RITORNO DAL FUTURO

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RITORNO DAL FUTURO

E’ STATO PROPOSTO DI RECENTE UN ESPERIMENTO IDEALE NEL QUALE UN VIAGGIATORE PUO’ RISALIRE
ALL’INDIETRO, IL CORSO DEL TEMPO, EMERGENDO NEL PROPRIO PASSATO. SEMBRA CHE LE LEGGI DELLA FISICA
NON LO VIETEREBBERO.

I viaggi nel tempo hanno affascinato pochi scienziati ma molti scrittori di fantascienza almeno a
partire dal 1895, quando H.G. Wells pubblicò il suo famoso racconto La macchina del tempo. Da allora
questi ipotetici marchingegni capaci di far risalire la storia o di proiettarci nel futuro sono
sempre stati considerati niente più che invenzioni immaginarie. Il buon senso ci dice che i viaggi
nel tempo sono impossibili. Eppure ora alcuni fisici teorici americani e russi propongono la
concreta possibilità di lanciarsi in cavalcate attraverso i secoli: non è un affare semplice e
richiede di sviluppare concetti di ingegneria cosmica che coinvolgono i buchi neri; però, quello che
conta sottolineare è che stando alle leggi fisiche conosciute l’impresa non pare impossibile.

I buchi neri sono il prodotto della gravità. Essi rappresentano il trionfo definitivo della forza
di gravità, in cui la più debole di tutte le quattro forze di natura – la più debole se si
comparano gli effetti su particelle singole – può sovrastare tutte le altre di diversi ordini di
grandezza. Le due forze nucleari hanno una sfera di influenza che non va al di là delle dimensioni
di un nucleo atomico; l’interazione elettromagnetica, benché si faccia sentire anche a distanza
infinita, non può mai accumularsi fino a toccare valori estremi perché nell’Universo c’è un
equilibrio fra le cariche positive e negative e tra poli magnetici nord e sud, cosicché su grande
scala, gli effetti tendono ad azzerarsi. È soltanto nel caso della gravità che la forza può crescere
illimitatamente quanto più si aggiungono nuove particelle ad un conglomerato iniziale, qualunque
esso sia: una molecola, una stella o anche l’intero Universo. È questa proprietà cumulativa che
rende la gravità la forza più importante su grande scala ed è quindi doveroso tratteggiare come
questa forza agisca.

Così come si ottiene un’interazione gravitazionale più intensa se si aggiungono sempre più
particelle, allo stesso modo si può avere un campo gravitazionale più forte – e quindi uno
spazio-tempo più curvo e distorto – se comprimiamo un conglomerato di particelle costringendolo in
un volume sempre più piccolo. Per capire questo punto consideriamo la forza di gravità che agisce
sulla superficie della Terra e che fa pesare un giovanotto cicciotello poco meno di un quintale. La
gravità del nostro pianeta tiene ben fissi i suoi piedi al suolo: è difficile sfuggirle, benché ciò
non sia impossibile. Se ad un oggetto si conferisce sufficiente velocità, esso può alzarsi in volo;
addirittura potrà uscire dall’atmosfera e perdersi nello spazio senza più far ritorno al suolo, se
lo lanceremo ad una velocità maggiore di un valore critico che si chiama velocità di fuga e che è
decisamente elevato secondo gli standard di tutti i giorni: vale circa 11 Km/s. alla superficie del
Sole la velocità di fuga è ancora più alta e supera i 600 Km/s. Se riuscissimo a comprimere la
nostra Terra fino ad un quarto delle sue dimensioni attuali, la gravità superficiale sarebbe sedici
volte maggiore, visto che la legge di gravitazione va come l’inverso del quadrato della distanza. Il
giovanotto peserebbe circa 16 quintali. È chiaro che anche la velocità di fuga sarebbe maggiore (si
può dimostrare che sarebbe il doppio, cioè 22 Km/s) e dunque risulterebbe sempre più difficile
lanciare un razzo nello spazio perché si dovrebbe vincere una gravità superficiale maggiore. Se poi
la massa della Terra intera potesse essere racchiusa nelle dimensioni di un pisello, allora la
velocità di fuga risulterebbe addirittura maggiore di quella della luce. Ciò significa che neppure
la luce potrebbe sfuggire e la Terra apparirebbe nera ad un osservatore distante. Cioè, non
apparirebbe affatto. Insomma la Terra sarebbe un buco nero.

