I cinque volti del Gayatri Mantra

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I cinque volti del Gayatri Mantra

di Sai Baba

I CINQUE VOLTI DELLA GÂYATRÎ

…Entusiasmo, audacia,
coraggio, devozione,
energia, valore.

O incarnazioni dell’Amore,
o rinati,(1) la vita del brahmacharya (2) è davvero santa, ed è la migliore.
In questo sacro e puro periodo del brahmacharya, la prima nascita in
assoluto è rappresentata dall’iniziazione al mantra della Gâyatrî. Con il
Gâyatrî Mantra, l’uomo comune si trasforma in saggio (vipra), il giovane
studente (vatu), mediante la recita dei Veda, diventa gradualmente un saggio
e, con la pratica della Gâyatrî, deliziandosi con essa fin nel profondo del
proprio cuore, si trasforma in Dio.

Nessuno è totalmente divino alla nascita; si può essere di casta bramina, ma
la vera rinascita (dvija) avviene con l’iniziazione al Gâyatrî Mantra.
Successivamente, praticandola e condividendola gioiosamente con altri, si
raggiunge lo stato della saggezza, dal quale, votando completamente la
propria vita alla Gâyatrî, si raggiunge lo stato bramanico, divino. C’è
dunque uno stadio di vita ordinaria, comune a tutti, un secondo stadio che è
la rinascita al Divino, un terzo di saggezza e un quarto bramanico. In una
sola vita umana, si possono verificare quattro mutazioni.

La Gâyatrî non è una formula comune. Che cos’è? La Gâyatrî è la Madre di
tutti i Veda, l’essenza di tutti i Veda, la base di tutte le Scritture, la
sostanza di tutte le mete e la meta di tutti i sentieri. Nel nome della
Gâyatrî sono inclusi tre nomi: il primo è Gâyatrî, il secondo è Sâvitrî, il
terzo è Sarasvatî.

Gâyatrî, Sâvitrî e Sarasvatî: quali vantaggi apportano? Che benedizione
racchiudono? Chi è Gâyatrî? Gâyatrî è colei che domina i sensi. Sâvitrî è la
padrona della vita. Fu infatti per un voto di verità che ella poté salvare
la vita del marito. Poi, c’è Sarasvatî. Chi è costei? È la personificazione
autentica della parola. Dunque, Gâyatrî, Sâvitrî e Sarasvatî sono le forme
simboliche del sentimento, della parola e del corpo. L’uomo otterrà la vera
forma dell’umanità quando avrà in sé tutte e tre queste caratteristiche ben
armonizzate tra loro.

Quindi,

The proper study of mankind is man.
È PROPRIO DEL GENERE UMANO STUDIARE L’UOMO.

Vale a dire che, quando c’è unità e coerenza tra ciò che proviene dal cuore,
dalla lingua e dalle mani, c’è umanità. Sentimenti, parole ed opere: dove si
trovano? Nell’uomo. Non esiste potere più grande di quello che c’è
nell’uomo, e la sua vita è l’essenza di tutti i poteri, come il cuore è
l’essenza di tutte le mete. Quindi, l’uomo non è solo ciò che si dipinge
come un comune individuo; occorre essere uomini in concreto.
In che modo la Gâyatrî è racchiusa nell’uomo?

Bhûh bhuvah svah
tat savitur varenyam
bhargo devasya dhîmahi
dhiyo yo nah prachodayât.

Bhûh è la Terra; bhuvah sono i Cieli; svah è il Cosmo infinito. Perciò,
Terra, Cielo e Universo si trovano tutti nell’uomo.
La Terra è il mondo fatto di materia; bhuvah è l’energia vitale che fa
vibrare il corpo. Questa energia vitale dà al corpo stabilità, sviluppo,
felicità e gli conferisce la facoltà dell’azione. Poi c’è svah, il Cielo.

Allora, bhuvah è il mondo materiale, è la forza vitale che mette in
vibrazione i corpi. Svah conferisce un tipo di conoscenza (jñâna), che
chiamano impropriamente “radiazione”. Però, non si tratta di una conoscenza
materiale; non è la conoscenza della natura. Nel linguaggio vedico si chiama
Prajña Brahma, per indicare che è una conoscenza che supera ogni altra
conoscenza: è la Completa Costante Consapevolezza.

L’uomo è rivestito di questo tipo di sacra energia; pur avendo tutti i
poteri, li ha perduti dimenticando che può riporre ogni fiducia in sé
stesso. Quando un uomo perde ogni fiducia in sé stesso, perde tutti i poteri
che ha in sé. Dunque, bhûh bhuvah svah sono le vostre tre forme.

