Le fondamenta del Buddhismo 7

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Le fondamenta del Buddhismo 7

di Peter Della Santina (parte settima )

Tratto da: LE FONDAMENTA DEL BUDDHISMO (INTRODUZIONE ALL’ABHIDHARMA)

SAGGEZZA

Con questo capitolo terminiamo il nostro studio sui vari gradini dell’Ottuplice Nobile Sentiero. Nei
capitoli quinto e sesto abbiamo visto i primi due gruppi, o modi, di pratica, quelli di buona
condotta e di sviluppo mentale. Qui considereremo la terza via di pratica, che è la saggezza. A
questo punto ci troviamo di fronte a un paradosso apparente: nella lista degli otto gradini della
Via, la Retta Visione e il Retto Pensiero vengono per primi, ma nel contesto della pratica il gruppo
della saggezza viene per ultimo.

Come mai? Prima abbiamo usato l’analogia di scalare una montagna per spiegare la relazione tra i
vari gradini della Via. Quando cominciate la scalata dovete avere in vista la vetta. E’ la vista
della cima che dà la direzione da seguire. Perciò, fin dall’inizio della scalata dovete tenere gli
occhi rivolti alla vetta. E’ per questo che la Retta Visione è messa all’inizio della Via; ma in
pratica dovete superare i primi pendii e scalare i tratti a metà costa prima di raggiungere la cima,
rappresentata dalla saggezza. In realtà quindi la saggezza è alla fine della Via. La saggezza è la
comprensione delle Quattro Nobili Verità, dell’Origine Interdipendente e degli altri insegnamenti.

Ciò che voglio spiegare dicendo questo, è che ottenere la saggezza significa trasformare questi
insegnamenti da mera conoscenza intellettuale a reale esperienza. In altre parole, trasformiamo la
conoscenza della dottrina da pura nozione libresca in reale verità vivente. Questo scopo lo si
ottiene prima con la pratica di buona condotta e poi in particolare coltivando lo sviluppo mentale.
Tutti possono leggere in un libro il significato delle Quattro Nobili Verità, dell’Origine
Interdipendente e il resto, ma ciò non significa ottenere la saggezza. Il Buddha stesso ha detto che
proprio perché non abbiamo capito le Quattro Nobili Verità e l’Origine Interdipendente siamo passati
da un ciclo all’altro di nascita e morte da tempo immemorabile. Naturalmente, dicendo questo voleva
intendere qualcosa di più profondo che l’incapacità di comprendere o ‘vedere’ la dottrina a livello
intellettuale.

Bisogna quindi dare alla parola comprensione il significato di Retta Visione cioè di una
comprensione o visione diretta e immediata, un atto di pura percezione, come vedere una macchia blu.
Forse è per questo che la parola “vedere” è usata così spesso per descrivere la realizzazione della
saggezza. Parliamo infatti di “vedere la verità” o di “vedere le cose così come sono” perché la
saggezza non è un esercizio intellettuale o accademico, ma è comprensione, il “vedere” direttamente
la verità. Questa diretta comprensione della natura della realtà può essere assimilata al
raggiungimento dell’illuminazione. Apre la porta alla liberazione dalla sofferenza e al Nirvana. Nel
buddhismo la saggezza è la chiave per realizzare lo scopo della religione. In alcune religioni
troviamo che prevale la fede; in altre tradizioni la cosa più eccelsa è la meditazione; nel
buddhismo invece la fede è preliminare e la meditazione strumentale. La vera essenza del buddhismo è
la saggezza.

Due gradini dell’Ottuplice Nobile Sentiero fanno parte del gruppo della saggezza: Retta Visione e
Retto Pensiero. Retta Visione significa vedere le cose come realmente sono, comprenderne la verità
inerente, piuttosto che vederle solo come ci appaiono esteriormente. Quindi vederle intuitivamente,
in profondità, oltre alla superficie e alle apparenze.

In termini dottrinali, questo vuol dire avere la retta visione delle Quattro Nobili Verità,
dell’Origine Interdipendente, dell’impermanenza, impersonalità e così via. Per il momento parliamo
solo dei mezzi per ottenere la Retta Visione, lasciando da parte momentaneamente il suo contenuto.
Ancora una volta è evidente l’atteggiamento scientifico del Buddha perché, quando analizziamo i
mezzi per ottenere la Retta Visione, troviamo che all’inizio si pratica l’osservazione obiettiva di
noi stessi e del mondo che ci circonda. Inoltre all’osservazione obiettiva bisogna accompagnare
l’indagine, l’analisi e la riflessione.

