La sofferenza e l’assenza di sofferenza

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La sofferenza e l’assenza della sofferenza

(secondo Buddha)

Le cause della pena e della miseria

Secondo Buddha, questa legge si applica a tutti i fenomeni, senza eccezioni. Per lui, la sola alternativa al dolore è la sua assenza. Cioè, non produrne più, non vederlo più apparire. Se si segue questa logica, la liberazione – di cui si parla nel theravada – non deve corrispondere al fatto di raggiungere una sfera, o una consapevolezza, magari priva di ogni pena, semplicemente perchè non vi sarebbe posto per questo. In tutta ragionevolezza, la liberazione avviene quando la sofferenza non appare più.
Se osserviamo quel che, nel mondo in cui viviamo, è fonte di pena e di miseria, vedremo essenzialmente tre cose.
Vedremo che quanto causa un considerevole numero di dolore e di carenze nel nostro mondo, è il fatto di aderire ad un assieme di fedi, qualunque esse siano (religiose, filosofiche, scientifiche, materialiste, spirituali, ecc.).
Noteremo ancora che quanto genera un numero considerevole di pena e di miseria, e che si perpetua attraverso i mondi, o semplicemente attraverso le nostre giornate, è la presenza del desiderio, della sete, della brama. Il bisogno di fare qualcosa; cioè, quello di soddisfare una mancanza; la necessità di soffocare una pena e di rimpiazzarla con un piacere.

Inoltre, constateremo che una considerevole fonte di scotto e di carenza sulla terra è la collera, l’odio, che genera delle reazioni brutali e dolorose..
Ci renderemo conto che l’assieme dell’umanità, per parlare solo di essa (possiamo estendere il ragionamento agli animali, poichè dividiamo la terra con essi), e che la nostra vita è sempre avvelenata da queste tre cose. Gli esseri umani vivono sollecitati, shoccati di continuo, sbalestrati da questi tre elementi. La storia dell’umanità è caratterizzata da grandi correnti di pensiero, e dalla conseguente adesione a tali correnti religiose, o politiche. Essa si distingue con una corsa sfrenata dei piaceri dei sensi; con l’espressione quotidiana e sistematica dell’odio e dell’avversità.

Per giungere a spegnere la luce, il solo metodo che abbiamo è di tagliare il rapporto tra la sua sorgente di energia e la luce stessa. Non più versare olio nella lampada, e nè collegare l’energia elettrica alla lampadina. E, allo stesso modo, dobbiamo cessare di fornire del “carburante” alla pena e alla miseria, che ci tocca subire ogni giorno. Questa carburante è rappresentato all’adesione a dei punti di vista, a delle credenze e a delle convinzioni; dal desiderio, dalla quieta cecità al piacere, dall’avversità e dall’odio.
Voi vedete che in questo discorso non esistono l’incoraggiamento ad un rito, ad una preghiera, oppure ad una pratica religiosa, poichè sarebbe stato il risultato di essere accecati dalle credenze. Non vi appare neanche l’incoraggiamento ad una specie di compassione esacerbata di amore universale, perchè ciò, in un modo o nell’altro, sarebbe stato legato al desiderio. E neppure esiste una qualunque esortazione alla guerra, poichè ciò avvince all’odio.

Cessare di fare

Il nostro insegnamento non incoraggia a fare qualche cosa di particolare, ma, al contrario, a cessare di agire. Incoraggia a smettere di fare tutto quello che ci trattiene avvinti ai nostri punti di vista, alle nostre credenze; cioè, alla nostra miserevole ignoranza del quotidiano. Non sarebbe neppure conveniente rimpiazzare una qualunque forma di cosiddetta conoscenza, o saggezza. Poichè scambiare una fede con un altra significa scambiare l’ignoranza con l’ignoranza.

Il nostro insegnamento neppure consiste nell’adottare un comportamento, che vorrebbe, in un modo o nell’altro, essere una forma di desiderio, un movimento, uno slancio. Non si tratta di un incoraggiamento alla fuga, che è un rigetto, un’avversità.
Il nostro insegnamento è l’abbandono. E’ l’abbandono dei punti di vista, delle fedi, delle convinzioni personali e delle opinioni, che viene reso possibile dall’esercizio di un ragionamento logico e semplice, sulle cose della natura. E’ l’abbandono della corsa sfrenata ai piaceri dei sensi; l’abbandono di questa corsa cieca, grossolana, quasi animale, resa possibile da esercizi di meditazione, di distensione, di rilassamento; da un controllo dei sensi. Infine, è l’abbandono di attitudini, che contribuiscono a metterci in atteggiamento di rigetto, di odio e di avversità, con l’adozione e il rispetto di certi precetti di vita, di non aggressività, di dettami, grazie ai quali ci asteniamo dal commettere atti materiali nocivi (con il corpo, o la parola), generatori di sofferenza.

