Commento di Raimon Panikkar al “Gayatri Mantra”

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Commento di Raimon Panikkar al “Gayatri Mantra”

Il testo del Gayatri Mantra é:

“Aum Bhur Bhuvah Svah Tat Savitur Varenyam Bhargo Devasya Dhimahi Dhiyo Yo Nah Prachodayat”

Tratto da: Raimon Panikkar – I Veda – Mantramanjari – Testi fondamentali della rivelazione Vedica
BUR Edizioni

«Non c’è nulla di più sublime della Gàyatri». Esso è il mantra più famoso dei Veda, rivolto al
divino donatore di vita come Dio supremo, simbolizzato in Savitr, il Sole. Per questo motivo la
preghiera si chiama anche Savitr. È recitata ogni giorno al sorgere e al tramontare del sole, di
solito al momento del bagno rituale. Questo mantra deriva il suo nome dal metro in cui è scritto, la
gàyatrì, che è un metro poetico vedico di ventiquattro sillabe, il cui autore, secondo la
tradizione, fu il saggio Visvàmitra.

Per cogliere la rilevanza di questo testo sacro dobbiamo ricordare l’importanza di un mantra,
specialmente nel periodo vedico, anche se il mantra è un fenomeno umano primordiale riscontrabile
praticamente in tutte le tradizioni religiose. I mantra non sono formule magiche, neppure frasi
puramente logiche; essi collegano, in modo molto particolare, gli aspetti oggettivi e soggettivi
della realtà.

Per illustrare questa funzione viene spesso usato questo esempio. Un re chiede al suo ministro, che
è molto progredito nella vita spirituale e pratica il japa (la recitazione dei mantra), di
insegnargli il suo mantra. Il ministro si rifiuta ma il re insiste. Il ministro dice a un paggio che
si trova lì vicino di catturare il re, ma nonostante ripeta l’ingiunzione il paggio non si muove.

Infine il re, irritato, dice al paggio di catturare il ministro e il ragazzo ubbidisce
immediatamente. Il ministro scoppia a ridere e spiega al re: i nostri ordini erano gli stessi e
anche colui che li riceveva; eppure in un caso il comando non fu eseguito e nell’altro sì. Nel caso
di un mantra tutto dipende dall’autorità e dalla preparazione spirituale di chi lo pronuncia. La
parola mantra denota ciò che è stato pensato o conosciuto o ciò che viene trasmesso in privato – o
persino in segreto attraverso l’iniziazione (dìksa) – e che possiede il potere di liberare.

È parola sacra, formula sacrificale, consiglio di grande efficacia. La Brhadàranyaka-upanisad
spiega come il mondo abbia avuto origine dall’unione della Mente (manas) con la Parola (vàc). Il
mantra non è né un mero suono né una semplice magia. Le parole non hanno solo un suono ma anche un
significato che non è manifesto a tutti coloro che semplicemente odono il suono.

Le parole vive hanno, inoltre, un potere che trascende il piano puramente mentale. Per acquisire
questa energia della parola si deve cogliere non solo il significato ma anche il suo messaggio o le
sue vibrazioni, come sono talvolta chiamate al fine di sottolineare il legame con lo stesso suono.
Fede, comprensione e pronuncia fisica, così come la continuità fisica (il mantra deve essere
trasmesso da un maestro), sono requisiti essenziali per un mantra autentico. Ogni parola ci
congiunge con la fonte di tutte le parole. Il carattere ultimo della parola, sabdabrahman, è un
concetto fondamentale nella spiritualità indica.

Diversi inni dell”Atharva-veda alludono alla posizione privilegiata occupata dal mantra Gayatri.
Quando il i poeta tenta di definire il Primo Principio, l’Assoluto, e di localizzare il «Non-nato»,
dice, così da offrirci una nozione della sua inaccessibilità, che egli è:

Più alto dell’alta Gàyatrì al di là dell’Immortale egli procedette. Dov’era allora il Non-nato?
Questo neppure i conoscitori della scienza vedica sanno dire. AV X,8,41

In un altro inno, composto in onore di Rohita, il Sole, che esalta anche la grandezza di un re
terreno, il poeta descrive i sudditi del re riuniti all’alba per offrire il sacrificio; li descrive
in attesa dell’apparizione del Sole che sorge, chiamato in questo passo il «Vitello bronzeo» e di
sua «madre» l’Aurora, qui identificata con la Gàyatrì:

La tua gente, progenie del sacro Fervore, è venuta al seguito del Vitello e della Gàyatrì. Possa
entrare alla tua presenza con intenzioni di pace, preceduta dal bronzeo vitello e da sua madre! AV
XIII, 1,10

Allo stesso modo un altro verso chiama la Gàyatrì «Madre dei Veda». La Gàyatrì non è necessariamente
collegata a un rito sacrificale; può essere mormorata o ripetuta senza l’accompagnamento
dell’offerta rituale. Subì un processo di sublimazione o interiorizzazione, ma non sempre con
successo.

