Le fondamenta del Buddhismo 23a

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Le fondamenta del Buddhismo 23a

di P. Della Santina – parte 23a.

Tratto da: LE FONDAMENTA DEL BUDDHISMO> (INTRODUZIONE ALL’ABHIDHARMA)

I 37 FATTORI DI ILLUMINAZIONE

I 37 fattori d’illuminazione (bodhipakkhiya dhamma) sono importanti per due ragioni. Primo, stando
alla tradizione, il Buddha stesso poco prima di entrare nel Nirvana finale, li raccomandò come i
mezzi principali per raggiungere l’illuminazione. Secondo, questi fattori sono una parte
fondamentale dell’Abhidharma, in quanto appartengono, come l’insegnamenti dei cinque aggregati, a
quella categoria di insegnamenti che comprende i contenuti abhidharmici del Sutra Pitaka. Nel
capitolo XIV abbiamo parlato delle caratteristiche dell’Abhidharma e del rapporto tra il materiale
abhidharmico e il contenuto dei discorsi o sutra. I fattori di illuminazione appartengono a questa
categoria di materiale, che ha natura abhidharmica anche se si trova nei discorsi. Perciò
appartengono al primo periodo della filosofia abhidharmica.

Senz’altro i 37 fattori di illuminazione sono di natura abhidharmica. Si possono applicare ad essi
tutte e cinque le caratteristiche del materiale abhidharmico: 1. Definizione dei fattori; 2.
Relazione tra di loro dei fattori; 3. Analisi dei fattori; 4. Classifica dei fattori; 5.
Sistemazione in ordine numerico (vedi capitolo I).

I 37 fattori sono divisi in sette gruppi: a) le quattro basi della consapevolezza (satipatthana), b)
i quattro retti sforzi (sammappadana), c) le quattro vie di potere (iddhipada), d) le cinque facoltà
di controllo (indriya), e) i cinque poteri (bala), f) i sette rami d’illuminazione (bojjhanga), g)
il Nobile Ottuplice Sentiero (atthangika magga).

Siccome abbiamo già considerato i quattro retti sforzi e il Nobile Ottuplice sentiero nei capitoli
V, VI e VII del saggio precedente, non parlerò di questi due gruppi soffermandomi solo sugli altri
cinque gruppi.

Il Buddha disse che la consapevolezza o presenza mentale è la sola via per l’eliminazione delle
afflizioni, e affermò anche che la mente è la sorgente di ogni virtù. Quindi la pratica più
importante è disciplinare la mente. L’importanza della consapevolezza è messa in evidenza anche dal
fatto che appare in ben cinque dei sette gruppi che formano i 37 fattori di illuminazione e che il
primo di questi gruppi è dedicato interamente alle quattro basi della consapevolezza (satipatthana).
Inoltre il Satipatthana Sutta (Discorso sulle basi della consapevolezza) in cui si insegna la
consapevolezza, ricorre due volte nel Canone pali. Tutto ciò indica la sua importanza.

Negli ultimi anni c’è stata una grande rinascita d’interesse per le quattro basi della
consapevolezza, sia nella tradizione Theravada specialmente in Birmania, che nella tradizione
Mahayana in cui le quattro basi della consapevolezza vengono considerate una parte importante della
pratica di meditazione. Una delle ragioni per cui queste quattro basi di consapevolezza hanno avuto
tanta importanza nella meditazione buddhista è perché portano alla realizzazione delle tre
caratteristiche universali (impermanenza, sofferenza, non sé). Diventerà chiaro il modo in cui ciò
funziona considerando quali sono le quattro basi: 1) consapevolezza del corpo; 2) consapevolezza
delle sensazioni; 3) consapevolezza della coscienza; 4) consapevolezza degli oggetti mentali.

La consapevolezza del corpo, nel satipatthana , è più globale di quella applicata al contesto dei 40
tradizionali sostegni alla meditazione, in cui è una delle dieci contemplazioni, ma è limitata solo
al corpo. Qui la consapevolezza non si applica solo al corpo, ma anche al processo di inalazione ed
esalazione del respiro, agli elementi della materia, alla decomposizione del corpo, ecc.

La consapevolezza delle sensazioni si riferisce al contenuto emotivo della propria esperienza
personale, alle sensazioni piacevoli, spiacevoli o indifferenti.

La consapevolezza della coscienza, o più precisamente la consapevolezza del pensiero, implica
l’osservazione del sorgere e sparire dei pensieri.

La consapevolezza degli oggetti mentali si riferisce al contenuto della coscienza, e particolarmente
ai concetti come impermanenza e simili.

La prima base della consapevolezza comprende la dimensione materiale dell’esperienza personale,
mentre le altre tre riguardano la dimensione mentale (cioè gli aggregati di coscienza, volizione,
percezione e sensazione). La perfetta applicazione della consapevolezza ha come risultato
l’abbandono delle tre visuali erronee (permanenza, felicità e sé) e l’intuizione profonda delle tre
caratteristiche universali (impermanenza, sofferenza e non sé).

