I GRANDI MISTICI E LE GRANDI VIE SPIRITUALI 4

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I GRANDI MISTICI E LE GRANDI VIE SPIRITUALI 4

da “Enciclopedia olistica”

di Nitamo Federico Montecucco ed Enrico Cheli

Il mandala buddhista
di Gianni De Martino

Il termine sanscrito mandala significa “ciò che contiene lo schema essenziale dell’esperienza”.
Manda significa “essenza”; la è un suffisso che indica un supporto, letteralmente “ciò ché tiene
insieme”.

L’equivalente tibetano Dkyil Khor significa “centro circonferenza”.

Attraverso la pratica rituale del mandala ci si attiene al nostro rapporto con la realtà, e
gradualmente si giunge a prendere consapevolezza della grande beatitudine che è l’essenza
dell’esperienza. Vi sono mandala che rappresentano la coscienza illuminata e la relazione pura;
luminosa e gloriosa che il Buddha ha con la realtà. In tal caso, dkyil è l’essenza, la parte
migliore, il centro, il cuore; e khor il circostante. Nella simbologia tantrica buddhista la
coscienza illuminata viene raffigurata come il dio e Khor come il suo palazzo.

Il mandala viene generalmente costruito con polveri colorate, che vengono disperse dopo il rituale.
Altri mandala si trovano raffigurati sulle tangka tibetane. Anche un certo modo di congiungere le
mani può rappresentate il mandala della propria esperienza, da offrire al Lama. Nulla in se stesso,
l’intero universo della nostra esperienza viene offerto al Maestro che rappresenta la spiritualità
trasmessa, da bocca o orecchio, dalla catena iniziatica risalente allo stesso Buddha e al campo
dell’illuminazione primordiale.

Secondo la tradizione tantrica buddhista il mandala esterno indica il nostro rapporto con il mondo
delle percezioni, il mandala interno il nostro rapporto con il mondo del corpo; il mandala segreto
il nostro rapporto con il mondo delle emozioni. Questi modelli generali, piacevoli o spiacevoli,
risultano integrati in alcuni mandala in cui la parte esterna rappresenta il cosiddetto “mondo di
fuori”, la parte interna l’autoconsapevolezza, la parte centrale la sacralità dell’esperienza. La
completa interrelazione delle varie “parti” della nostra esperienza è la nozione stessa di mandala.
Le emozioni centrali, quelle presenti nella mente, contengono sia il seme della liberazione che
quello della prigionia. Quest’ultimo caso è quello raffigurato nel mandala conosciuto come
bhavacakra o “Ruota del venire all’esistenza condizionata”.

Il nostro contatto con la realtà avviene attraverso il mandala delle percezioni, del corpo e delle
emozioni. Il mandala esprime il modo in cui entriamo in relazione con la realtà. Il mandala esprime
situazioni molto personali e nessun mandala è uguale a un altro. In qualche modo il mandala è la
realtà, ed è sempre presente.

A proposito del simbolismo della “Ruota della Vita”, riportiamo un estratto di un testo ormai
introvabile, pubblicato in “Lotta Continua” il 30 dicembre 1980, ai tempi in cui la cosiddetta nuova
sinistra incominciava ad aprirsi all’Oriente e molti studiosi particolarmente interessati allo
studio e alla conoscenza dei fenomeni mentali, in particolare nel campo della “coscienza”, trovavano
nella tradizione buddhista del Tibet un campo di studi molto vasto, “suscettibile

secondo le parole del Dalai Lama

di essere indagato ed esplorato in molte situazioni, in molte direzioni”. Potremmo dire che questo
testo fa parte del mandala di un’esperienza generazionale, che sta a noi riprendere e non sciupare.

La ruota della vita

La “ruota dell’esistenza” è uno strumento di contemplazione stabilito dalla tradizione buddhista.
Nei dipinti dell’arte tibetana, Yama, il Re dei Morti, la regge tra gli artigli a mo’ di specchio,
perché ciascuno vi veda riflesso il proprio io con tutti i suoi circoli viziosi che si svolgono
attraverso le varie zone di esistenza.

I sei mondi

In basso alla “ruota dell’esistenza” si trovano lande ghiacciate. Più in là, nella stessa zona, un
fuoco ardente. E’ l’inferno della collera, dell’ira coltivata freddamente oppure con rabbia
esplosiva, incandescente. Vi compare anche un Buddha color fumo, tra le sue mani le fiamme infernali
si trasformano in fiamme di purificazione. Ciò indica la possibilità permanente di apertura insita
perfino nei baratri dell’esistenza, nelle situazioni umane percepite soltanto come “assolutamente”
chiuse, assolutamente infernali. Più su vediamo il mondo degli Spettri detti Preta. E’ la zona
dell’esistenza sfortunata. Gli scacchi vi si ripetono continuamente. Vi regna la tortura del
desiderio insaziabile. Vi appare anche un Buddha recante il cibo celeste che solo sarebbe il grado
di soddisfare i desideri degli Spettri affamati.