La Brhadàranyaka-upanisad da una spiegazione simbolica della Gàyatrì molto elaborata, basata sulla
sua composizione poetica, tre piedi di otto sillabe ciascuno: il primo piede è composto dai tre
mondi: la terra, i cieli e il firmamento, o piuttosto la parte in mezzo; il secondo piede è composto
dalla triplice conoscenza, cioè la saggezza dei tre Veda’, il terzo piede è composto dalle tre forze
vitali (pràna, o inspiro, apàna, o espiro, e vyàna, o respiro diffuso, che insieme compongono otto
sillabe). Tutto questo è detto al fine di introdurre il quarto piede, che è reso visibile
precisamente entro e attraverso la Gàyatri, Savitr, il sole «al di sopra dei cieli oscuri».
Attraverso un processo interiore attuato recitando la Gàyatri con consapevolezza, tutta la realtà
viene riflessa e così anche dominata nell’uomo – questo mesocosmo, questo specchio dell’intera
realtà.

Se egli, il conoscitore della Gàyatri riceve questi tre mondi in tutta la loro pienezza, egli
riceverà solo il primo piede della Gàyatri. Se egli riceve tutto quello che è conferito dalla
triplice conoscenza [dei Veda], riceverà solo il secondo piede. Se egli riceve tutto quello che vive
e respira, riceverà solo il terzo piede.

Ma il quarto, il piede apparentemente visibile situato al di sopra dei cieli oscuri, quel [sole] che
brilla, non è affatto ottenibile da nessuno. Come potrebbe qualcuno ricevere tanto? Omaggio alla
Gàyatri: O Savitr, tu hai un piede, due piedi, tre piedi, quattro piedi. Eppure tu non hai piedi
perché non inciampi. Salute a te, quarto piede, il chiaramente visibile, al di là dei cieli oscuri!
BU V, 14,6-7

Inoltre, come dice un altro commentario importante sulla Gàyatri. «La Gàyatri, in verità, è questo
intero universo, tutto ciò che è venuto in essere. E la Parola, in verità, è la Gàyatri, poiché la
Parola canta e protegge questo intero universo che è venuto in essere» CU 111,12,1.

Anche la Maitrì-upanisad (VI,7) fa riferimento alla Gàyatri, spiegando il suo simbolismo verso per
verso:

Quel glorioso splendore di Savitr: il Sole nei cieli è sicuramente Savitr. Egli è colui che deve
essere cercato da chi è desideroso del Sé. Così affermano coloro che svelano la conoscenza di
Brahman per noi.

Meditiamo sul divino Vivificatore: Savitr sicuramente è Dio. Perciò io medito su quello che è
chiamato il suo splendore. Così affermano coloro che svelano la conoscenza di Brahman per noi.

Possa Egli illuminare le nostre menti: Mente sicuramente è intelligenza. Possa Egli insufflarla in
noi. Così affermano coloro che svelano la conoscenza di Brahman per noi.

La stessa Upanisad (VI,34) ci introduce alla presenza di Savitr recitando l’inno seguente:

II Cigno, l’aureo uccello che dimora sia nel cuore che nel Sole, l’uccello-tuffatore di gloriosa
luce -a lui sacrifichiamo in questo fuoco.

La preghiera sarebbe pressoché nulla o semplicemente l’espressione dei nostri desideri rivolti a un
ente più potente che già li conosce, se non consistesse in questo assumere, comprendere, persino
diventare l’intera realtà; è una ricapitolazione, un riassumere tutto ciò che è nella mente e nel
cuore, e anche nel corpo del devoto. La preghiera è partecipazione alla sistole e alla diastole
dell’intero universo.

