1947.

Nel 1948, ero a Bangalore all’Istituto di Scienze. Krishnaji, quell’estate, non tornò, né in Europa,
né in America, ma rimase a Ooty e, da lì, venne a Bangalore. Ci occupammo di lui e con lui passammo
la maggior parte del nostro tempo. Chiedemmo inoltre al sig. Maurice Frydman, che ebbe modo di
conoscerlo nei giorni di Ommen, di soggiornare con lui nella casa di Vikram Sarabhai.

Potei vedere K. ogni giorno. Ricordo che, dopo un paio di giorni, mi domandò:

“Mr Balasundaram, non mi muovo bene con questi sandali; potrebbe procurarmene un tipo con i lacci?”

Riuscii a convincere un calzolaio cinese a realizzarne un paio. La mattina successiva, mentre mi
recavo presso di lui per fare colazione, lo trovai, seduto in un angolo, che lustrava i suoi nuovi
sandali.

Mi avvicinai a lui, un po’ intimorito, e gli dissi:

“Signore, per favore, posso farlo io per lei” – ed egli si voltò, continuando a lucidare i sandali e
disse:

“Sa chi mi ha insegnato a lucidare le scarpe? Il lucidascarpe di Re Eduardo VII”.

Era davvero così; non mi stava raccontando una panzana e questo era indice del senso di
responsabilità e del nobile stile con cui i Teosofi lo avevano curato e cresciuto.

Egli non parlava mai del passato; tuttavia, ogni tanto, improvvisi flash si riaffacciavano dal
passato nella sua coscienza.

Un giorno, Maurice Frydman, con la sua amica Wanda Dynowska, che usava farsi chiamare Uma Devi e che
alloggiò, qui, a Sevashrama, vennero a fargli visita. Ella tradusse molti scritti di teosofia ed
anche libri dello stesso Krishnamurti; riuscì, anche, a farli arrivare in Polonia, tramite
particolari collegamenti, nei periodi in cui il comunismo era al massimo potere: un lavoro senza
dubbio pericoloso.

Il fratello di Uma Devi fu ucciso durante la guerra e quando, nel 1948, ebbe notizia di altre morti,
visse momenti molto tristi. Così Frydman, che aveva abitudine di mettere in ogni evento un po’ di
filosofia, domandò:

“Quale atteggiamento dobbiamo avere verso i morti?”

Krishnaji rispose:

“Le risponde la Bibbia, Signore: lasciate che i morti seppelliscano i loro morti… [Matteo VIII 22;
Luca IX 60]”. Questo fu tutto, non aggiunse altro.

Alcuni giorni prima della partenza di Krishnamurti, dopo un soggiorno di sei settimane, Frydman
disse:

“Dovrei mettere a lavorare questo ragazzo Balasundaram. E’ molto capace, ma non riesco a convincerlo
a lavorare; voi siete l’unica persona che può persuaderlo. Dovrebbe dirgli di lavorare con me, e
inizieremo.”

So che Frydman ha un suo modo di fare le cose. Nel 1950, per un anno, egli fu Segretario della <
Krishnamurti Foundation > ed anche del Rajghat Center. Mise tutto a soqquadro. Quando mi chiese di
lavorare per lui, gli risposi:

“Non lavorerò mai per Maurice Frydman. Egli dice una cosa e poi ne fa un’altra, è inaffidabile”.

Krishnaji mi guardò e rispose:

“Come puoi dire una simile cosa? Potrebbe essere cambiato, anche all’ultimo minuto. Ciò che dici può
essere vero, ma egli potrebbe essere cambiato”.

Notate, era così logico. Il Maestro insegnava in questo modo. Il suo brillante insegnamento passava
anche attraverso le piccole cose. In questo caso la lezione era basata sul fatto che dovevo vivere
senza alcuna immagine. Fu una lezione che mi colpì. Krishnaji osservò:

“Ho appena dato un colpo al tuo vivere, per divenire vivo”

Mia moglie era musicista e, come molta gente che conosco, stava perdendo l’udito ad un orecchio.
Verso la fine del suo soggiorno, Krishnaji disse:

“Sto andando via una settimana; se desidera che aiuti sua moglie vedrò se posso fare qualcosa per
lei.” Non capii cosa intendesse dire. Allora aggiunse: “Amma [K. si riferiva sempre ad Annie Besant
con < Amma >, o < madre >] si alzava sempre alle quattro del mattino, si faceva un caffè forte e
iniziava il suo lavoro. Era spesso tormentata dall’emicrania. Cosicché, un giorno, mi disse:

‘Figliolo, metti la tua mano sulla mia testa; così che possa aiutarmi.’ Appena le poggiai la mano
sulla testa l’emicrania cessò. Allora realizzai che c’era qualcosa nelle mie mani. A volte funziona
e a volte no. Se lo desiderate posso tentare su Visalakshi.” Ci provò, ma non funzionò.