Dal lato opposto al Mondo dei Preta, vediamo il Mondo degli Animali. Vi regna la stupidità e la
paura. Gli esseri vivono nelle tenebre di un cieco destino di necessità naturali. Vi appare un
Buddha con un libro, giacché agli animali manca la facoltà di articolare la parola e il pensiero
riflessivo.

Sopra il Mondo Animale, vediamo il Mondo Umano E’ la zona dell’orgoglio, ed è li che appare anche un
Buddha con la ciotola delle elemosine.

In cima alla “ruota dell’esistenza”, vi sono splendidi palazzi e, poco lontano, nel cielo nuvole
abitate da esseri raggianti di gioia o Deva. E’ un alto stato di esistenza, ma che alla lunga si
rivela con grande sorpresa una condizione transitoria e mortale. Accanto al Mondo Divino, si vedono
guerrieri ambiziosi che vogliono penetrare nella zona degli dei. Sono gli Asura, una specie di razza
tipica, sempre in guerra fra di loro e con gli dei.

Uno scherzo cosmico

I sei mondi sono stati di coscienza egotici e modelli di zone reali dell’esperienza. “In una
giornata – scrive, ad esempio, L. Wittgenstein – si possono vivere i terrori dell’inferno: il tempo
è più che sufficiente.”

Sulla base degli stati di coscienza caratterizzati dalla nescienza, sorge un vivo attaccamento per
sé stessi e i propri interessi, e una repulsione per gli interessi degli altri. Ignoranza,
Attaccamento e Odio sono rappresentati rispettivamente da: a) un maiale nero; h) un gallo rossiccio;
c) un serpente verde. Girano in tondo, al centro della “ruota dell’esistenza”, mordendosi la coda.

Lo stato di coscienza caratterizzato dalla nescienza o cecità spirituale, conosciuta in termine
tecnico come avidya metterebbe in moto

secondo il buddhismo, una specie di routine senza fine né inizio: un perpetuo errare creando un
quadro illusorio di se stessi e del mondo.

I dodici anelli

Cosi, nel margine esterno della “ruota dell’esistenza” sono raffigurati (dall’alto in basso e in
senso orario) dodici anelli, dodici tipi di reazioni a catena che hanno luogo ad ogni istante per
portare in azione quello che chiamiamo “esperienza quotidiana”.

1. All’Ignoranza (donna cieca) s’incatenano i seguenti nodi:

2. “Formazioni volitive” (tornio da vasaio); 3. “Coscienza” (scimmia che salta tra i rami); 4.
Aggregato psicofisico” (Due uomini in barca); 5. “Sensi” (Casa con sei aperture); 6. “Coppia di
amanti”; 7. “Sensazione” (Freccia in un occhio); 8. “Sete di vivere” (Un bevitore); 9. “Attaccamento
alle forme di vita” (Raccoglitore di frutta da un albero); 10. “Divenire” (Coppia di sposi); 11.
“Nascita” (Donna partoriente); 12. “Morte” (Uomo che trasporta un cadavere).

Le cose avvengono da un momento all’altro, lasciando impronte sul “flusso di coscienza”. E’ ciò che
chiamato karma, che letteralmente significa: “azione”, e che qui indica piuttosto il risultato delle
azioni impregnate del “flusso di coscienza”. Tale “flusso” è concepito dal buddhismo come un
continnum mentale, non limitato solo alla vita presente, bensì radicato in esperienze passate e
proiettato in esistenze future. Ciò che rinasce, ad ogni istante, in questa o quella zona della
“ruota dell’esistenza” sarebbe quindi la continuità del flusso di coscienza di prima, e di cui l’io
cosi vividamente apparente non è che un lampeggiamento effimero.

Chi è quel mostro?

Il buddhismo forse è l’unica religione: ad essersi costruita una psicologia profonda, operando. tra
l’altro una relativizzazione del pensiero logico/lineare. Ciò che chiamiamo “io”, “sé”, “personalità
“, “coscienza”, “individuo”, “anima” magari credendo, empiricamente, che si tratti di qualcosa di
autonomamente esistente sono nomi per coprire una moltitudine di fatti interconnessi.

