I GRANDI MISTICI E LE GRANDI VIE SPIRITUALI 2

pubblicato in: AltroBlog 0

I GRANDI MISTICI E LE GRANDI VIE SPIRITUALI 2

da “Enciclopedia olistica”

di Nitamo Federico Montecucco ed Enrico Cheli

La visione del dio Pan, il signore delle foreste

La fantastica esperienza di uno dei fondatori della comunità di Findhorn,
tratta da ‘The Findhorn Garden’, Findhorn Press.

Nel settembre del 1966, ho avuto un incontro con Pan che mi avrebbe portato ad una comprensione più
profonda della sua forma e natura. Avevo frequentato un corso di fine settimana, condotto da Sir
George Trevelyan al Parco di Attingham. Prima di partire il lunedì mattina, ho ricevuto il
suggerimento di andare in un area conosciuta come The Mile Walk (la passeggiata di un miglio), nei
territori estesi e bellissimi di Attingham. Seguii il sentiero finché arrivai alla passeggiata
Rhododendron, vissuta da alcuni come un luogo di grande potere spirituale. All’entrata c’è un enorme
albero di cedro con una panchina. Sedetti lì per un po’, godendomi la bellezza del posto, poi mi
alzai ed entrai nel sentiero.

Mentre lo facevo, sentii un grande accumulo di potere ed un grande aumento di consapevolezza. Colori
e forme divennero più significativi. Ero cosciente di ogni singola foglia sui cespugli e sugli
alberi, di ogni filo d’erba che risaltava con sorprendente chiarezza. Era come se la realtà fisica
fosse diventata molto più reale di come è normalmente e l’effetto tridimensionale al quale siamo
abituati fosse diventato più solido. Un’esperienza quasi impossibile da descrivere a parole. Ho
avuto l’impressione di completa realtà e che tutto ciò che vi giaceva dentro ed immediatamente oltre
sembrava immediatamente imminente. C’era una sensazione acuta di essere ‘in uno’ con la natura in un
modo completo, insieme alla sensazione di essere ‘in uno’ col divino, ciò mi produsse grande
esultanza ed un senso profondo di stupore e meraviglia. Divenni cosciente di Pan, il dio dei boschi,
che camminava al mio fianco e di un legame forte tra di noi. Si mise dietro di me e poi entrò in me
così che diventammo uno e vidi il mondo che ci circondava con i suoi occhi.

Allo stesso tempo, parte di me – la parte che ricorda e registra – si mise da parte. L’esperienza
non era una forma di possessione ma di identificazione, una sorta di integrazione. Nel momento in
cui entrò dentro di me il bosco divenne vivo con una miriade di esseri – elementari, ninfe, driadi,
fauni, elfi, gnomi, fate e così via, troppo numerosi da catalogare. Variavano di taglia da minuscoli
piccoli esseri di una frazione di pollice di altezza – come quelli che vidi svolazzare intorno ad un
mucchio di rospi – a bellissime creature elfiche di un metro e più di altezza.

Alcuni ballavano intorno a me in cerchio; tutti erano accoglienti e pieni di celebrazione. Gli
spiriti della natura amano e sono deliziati dal lavoro che fanno e lo esprimono in questa maniera.
Mi sentii come se fossi fuori dal tempo e dallo spazio. Tutto accadeva Ora. E’ impossibile dare più
di una semplice impressione dell’attualità di questa esperienza, ma enfatizzerei l’esultanza e la
sensazione di gioia e felicità. C’era comunque un senso sottostante di pace, un contentezza ed un
senso di presenza spirituale. Mi sono trovato in una radura al termine della passeggiata
Rhododendron, dove c’è una grande quercia. Mi girai e tornai in dietro da dove ero venuto. Ora avevo
dei flauti di Pan in mano e ero consapevole di avere gambe pelose e zoccoli. Ho iniziato a danzare
lungo il sentiero, suonando il flauto -la melodia che avevo udito suonare a Pan. I numerosi uccelli
rispondevano, le loro canzoni facevano uno squisito contrappunto alla musica del flauto. Tutti gli
esseri della natura erano attivi, molti danzavano mentre lavoravano. Quando avevo quasi raggiunto il
punto in cui l’esperienza aveva avuto inizio, la consapevolezza particolare cominciò a sbiadire e
Pan si ritirò, lasciandomi nuovamente con il mio sé ordinario. Smisi di danzare e continuai a
camminare. I flauti di Pan non c’erano più. Il cambiamento da questa strana esperienza estatica alla
realtà normale della vita quotidiana non fu una delusione. Quello che avevo vissuto era ancora lì; è
sempre lì anche ora, perché è parte della vera realtà. A causa dei nostri sensi offuscati e della
nostra abitudine di attraversare la vita indossando dei paraocchi materialistici, in una condizione
che confina con il camminare nel sonno, diventiamo inconsapevoli della fantastica bellezza della
vita intorno a noi.