Questo, tuttavia, non succederà mai per il nostro pianeta, perché le forze che agiscono all’interno
dell’atomo sono abbastanza intense da sostenere la pressione della gravità. Le forze che modellano
gli atomi non consentono infatti, se non in condizioni straordinarie, che gli elettroni siano
schiacciati contro il nucleo. Allora, per fare un buco nero occorre che la gravità sia enormemente
più intensa; occorre cioè che ci siano molte più particelle di quante non ne possa fornire l’intera
massa del nostro pianeta. I candidati più verosimili per dare origine ad un buco nero sono allora le
stelle più massicce: persino il nostro Sole è una stella di massa insufficiente perché lo possa
diventare. Tuttavia conosciamo stelle di massa di decine di volte maggiore e queste in un futuro più
o meno lontano si trasformeranno in altrettanti buchi neri.

Tutte le stelle brillanti combattono un incessante battaglia contro la gravità che tende a
comprimerle. Il loro nucleo ha una temperatura di molti milioni di gradi, che si mantiene grazie
alle reazioni nucleari che vi si sviluppano, e ciò genera una pressione sufficiente a sostenere il
peso colossale degli strati superiori, cosicché l’implosione risulta impedita. In ogni caso questa
guerra cosmica non può continuare all’infinito. Quando viene meno il combustibile nucleare – dopo
centinaia di milioni di anni per le stelle massicce – la pressione si indebolisce e la gravità
prevale. Se una stella è di massa elevata alla fine della sua esistenza non può diventare che un
buco nero.

Ma cosa c’entra tutto questo con le macchine del tempo? La chiave per capire la fisica di un buco
nero è il cosiddetto orizzonte degli eventi, che in termini rozzi potremmo definire come la sua
superficie: ogni evento che occorre dentro tale confine matematico non potrà mai essere osservato
dall’esterno perché né la luce né alcuna altra forma di radiazione o di segnale vi può sfuggire così
da trasferire all’esterno qualche informazione su ciò che è avvenuto all’interno.
Se per disgrazia ci trovassimo dentro un buco nero, non solo non vi potremmo mai più uscire, ma
neppure potremmo in alcun modo arrestare la nostra caduta verso il centro. Cosa poi succeda nel caso
arrivassimo al centro, nessuno lo sa per certo. La relatività generale assicura che in quel punto
c’è una singolarità, cioè un punto matematico di densità infinita dove le leggi della fisica cessano
di valere. Se cadessimo in piedi, i nostri piedi sarebbero attratti con una forza progressivamente
maggiore di quella agente sulla nostra testa (perché risultano più vicini al centro): il nostro
corpo verrebbe “stirato”, si assottiglierebbe come un filo ed infine diventeremmo anche noi un
piccolo punto sul buco nero. Questo destino attende ogni oggetto materiale che abbia l’avventura di
attraversare l’orizzonte degli eventi: si viene stirati e compressi in una piccolissima frazione di
secondo prima di conoscere l’annichilazione totale nella singolarità centrale.

Se la stella in collasso forma un buco nero ed ogni altra cosa che vi precipiti dentro non ne emerge
più, sorge ovvia una domanda: dove va a finire? Su questo punto non c’è consenso tra i fisici. Se si
accetta l’idea di una singolarità spazio-temporale, allora bisogna convenire che lì finisce
l’Universo fisico e che ciò che sta al di là – ammesso che ci sia qualcosa – non può essere
descritto con la nostra scienza e comunque utilizzando i concetti che ci sono familiari. La
singolarità rappresenta il confine fra il naturale e il sopranaturale, intendendo con questo termine
un’entità o uno stato di intrinseca inconoscibilità. Allora ogni porzione di stella che incontra la
singolarità, ogni viaggiatore abbastanza pazzo da addentrarsi nel buco nero per esplorarlo
spariranno per sempre dal nostro spazio e dal nostro tempo.