Il Mostro che regge a mo’ di specchio 1a “ruota dell’esistenza” è la mente illuminata stessa, cioè
Buddha nella forma terrifica di Yama, il Signore della Morte. I teschi che gli fanno corona stanno
ad indicare che egli ha realizzato la natura “vuota” delle particelle che, secondo il buddhismo
costituiscono la personalità umana.

La “vacuità” (shunyata) è oggetto di una consapevolezza di tipo intuitivo, e comunque non è mai
concepita in termini nichilistici, né, d’altra parte, in termini eternalistici: o come qualcosa di
sacro. La vacuità” ultima dei fenomeni (siano essi esterni oppure interni e permeati di
consapevolezza) è piuttosto la realizzazione di un’alta meditazione – di un varco, per cosi dire,
che s’apre all’improvviso in uno dei punti dell’organizzazione dell’esperienza.

Trasformatori di energia

Una volta compresa la connessione di tutti gli stati di condizionati e il loro reciproco rinforzo,
una volta che si è vista in un solo istante, sincronicamente, tutta 1’interreláta struttura
samsarica così come si riflette nello specchio di Yama, se ne è autenticamente fuori, spaziando in
un campo più vasto, che quella comprende trascende al tempo stesso.

Entrare nella consapevolezza di tutto il movimento di un’emozione, significa effettivamente non fare
completamente corpo con essa, non identificarvicisi assolutamente, bensì lasciare uno spazio libero
per il gioco, la ripresa, la comunicazione e, in fondo, anche un certo silenzio. Questo spazio
prefigura, in un certo senso, il punto-istante all’origine della coscienza, alle radici
dell’esperienza meditativa.

Gli Yamabushi – Il monte erotico dello sciamanismo giapponese
Di Italo Bertolasi

Il viaggio in montagna rappresenta per gli yamabushi (asceti e monaci dell’ordine Shugendo ritirati
tra i monti sacri del Giappone) l’esplorazione dei misteri della vita. nel pellegrinaggio si
raggiungono gli “iwakura”, troni di pietra, dove ci si potrà riunire ai “kami”, le energie sacre
della creazione.

Si sale lungo sentieri che anticamente si credeva portassero alle Isole degli Immortali, e al monte
Kunlun, risplendente al centro dell’universo.

nel “Sangaku Shinko”, il culto per le montagne, non si scalano vette, ma, dopo purificazioni ed
esercizi rinforzanti, si penetrerà come amanti nel ventre caldo e misterioso delle rocce. Ogni monte
sacro nasconde il suo utero di pietra; negli “utsubo”, ventri della roccia e caverne iniziatiche, ci
si isolerà in meditazione e in silenzio.

Ogni monte sacro nasconde tre gioielli, invisibili al curioso, ma che il pellegrino “risvegliato”
saprà riconoscere in pietre dalle forme strane. Troverà la spada, “katana”, simbolo dell’energia
Kundalini; lo specchio, “kagami”, che rifletterà l’immagine del Vuoto, e il “magatama”, a forma di
embrione, che è il segno della Vita e della Passione. Ma entrare nel ventre della montagna non è poi
così facile e gli yamabushi dedicano anni agli esercizi preparatori; esercizi inutili – ci dicono –
se non saranno attivati da “kamigakari”, l’estasi, che premierà i più sinceri.

“Gyo” sono chiamate tutte quelle tecniche che permetteranno di estraniarsi dai condizionamenti del
corpo e della mente; discipline che comprendono diete, pellegrinaggi in montagna ed altri esercizi
ascetici come le docce sotto le cascata, l’attraversamento delle braci ardenti, la recitazione di
“mantra”, parole di potere.

Tra le diete consigliate vi è l’astensione dalle carni, “nikudachi”, l’astensione dai cibi salati,
“shiodachi”, e l’astensione dai 5 cereali, “kokudachi”, che deriva dalla teoria taoista dei “tre
vermi”. In essa si sostiene che il corpo umano è fin dalla nascita preda di te energie distruttive,
i tre vermi, il cui cibo prediletto sono i 5 cereali: riso, frumento, miglio, orzo e avena.
“Mokujiki” è invece chiamata la dieta delle tre essenze. Nei periodi di isolamento in montagna ci si
nutrirà di nocciole, di tenere cortecce e di pinoli.

Agli asceti veniva poi attribuito il titolo di “mokujiki Shonin” o “Santi dei tre elisir”.

