L’arte di vivere la tecnica della meditazione vipassana 2

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L’arte di vivere la tecnica della meditazione vipassana 2

secondo S.N.Goenka – di William Hart (parte seconda)

L’ARTE DI VIVERE

“La tecnica di meditazione Vipassana secondo S. N. Goenka”

(parte seconda)

traduzione di
MARIA ANGELA PALA e PIERLUIGI GONFALONIERI

– La mente –

Insieme con i processi fisici, c’è il processo psichico, la mente.

Sebbene non possa essere toccata o veduta, sembra ancor più intimamente connessa a noi stessi che
non i nostri corpi: possiamo immaginarci un’esistenza futura senza il corpo, ma non possiamo
immaginare tale esistenza senza la mente. E di essa, tuttavia, conosciamo ben poco, e ben poco siamo in grado di controllarla.

Quanto spesso essa rifiuta di fare ciò che vogliamo, e fa ciò che non vogliamo! Il nostro controllo
sulla mente cosciente è già abbastanza debole, ma l’inconscio sembra addirittura fuori del nostro
potere e della nostra comprensione, pieno di forze che forse non approveremmo o di cui non siamo consapevoli.

Così come esaminò il corpo, il Buddha esaminò anche la mente e scoprì che, essenzialmente, nella sua
totalità, essa consiste di quattro processi: coscienza (vinnàna), percezione (sanno), sensazione
(vedano) e reazione (san-khàra). II primo processo, la coscienza, è la parte recettiva della mente,
l’atto di consapevolezza indifferenziata o cognizione. Registra semplicemente gli eventi fenomenici, la recezione di ogni input fisico e mentale.

Annota i dati grezzi dell’esperienza senza assegnare etichette o dare giudizi di valore.

II secondo processo mentale è la percezione, l’atto di riconoscere.

Questa parte della mente identifica qualsiasi cosa sia stata annotata dalla coscienza.

Distingue, etichetta e divide in categorie i dati grezzi e li valuta, in modo positivo o negativo.

La fase successiva della mente consiste nella sensazione.

Di fatto, appena un input viene ricevuto, sorge la sensazione, il segnale che qualcosa è avvenuto.

Fino a quando l’input non è stato valutato, la sensazione rimane neutrale.

Ma una volta che si sia attribuito un valore, la sensazione diviene piacevole o spiacevole, a seconda della valutazione data.

Se la sensazione è piacevole, si avverte il desiderio di prolungare e intensificare l’esperienza.

Se, al contrario, è spiacevole, quello di mettervi fine, di scacciarla.

La mente reagisce con sensazioni di piacere o di avversione. Per esempio, quando l’orecchio funziona normalmente e si ode un suono, la cognizione è al lavoro.

Quando il suono viene riconosciuto come «parole», con connotazioni positive o negative, la percezione comincia a funzionare.

Poi segue la sensazione. Se le parole sono di approvazione, nasce una sensazione piacevole. Se sono insulti, nasce una sensazione spiacevole.

Tutto questo è subito seguito da una reazione. Se la sensazione è piacevole, si inizia a provarne
piacere e si desidera una quantità maggiore di parole di approvazione. Se la sensazione è
spiacevole, si inizia a provarne dispiacere, e si vuole che le ingiurie finiscano.

Lo stesso processo avviene ogni volta che gli altri sensi ricevono un input: coscienza, percezione,
sensazione, reazione. Queste quattro funzioni mentali sono anche più fluttuanti delle effimere
particelle che compongono la realtà materiale. Ogniqualvolta i sensi vengono in contatto con un
oggetto, i quattro processi mentali sopravvengono con la rapidità del fulmine e si ripetono ad ogni
contatto; del resto si verificano così rapidamente che non si è consapevoli di cosa stia avvenendo.
È solo quando una particolare reazione si ripete per un lungo periodo e ha preso una forma definita e intensa che se ne è consapevoli a livello conscio.

L’aspetto più singolare di questa descrizione dell’essere umano non consiste in ciò che include, ma
in ciò che omette. Occidentali od orientali, cristiani o ebrei, musulmani o indù, buddisti o atei o
altro ancora, tutti noi abbiamo la certezza congenita che, da qualche parte dentro di noi, esiste un Io, un’identità permanente.