Comunque non ho detto che proprio tutta la materia stellare debba lasciare l’Universo fisico in
questo modo; in parte può anche non finire nella singolarità pur precipitando verso l’interno. Ciò è
abbastanza probabile che avvenga se il buco nero possiede una carica elettrica, oppure se è rotante.
Poiché tutti i corpi celesti ruotano su se stessi, è difficile pensare che un buco nero possa essere
l’eccezione. Modelli matematici di buchi neri rotanti ed elettricamente carichi sono stati
analizzati per capire dove si trovi la singolarità e dove finisca il materiale introitato: la
risposta è che tali oggetti si comportano come una sorta di ponte – o di tunnel spazio-temporale –
che connette il nostro Universo con un altro spazio-tempo altrimenti inaccessibile per noi. Questo
tunnel viene anche detto ponte di Einstein-Rosen (Nathan Rosen fu un matematico che collaborò con
Einstein nello studio di questo fenomeno). Gli altri universi raggiungibili con un ponte di
Einstein-Rosen vengono riguardati come universi “paralleli” al nostro e si pensa che ne esista
un’infinità, collegati fra loro per il tramite di buchi neri.

Se all’altro campo del tunnel che parte da un buco nero nel nostro Universo c’è un altro universo,
allora qual’è l’aspetto dell’estremità che si affaccia su di noi di un tunnel che parta da un
universo parallelo? Il più semplice dei modelli matematici lo descrive come una buca che erutta
materia, come un luogo in cui si verifica la creazione esplosiva di materia: si parla allora di un
buco bianco. Poiché il nostro Universo abbonda di oggetti con rilasci esplosivi di radiazione e di
materia – per esempio i quasar – l’idea che esistano davvero i tunnel spazio-temporali trova diversi
sostenitori.

C’è però un problema per gli intrepidi viaggiatori che volessero utilizzare questi tunnel per
passare da un universo all’altro ed è che i ponti di Einstein-Rosen hanno un esistenza precaria: la
loro vita è sempre molto più breve del tempo che impiega la luce per attraversarli. Poiché viaggiare
più veloce della luce è impedito dalla teoria della relatività (la stessa che prevede l’esistenza
dei ponti di Einstein-Rosen), la conclusione che si deve trarre è che i viaggi da un universo
all’altro sono impossibili.

Se però si vanno a considerare i modelli un pò più complicati, quelli che riguardano i buchi neri
carichi e rotanti, allora risulta che i viaggi da un universo all’altro sono possibili anche se il
ritorno al punto di partenza è assolutamente impedito. Il nostro ipotetico viaggiatore tuffandosi da
un secondo universo dentro un ponte di Einstein-Rosen non tornerebbe a casa, ma si troverebbe in un
terzo universo e così via all’infinito. Ogni buco rotante è collegato ad un’infinità di universi
paralleli, tutti connessi fra loro da tunnel. Evidentemente l’utilità pratica di tutto ciò non si
vede quale possa essere, per cui lasciamo il compito di approfondire l’argomento agli scrittori di
fantascienza. Da parte nostra, invece, possiamo applicarci ad un problema più facile e concreto (se
così si può dire), cioè lo studio delle proprietà di un tunnel spazio-temporale che connetta due
regioni entrambe appartenenti al nostro Universo.

Questa possibilità teorica ha di recente acceso l’interesse di un certo numero di ricercatori, che
giustificano in parte le loro speculazioni invocando il cosiddetto effetto Casimir, proposto dal
fisico olandese Hendrik Casimir sulla base di calcoli teorici. Egli suggerì un esperimento in cui
due piastre di metallo venivano affacciate tra loro tenendole a breve distanza; essendo metalliche,
sono altamente riflettenti per le onde elettromagnetiche. La teoria quantistica ci dice che il vuoto
tra le due piastre in realtà è pieno di campi elettromagnetici fluttuanti che sono detti campi
“virtuali”. Anche questi campi verranno efficacemente riflessi dalle due superfici metalliche. Gli
effetti di queste riflessioni, nel rimpallo dei campi tra una piastra e l’altra, modificando la
natura del vuoto di un’entità misurabile.