Ognuno di voi non è una singola persona, bensì tre persone: la
prima è quella che pensate di essere, cioè il corpo fisico;(3) la seconda è
quello che gli altri pensano che voi siate, la terza è il principio vitale
che è dentro di voi. Quello solo è l’OM, che proviene da dentro, dalla
regione dell’ombelico; è questo che proviene dal sito di Brahma (Brahma
sthâna), ed è pure una sorta di forza vitale propria dell’uomo.

Quello che gli altri pensano che voi siate è il corpo mentale e quello che
voi realmente siete è il principio dell’Âtma. Il corpo fisico, il corpo
mentale e il corpo spirituale: ecco le tre persone che voi siete. Quindi,
non c’è differenza fra voi e Dio; voi siete semplicemente l’incarnazione di
Dio ed è solo per un vostro attaccamento al corpo che avete dimenticato la
vostra vera dimensione divina. L’uomo non è altro che Dio, non è qualcosa
che Gli sia estraneo.

Il pandit che prima ha preso la parola, ha detto:

Saha nâvavatu saha nau bhunaktu
saha vîryam karavâvahai
tejasvi nâvadhîtamastu mâ vidvishâvahai.
Om shântih shântih shântih.(4)

Qual è il significato essenziale di questo mantra?

Viviamo tutti insieme, lavoriamo tutti insieme,
diffondiamo la conoscenza che
abbiamo acquisito insieme,
viviamo in armonia senza fraintenderci.

Questa è l’unità di cui parlano i Veda; in essi non c’è alcun senso di
divisione, ma vi si proclama il sommo sacro non dualismo.
I corpi possono essere differenti; nomi e forme possono essere diversi, e
tuttavia il principio atmico è uno solo: “La Verità è una, ma i saggi la
definiscono con molti nomi”. Come vedete, ci sono molte lampadine
accese; esse non sono tutte uguali, hanno colori e dimensioni diversi, ma la
corrente elettrica è una sola. Così pure i corpi sono differenti, per forma
e nome, ma il principio spirituale è in tutti sempre lo stesso. Ecco la vera
non dualità.

Che significa “Advaita” o non dualismo? È l’impulso di conoscenza
(jñânashakti) che tocca tutti; la vera conoscenza (jñâna) non è dualistica.
Qui non si parla di jñâna come di conoscenza fisica, non s’intende la
scienza del mondo o il nozionismo profano. No, assolutamente. Si parla
dell’Âtma jñâna, che è la Conoscenza del Sé, la quale non è dualistica; è
una forma del Sé che è in voi. Voi lo state dimenticando, oggi dimenticate
di essere quell’incarnazione d’amore.

A che cosa sono dovute tutte le sofferenze che ci sono in India oggi? Al
fatto che si è persa la fede nell’Âtma e si è accresciuto l’attaccamento al
corpo, con conseguente diminuzione dell’attaccamento allo Spirito. Perciò,
oggigiorno gli uomini non fanno che alimentare i propri desideri, evitando
di applicarsi alla vita interiore. Ciò che dovrebbe fare l’uomo, dunque, è
di crescere gradualmente nella vita spirituale, che è la sua vera vita.

Tutte le ricchezze che si guadagnano, come sono venute, così se ne vanno. Ed
è così anche del corpo, che cresce e perisce. Solo la beatitudine non viene
mai meno, quella eterna, suprema beatitudine dello yoga, che è beatitudine
trascendentale, non dualistica: “la suprema felicità, la forma della
sapienza che è al di là degli opposti dualistici, estesa quanto il cielo,
unica, eterna, inamovibile, testimone di tutto, trascendente i sensi e i tre
guna”.

Incarnazioni dell’Amore,
in verità, se si riconosce il Divino, il mondo intero apparirà come una
scena onirica. Anche Dakshninâmûrti (5) dà questo insegnamento. Tutto il
mondo è come uno specchio in cui si possono vedere molte immagini diverse.
Lo specchio è uno. Gli anziani del giorno d’oggi stanno perdendo questo modo
di vedere e persino le madri e i padri sono incapaci di dare insegnamenti
giusti. Gli insegnanti hanno perso molta della loro capacità didattica. Che
colpa ne hanno dunque i bambini? Il loro cuore è molto puro:
“incondizionato, senza macchia, eterno”. Questi bambini dal cuore così puro
sono trascinati per vie impure e sono indotti ad assecondare desideri
materiali, ingiusti. La loro vita viene interamente invasa dalla confusione.
No, no! Ai bambini insegnate l’unione, dite loro come camminare sul sentiero
della purezza, dell’altruismo; esortateli a rinunciare a tutte le seduzioni
mondane e a desiderare il bene di tutti: Lokâssamastâh sukhino bhavantu:
“Che tutti i mondi siano felici”.