Il nostro insegnamento è un igiene di vita, basato non sulla produzione di atti o di parole, cosiddette benedicenti, o liberatrici. Al contrario poggia sull’astensione del comportamento e della attitudine, che sono quelle che continuano ad occupare l’umanità, nella sua spirale perpetua di riproduzione della miseria, della tristezza, della violenza e della pena. Noi non cerchiamo di acquisire un sapere trascendente, ma piuttosto di smetterla di attardarci in scienze, che noi crediamo siano tali; ma, che rappresentano solo delle convinzioni e delle idee personali, ed a volte neppure questo! Quando discutiamo con qualcuno che sa, con un maestro di buddhismo, con una personalità del cristianesimo, con un erudito di sufismo, o di giudaismo, parliamo con qualcuno che “sa”. Queste persone hanno prevalentemente la parola “verità” sulla bocca; essi sanno. E sarebbe necessario che noi acquisissimo queste sapere, per erigerci, a nostra volta, ai rango di saggi. Di fatto, questa gente si caratterizza con una sapienza che non appartiene neppure a loro, di cui sono gli ereditieri, e di cui si vantano. Sostengono che l’insegnamento è il più accosto alla verità perchè è il più antico.
Intendiamo dire che questo insegnamento è più lontano della verità perché è più antico. Si tratta semplicemente di un’eredità di credenze, dogmi e idee che non ci appartengono e che non sono nati dalla nostra riflessione.

I credi

L’acquisizione dei credi

Queste credenze sono state inculate ed imposte dalla nostra infanzia, ad un epoca per la quale ci è possibile apprendere una cosa senza neppure renderci conto che la stiamo imparando. Cosicchè, una volta divenuti adulti, noi la gestiamo, senza accorgerci che l’abbiamo acquisita. L’apprendimento del pensiero religioso, o la fede nella virtù di una società economicamente prospera – che rappresenta un’altra religione – sono esattamente lo stesso per acquisizione della lingua e del parlato.
Un Pigmeo parlerà la lingua pigmea, un Indiano parlerà indi, un britannico parlerà l’inglese ed un francese parlerà il francese. Potremmo pensare: “Parlo il francese, perchè conosco il francese; nasce tutto da me”. Niente affatto! Parliamo il francese perchè non abbiamo la possibilita’ di fare altro. Non possiamo, schioccando semplicemente le dita, dirci: “Oggi, passo allo spagnolo!”, oppure” Da domattina, mi esprimerò in arabo!”. “. No, è impossibile. Per noi, parlare il francese è come una seconda natura. Si ha l’impressione che faccia parte della nostra carne. Parliamo il francese semplicemente perchè, da che siamo usciti dall’uovo, ascoltiamo il francese. Attorno a noi, le nostre prime parole sono state francesi, e le prime informazioni che abbiamo ricevute, e che avevano come scopo di soddisfare i nostri bisogni affettivi, erano espresse in francese. Ciò ha fatto in modo che non soltanto il francese è divenuto il nostro strumento di comunicazione, ma anche parte integrante del nostro essere affettivo ed intellettuale. Ecco perchè i popoli del mondo danno tanta importanza alle loro lingue materne. In realtà, perchè si tratta della lingua dei loro biberons. Ma, se ben ci riflettiamo, queste lingue non vengono tanto da noi; ci sono state imposte dalla natura, non con violenza, nè con un retro-pensiero dottrinale, o religioso, ma semplicemente per le necessità naturali.