Senza rifletterci, operiamo presupponendo che la persona che è esistita dieci anni fa sia
essenzialmente la stessa di oggi e la stessa che esisterà tra dieci anni: forse anche la stessa che esisterà in una vita futura dopo la morte.
Quale che sia la filosofia, la teoria o il credo che noi consideriamo veri, di fatto ognuno vive con una convinzione ben radicata: « Io ero, io sono, io sarò ».

Il Buddha ha sfidato questa istintiva affermazione di identità. E nel farlo non ha esposto un’altra
visione speculativa per combattere le teorie altrui, bensì ha ribadito più e più volte che non stava
proponendo un’opinione, ma semplicemente descrivendo la verità che aveva sperimentato e che ogni persona comune può sperimentare. « L’Illuminato ha messo

da parte tutte le teorie » diceva « perché ha visto la realtà della materia, della sensazione, della
percezione, della reazione e della coscienza, il loro sorgere e svanire ».2 Nonostante le apparenze,
aveva scoperto che ogni essere umano in realtà è una serie di eventi separati ma collegati fra loro.
Ogni evento è il risultato del precedente e lo segue senza soluzione di continuità. La progressione
ininterrotta di eventi intimamente connessi da l’apparenza della continuità, dell’identità, ma si tratta solo di una realtà apparente e non della verità ultima.

Possiamo dare un nome a un fiume, ma in realtà è un flusso d’acqua che non smette mai di scorrere.
Possiamo pensare alla luce di una candela come a qualcosa di costante, ma, se la osserviamo da
vicino, vediamo che in realtà la fiamma nasce da uno stoppino che brucia per un istante ed è subito
rimpiazzata da una nuova fiamma, istante dopo istante. Parliamo della luce di una lampadina
elettrica senza fermarci mai a pensare che in realtà, come i1 fiume, essa è un flusso costante: in
questo caso un flusso di energia prodotta da oscillazioni ad altissima frequenza, che avvengono
dentro il filamento. In ogni momento, qualcosa di nuovo nasce come prodotto del passato, per essere rimpiazzato da qualcos’altro nel momento seguente.

La successione degli eventi è così rapida e continua che è difficile da discernere. In un
determinato punto del processo non è possibile affermare che ciò che sta avvenendo è uguale a ciò che è avvenuto in precedenza, né si può dire che non lo sia.

Ciò nondimeno, il processo avviene.

Allo stesso modo, il Buddha comprese che una persona non è un’entità finita e immutabile, ma un
processo che fluisce momento per momento. Non c’è un «essere » reale, ma soltanto un flusso che va,
un processo continuo di divenire. Naturalmente nella nostra vita quotidiana dobbiamo trattare gli
altri come persone provviste di una natura più o meno definita, non mutevole; dobbiamo accettare le
apparenze esterne, la realtà apparente, altrimenti non riusciremo a funzionare. La realtà esteriore
è una realtà, ma solo quella superficiale. A livelli più profondi, la realtà è che l’intero
universo, animato e inanimato, è in costante stato di divenire: di nascere e svanire. Ognuno di noi,
di fatto, è un flusso di particelle subatomiche in costante mutamento, e insieme ad esso mutano,
ancor più rapidamente dei processi fisici, i processi di coscienza, di perce-zione, di sensazione e di reazione.
Questa è la realtà ultima del sé con cui ognuno di noi deve fare i conti. È questo il corso degli
eventi in cui siamo implicati. Se saremo in grado di comprenderlo con esattezza, attraverso
l’esperienza diretta, troveremo la strada che ci condurrà fuori dalla sofferenza.

Domande e risposte

DOMANDA: Quando parlate di «mente», non sono sicuro di cosa volete intendere. Mi è impossibile localizzare la mente.

SATYA NARAYAN GOENKA: E ovunque, in ogni atomo. Ovunque sentite qualcosa, là c’è la mente. La mente sente.

Dicendo mente allora non volete indicare il cervello?

Oh no, no. Qui in Occidente si pensa che la mente sia solo nella testa. È un concetto sbagliato.

La mente è in tutto il corpo?