Noi siamo degli individui e l’individuo è un jîva, ossia un essere vivente,
che ha un’anima. In tutti c’è un’unica realtà, che è Dio, il quale non è
separato: il singolo è un’anima, il Tutto è Dio. Perciò, quando ci uniamo a
qualcuno, là si manifesta Dio. (6) Laddove c’è un solo albero non possiamo
dire che sia una foresta; diremo che c’è un solo albero. Non si chiama
villaggio un luogo dove c’è una sola casa; ci vogliono diverse case insieme
per fare un villaggio. Un uomo solo non fa società; più uomini insieme
costituiscono una società. La società non è qualcosa di separato da una
collettività di uomini. Perciò, nei molti risiede la gioia dell’unione e
nell’unione dei molti si ottiene l’Uno, il Divino cui dobbiamo giungere.

Dunque, perché ci siamo introdotti in un sentiero spirituale? La vita ci è
stata data perché trasformassimo la nostra umanità in divinità; quindi,
dobbiamo mutare l’umano in divino. Quando ciò avviene? Quando la verità
affiora dentro di noi, quella sola è la Divinità.
Dio non è qualcosa di differente: “Dio permea l’Universo intero con piedi,
occhi, teste, bocche, orecchie”. Dovunque guardiate, Egli è là: non esiste
un posto senza Dio. “Egli è più piccolo dell’atomo e più grande
dell’immenso”. Tuttavia, dipende da noi essere o no in grado di accogliere
il Divino con la giusta ampiezza di sentimenti.

Se ripeterete il Gâyatrî Mantra tre volte al giorno, all’alba, a mezzogiorno
e al tramonto, la vostra Divinità rifulgerà in ogni parte del mondo. La
Gâyatrî è l’essenza di ogni religione e il fondamento di tutti gli
obbiettivi. Bisogna che la Gâyatrî sia cantata correttamente. Perciò va
insegnata normalmente. Ogni uomo, a qualsiasi casta appartenga, ha il
diritto di cantarla. Quindi, non create delle discriminazioni affermando che
essa sia per un tipo di persone e non per altre. Come in tempi antichi,
anche oggi, avendo preso abitudini scorrette, ci dimentichiamo delle
tradizioni e delle usanze antiche.

Per che cosa ci ha dotati d’un corpo Iddio? È di facile deduzione. Abbiamo
un corpo per compiere buone azioni, delle mani per far del bene, e anche una
respirazione perché ne facciamo buon uso. Ecco ciò che insegna la Gâyatrî:
quando inspiriamo aria, dobbiamo introdurre nel corpo il sacro respiro della
vita divina; quando espiriamo, dobbiamo buttar fuori l’aria viziata. Ciò che
dobbiamo dunque assumere oggi è l’aria buona, rifiutando quella cattiva e
impura. Quando inspiriamo, facciamo “So” e, con questo “So”, introduciamo
aria pura. Quando espiriamo, facciamo “Ham”, e rigettiamo l’aria impura.
Dentro di noi deve entrare ossigeno e fuori deve uscire il biossido di
carbonio. La nostra vita sussiste grazie a questo processo; così il corpo
rimane in salute. Dobbiamo alimentarci bene, assumendo della buona frutta e
del buon cibo; fuori espelleremo i rifiuti del cibo. È la creazione di Dio
che ha sancito queste regole, ma nessuno sembra volere rendersene conto.

O uomo, assumi ciò ch’è puro ed espelli ciò ch’è impuro. Prendi il buono e
rigetta il cattivo. Vedi il bene e non il male. Figlioli, anche qui stiamo
dimenticando ciò che Dio ci ha dato!

NON VEDERE IL MALE; VEDI IL BENE.
NON PRESTARE ASCOLTO ALLE COSE CATTIVE; ASCOLTA QUELLE BUONE.
NON PARLARE DEL MALE; DI’ CIÒ CHE È BUONO.
NON FAR DEL MALE; FAI DEL BENE.
NON PENSAR MALE; PENSA BENE.
QUESTA È LA VIA VERSO DIO.

Oggigiorno si usa la lingua per dir cose malvagie, le orecchie per udire
atrocità, gli occhi per guardare immagini immonde. Non dovreste guardare
cose brutte; dovreste posare lo sguardo su quelle buone. Dio ci ha dato
tutti questi organi perché ne facciamo buon uso.