Forse il modo migliore per descrivere quello che succede è di usare l’analogia con le vibrazioni di
una corda di chitarra. Essendo la corda tesa e strettamente fissata, quando viene pizzicata le
vibrazioni che la percorrono riflettendosi avanti e indietro fra gli estremi, producono una ben
precisa nota musicale – precisamente quella la cui lunghezza d’onda misura quanto il doppio della
lunghezza della corda – e, contemporaneamente, tutte le armoniche superiori (cioè le note di
frequenza doppia. tripla, quadrupla…). I disturbi creati da ogni altra frequenza sono proibiti,
nel senso che si smorzano annullandosi spontaneamente. In modo simile, le due lastre metalliche
consentono solo alle onde elettromagnetiche di un certo tipo di riflettersi avanti e indietro tra lo
spazio che le separa, creando per così dire una “nota elettromagnetica” e le sue armoniche. La
disposizione delle piastre, così come la lunghezza della corda di chitarra, impone un vincolo
geometrico sulle frequenze delle onde che vi si stabiliscono ed esclude tutte le altre vibrazioni.

Il risultato è che l’attività del vuoto viene in parte soppressa e analogamente lo è parte della sua
energia. Pensando in termini di fotoni, ci saranno meno fotoni in un centimetro cubico nello spazio
tra le due piastre che all’esterno, perché la dentro alcune “note elettromagnetiche” sono state
messe al bando. La conseguenza sarà che la pressione della radiazione all’esterno sarà maggiore di
quella all’interno: ciò significa che le due lastre tenderanno ad essere spinte l’una contro
l’altra. Dunque, in conclusione, l’effetto Casimir si presenta come una forza di attrazione
apparente tra le due lastre.

La forza è piccola, ma tuttavia misurabile. Gli esperimenti più significativi sono stati condotti
finora con lamine curve di mica, piuttosto che con lamine di metallo, ma questo evidentemente è un
dettaglio secondario; quel che conta è che la forza è stata misurata accuratamente e così ogni sua
variazione al variare della spaziatura tra le superfici. Ebbene questo strano effetto può essere la
chiave per la costruzione di una macchina del tempo.

Abbiamo già ricordato che i ponti di Einstein-Rosen sono dei tunnel rettilinei che congiungono fra
loro spazio-tempi piatti, con la strana proprietà che ogniqualvolta li si percorre si esce in uno
spazio-tempo differente. Ci sono solo due possibilità di uscire di nuovo nello stesso universo da
cui si è partiti: quando lo spazio-tempo è curvo oppure quando il tunnel stesso è curvo. Queste sono
le circostanze che i fisici teorici hanno incominciato ad investigare per stabilire se i viaggi nel
tempo sono possibili o no.

La più semplice analogia si può fare pensando ad un viaggio sulla superficie terrestre. Dovendo
andare da Milano a Tokio, proprio perché la superficie terrestre è curva, se si vuole minimizzare il
percorso la cosa migliore è di scavare un tunnel che colleghi in linea retta le due città. Chi
percorresse in linea retta il tunnel raggiungerebbe la destinazione molto prima di un collega in
moto con la stessa velocità sulla superficie del pianeta lungo i tragitti convenzionali.

È ora facile vedere come i tunnel associati con i buchi neri possano produrre analoghi risultati un
uno spazio tempo curvo. Rappresentiamoci lo spazio-tempo come una superficie bidimensionale, ad
esempio un foglio di carta. Piegando il foglio a forma di “U” i due estremi si troveranno ora
separati solo da un piccolo tratto attraverso una terza dimensione (esterna al foglio) e se noi
potessimo congiungerli tramite un tubo che attraversa questa terza dimensione sarebbe possibile
passare da un estremo all’altro del foglio senza doverlo percorrere tutto quanto. Questa connessione
tra parti diverse di uno stesso spazio-tempo attraverso una nuova dimensione è chiamata dai
relativisti wormhole, che in inglese indica il forellino creato dal tarlo. Quanto abbiamo descritto
per un foglio bidimensionale ripiegato in una terza dimensione può essere traslato matematicamente
ed applicato in uno spazio-tempo quadridimensionale come il nostro, ripiegato in una quinta
dimensione. Se i due estremi del wormhole distano diciamo un anno luce sullo spazio-tempo originario
non c’è segnale che possa propagarsi dall’uno all’altro in meno di un anno attraverso
quell’universo; ma, facendo viaggiare il segnale, o anche una persona, attraverso il wormhole il
tempo impiegato potrà essere molto minore.