Un bisogno naturale

La religione, secondo Buddha, è anche un bisogno naturale; è un bisogno umano. La religione ci è stata inculcata dalla nostra prima infanzia, per soddisfare un bisogno ovvio (per chi è nato in una famiglia religiosa). Ecco perchè non ci sono delle generazioni spontanee di musulmani presso i giudei, o di cristiani presso i musulmani, o di buddhisti presso i cristiani. Qualcuno nato in una famiglia. in cui, dalla sua più tenera età è stato indottrinato all’idea di essere un cristiano, o che è un giudeo, o musulmano, o buddhista, diverrà naturalmente un tale personaggio. Sarà intimamente convinto che tutto proviene da lui, mentre invece si tratta di una cosa con la quale si è perfettamente familiarizzato. Sarà così, soprattutto se si è sovrapposta, dalla sua infanzia, l’idea che i suoi bisogni vitali, carnali, di tenerezza, di amore, e di biberon sono stati soddisfatti grazie alla religione alla quale appartiene la sua famiglia. Ecco perchè, da adulto, sarà carnalmente legato alla propria religione. Oppure, se è cresciuto in una famiglia, dove non si è cessato di denunciare gli orrori della religione, e di fargli comprendere che se oggi si può godere delle necessità vitali necessarie, è proprio perchè delle persone hanno combattuto la religione stessa, ebbene, una volta adulto, egli sarà perfettamente agnostico ed anticlericale.
Ciò costituisce quel che viene chiamato l’assieme delle vedute, delle convinzioni. Aderiamo ad un gruppo di pensieri, di credenze, perchè vi siamo stati condizionati, in una maniera o nell’altra. Crediamo che la cosa ci appartenga, mentre, invece, non è affatto nostra. Quanto è connaturato a noi, e che abbiamo in comune con gli altri, per esempio, è il fatto di essere un umano. Possiamo affermare “sono un essere umano”, senza commettere errore. A quel livello, siamo tutti eguali. Mentre, il fatto di essere italiano, francese, cattolico, ateo, capitalista, o comunista non ci coinvolge. Si tratta di una situazione che, più spesso per rispondere a dei bisogni affettivi, ci è stata inculcata in un ambiente sociale, politico, o religioso. Noi sappiamo bene, d’altronde, che la politica e la religione sono la stessa cosa.

Come liberarci dal ciclo della sofferenza?

Così, per uscire dal ciclo della pena e della miseria, bisogna che si cominci ad uscire dal ciclo dei punti di vista, delle convinzioni e delle credenze. Questa, è una cosa molto difficile. Bisogna anche giungere ad uscire dal ciclo del desiderio cieco e sfrenato dei sensi non controllati. Questo è, forse, un pò meno difficile, ma è ancora un grosso lavoro. Infine, dobbiamo liberarci dall’abitule rifiuto, dall’avversità, dall’aggressività. Ci arriveremo attraverso un’etica esistenziale basata sulla non ostilità, sul fatto di astenerci dal produrre delle azioni che suscitino castigo e indigenza. Cosa non più necessariamente facile.
Per riuscire a non permanere a lungo nella trappola delle concezioni. esistono due possibilità. La prima sta nell’esercitare un ragionamento logico e ragionevole; ossia, usare il dubbio. Ciò costituisce già una buona partenza, in grado di aiutarci; ma non basta. E’ quanto ha permesso a delle persone nate in ambiente fortemente cattolico di liberaresene. E’, anche, quanto ha permesso a delle persone nate in una famiglia giudea, di potersi chiamare, un giorno, non praticanti.. E accade la stessa cosa presso i musulmani, presso i buddhisti, presso i comunisti, presso i nazisti, ecc. E’ già una buona cosa. Si tratta di gente già con un certo scetticismo, una certa capacità di riflessione, di mettere in dubbio. Tuttavia, questo non è sufficiente.
Per giungere a sbarazzarci completamente delle credenze, delle convinzioni e delle opinioni, esiste un solo metodo, che ci è stato insegnato dal monaco Gotama: abituarsi ad osservare la natura, quale essa è, con uno sguardo spoglio, che non analizza, e che non procede in alcuna investigazione critica. Si tratta di osservare le cose come esse appaiono, là dove esse appaiono, nel momento in cui si mostrano e vederle sparire; poichè tutte queste cose si inscrivono in un ciclo, NEL ciclo. Lo chiamiamo, in italiano, vipassanā satipaṭṭhāna: l’allenamento allo stabilirsi della presenza di spirito, che porta alla visione diretta della realtà.

La via

La forma più completa di intelligenza è accessibile a tutti

Quando osserviamo un fenomeno, come semplicemente il fatto di pensare, il fatto di essere gioioso, o di essere triste, in quel corto istante di osservazione non v’è posto per una concezione, un’idea, un’opinione; non v’è spazio per una attribuzione. Si tratta di una relazione di visione diretta, di percezione diretta; è la forma più riuscita dell’intelligenza. E’ tanto più un’intelligenza suprema, in quanto è accessibile ai più illetterati ed ai più analfabeti tra di noi. E’ accessibile a coloro che sono incapaci di sostenere un ragionamento logico, come anche ai piu ignoranti ed ai più colti. E’ raggiungibile dai poveri, come dai ricchi. Si può adoperare questo tipo di intelligenza, qualunque sia l’ambiente culturale dal quale proveniamo, in ogni nostra pena e sofferenza, poichè consiste soltanto nel porre lo sguardo neutro su ciò che accade, nel momento in cui accade, e là dove accade.
Ci abituiamo ad un etica, costringendoci ad osservare una morale; cioè, a controllare l’aggressività e l’avversione; forzandoci in un esercizio di concentrazione, di rilassamento e di distensione. Questo ci conduce ad un certo controllo dei sensi, ad una certa perizia di fronte alla difficile questione del desiderio, dei bisogni, delle carenze. Ci forziamo a riflettere, a restare all’erta, scettici, ma nel sano senso del termine, beninteso; cioè, asettici, fatto che ci protegge dai batteri e dai microbi.
Allenandoci in tal maniera e, poi, se possibile, ancora più di questo, disciplinandoci nella diretta visione della realtà, giungiamo, in un primo tempo, a liberarci, momentaneamente, da queste realtà perpetue, da questi tre veleni, che sono le credenze, il desiderio e la collera.