Perciò, anche Purandaradasa (7) cantò: “Avete gli occhi, ma siete diventati
ciechi e non sapete vedere Dio. A che vi servono gli occhi se non sapete
vedere Swami? A che scopo avere occhi e vista?” (8) Perché Dio ci ha dato
degli occhi? “Perché volete avere occhi? A che vi servono se non vedete
Dio?” Con gli occhi che ci sono stati donati dovremmo vedere cose pure, ma
oggi i sentimenti di purezza sono ridotti a un nulla negli adulti e anche
nei bambini. Questi bimbi, dunque, siano da oggi educati a sviluppare un
modo
buono e puro di vedere le cose, poiché Dio è in tutto. Non esistono il
bene e il male, né peccato né merito. Anche questo fu affermato da
Purandaradasa. Conoscete molto bene ciò che affermò.

Dio è Colui che protegge i devoti, ma anche Colui che li punisce. Guardate
Krishna; punì Kamsa e protesse Shishupâla e suo padre. Ogni singolo atto
compiuto dal Signore è per punire il male e proteggere il bene. Allo stesso
modo, Râma punì Râvana e protesse Vibhîshana. Lo stesso Râma che usò
protezione verso Vibhîshana, inflisse una punizione a Râvana.

Quindi, la protezione e la punizione coesistono entrambe nell’unico Dio. Ma
sembra che sia impresa non facile capire a fondo questa duplice natura di
Dio. Se Dio protegge e punisce, coloro che sono di mente equanime sono Dio.
Ecco perché i Veda proclamano: “Ci protegga Egli e ci nutra…” (Saha
nâvavatu…) Questo saha, lo “stare insieme”, è indispensabile all’uomo.

In ogni cuore esiste lo stampo della Gâyatrî, che ha cinque facce. Perché
cinque facce? Lo avete visto: solo al centro c’è una faccia di colore blu.
Per quale ragione? Le facce sono cinque: bhûh-bhuvah-svah, sono le tre
dimensioni che stanno unite insieme per formare un solo volto. Tat è la
seconda faccia; savitur-varenyam è la terza; bhargo-devasya-dhîmahi è la
quarta; dhiyo-yo-nah-prachodayât è la quinta.

Poiché questo mantra si divide in cinque parti, si dice che la Gâyatrî sia
Pañchamukhî svarûpinî, “la Dea dai Cinque Volti”. Ciò significa che la
Gâyatrî non vede solo i quattro mondi, ma anche l’impegno, lo sforzo della
disciplina (Udyoga). Perciò la Gâyatrî è preghiera, meditazione, anelito
(per la liberazione).

Quindi, la preghiera è “Bhûh bhuvah svah”; la meditazione è “tat savitur
varenyam”. Si prega dicendo “bhargo devasya dhîmahi”: “siano rimosse le
tenebre dell’ignoranza che ci sono in me”; poi “dhiyo yo nah prachodayât”:
“o Madre, concedimi una buona intelligenza (buddhi), dei buoni pensieri, una
buona mente”. In definitiva, sotto lo stesso nome della Gâyatrî ci sono
devozione, conoscenza e distacco. Perciò, non abbiamo assolutamente bisogno
di pensare ad altro.

Dovreste dedicarvi ai vostri studi tenendo sempre a mente il Gâyatrî Mantra:
ciò vi terrà lontani da ogni difficoltà, sia nello studio, sia in tutto il
resto. La Gâyatrî non vi sarà in nessun modo d’impedimento, poiché fa parte
della vostra intima coscienza. Oggi, dunque, dovete far sì che nel vostro
cuore si stabilisca questo potere della vostra coscienza interiore. Il
giorno in cui avrete installato nel vostro cuore il Gâyatrî Mantra,
aumenterà in voi il fulgore del Divino oltre che la vostra capacità
intellettiva.

“Dhiyo yo nah prachodayât”: Dhi significa che l’intelligenza si sviluppa. Si
è detto che, nell’antichità, si dovevano iniziare al Gâyatrî Mantra i
bambini di otto anni. Oggi, però, a causa di un peggioramento della
situazione e ai cambiamenti della natura, è andata persa quella tradizione.
Se cominciamo sin d’ora a cantare il Gâyatrî Mantra, la nostra intelligenza
rifulgerà in tutto il suo splendore e ci tornerà alla memoria persino ciò
che avevamo dimenticato; tutto quanto abbiamo studiato rimarrà impresso nel
cervello.