Trattando la Retta Visione vediamo che ce ne sono di due tipi: quella acquisita personalmente e
quella che ci viene da altri, cioè le verità che altri ci presentano. Alla fine questi due modi di
comprensione si fondono perché, in ultima analisi, la vera comprensione (o meglio la Retta
Comprensione) deve venire da noi stessi. All’inizio però possiamo distinguere tra la comprensione
che ci viene dalla pura osservazione dei dati dell’esperienza quotidiana e la comprensione che
ricaviamo dallo studio degli insegnamenti.

Come in situazioni normali ci viene insegnato di osservare prima i fatti che obiettivamente ci si
presentano e poi valutarli, così nell’insegnamento del Buddha ci vien detto prima di studiarlo e poi
valutarlo e analizzarlo. Ma, sia che osserviamo e indaghiamo la realtà con la nostra esperienza
personale, sia che studiamo i testi, il passo finale in questo processo di conoscenza, è la
meditazione ed è a questo stadio che i due tipi di comprensione a cui alludevo prima diventano
indivisibili.

Per riassumere, i mezzi per ottenere la retta comprensione sono: in un primo momento l’osservazione
e lo studio; poi dovete esaminare intellettualmente ciò che avete osservato e studiato e infine
dovete meditare su ciò che avete esaminato intellettualmente prima. Per fare un esempio, supponiamo
che dovete recarvi in un certo posto. Per prepararvi al viaggio comprate una mappa che segni la
strada che vi deve portare a destinazione. Prima di tutto guardate la mappa per avere indicazioni
sulla direzione da prendere; poi riesaminate ciò che avete osservato nella mappa per essere sicuri
di averne capito bene le indicazioni. Solo allora cominciate il viaggio verso la destinazione
voluta. L’ultimo gradino di questo processo, cioè cominciare praticamente il viaggio, può essere
paragonato alla meditazione.

Oppure supponete di aver comprato un nuovo apparecchio per la casa o l’ufficio. Non basta, per
metterlo in funzione leggere una sola volta le istruzioni. Bisogna rileggerle varie volte per essere
sicuri del loro significato. Solo quando siete certi di averle capite bene, cominciate a mettere in
funzione e a usare l’apparecchio. L’atto di usare in modo appropriato l’apparecchio è analogo alla
meditazione. Allo stesso modo, per ottenere la saggezza, dovete meditare sulla conoscenza acquisita
attraverso l’osservazione o lo studio e verificata poi intellettualmente con l’analisi. Al terzo
stadio del processo di Retta Comprensione, la conoscenza ottenuta in precedenza diventa parte della
nostra esperienza di vita.

Vorrei fare ora qualche considerazione sull’atteggiamento da coltivare quando si entra in contatto
con gli insegnamenti del Buddha. Per farlo, dobbiamo evitare tre difetti che vengono spiegati con
l’esempio di un vaso. In questo contesto noi siamo il vaso, mentre gli insegnamenti sono il
contenuto che va versato nel vaso. Supponiamo per prima cosa che il vaso sia chiuso da un coperchio:
ovviamente non potremo versarvi dentro nulla. E’ la situazione analoga a colui che ascolta gli
insegnamenti con la mente chiusa, cioè con una mente preconcetta. Il Dharma non può entrare e
riempire la mente.

Di nuovo, supponiamo di avere un vaso con un buco in fondo: se cerchiamo di riempirlo di latte, il
liquido semplicemente esce dal buco. Corrisponde a quello che non trattiene ciò che ascolta, per cui
gli insegnamenti sono per lui inutili. Infine supponiamo di riempire un vaso di latte fresco senza
prima aver controllato che fosse pulito e infatti nel vaso c’era del latte andato a male dal giorno
precedente. Anche il latte fresco che vi versiamo andrà perciò a male. Analogamente, se uno ascolta
gli insegnamenti con mente impura, gli insegnamenti non saranno di alcun beneficio. Per esempio, uno
che ascolta il Dharma con l’idea di utilizzarlo egoisticamente per acquisire onori e riconoscimenti,
è come un vaso contaminato da impurità.

Dobbiamo cercare di evitare questi tre atteggiamenti quando ci accostiamo agli insegnamenti del
Buddha. Il modo corretto per ascoltare il Dharma è quello di un malato che ascolta attentamente il
consiglio del medico. Il Buddha è come un medico, gli insegnamenti sono come le medicine, noi siamo
il malato e la pratica è il mezzo con cui possiamo curare la malattia delle afflizioni
(attaccamento, avversione e ignoranza) che sono la causa del nostro soffrire. Sicuramente otterremo
un certo grado di Retta Comprensione se ci accosteremo allo studio del Dharma con questa forma
mentale. La Retta Comprensione è spesso divisa in due aspetti o livelli: un livello normale e uno
superiore. Ho già parlato degli scopi del buddhismo che anche essi appartengono a due livelli: lo
scopo della felicità e prosperità appartiene a questa e all’altra vita, mentre lo scopo della
liberazione o nirvana è il fine ultimo della pratica. La normale Retta Comprensione riguarda lo
scopo mondano, mentre il livello superiore corrisponde al fine ultimo della pratica buddhista.