Decisi improvvisamente di ritirarmi dall’< Indian Institute of Science > per andare in America a
racimolare un po’ di soldi e, in seguito, andare in pensione. Ma, un bel giorno, ricevetti un
telegramma da Rishi Valley, “Krishnaji desidera urgentemente vederla”.

Misi subito in moto la mia vecchia auto e guidai, pensando che sarei dovuto tornare per lavoro il
giorno successivo; senonché, restai per tre giorni. Krishnamurti mi disse: “Stai andando in America
per svolgere ricerche?” Quando gli comunicai l’intenzione di rientrare, pressappoco entro tre anni,
mi disse:

“Perché non ti ritiri ora ed aiuti questa gente?” Al che andai a Rishi Valley, e senza aver avuto
esperienze di insegnamento in altre scuole, o università, divenni preside di quella Scuola.

Accadevano sempre cose intorno a lui e v’erano sempre continui cambiamenti. Quei tre giorni passati
con Krishnaji sradicarono completamente da me l’immagine che avevo di lui, come uomo religioso.

Krishnaji visse nel mondo e la sua vita ebbe un preciso ruolo, come avrete letto nei suoi
Commentaries, ma egli non era del mondo. Era totalmente fuori da esso.

Krishnaji non sopportava le lunghe esposizioni al sole, poiché aveva avuto una insolazione.
Passeggiò raramente prima del tramonto. Ebbi modo di fare una gran quantità di conversazioni con lui
in occasione dei nostri numerosi spostamenti in macchina. Talvolta, i discorsi erano superficiali.
Altre volte, invece, aveva straordinario interesse – ad esempio – per la storia antica,
l’astronomia, i cieli, le stelle, e per tutte cose di questo tipo; ne parlava e diceva:

“Osserva la Croce del Sud [una famosa costellazione australe]”.

Talvolta eravamo più persone in macchina; altre volte eravamo soli. Dick Balfour Clarke veniva
sovente da noi in bicicletta dal TS per salutarlo.

Krishnaji era molto ben informato, ma leggeva molto poco e lentamente. Non l’ho mai visto leggere
libri religiosi. Una volta divenne molto serioso, quando il pubblicò un prospetto
statistico, subito dopo le Olimpiadi del 1968, che vedeva l’India in fondo alla classifica.

Disse:

“Vi è mai venuto in mente perché questo paese non ha prodotto fuoriclasse e individui ricchi
d’inventiva, in tanti anni di scienza, arte, musica e così via; e, questo, proprio in un paese che
ha così tante magnifiche sculture e templi? Perché non abbia prodotto negli ultimi anni un solo vero
individuo creativo, che sia internazionalmente famoso?”

Mi tormentò. Si rivolgeva a me con “Vecchio ragazzo”, o “Balasundaram”, o “Signore”; mi stava
martellando. Proseguì

“Non hai pensato a questo? Come puoi educare le persone se non sei consapevole di ciò?”

Allora, cercai di deviare il discorso: “Cosa intende dire?” Rispose che quello di deviare i discorsi
era un vecchio trucco, tuttavia aggiunse:

“Ti dirò, ascolta. Ogni volta che c’è stata una gran fioritura di arte, musica, poesia, e così via,
è stato dopo un intenso periodo religioso. Cosa vediamo dopo l’apparizione del Buddha? Le grotte di
Ajanta ed Ellora! Oggigiorno, se qualcuno fa qualcosa, vuole essere applaudito dal mondo intero. La
persona stolta si comporta così!”.

Andò avanti, analizzando l’intero pianeta e disse:

“Il vero sentimento religioso è la madre di tutta la creatività. Questo paese l’ha impedito.”

Prese questo argomento molto seriamente.

Era amorevole, ma, talvolta, anche collerico. Ed era così, quando si rivolse a me dicendo:

“Tu devi fare qualcosa.”