Gli oggetti delle quattro basi di consapevolezza vengono interpretati diversamente a seconda delle
tradizioni di meditazione buddhista, ma la precedente spiegazione dovrebbe essere accettabile dalla
maggior parte delle tradizioni.

Consideriamo ora le quattro vie di potere (iddhipada): 1) voglia o desiderio; 2) energia; 3) mente o
pensiero; 4) ragionamento. Questi quattro fattori si trovano anche nei 24 modi di condizionalità
(vedi capitolo XXIII) in cui sono chiamati “condizioni predominanti” (adhipati). Entrambe, sia le
“vie del potere” che le “condizioni predominanti” suggeriscono chiaramente il potere che ha la mente
di influenzare l’esperienza.

Un semplice esempio è la capacità di controllare, fino a un certo punto, i movimenti del corpo e
l’esercizio della parola. E’ un caso di potere non sviluppato della mente, del desiderio,
dell’energia e del ragionamento per controllare dei fenomeni fisici.. Quando questi fattori
predominanti vengono rafforzati, coltivando i cinque fattori d’assorbimento (applicazione iniziale,
applicazione sostenuta, interesse, felicità, concentrazione) – e particolarmente intensificando la
concentrazione, cosa che avviene quando si raggiunge il quinto grado di assorbimento della sfera
della forma – allora diventano vie di potere.

Rafforzare i fattori predominanti porta a quelli che vengono chiamati tipi mondani di super
conoscenza e alla conoscenza sopramondana.

Ci sono cinque tipi di super conoscenza mondana: la capacità di volare nel cielo a gambe incrociate,
di camminare sull’acqua, di muoversi dentro alla terra, di leggere i pensieri degli altri e di
ricordare le proprie vite passate. La conoscenza sopramondana è la conoscenza della distruzione
delle impurità (asava), dell’ignoranza, eccetera. Forse è per questo che si dice spesso che le
quattro condizioni predominanti possono essere sia mondane che sopramondane. Se sono dirette verso
la sfera mondana, risultano nei cinque tipi di super conoscenza mondana, mentre se sono dirette
verso la sfera sopramondana, o Nirvana, risultano nella penetrazione delle Quattro Nobili Verità e
nella distruzione delle impurità.

Come le quattro Vie di potere, così anche le cinque facoltà di controllo (indriya): fede, energia,
consapevolezza, concentrazione e saggezza, si trovano nei 24 modi di condizionalità. Nel Libro delle
relazioni causali (Patthana) le cinque Facoltà di controllo vengono definite fattori dominanti. Sono
strettamente collegate alle quattro Vie del potere, come è dimostrato dalla loro mutua presenza nei
modi di condizionalità e dal fatto che entrambe controllano, dominano e disciplinano. Le cinque
facoltà si dicono di “controllo” perché controllano e dominano i loro opposti: la fede (o fiducia)
controlla la mancanza di fede (o dubbio); l’energia controlla l’indolenza; la consapevolezza
controlla la disattenzione; la concentrazione controlla l’irrequietezza e la saggezza controlla
l’ignoranza.

Come per le quattro Vie di potere, così anche le facoltà di controllo possono controllare i loro
opposti solo se sono rafforzate dai fattori di assorbimento. Per esempio, la fede funziona da
facoltà di controllo solo se rafforzata dalla presenza dei tre fattori di assorbimento di interesse,
felicità e concentrazione; e la saggezza funziona efficacemente solo quando è rafforzata
dall’applicazione iniziale, dall’applicazione sostenuta e dalla concentrazione. I cinque fattori di
assorbimento danno forza ed energia alle cinque facoltà di controllo in modo che queste funzionino
realmente da fattori propulsivi verso l’illuminazione. I cinque fattori di assorbimento e le cinque
facoltà di controllo si potenziano a vicenda. Per esempio la concentrazione rafforza l’interesse e
la felicità. Può quindi dirsi che il loro è un rapporto di mutuo sostegno e potenziamento.

Sebbene le cinque facoltà di controllo siano indispensabili per trasformare un’esistenza dubbiosa,
letargica, disattenta, agitata e ignorante in un’esistenza illuminata, esse devono essere coltivate
in modo equilibrato. Ciò vuol dire che tra le facoltà di controllo ci sono dei fattori che si
equilibrano a vicenda. Per esempio fede e saggezza formano una coppia; se si lascia che la fede
domini la saggezza, ne risulta un indebolimento delle capacità critiche, del potere intellettuale di
analisi e indagine; se però si lascia che la saggezza domini la fede, la fiducia diminuirà fino al
punto da diventare incertezza e mancanza di incentivo a praticare. Ugualmente se si lascia che
l’energia domini la concentrazione ci sarà agitazione, e se invece prevale la concentrazione ciò
porterà a indolenza e torpore.