Sì, tutto il corpo contiene la mente, tutto il corpo!

Lei parla dell’esperienza dell’Io solo in termini negativi. Non ha un lato positivo? Non c’è un’esperienza dell’Io che riempie la per sona di gioia, di pace, di estasi?
Con la meditazione si scopre che tali piaceri sensoriali vanno e vengono. Se questo Io realmente ne
gioisse, se fossero « miei» piaceri, allora l’Io dovrebbe avere qualche potere su di essi. Ma essi nascono e svaniscono al di fuori del mio controllo.

In questo caso, che cos’è l’Io?

Non sto parlando di piaceri sensoriali, ma di quelli a un livello molto profondo.

A quel livello l’Io non ha alcuna importanza. Quando si raggiunge quel livello, l’ego si dissolve. C’è solo gioia. La questione dellio allora non si pone neppure. D’accordo, invece di Io diciamo allora l’esperienza della persona.

È la sensazione stessa che sente; nessuno la sente. Le cose stanno solo avvenendo, ecco tutto. Ora,
a voi sembra che ci debba essere un Io che sente, ma con la pratica finirete col raggiungere il
livello in cui l’ego si dissolve. E a quel punto questa domanda non avrà più ragione di essere.

1o sono venuto qui perché sentivo che il mio Io aveva bisogno di venire qui.

Sì. È vero. Per gli scopi convenzionali, non possiamo sfuggire dall’Io o dal «mio». Ma attaccarci ad essi, considerarli reali nel senso ultimo ci porterà solo sofferenza. Mi domando se ci sono delle persone che provocano la nostra sofferenza.

Nessuno vi causa sofferenza. La sofferenza nasce dentro di voi, allorché generate tensioni nella
mente. Sapendo come evitarlo diventa facile rimanere in pace e felici in ogni situazione. E quando qualcuno ci fa del male?

Non dovete permettere che qualcuno vi faccia del male. Ogni volta che qualcuno fa qualcosa di
sbagliato, fa male agli altri e nello stesso tempo a se stesso. Se gli permettete di fare del male,
lo incoraggiate a farlo. Dovete usare tutta la vostra forza per fermarlo, ma solo con benevolenza,
con compassione e simpatia per quella persona. Se agite con odio o ira, allora aggravate la
situazione. Ma voi non potete avere benevolenza per tale persona a meno che la vostra mente non sia
calma e in pace. Una volta che avrete appreso con la pratica a sviluppare la pace dentro di voi, il problema potrà essere risolto.
A quale scopo cercare pace dentro di noi quando non c’è pace nel mondo?

11 mondo sarà in pace solo quando la gente sarà in pace e felice. Il cambiamento deve partire a
livello individuale. Se la foresta si inaridisse e voi voleste ridarle vita, dovreste innaffiare
ogni albero. Se volete un mondo di pace, dovete imparare a essere in pace con voi stessi. Solo allora potrete portare la pace nel mondo.

Posso capire come la meditazione sia in grado di aiutare persone infelici, disadattate, ma per chi si sente soddisfatto della sua vita, che è già felice?
Chi è soddisfatto dai piaceri superficiali della vita ignora i turbamenti profondi della mente. Si
illude di essere una persona felice, ma i suoi piaceri non sono duraturi e le tensioni generate
nell’inconscio si accresceranno, per apparire prima o poi al livello mentale conscio. Quando accade
ciò, questa cosiddetta persona felice diventa triste. E allora, perché non iniziare a lavorare qui-e-ora per allontanarsi da una simile situazione?

Voi insegnate Mahàyàna o Hinayàna?

Nessuno dei due. La parola yana di fatto significa « veicolo che vi porterà alla meta finale », ma
oggi gli si da erroneamente una connotazione settaria. Il Buddha non ha mai insegnato qualcosa di settario. Ha insegnato il Dhamma, che è universale.

È questa universalità che mi ha attratto verso l’insegnamento del Buddha, ed è da esso che ho tratto
giovamento. Quindi è questo Dhamma universale che offro a tutti con tutto il mio amore e la mia compassione. Per me, il Dhamma non è né Mahàyàna né Hinayàna, né alcuna setta

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