Il primo comune aspetto della Retta Comprensione riguarda la corretta valutazione del rapporto di
causa e effetto, e riguarda la responsabilità morale del nostro comportamento. In altre parole
significa che, o prima o dopo, sperimenteremo gli effetti delle nostre azioni. Se agiamo bene,
rispettando cioè la vita, la proprietà, la verità, ecc. sperimenteremo i felici effetti delle nostre
buone azioni; in altre parole vivremo felicemente in questa vita e in quelle future. E viceversa, se
agiamo male sperimenteremo infelicità e situazioni penose in questa e nelle vite future.

Il secondo aspetto, l’aspetto superiore della Retta Comprensione, vuol dire vedere le cose così come
sono e riguarda il fine ultimo degli insegnamenti del Buddha. Che vuol dire “vedere le cose così
come sono”? Da un punto di vista dottrinale significa vedere che le cose sono impermanenti,
interdipendenti, impersonali e così via. Sono tutte risposte corrette; tutte parlano del vedere le
cose così come sono. Ma per arrivare alla vera comprensione di questo primo gradino (e in un certo
senso anche dell’ultimo) dell’Ottuplice Nobile Sentiero dobbiamo guardare cosa hanno in comune tutte
queste espressioni dottrinali della Retta Comprensione. E troviamo che tutte le descrizioni del
significato della Retta Comprensione sono l’opposto di ignoranza, schiavitù e prigionia nel ciclo di
nascita e morte.

L’illuminazione del Buddha fu essenzialmente l’esperienza della distruzione dell’ignoranza. Il
Buddha la descrive spesso come l’esperienza della comprensione delle Quattro Nobili Verità e
dell’Origine interdipendente, entrambe riguardanti la distruzione dell’ignoranza. In questo senso
l’ignoranza è il problema centrale del buddhismo. L’idea che sta alla base sia delle Quattro Nobili
Verità che dell’Origine interdipendente è l’ignoranza, le sue conseguenze e la sua eliminazione.
Rivediamo un attimo la formula delle Quattro Nobili Verità. La chiave per trasformare la nostra
esperienza da un’esperienza di sofferenza a quella di fine della sofferenza è comprendere la Seconda
Nobile Verità, la verità della causa della sofferenza. Come già detto precedentemente, le Quattro
Nobili Verità si possono dividere in due gruppi: il primo che include la verità della sofferenza e
la verità della causa della sofferenza, deve essere abbandonato. Il secondo, che include la verità
della fine della sofferenza e la verità della Via, deve essere realizzato.

Capire la causa della sofferenza ci permette di compiere ciò. Lo si può vedere chiaramente nella
descrizione della sua esperienza che il Buddha stesso fece della notte della sua Illuminazione.
Quando vide le cause della sofferenza, cioè quando capì che attaccamento, avversione e ignoranza ne
sono le cause, questo aprì la porta alla libertà e all’illuminazione. L’ignoranza, l’avversione e
l’attaccamento sono le cause della sofferenza, ma se vogliamo restringere il nostro esame alla
componente più essenziale dobbiamo focalizzarci sull’ignoranza, perché l’avversione e l’attaccamento
nascono a causa dell’ignoranza.

Ignoranza è l’idea di una personalità indipendente e duratura, cioè un Io. E’ questo concetto di un
io separato e opposto a tutto e a tutti che è la causa principale di sofferenza. Quando abbiamo
l’idea di un tale io, viene naturale volgersi a quelle cose che sostengono e alimentano questo io, e
allontanarsi invece da ciò che può sembrare una minaccia per l’io. Il concetto di un sé indipendente
è la causa principale della sofferenza, la radice delle emozioni più dannose: attaccamento,
avversione, bramosia, rabbia, invidia, gelosia. Vuol dire ignorare che il cosiddetto “io” è solo il
nome convenzionale per un insieme di fattori mutevoli, interdipendenti e contingenti che stanno alla
base di questi coinvolgimenti emotivi.

Ma esiste forse la foresta se non ci sono gli alberi? Io o sé è solo un nome comune per un insieme
di processi. Quando lo si crede reale e indipendente è causa di sofferenza e paura. In questo
contesto, credere a un sé indipendente assomiglia a scambiare una corda per un serpente nella
semi-oscurità. Se vediamo una corda in una stanza buia potremmo crederla un serpente e questo
malinteso è causa di paura. Allo stesso modo, a causa del buio dell’ignoranza, scambiamo i processi
impermanenti e impersonali delle sensazioni, delle percezioni, ecc. per un vero io indipendente. Di
conseguenza reagiamo alle varie situazioni con speranza o paura, con desiderio verso qualcosa e
avversione verso altre, con simpatia per alcuni e antipatia per altri.