Perciò è necessario sviluppare e mantenere in equilibrio fede, energia, concentrazione e saggezza e
la facoltà che lo può fare è la consapevolezza. La consapevolezza è il garante che assicura che il
mutuo rapporto tra fede e saggezza e tra energia e concentrazione sia equilibrato.

L’altro gruppo dei fattori di illuminazione, i cinque poteri (bala): fede, energia, consapevolezza,
concentrazione e saggezza sono, sia per il numero che per il nome, identici alle facoltà di
controllo, ma sono chiamati poteri perché a questo stadio fede, energia, consapevolezza,
concentrazione e saggezza diventano salde, costanti e potenti.

Il Buddha disse che le cinque facoltà di controllo e i cinque poteri sono due aspetti della stessa
cosa; la gente di un’isola in mezzo al fiume chiama lato ovest o lato est le sponde del fiume,
sebbene in effetti le due parti del fiume siano la stessa cosa. Le cinque facoltà di controllo sono
potenzialità che vanno rafforzate e sviluppate, combinandole con i cinque fattori d’assorbimento.
Quando diventano ferme e stabili attraverso questa intensificazione, solo allora possono chiamarsi
poteri.

Dobbiamo aggiungere che comunque i cinque poteri diventano assolutamente incrollabili solo nel caso
dei Nobili (vedi capitolo VI). Diventando, per esempio, un sotapanna (uno che entra nella corrente)
la fede diventa incrollabile perché è stato eliminato l’impedimento del dubbio.

Sebbene nei 37 fattori di illuminazione siano riportate solo cinque facoltà di controllo e cinque
poteri, in una classificazione abhidharmica più vasta, ad esse vengono aggiunte altre tre facoltà
(mente, gioia e vitalità) e due altri poteri (scrupolo morale e timore morale). Insieme vengono
chiamati i “guardiani del mondo”. Lo scrupolo e il timore morali sono paragonabili all’onestà morale
e al timore di riprovazione o censura. Sono chiamati guardiani del mondo perché, quando sviluppati a
livello di potere, diventano i guardiani e garanti delle azioni salutari.

L’ultimo gruppo che tratto qui è i sette rami dell’illuminazione (bojjhanga): consapevolezza,
indagine, energia, interesse, tranquillità, concentrazione, equanimità. Di nuovo abbiamo la
consapevolezza come uno dei fattori e di nuovo è in testa al gruppo, perché la via
dell’illuminazione comincia con la consapevolezza. E’ attraverso la consapevolezza della propria
situazione che si inizia a progredire sulla via. Questo progresso viene sostenuto dall’indagine,
cioè in questo caso dall’indagine sui fattori.

Anche qui c’è l’energia, come nelle quattro vie di potere, nelle cinque facoltà di controllo e nei
cinque poteri. L’energia è essenziale per continuare a progredire lungo la via spirituale. Spesso i
nostri sforzi sono sporadici: facciamo un grande sforzo per un po’ e poi ci rilassiamo per molto più
tempo. Il progresso deve essere sostenuto con continuità ed è l’energia che dà questa fermezza,
questo costante avanzamento lungo la via.

Il quarto fattore, l’interesse (piti), che è anche uno dei cinque fattori d’assorbimento è permeato
di felicità, ma è meglio vederlo come interesse che come pura e semplice gioia o estasi (vedi
capitolo XVIII).

Tranquillità, in questo contesto, è la tranquillità mentale che sorge dopo aver eliminato le
afflizioni dell’ignoranza, dell’ostilità e dell’attaccamento.

Concentrazione è sinonimo di unificazione che è uno dei cinque fattori di assorbimento. Equanimità è
l’eliminazione della tendenza della mente a divagare. Come molti altri termini abhidharmici, anche
l’equanimità funziona a vari livelli. A livello di sensazioni può essere indifferenza; a livello
dello sviluppo della meditazione sulle quattro dimore divine (brahmavihara: l’equanimità è
l’imparzialità verso tutti gli esseri senzienti, cioè l’assenza di attaccamento ai propri cari o
amici, e l’assenza di avversione verso i nemici. Nell’analisi dell’esperienza personale sui cinque
aggregati, l’equanimità è rimanere neutrali di fronte alle otto condizioni mondane (felicità e
dolore, guadagno e perdita, lode e rimprovero, fama e infamia). Qui, nel contesto dei sette fattori
d’illuminazione, equanimità è quello stato mentale integro e saldo che è completamente libero
dall’abituale tendenza della mente a divagare.

Questi 37 fattori sono stati codificati, trasmessi e insegnati da generazioni di maestri, per una
sola ragione: perché sono ritenuti utili e benefici allo sviluppo mentale e di grande aiuto nel
progredire verso l’illuminazione. La buona conoscenza di questi fattori può essere di immediato e
chiaro giovamento per raggiungere il nostro traguardo, sia che si pratichi le quattro basi della
consapevolezza, i quattro sforzi, le quattro vie del potere, i sette rami di illuminazione o
l’ottuplice nobile sentiero.

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