“Shokushimbutsu” o “Buddha mummificati” venivano chiamati quei monaci che prolungavano la dieta fino
al digiuno totale e poi alla morte. Questa particolare forma di digiuno, simile a un suicidio
rituale, è chiamata “Daniki” e ai praticanti verrà riconosciuto, dopo la morte, uno stato
particolare chiamato nyugio, stato di sospensione della vita in attesa del Buddha Maitreya.

Tra i riti più spettacolari e più efficaci per chiarire la propria mente – “sishin-itto” – e per
ottenere i poteri sacri – “reiroku” – c’è quello della doccia gelata sotto le cascate. La pratica è
chiamata “mizugori” ed è ritenuta particolarmente efficace se fatta nelle prime ore delle giornate
più fredde dell’inverno.

“Nachigomori” è invece chiamata la reclusione in particolari capanne vicino alla cascata di Nachi a
Kumano.

“Kangyo” sono chiamate le pratiche ascetiche intraprese nei mesi più freddi che temprano il corpo al
gelo invernale.

I praticanti del “Gyo” vivono in dimore non riscaldate, mangiano cibi freddi e si arrampicano in
montagna dove praticano nudi la meditazione tra i venti e le tempeste.

In montagna si celebra anche l'”Hiwatari”, l’attraversamento delle braci ardenti, ad opera di
congreghe di yamabushi.

Questi monaci si proclamano “maestri del fuoco” ed hanno uno specialissimo rapporto con le fiamme,
con la luce e il calore. Lo yamabushi che per primo attraversa il letto di braci ne riduce la forza
e sarà seguito poi da tutti gli officianti.

“Yudate” è la cerimonia di purificazione con l’acqua bollente; il calderone dove bolle l’acqua è al
centro di uno spazio sacro recintato da “gohei”, spirali di carta appese a cordoni sacri.
L’officiante asperge sé stesso e gli astanti con quest’acqua calda e poi iniziano le “kagura”, danze
sacre. “Katanawatari” è invece la scalata delle lame di spada, fissate sulla scala iniziatica, e
“namban ibushi” è una specialissima purificazione con incensi urticanti e asfissianti che saturano
la sala di meditazione.

Ma la prova più terribile è l’essere sospesi sopra un precipizio “taniko” con il rischio di venir
gettati nel burrone se non si confessano le male azioni.

Ma per fortuna ci sono i custodi ed i protettori degli esercizi ascetici: Fudo e Zao sono attivatori
delle pratiche ascetiche e guardiani della montagna.

Vengono rappresentati con i simboli della spada eretta, attorno alla quale si attorciglia il dragone
“Kurikara”. Il drago è simbolo dell’energia risvegliata che sale attraverso la spina dorsale, e la
spada è immagine della retta consapevolezza e della determinazione del praticante.

Nel linguaggio esoterico giapponese salire in montagna e penetrare nel ventre caldo delle roccie ha
anche il senso di morire. “Obasuteyama” vuol dire lasciarsi morire in montagna ed ancora sparire tra
le rocce e nel bel film “La ballata di Narayama” si racconta l’odissea dei vecchi che in inverno
raggiungevano “camere di pietra”, segrete e lontane, dove in preghiera si preparavano a morire.

In montagna vanno però anche i giovani amanti per benedire i primi baci e quelle carezze preambolo
dell’amore. Buon presagio sarà allora scorgere volpi e corvi od amarsi all’ombra magica e
rivitalizzante dell’albero di “cryptomerià” ed avere con sé gioielli d’agata e di lapislazzulo,
potenti talismani.

Nei deserti ghiacciati si potranno incontrare esseri straordinari: i “tengu”, metà uomini e metà
uccelli, e gli “yamatoko”, una specie di yeti del Giappone, che difenderanno gelosamente i gioielli
spirituali e i misteri nascosti tra le rocce.

E ancor oggi c’è chi crede a strani rapimenti chiamati “kamigakushi”; si è rapiti da questi mostri
che sono anche maestri di “Dharma” la legge buddista per venir più tardi restituiti alla comunità
risplendenti di luce ed in qualche caso sciamani.

Nel mio ultimo viaggio tra i monti del Giappone avevo letto l’intervista concessa da una donna ad
una celebre giornalista del serissimo magazine “Asahi Shimbun”.

La donna raccontava di essere stata trascinata in montagna da un “Tengu”; era inverno, pioveva e
nevicava da giorni, e dopo una settimana di prigionia era stata restituita in perfetta salute.

Raccontava di essere stata nutrita con strane erbe, che l’avevano irrobustita e che le avevano
restituito bellezza ed avvenenza. Poi era ritornata da sola nella foresta per ritrovare il mostro
amico ma attorno a lei c’era solo vuoto e silenzio.

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