Ricapitolando: ignoranza è credere erroneamente che esiste un ego permanente, un sé reale. Questo
insegnamento sull’impersonalità non contraddice però la dottrina della responsabilità morale, della
legge del karma. Ricorderete che abbiamo appena parlato di due aspetti della Retta Comprensione: la
comprensione della legge del karma e vedere le cose così come sono. Una volta che l’erroneo concetto
di un sé – che è egocentrismo – è eliminato dalla Retta Comprensione, allora l’attaccamento,
l’avversione e tutte le altre afflizioni emotive vengono anche eliminate. Quando esse cessano di
manifestarsi si raggiunge la fine della sofferenza. Non mi aspetto che tutto ciò possa esservi
subito chiaro. Per questo dedicherò vari capitoli alla nozione di ignoranza e dei suoi correttivi
nel buddhismo.

Per ora andiamo verso l’altro gradino della via che appartiene al gruppo della saggezza, cioè il
Retto Pensiero. A questo punto possiamo vedere la reintegrazione e l’applicazione dell’aspetto della
saggezza della via alla moralità, perché il pensiero ha una grandissima influenza sul nostro
comportamento. Il Buddha ha detto che se agiamo e parliamo con una mente pura la felicità ci
seguirà, come un’ombra; mentre se parliamo o agiamo con una mente impura la sofferenza ci seguirà
come le ruote di un carro seguono gli zoccoli del bue che lo tira.

Retto Pensiero significa evitare attaccamento e avversione. Ricordiamo che le cause della sofferenza
sono ignoranza, attaccamento e avversione. Mentre la Retta Comprensione elimina l’ignoranza, il
Retto Pensiero toglie l’attaccamento e l’avversione. Quindi Retta Comprensione e Retto Pensiero
eliminano tutte le cause della sofferenza.

Per rimuovere l’attaccamento e la bramosia dobbiamo coltivare la rinuncia, mentre per rimuovere
l’avversione e la rabbia dobbiamo coltivare amore e compassione. E come possiamo coltivare l’amore e
la compassione e il senso di rinuncia che agiscono da correttivi all’avversione e all’attaccamento?
La rinuncia si sviluppa contemplando la natura insoddisfacente dell’esistenza, e particolarmente la
natura insoddisfacente del piacere dei sensi. Il piacere dei sensi è paragonato all’acqua salata. Un
uomo assetato che beve acqua salata nella speranza di placare la sete, in effetti scopre che
l’aumenta soltanto. Il Buddha ha paragonato il piacere dei sensi anche a un frutto bello, profumato
e gustoso, ma velenoso. Anche i piaceri sono attraenti e ci danno gioia, ma ci portano poi al
disastro. Quindi per coltivare la rinuncia bisogna considerare le conseguenze indesiderabili dei
piaceri dei sensi.

Inoltre dovremmo tener presente che la natura stessa del samsara, il ciclo di nascita e morte, è
sofferenza. Non importa a che livello del ciclo siamo rinati, la nostra situazione è comunque satura
di sofferenza. La natura del samsara è sofferenza, proprio come la natura del fuoco è calore. Solo
comprendendo la natura insoddisfacente dell’esistenza e riconoscendo le conseguenze indesiderabili
dei piaceri sensuali, possiamo coltivare la rinuncia e il distacco.

Allo stesso modo possiamo sviluppare amore e compassione, riconoscendo che tutti gli esseri viventi
sono essenzialmente uguali. Come noi, essi hanno paura della morte e tremano all’idea di una
punizione. Se lo capiamo, non uccideremo gli altri esseri e ci asterremo dal causarne la morte. Come
noi, tutti gli esseri vogliono vivere ed essere felici. Comprendendo ciò non ci crederemo superiori
agli altri e valuteremo noi stessi come valutiamo gli altri.

Il riconoscimento della fondamentale uguaglianza di tutti gli esseri è essenziale per coltivare
amore e compassione. Tutti gli esseri viventi desiderano la felicità e temono il dolore esattamente
come noi. Riconoscendo ciò dovremmo trattare tutti con amore e compassione. Inoltre dobbiamo
coltivare attivamente il desiderio che tutti siano felici e liberi dalla sofferenza. E’ così che
possiamo coltivare le benefiche qualità della rinuncia e dell’amore e compassione, che correggono e
infine eliminano attaccamento e avversione. Infine, per mezzo della pratica dell’aspetto della
saggezza dell’Ottuplice Nobile Sentiero, che comprende non solo Retto Pensiero ma anche Retta
Comprensione, possiamo eliminare ignoranza, attaccamento e avversione, raggiungere la libertà e la
suprema felicità del Nirvana, che è il fine ultimo dell’Ottuplice Nobile Sentiero.

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