La possibilità che il wormhole un cortocircuito tra due punti di un universo attraverso una
extra-dimensione dipende strettamente dal fatto che quell’universo sia curvo? Immaginiamo di
prendere lo spazio-tempo curvo di prima e di ripiegarlo all’indietro per restituirgli la forma
piatta, con il wormhole, sempre lanciato tra i due estremi, che si tende elasticamente e che ora
viene ad assumere l’aspetto di una semicirconferenza, come il manico di una tazza da te. Sembrerebbe
una situazione poco interessante, perché la distanza tra gli estremi del wormhole è maggiore
passando attraverso il tunnel piuttosto che attraverso lo spazio ordinario. Invece, non è
necessariamente così. Lo spazio e il tempo dentro il wormhole si comportano diversamente e allora,
anche se l’universo di partenza è piatto (o quasi) è il tunnel è curvo, ancora il wormhole può agire
come una scorciatoia tracciata attraverso le extra-dimensioni, cosicché un viaggiatore può entrare
da un capo e riemergere dall’altro quasi istantaneamente, indipendentemente dalla distanza effettiva
che separa gli estremi attraverso lo spazio ordinario.

La difficoltà principale con questi semplici wormhole, come abbiamo già detto, è che vengono
distrutti praticamente subito dall’immensa forza di gravità del buco nero da cui si originano;
succede allora che un oggetto che cade sul buco nero non ha il tempo materiale di infilarsi in un
wormhole prima che questo si contragga, richiudendosi su se stesso. Per nulla scoraggiati da questo
aspetto, tuttavia, diversi fisici teorici hanno voluto considerare che possibilità ci sarebbero di
tenere aperto il wormhole: c’è qualche modo per tenere a bada la forza di gravità per un tempo
sufficiente a far passare qualcosa attraverso il tunnel? Matt Viser, della Washington Univerity di
St. Luis, Kip Thorne e colleghi del CalTech e il gruppo di Igor Novikov all’Istituto di Ricerche
Spaziali di Mosca pensano che ci sia, almeno in linea di principio.

Per capire in cosa consiste la loro proposta è prima necessario ricordare come agisce la forza di
gravità nella teoria generale della relatività di Einstein.

Il campo gravitazionale della Terra è prodotto quasi interamente dalla sua massa; non di meno, la
teoria prevede che ci sia oltre che l’effetto della massa anche un contributo dovuto alla pressione.
La ragione perché noi qui non vediamo questo secondo contributo è dovuta al fatto che questo diventa
apprezzabile solo in presenza di pressioni elevatissime. Ad esempio, la pressione di un chilo d’aria
che respiriamo esercita solo un milionesimo di milionesimo della gravità prodotta dalla sua massa.

L’aspetto interessante della faccenda è che la pressione, a differenza della massa, può anche essere
negativa. Una pressione negativa corrisponde ad una tensione: un pezzo di gomma tirato da tutte le
parti esercita una pressione negativa. Se la materia potesse esistere in uno stato di pressione
negativa, allora il contributo di questa pressione alla gravità sarebbe negativo e verrebbe a
cancellare, o almeno a ridurre parzialmente, la gravità dovuta alla sua massa. In altre parole, una
pressione negativa è una sorta di antigravità. Naturalmente, in circostanze ordinarie la gravità
positiva della massa sovrasta di gran lunga ogni minimo tentativo di antigravità da parte della sua
pressione negativa. difficilmente un pezzo di gomma può sperare di essere stirato a tal punto da
levitare. Ma i teorici del wormhole ipotizzano che potrebbe esistere qualche forma esotica di
materia per la quale l’antigravità della sua pressione negativa giunge a soverchiare la gravità
della sua massa, con il risultato di osservare una repulsione gravitazionale. Se queste circostanze
venissero a crearsi dentro un wormhole, l’antigravità della materia esotica potrebbe opporsi alla
gravità impedendo un subitaneo collasso del tunnel e consentendo ad un segnale di attraversarlo.