Il giardino di Kandahar
a cura di Italo Bertolasi e Ginevra Sanguigno da “Le culture della visione I”

Sono colui che parla, colui che cerca, colui che unisce.

Sono colui che cerca lo SPIRITO DEL GIORNO, cerco dove vi è paura e terrore; sono colui che ripara e
guarisce; sono colui che risolve tutto.

Al centro del mondo tu mi hai condotto e mi hai mostrato la bontà e la bellezza e la diversità della
verdeggiante terra… la Madre unica… e là le forme, spirito delle cose come dovrebbero essere,
hai mostrato a me ed io ho visto! Al centro di questo cerchio sacro tu hai detto di aver fatto
fiorire l’albero…

Ancora una volta… rievoco la grande visione che mi inviasti. Forse ancora vive una piccola radice
dell’albero sacro. Nutrila… che possa fare foglie e fiorire e riempirsi di uccelli che cantano.

Ascoltami!… Non per me , ma per il mio popolo.

ABURRA popolazione della Colombia: ESTINTA

CANARI popolazione dell’Ecuador: ESTINTA

CHONO popolazione del Cile: ESTINTA

QUIMBAYA popolazione della Colombia: ESTINTA

TIMOTE popolazione della Terra del Fuoco: ESTINTA

YAHAGAN popolazione della Terra del Fuoco: ESTINTA

Viaggiatore che da Occidente vai verso Oriente, se attingi la perfezione nella nostra Assemblea – in
questo giardino – tuo seggio sarà un trono, avrai ciò che vuoi in tutto!

…Esisteva da sempre, vicino alle mura di Kandahar, uno splendido e misterioso giardino: là di
notte si radunavano i vecchi saggi e i Dervisci… Esploravano con le Arti ed alcune Erbe magiche le
vie sconosciute del risveglio interiore.

Senza il potere dei saggi di questo giardino d’amore, non si potrebbe guardare la Luna, né farsi
Amare…

Qualsiasi cosa tu dica, non è che il prolungamento della lampeggiante nube temporalesca
dell’eternità! il Cavaliere del Cielo passa, s’alza nell’aria la sua polvere d’oro… Egli volò, ma
la polvere che sparse resta tuttora sospesa.

Guarda fisso questa visione, non volgere lo sguardo a destra e a manca, la sua polvere d’oro è pur
qui, ma lui è già nell’Infinito!

Un chassid vive come un fiume
Di Aurora di Maggio

Fiducia e spontaneità gioiosa nella sacralità della vita terrena

Il movimento chassidico più noto nasce in Europa orientale attorno al ‘700. Era costituito da ebrei
non più interessati alle sacre scritture da interpretare o alle dottrine cabalistiche ma a
un’esperienza di vita diretta, spontanea, viva.

Gli chassidim erano interessati alla religiosità della vita e non più alla religione, ai sacri
testi, alle teorie di interpretazione talmudiche. Erano l’altra faccia della religione tradizionale.
Chassid – plurale chassidim – è una parola ebraica che significa pio. Fu usata per indicare gruppi e
movimenti ebraici molto lontani fra loro per caratteristiche ed epoche, con un comune denominatore
generico, una forte connotazione mistica.

Una caratteristica del chassidismo fu il sorgere di differenti e svariate comunità attorno a un vero
saggio, lo zaddik. I saggi chassidici e la gente attorno a loro vivevano in modo ordinario,
lavoravano, avevano i piedi piantati per terra, ma portavano un po’ di paradiso in ogni loro gesto.

Un detto chassidico dice: ‘Se un uomo d’Israele si tiene in mano saldamente, sta solidamente sulla
terra, allora la sua testa potrà raggiungere il cielo’, e ancora: ‘Dio è da vedere in ogni cosa e da
raggiungere in ogni semplice atto’.