Dunque, è la Gâyatrî che elargisce la conoscenza. La Gâyatrî non è allora
una formula comune. Satyavan fu riportato in vita dalla devozione della
moglie Sâvitrî, sfuggendo alla morte grazie a questo mantra.

La verità, la rettitudine, la pace, l’amore e la non violenza sono gli
aspetti peculiari della Gâyatrî: sono i suoi cinque volti. Nel nostro cuore,
dunque, dobbiamo mantenere sempre queste qualità pure. Non dobbiamo
offendere nessuno, mai pensar male di nessuno. Pensiamo bene. Su questa
linea Vyâsa offrì la sintesi di 18 Purâna in due semplici frasi:

Help ever. Hurt never.
SEMPRE AIUTARE. MAI FAR DEL MALE.

Ci bastano queste due frasi. Per quanto possibile, soccorrete gli altri e,
comunque, non fate mai del male. Non c’è niente di più santificante
dell’avere in animo questi due propositi e attuarli.

La gente ripete “Moksha, moksha, Liberazione!”. Ma che cos’è la liberazione?
È qualcosa che si va a prendere da qualche parte? No, no! Moksha è la
distruzione di moha, l’illusione. È l’illusione che va eliminata, per far
posto all’infatuazione di Dio.

Sono stati definiti quattro obbiettivi che dominano l’esistenza: il dharma o
rettitudine, artha o ricchezza, kâma o desiderio e moksha o liberazione.
Questi quattro fini della vita devono essere ridotti a due. Infatti dharma e
artha diventano uno solo, in quanto la ricchezza va acquisita con giustizia
e rettitudine. Così pure gli altri due, kâma e moksha, si riducono a uno
solo. Che cosa dobbiamo desiderare? Non certo cose materiali, bensì la
liberazione.

In sintesi, le finalità della vita sono la rettitudine (dharma) con cui va
guadagnata la ricchezza (artha), e la liberazione (moksha) cui bisogna
tendere con amore e passione (kâma). Con questi quattro obbiettivi
l’esistenza può essere trasformata in molte maniere e ognuno ne dà una
versione propria.

Incarnazioni dell’amore, l’unica cosa che dovremmo desiderare è l’amore,
poiché l’amore è Dio e Dio è amore.

Love is God. Live in love.
L’AMORE È DIO: VIVETE NELL’AMORE.

Senz’amore l’uomo non potrebbe vivere un solo secondo. Quindi, dobbiamo far
sì che cresca l’amore in noi e, con l’amore, invocheremo Gâyatrî. Fra tutti
i nomi divini, Gâyatrî è il più elevato.

(Swami conclude col bhajan “Prema mudhita…”)

Brindâvan, 9 aprile 2000.
Upanayana, Iniziazione al Gâyatrî Mantra.

Versione integrale.

(1) Swami apostrofa l’uditorio costituito di bambini che sono appena stati
iniziati al Gâyatrî Mantra con il termine di “nati una seconda volta”
(second born), a indicare che con l’iniziazione si rinasce nello Spirito.

(2) Il brahmacharya è lo stato dello studente religioso; è il primo degli
âshrama, o stadi tipici della vita dell’uomo, quello del brahmachârin, lo
studente della scienza brahmanica che segue la vita spirituale e i doveri
della sua condizione, compreso il celibato, la continenza, la castità nei
pensieri, nelle parole e nelle azioni, per mezzo di una padronanza perfetta
sui sensi.

(3) Swami pronuncia questa prima parte del concetto in inglese: “Boys! You
are not one person, but three. First, the one you think you are. Physical
body.”

(4) È l’invocazione iniziale di alcune Upanishad: “Possa Egli proteggerci, e
ci possa nutrire; che noi si possa entrambi lavorare insieme con grande
energia. Possa il nostro studio essere vigoroso e accurato, e che non ci
possa essere mai odio tra di noi. Om pace, pace, pace!”

(5) È la Deità che presiede allo sforzo umano di acquisire sapienza; Shiva
stesso venuto come maestro, inteso come sommo Yoghi e Maestro di Conoscenza,
di musica e dei Veda, che simboleggia l’altruistica ascesi che conduce alla
riunione con il Brahman.

(6) “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”
(Matteo 18, 20).

(7) Santo del Kannada, compositore di musica sacra.

(8) “Figlio dell’uomo, tu abiti in mezzo a una genia di ribelli, che hanno
occhi per vedere e non vedono, hanno orecchi per udire e non odono, perché
sono una genia di ribelli” (Ezechiele 12, 2). “O popolo stolto e privo di
senno, che ha occhi ma non vede, che ha orecchi ma non ode” (Geremia 5, 21)

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