L’effetto antidepressivo dei ricordi piacevoli

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L’effetto antidepressivo dei ricordi piacevoli

22 giugno 2015

In topi sottoposti a condizioni di stress, i comportamenti indicativi di uno stato depressivo possono essere annullati attivando in modo artificiale le popolazioni di neuroni associate a situazioni piacevoli vissute in passato. Lo dimostra uno studio che apre interessanti interrogativi sui meccanismi che negli esseri umani agiscono per compensazione di stati depressivi (red)

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Richiamare in memoria ricordi positivi sembra alleviare i comportamenti di tipo depressivo, almeno nei topi. Lo dimostra uno studio pubblicato su “Nature” da Steve Ramirez del Massachusetts Institute of Technology a Cambridge.

Una serie di studi effettuati in passato aveva dimostrato che l’ippocampo, nel lobo temporale del cervello, è una delle aree cerebrali maggiormente coinvolte nella formazione dei ricordi a lungo termine e nella regolazione delle risposte allo stress. L’ippocampo contribuisce infatti alla generazione di una rappresentazione cellulare delle esperienze, attivando specifiche popolazioni di neuroni.

Un grande contributo a questi studi su topi è stato dato dalle tecniche di optogenetica, che permettono di “etichettare” con molecole sensibili alla luce una specifica popolazione di cellule, che viene attivata da un’esperienza vissuta dall’animale, e che quindi è considerata il substrato neurologico dei ricordi. Questo tipo di etichettatura permette ai ricercatori di far rivivere ai roditori la stessa esperienza, riattivando intenzionalmente le stesse cellule con impulsi di luce.

Ramirez e colleghi hanno etichettato tre diverse popolazioni di neuroni del giro dentato, una sottoregione dell’ippocampo, di topi di laboratorio. Si trattava di popolazioni neuronali associate ad altrettante esperienze di diversa valenza: essere chiusi in una gabbia con una femmina (esperienza positiva), essere rinchiusi in una gabbia vuota (esperienza neutra) ed essere immobilizzati (esperienza negativa, in grado di indurre stress nell’animale).

Dopo l’etichettatura neuronale, i topi sono stati sottoposti a condizioni stressanti per dieci giorni consecutivi. Questo passaggio sperimentale ha generato nei roditori uno stato crescente di ansia, oltre che di passività e di disinteresse per attività ludiche, ovvero due sintomi di uno stato depressivo.

Questi stati d’ansia e di depressione, tuttavia, potevano essere cancellati riattivando i neuroni etichettati con l’esperienza positiva, mentre riattivando quelli collegati all’esperienza neutra e a quella negativa non si osservava alcun cambiamento. Inoltre, la riattivazione ripetuta nel tempo dei neuroni associati all’esperienza positiva aveva un effetto antidepressivo duraturo sui topi, che dimostravano di essere più resistenti allo stress. La stessa cosa non succedeva però riproponendo ai topi una nuova esperienza positiva.

Il risultato suggerisce interessanti corrispondenze con analoghi fenomeni negli esseri umani. Il ricordo di un’esperienza positiva in grado di cambiare l’umore di una persona ricorda molto da vicino la nostalgia, che allevia gli stati depressivi, ma solo nelle persone non colpite da una depressione di significato clinico, come sottolineano gli autori. In persone con depressione grave, infatti, il ricordo di situazioni piacevoli non è di alcun aiuto.

www.nature.com/nature/journal/v522/n7556/full/nature14514.html

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