Martin Buber

Il chassidismo europeo tradizionalmente fondato da Baal Shem Tov, ‘Signore dal buon nome’, emerge
nei ‘Racconti degli chassidim'(Garzanti) raccolti da Martin Buber. Martin Buber, filosofo, letterato
e mistico moderno, si appassionò alla tradizione chassidica cui diede voce e parola nella cultura
occidentale. Dice Buber, ‘L’insegnamento chassidico indirizza l’uomo a una vita di fervore, di
fervida gioia. Ma questo insegnamento non è teoria che esista indipendentemente dal fatto che venga
o non realizzata… Poiché le esperienze che l’uomo fa col mondo e con se stesso molto spesso non
sono atte a suscitare fervore… le grandi religioni lo indirizzano verso un’altra esistenza, un
mondo di perfezione in cui anche la propria anima è perfetta… di fronte a questa perfezione la
vita terrena viene considerata solo un passaggio…, ma nell’ebraismo, senza pregiudizio della fede
in una vita eterna, è sempre stata forte la tendenza a provvedere la perfezione di una dimora
terrena e il chassidismo vide in tutti gli esseri e in tutte le cose irradiazioni divine.’ Sempre
Buber:

‘Ma in che modo l’uomo, e particolarmente l’uomo semplice a cui in primo luogo il movimento
chassidico si rivolgeva, poteva arrivare a vivere la sua vita di gioia? Come riconoscere nei suoi
incontri con esseri e cose, le scintille divine che in essi si celano? Certo, basta soltanto
un’anima umana indivisa.. ma in questo labirinto della nostra esistenza …come non perdere l’unità?
E quando si è persa come ritrovarla? Ci vuole chi aiuti insieme il corpo e l’anima: questo
soccorritore è lo zaddik, un guaritore sia del corpo che dell’anima, perché conosce come essi sono
legati l’uno all’altra e questa conoscenza gli permette di agire su ambedue.’

Lo zaddik facilita il rapporto dei chassidim con il divino ma non lo sostituisce. E’ un uomo che
vive come gli altri, in mezzo agli altri, che balla con gli altri, che fuma la pipa… con gli
altri. Nel dubbio lo zaddik rafforza ma non suggerisce la verità, non permette mai che l’anima del
chassid si lasci sostituire dalla sua. Uno dei grandi principi del chassidismo è che lo zaddik e il
popolo siano uniti intimamente l’uno all’altro. Il loro rapporto reciproco viene paragonato a quello
fra materia e forma, tra anima e corpo. Gioiosamente bevono insieme, cantano e danzano insieme,
narrano storie consolanti di miracoli, si aiutano.

La magia dei signori del nome

Il fondatore Israele ben Eliezer di Mesbiz, detto Baal-shem-tov sembra appartenere a un seguito di
Baal – shem, di Signori del nome, di coloro che conoscono un nome di Dio, una virtù magica, e sanno
servirsene per guarire e aiutare gli uomini. La base naturale della loro opera è la capacità di
percepire le relazioni tra le cose al di là dei loro legami spazio temporali, e il loro potere
ridare forza e solidità al centro spirituale del loro prossimo, per rigenerare corpo e anima. I1
Baal-shem aveva imparato a comprendere quello che dicevano gli animali e gli alberi e lo insegnava
ai chassidim. Un grande avversario del movimento chassidico, promotore di un bando contro il Baal –
Shem Tov lo accusava di praticare arti magiche. In realtà ciò che appariva magia era l’unione di
spirito e natura in una sola persona. Tutte le volte che questa unione compare in una figura umana,
essa dà testimonianza di vita e di equilibrio.

Il racconto

I racconti chassidici sono carichi di significati che toccano in profondità, un’alleanza appunto tra
spirito e materia che rende possibili immagini narrative come simboli:

Una volta, quando tutti i chassidim erano seduti insieme, in armonia, con la pipa in mano, il
rabbino Israel si unì a loro. Poiché era così disponibile gli chiesero:

“Caro rabbino, dicci, come possiamo servire Dio?” Questa domanda sorprese il rabbino che rispose: “
Come posso saperlo?” E proseguì raccontando questa storia…

C’erano due amici del re, tutti e due colpevoli di certi crimini. Poiché il re li amava e voleva
dimostrare loro la sua benevolenza, ma non poteva assolverli perché anche la parola del re non
poteva prevaricare la legge, emise questa sentenza:

“Una fune dovrà essere tesa attraverso il profondo abisso e, uno dopo l’altro, i due dovranno
camminarci sopra. A chi riuscirà a raggiungere l’altro lato verrà concessa la grazia della vita.

Fu eseguito l’ordine del re e il primo dei due amici attraversò l’abisso incolume. L’altro, fermo
sull’orlo del baratro, gli urlò: “Dimmi, amico, come hai fatto ad attraversare? “

Il primo rispose: “Posso solo dirti che ogni volta che mi sentivo pendere da un lato mi spostavo
sull’altro”.