Delle gocce d’acqua che finiscono per riempire la giara

Continuando così, ancora ed ancora, poichè è a forza di picchiare con il martello che si finisce a ficcar dentro il chiodo, o, come dice Buddha: “sono delle gocce d’acqua che, poi, riempiono l ‘orcio”, poco a poco, attimo dopo attimo, arriveremo, infine, a quel che chiamiamo il risveglio, la liberazione, che nulla ha a che fare con la divinità. La liberazione completa è l’estinzione della nevrosi.
Un giorno, qualcuno venne da Buddha e gli disse: “Così, il vostro insegnamento è quello dell’annichilimento. Voi parlate della cessazione del mondo, della cessazione dei sei mondi. “Buddha gli rispose “Il mio insegnamento non è quello dell’annichilimento. Tuttavia, ponendoci dal punto di vista della sofferenza, possiamo dire che il mio insegnamento è quello dell’annullamento, della distruzione, dello sradicamento, della sparizione completa, definitiva ed irreversibile della sofferenza, della miseria e dello stress.”

La cosa più importante da studiare

E’ interessante notare come il mondo sia strutturato; vedere che è diviso in sei categorie. In totale, vi sono 32 categorie, che è avvincente studiare, appoggiandoci sulle parole di Buddha e su quelle dei suoi contemporanei. Tuttavia, la cosa più importante e di molto più interessante da approfondire, è trovare il metodo che ci permetterà, un giorno, di liberarci. E’ molto rilevante studiare la patologia, la sofferenza, la malattia, la psicologia, la scienza, ed ogni sorta di cose. E’ forse più notevole ed utile studiare come liberarci da tutto ciò; studiare il modo a che ciò non accada più, e che non vi sia la necessità di esaminare la sofferenza semplicemente perchè essa non esiste più; a non studiare la malattia, proprio perchè ha cessato di essere. Questa è la via della liberazione.
Non sforziamoci di assicurarci che non rinasceremo,in avvenire, in un mondo infernale; ma, che il prossimo momento di coscienza che apparirà sia vuoto di pena e di sofferenza. Lasciamo i sogni di liberazione post-mortem agli altri. Preoccupiamoci ed interessiamoci alla possibilità di liberarci dal dolore, ora.
Questa è la via che è stata mostrata dai tathāgata, cioè da coloro che sono apparsi nel mondo e che, beninteso, se ne sono, poi, andati. Coloro che hanno deposto, passando da qui, il loro insegnamento, che hanno mostrato la strada, che ci hanno detto di astenerci di fare quanto è doloroso penoso, nocivo, e ci hanno insegnato ad esprimere quanto è sano, benefico e, infine, ad allenare la mente per condurci a sbarazzarci di questi tre veleni, che imprigionano l’universo intero, nella sua miseria naturale; tale è lil cammino.

Avendo ascoltato questo, avendoci riflettuto sopra, senza accettare nulla di quanto è stato detto, prima di avervi ragionatoe nè di averlo convalidato, si possa, noi, che siamo qui presenti, comprendere ciò che è stato detto, comprendere questo messaggio che è stato lasciato dal monaco Gotama, e che oggi viene trasmesso dai suoi discepoli! Possiamo noi comprenderne il cammino sano, utile, generoso e benefico! Si possa noi giungere,attraverso questa stessa via, in questi medesimi giorni, in queste settimane, in questi mesi, in questi anni, alla liberazione, all’affrancamento dalla pena, dalla miseria, dallo stress! Possano coloro che non hanno avuto la fortuna di ascoltare (leggere) questo insegnamento, che non sono qui, perchè troppo lontani, o perchè non hanno la capacità di ascoltare (di leggere), o di capire, nella loro deambulazione cosmica, incontrare questo insegnamento! Possano imbattersi in colui che lo detiene, e, a loro volta, metterlo in pratica, comprenderlo e realizzarlo!

Possano tutti gli esseri che popolano l’universo, ovunque essi siano, trovarsi in buona salute, essere felici e possano, un giorno, liberarsi dalla pena, dalla miseria e dalla sofferenza in cui vivono!

sādhu! sādhu! sādhu!

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