Gli risposi: “Cosa può fare un uomo?” Al che, si voltò e disse: “Non dici mai cose nuove: fare un uomo>? Napoleone era un uomo. Hitler era un uomo, il Buddha era un uomo. Così le cose, per
buone o cattive che siano, sono state cambiate da una persona. Tu devi andare alla radice. Se non
scopri la radice, potrai cambiare le cose solo superficialmente. Ciò vale sia per l’educazione che
per qualsiasi altra cosa.”

Krishnaji aveva una grande presenza. Non ho ricordo di persone che abbiano, ad esempio, accavallato
le gambe in sua presenza, o che non fossero consapevolmente rispettosi nei suoi riguardi; io proprio
non potevo farlo.

Come raccontò Rom Landau nel suo libro , quando andò a vedere Krishnaji nel
1934. In quel periodo, egli fumava regolarmente, ma scrive:

“Dimenticai di prendere le sigarette in quei quindici giorni, poiché dimenticai di essere un
fumatore.”

Krishnaji aveva una formidabile presenza, che incideva sui comportamenti di alcune persone; altri,
invece, non erano toccati allo stesso modo; non è facile comprenderne i motivi. Ho visto spesso
abitanti dei villaggi e persone comuni, che non lo conoscevano affatto, farsi indietro ed inchinarsi
ossequiosamente mentre egli passava.

Le sacre scritture dicono che una delle maggiori cause di illusione nell’uomo è dehatma-bhava; cioè,
l’identificazione col proprio corpo. In Krishnamurti questo non aveva ragione d’essere. Egli
considerava il proprio corpo come un’entità separata, del quale bisognava avere cura; un qualcosa da
accudire, rivestire, lavare, nutrire con alimenti giusti e così via. Krishnaji considerava il corpo
come un prezioso strumento da custodire coscientemente.

Si fa un gran parlare su ciò che Krishnaji intendeva per libertà. Egli non si riferiva a ciò che
soddisfa e appaga se stessi: bensì, libertà da ciò che piace, o ripugna. Una volta K. disse a sua
nipote Narayan:

“Se non avessi sottoposto questo corpo a una tale quantità di viaggi, si sarebbe mantenuto per
quattrocento anni.”

Gli chiesi: “Disse quattrocento, o cento?”

Narayan rispose, “Quattrocento”.

Un giorno il Dr. Parchure disse a Krishnaji, “Il suo fegato non è in buona salute. Deve prendere una
spremuta di zucca acerba ogni mattina a colazione.” Ed egli seguì la prescrizione senza problemi, in
assenza di piacere, o dispiacere. Egli visse soltanto per trasmettere il suo messaggio.

Quando egli aveva oltre ottant’anni un mio amico di Orissa disse:

“Ci sono molti posti in India dove non è stato. Potresti convincerlo a venire qui?”

Krishnaji affermo’

“Come posso viaggiare due giorni per arrivare in un posto? E dopo il viaggio cosa dovrei fare?”

Poiché potevo permettermi piccole libertà, avendo vissuto con lui a lungo, replicai:

“Potrebbe offrire darsan lì.”

Mi rispose:

“Parlare è il mio mestiere. Parlerò e parlerò, finchè non cadrò giù morto. Punto!”

Ed egli fece proprio questo. Dal principio alla fine, adempì alla sua missione, finché il fisico non
ne poté più. Con questo zelo egli trascorse la sua intera esistenza.

Quando arrivava a Rishi Valley, o dovunque andasse, era solito dire:

“Voglio mettere tizzoni ardenti sotto le persone.”

Sebbene provasse intensi ed amorevoli sentimenti, usava scuotere le persone, affinché aprissero gli
occhi. Robert Linsson, nel suo libro , fa alcuni paragoni fra l’insegnamento di
Krishnaji e quelli Zen; egli non trattò sempre le persone coi guanti bianchi. Una volta mi rivolsi a
lui con queste parole:

“Signore, lei esige una continua rivoluzione, come Mao in Cina. Suole esercitare continuamente
cambiamenti nelle cose.”

Rispose:

“Intendo suscitare inquietudine in lei e nelle persone. E’ tutto nel programma, tuttavia non lo
avrà, né lei né gli altri.”

Pertanto il suo “programma” non consisteva nel solo insegnamento; ma, nell’approccio ad esso, che,
talvolta, travolge come un tornado.

“Vengo come una bufera,” disse, “e quando vado le persone restano sollevate.”

Quando ancora ero giovane e Preside della , venne un giorno Krishnaji. Dopo un
paio di giorni mi sottopose una questione:

“Balasundaram, ha prodotto un ragazzo differente, affrancato, che proceda in direzione dissimile a
quella mondana? E, se c’è un insegnante, chi è?”