Un equilibrio spontaneo dunque, senza estremi, senza sbilanciamenti a destra e a sinistra… ma nel
mezzo.. come per la fune sul baratro. La vita di ogni giorno è sacra, compresa la pipa, danzare,
godere la vita in modo sacro, gioioso… ecco il messaggio chassidico per raggiungere l’equilibrio.
I1 chassidismo non è una scienza ma un’arte, non crede nelle tecniche ma nell’amore per la vita in
quanto tale. Un’arte profonda di equilibrio, convinta della presenza dello spirito m ogm semplice
accadimento quotidiano. Nessuno può insegnare al neonato come respirare, se il respiro dipendesse da
un insegnamento non ci sarebbero esseri viventi.. è una capacità innata, naturale.

Lo chassidismo afferma che se un uomo vive la sua vita con spontaneità, un giorno nascerà l’amore
per il divino, con la stessa naturalezza con cui nasce l’amore fra uomo e donna, con la stessa
naturalezza con cui si respira, ma quel momento prezioso non può essere costruito, pianificato, è
sufficiente vivere con spontaneità.

Fluire nella natura

…il cielo è stupendo, è un mattino pieno di odori… il caffè è caldo… uno chassid vive come un
fiume, con fiducia.

Pigmei – mappe di spazi interiori del piccolo popolo
di Matteo Guarnaccia

Il mio cuore è in festa,
Il mio cuore prende il volo cantando,
sotto gli alberi della foresta;
foresta, nostra dimora e nostra madre;
nella mia rete ho preso un piccolo,
piccolissimo uccello;
Il mio cuore è preso nella rete,
nella rete insieme all’uccello.

Salutati da questo dolcissimo canto vengono al mondo i bambini di uno dei popoli più gentili del
pianeta, i Pigmei. Un popolo che miracolosamente è arrivato in questo secolo, conservando una
sensibilità ed una consapevolezza straordinarie. Agli amorevoli custodi di un ambiente naturale
fantastico, la foresta pluviale, la “modernità” ha regalato le frontiere (attualmente i Pigmei sono
divisi tra Repubblica Centroafricana, Zaire, Congo, Ruanda e Camerun), i bulldozers (che stanno
piallando il loro territorio tribale ad un ritmo impressionante, per fornire tra l’altro ai nostri
salotti il legno pregiato), il bracconaggio (gli elefanti ed altri animali sterminati per fornire le
boutiques e le gioiellerie) e missionari di una religione paranoica ed intollerante ad uno dei
popoli più spirituali del pianeta (già gli Egizi li chiamavano “danzatori degli Dei”. Come altri
popoli “primitivi” del pianeta, i Pigmei sono diventati un ”fastidio sulla via dello sviluppo”.
Ultimi scampoli di una serie ininterrotta di orrori e di genocidi sulla via dello sviluppo del
pianeta, dove ha cittadinanza solo quanto è in funzione dell’economia di mercato. Se la situazione
non cambia i pigmei non saranno più il piccolo popolo della foresta ma, come è già successo ad altri
gruppi etnici, confluiranno in quel magma alienato e disperato di cittadini di serie z, dipendente
in tutto e per tutto dai capricci dell’occidente. E’ con un sentimento fortemente ambiguo che ci si
avvicina a questo tipo di mostre, come ambiguo è il nostro rapporto con queste culture. Da una parte
il piacere della conoscenza, dall’altra il disagio per le difficoltà del loro destino. Stupende le
pitture Mbuti su corteccia di albero battuta, provenienti dall’area dell’Ituri, nello Zaire. Ma non
è certo attraverso la pittura che i pigmei danno il meglio della loro espressività, essi sono
appassionati danzatori, grandi narratori di storie, ma soprattutto maestri incontestati del canto
polifonico. E’ anzi ancora oggetto di discussione se la “pittura” su corteccia sia una forma d’arte
nativa o sia piuttosto mutuata dai Bantù coi quali hanno da sempre uno stretto rapporto di
interdipendenza. E’ comunque indubbio il fascino di questi segni geometrici, di questi simboli
astratti che disegnano delle cartografie di spazi interiori, mappe precise dove ogni più piccolo
sentiero della mente è segnato, territori segreti dove nessun missionario e nessun bulldozer
riuscirà mai a penetrare, mappe che, spariti i pigmei, nessuno riuscirà più a leggere. Certo
guardare queste opere dietro un vetro fa un po’ l’impressione di vedere farfalle spillate in un
ambiente sterilizzato… altro è vederle volare.

Condividi:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *