Alzheimer, un flash di luce come terapia

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Alzheimer, un flash di luce come terapia

I ricercatori del Mit e del Georgia Institute of Technology hanno mostrato che può funzionare,
perlomeno su modelli animali.

di GIULIANO ALUFFI

12 dicembre 2016

UN FLAH luminoso e l’Alzheimer rallenta il suo corso: sembra una cura fantascientifica, ma
ricercatori del Mit e del Georgia Institute of Technology hanno mostrato che può funzionare,
perlomeno su modelli animali. In uno studio pubblicato su Nature, gli scienziati riportano il
risultato di un esperimento in cui hanno esposto dei topi affetti da Alzheimer a impulsi luminosi
intermittenti emessi da una luce stroboscopica, provando varie frequenze. Una frequenza specifica,
40 flash al secondo, mantenuta per un’ora davanti agli occhi dei topi ha provocato un effetto
singolare: nelle 24 ore successive si attenuavano i sintomi della malattia e si riduceva la
concentrazione nel cervello di proteine beta amiloidi, quelle che nei malati di Alzheimer ostacolano
il funzionamento dei neuroni accumulandosi in placche.

Il test sui topi. In questo caso i topi sono serviti non solo come cavie, ma anche come ispirazione
iniziale per lo studio stesso: “Avevamo notato che nei topi malati di Alzheimer le onde cerebrali
gamma sono più deboli, e questo fin nelle primissime fasi della malattia: anche prima dell’accumulo
delle placche amiloidi e prima che i topi mostrino problemi di memoria”, spiega a Repubblica
Annabelle Singer, docente di ingegneria biomedica alla Georgia Tech University di Atlanta e
coautrice dello studio. “Questo ci ha fatto ipotizzare che l’Alzheimer si sviluppi quando le onde
gamma non svolgono bene il loro lavoro. Così abbiamo provato a stimolarle tramite gli impulsi
luminosi intermittenti. E abbiamo capito che alla frequenza di 40 volte al secondo la luce ha un
effetto particolare: riesce a indurre i neuroni a mandare impulsi a quella stessa frequenza. Una
sorta di sincronizzazione dei neuroni ottenuta grazie alla luce, che fa calare la produzione di
proteine amiloidi nel cervello, secondo un meccanismo che stiamo ancora indagando”. Oltre a ridurre,
a monte, la produzione di amiloide, la luce ha anche facilitato la rimozione di quella già prodotta:
“I flash inducono le cellule della microglia – cellule immunitarie che funzionano come ‘spazzini del
cervello’ – a eliminare una quantità di proteina amiloide superiore alla norma”.

L’azione della luce sul cervello. Questa doppia azione scatenata dalla luce, però, risulta efficace
in due sole aree del cervello: la corteccia visiva e l’ippocampo, che è essenziale per memorizzare
le esperienze. E oltre a mancare la conferma che questa terapia innovativa possa funzionare anche su
pazienti umani – la sperimentazione clinica inizierà quando arriverà l’autorizzazione dal ministero
della salute americano – c’è un secondo problema: nell’Alzheimer le placche si formano anche
nell’amigdala, nei lobi frontali, parietali e temporali e nel tronco encefalico. “Pensiamo che
agendo sulla risincronizzazione delle onde gamma potremmo ridurre la quantità di proteine amiloidi
anche in parti del cervello non associate alla vista e perciò indifferenti alla terapia luminosa –
risponde Annabelle Singer – . Quello che stiamo cercando adesso è un modo per raggiungere in maniera
non invasiva anche queste altre regioni”.

da repubblica.it/salute/ricerca

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