Era davvero risoluto. Al principio gli fornii alcuni chiarimenti, spiegandogli che le cose erano
migliorate, ma non come avrebbe voluto lui. Eravamo insieme durante la colazione, il pranzo e la
cena. La sera del terzo giorno andammo a fare una passeggiata. Dopo circa un chilometro mi chiese:

“Dov’è la nuova luna?” Affrontava raramente discorsi impegnativi, durante le sue passeggiate. Ci
guardammo attorno, poi improvvisamente sorrise e disse:

“Ciò mi ricorda una passeggiata che feci con George Arundale. Era il mio insegnante, una volta a
Wimbledon, intorno al 1918/19, ci trovavamo un po’ in contrasto. Quel giorno camminammo per quattro
miglia senza rivolgerci una sola parola; proprio come ora, nessuno rivolse parola all’altro.”

Non riuscii a trovarci niente di divertente e ci rimasi un po’ male. Allora mi prese entrambe le
mani e scuotendole un po’ disse:

“Old boy, sei stato ferito dalle cose che ho detto questi tre giorni?”

Dissi: “Forse un po’, Signore.”

Poggiò la sua mano nel mio torace e disse: “Old boy, ricorda, se sei ferito, c’è in te qualcosa di
sbagliato!”

Ripeté questa frase per tre volte.

Krishnaji era certamente un grande maestro; non insegnò soltanto con parole, ma attraverso
dibattiti, confronti e diversi altri mezzi. Non furono solo le sue parole a toccare la gente; ma,
quel qualcosa di particolare che fuoriusciva da lui e ti penetrava nel sangue, come un vaccino.

Aveva questa straordinaria proprietà che, tuttavia, non appare così evidente per chi studia i suoi
libri. Del perché non mutai nell’ascoltarlo non mi è dato di saperlo. E’ un mistero. Egli stesso
disse, negli ultimi anni della sua vita:

“Ho parlato per molti anni e le persone non sono trasformate; soltanto un paio hanno avuto un
leggero cambiamento.”

L’unica preoccupazione dei suoi ultimi quarant’anni fu che le persone dovevano trasformarsi
profondamente.

In Rishi Valley si tenevano spettacoli, danze e tutte cose di questo genere, e molti abitanti dei
villaggi volevano venire. Ogni sera, lo riprendevo all’esterno, sotto al fico del bayan, nel campus
universitario. Una sera, poco dopo il pasto, si alzò in piedi e disse:

“Balasundaram, hanno iniziato a fare i nastri. Resterà tutto nei libri e nei nastri? Solo quello?”

Cosa potevo rispondere? Ero frastornato. Poi, Krishnaji andò a lavarsi; quando tornò lo scoprii in
completo silenzio all’albero del banyan.

Dopo il suo trapasso, nel 1990 mi inviarono all’< International Trustees Conference >, a Brockwood,
che lui promosse, nel 1973. Ci misero nelle nostre mani undici serie di “Discussioni”, realizzate
nel 1977, e noi gli dicemmo che ci fossero affidate, affinché potessimo leggerle e meditarvi.

Il loro fondamento era: “Quest’uomo si consumerà in dieci anni. Cosa offrirete a chi verrà a
chiedere notizie sugli insegnamenti e informazioni sull’uomo? Gli mostrerete un videotape, gli
darete un libro? Quali Amministrazioni mostrerete? Ad eccezione del vostro stesso cambiamento, la
vostra testimonianza in direzione della verità è completamente vana, allo stesso modo della Bibbia.

Nel 1995 mi recai in America per il centenario dalla nascita, ed incontrai molte persone; fra
queste, il Professor Anderson, emerito professore di Religioni, all’Università di Santiago.

Mi disse che vide Krishnamurti una sola volta, nel 1974, in occasione di alcuni suoi discorsi.

Osservò: “La persona è svanita (N.d.R.: morta), ma il suo spirito resta”.

Furono in molti ad essere profondamente toccati dal suo messaggio, compreso un uomo che era stato in
prigione. Probabilmente molta gente non ebbe la trasformazione che Krishnaji auspicava, tuttavia una
gran quantità di persone fu toccata e decisamente influenzata dai suoi insegnamenti; ciò, era
evidente nella conduzione della loro vita privata e nella condotta professionale.

S. Balasundaram
Il Dr. S. Balasundaram è un ex-Segretario della
Krishnamurti Foundation in India

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