Ciò che la Gàyatri è, quello invero anche la terra è, poiché è sulla terra che questo intero
universo si fonda; non si estende al di là di essa. Ciò che la terra è, quello invero è anche il
corpo dell’uomo, poiché su di esso questi respiri vitali si fondano, essi non si estendono al di là
di esso. Ciò che il corpo è nell’uomo, quello invero è anche il cuore dentro l’uomo, poiché su di
esso questi respiri vitali si fondano; essi non si estendono al di là di esso.

La Gàyatri ha quattro piedi ed è sestupla. Di questa un verso del Rg-veda dice: «Tale è la misura
della sua grandezza, ma più grande ancora è l’Uomo». Tutti gli esseri formano un quarto di lui, tre
quarti – l’immortale nel ciclo. Ciò che si chiama Brahman, quello invero è anche lo spazio fuori
dell’uomo; ciò che è lo spazio fuori dell’uomo, quello invero è anche lo spazio entro l’uomo; ciò
che è lo spazio entro l’uomo, quello invero è anche lo spazio entro il cuore. Quello è il pieno,
l’immutabile. Chiunque conosca questo ottiene buona sorte, piena e immutabile. CU III, 12,2-9

Una delle parole tradizionali per Tatto fondamentale della preghiera è la concentrazione, e noi
dobbiamo capirla nel modo più preciso. L’uomo di preghiera, entro e attraverso la sua concentrazione
spirituale, veramente concentra sempre più parti della realtà; egli condensa, per così dire, le
particelle meno concentrate dell’universo che fluttuano intorno a lui così da ridurle alla loro
essenza.

Egli può farlo perché ha trovato il centro della realtà che gli permette veramente di concentrarsi,
ossia di centrare i suoi mondi in un solo centro. Questo può essere fatto quando i tre centri,
quello della realtà esterna, quello della realtà interna e quello dell’uomo stesso, coincidono.

Il risultato è armonia e pace. La vera preghiera è sempre un atto che abbraccia tutto in uno, il
divino, l’umano e il cosmico, cioè Vàdhidaivika, Yàdhyàtmika e Yàdhibhautika.

Questo è ciò che i differenti testi sulla Gàyatri ci dicono nei loro differenti modi.

La Gàyatri accompagna l’uomo non solo nel suo corso quotidiano, ma anche nei momenti più solenni
della sua vita. Costituisce una parte importante della cerimonia di iniziazione. D’ora innanzi,
avendo ricevuto il mantra dal suo maestro, il giovane avrà il diritto di pronunciarlo e così di
partecipare al mondo spirituale che lo unisce a tutti gli altri che lodano e adorano Dio attraverso
le parole vive di questa preghiera cosmica. Molti sàstra hanno indicato come deve essere recitata la
Gàyatri.. Ogni giorno lo studente della sacra conoscenza dovrebbe alzarsi all’alba e recitare la
Sàvitrì (come è spesso chiamata la Gàyatri) finché vede sorgere il sole e all’imbrunire, seduto,
recitarla finché scorge le stelle.

Un altro sàstra aggiunge che, volgendosi a est alla fioca luce del mattino e a ovest di sera, si può
controllare il respiro mentre si recita la Sàvitrì cento volte. Queste e altre ingiunzioni tendono
ad armonizzare cuore e mente con le energie cosmiche. Il canto della Gàyatn all’alba purifica dai
peccati della notte precedente e la preghiera serale del mantra purifica dai peccati commessi
durante quel giorno.

La Gàyatri è un simbolo completo della luce. È certamente molto più dell’epifania della luce; è la
luce stessa quando la recitazione è una vera preghiera, un’assimilazione e un’identificazione con
ciò che si prega. Ogni verso sottolinea un aspetto della luce: lo splendore glorioso dell’Ultimo, la
sua radiosità interna, cioè la luce increata (verso 1); la luce che crea, la luminosità comunicativa
del Sole increato, Savitr, lo splendore del Dio vivente che illumina ogni cosa (verso 2); e, infine,
l’incidenza della luce divina sui nostri esseri, e in particolar modo sulle nostre menti, rendendo
noi stessi rifulgenti e trasmettitori della stessa rifulgenza e convertendoci in luce: luce da luce,
splendore da splendore, uno con la sorgente della luce, non in una pesante identità ontologica, ma
in una “luminosa” identità di luminosità, totalmente trasparente – àtman-brahman (verso 3).

Abbreviazioni: RV – Rig Veda; av – Atharva Veda; BU – Brhadàranyaka-upanisad; CU – Chanddogya
Upanisad.

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