Ha tutto l’aspetto di pura fantascienza, se non che i fisici conoscono almeno un sistema nel mondo
reale che è dominato dalle pressioni negative e per di più sono stati in grado di misurarne gli
effetti: in pratica si ha una prova diretta del fatto che le proprietà esotiche immaginate per
rendere attraversabile un wormhole non sono proibite dalle leggi della fisica.

Questo esempio di pressione negativa è proprio l’effetto Casimir: l’assenza di certi fotoni virtuali
abbiamo visto che determina una piccola pressione negativa che si palesa come una forza d’attrazione
tra le due piastre. Tale pressione è minima; però nel vuoto tra le due piastre la massa è
addirittura nulla, cosicché l’antigravità è dominante.

Il gruppo del CalTech si richiama all’effetto Casimir per dimostrare la possibilità di produrre
l’antigravità. Immaginiamo una coppia di piastre riflettenti molto vicine fra loro; per impedire che
l’attrazione reciproca per effetto Casimir le porti a contatto potremmo porre una piccola carica
elettrica su ciascuna in modo che la forza elettrica di repulsione controbilanci esattamente la
forza quantistica di attrazione. Questo sistema peculiare lo si deve ora pensare inserito dentro un
wormhole. I calcoli teorici mostrano che le equazioni relativistiche del campo gravitazionale
possono essere soddisfatte in tali circostanze e che l’antigravità dominante della coppia di piastre
può essere sufficiente a contrastare la tendenza del wormhole a collassare in una singolarità. Ora
all’ingresso o all’uscita del tunnel non ci sono più necessariamente dei buchi neri, ma
semplicemente regioni di intensa gravità attraverso le quali un ipotetico viaggiatore può transitare
uscendone sano e salvo senza correre il rischio di finire inghiottito.

Così stando le cose, se l’osservatore può passare da parte a parte il wormhole, il tunnel si presta
ad essere usato come una macchina del tempo. Lo si può fare in questo modo. Consideriamo un wormhole
che connetta due regioni vicine. Se un estremo viene mantenuto fisso e l’altro dapprima lo si
trascina via ad una velocità prossima a quelle della luce, poi ci si ferma e si ritorna sui nostri
passi riportandolo nel punto di partenza (in pratica, se lo si sottopone ad una forte
accelerazione), allora viene a stabilirsi una differenza di tempo tra i due estremi del wormhole.
Questo è un immediata conseguenza della teoria della relatività, che prevede che un orologio in moto
segna il tempo scorrendo più lentamente di uno identico che sia fermo. Per un orologio solidale con
l’apertura fissa del wormhole il tempo scorre più velocemente che non per un orologio in moto
accelerato con l’atro estremo. Al ritorno del suo viaggio il secondo estremo si troverà dunque nel
passato dell’estremità fissa.

Ma il “presente” per chiunque viaggi nel tunnel corrisponde sempre al tempo segnato dall’orologio
solidale con l’estremo da cui si entra nel wormhole: ne consegue che se un osservatore entra nel
wormhole dalla bocca che è stata accelerata può emergere all’altro capo giusto per scoprire che ha
viaggiato all’indietro nel tempo! se poi gli estremi giacciono in località spazialmente vicine, cosi
da essere raggiungibili in un breve lasso di tempo attraverso l’universo normale, il nostro
sbalordito viaggiatore potrà affrettarsi a raggiungere l’imbocco del tunnel da cui è entrato e vi
perverrà ad un tempo precedente quello effettivo che ha visto l’inizio del suo viaggio. Passando
ripetutamente dentro il tunnel e ritornando all’imbocco velocemente attraverso lo spazio normale
potrà risalire sempre più indietro nel tempo, in teoria fino al momento in cui l’estremità mobile
del wormhole fu accelerata e l’effetto relativistico della dilatazione del tempo cominciò ad
operare.

Ma bisogna fare attenzione con questo tipo di ragionamenti perché le difficoltà abbondano.
Anzitutto, bisogna fare in modo che la massa delle piastre non contribuisca alla forza
gravitazionale più dell’antigravità generata dal dispositivo: è ben difficile immaginare come ciò
sia possibile praticamente. In secondo luogo bisogna escogitare un sistema col quale il viaggiatore
possa transitare attraverso le piastre (una botola?) senza scompaginare il delicato equilibrio
dell’effetto Casimir. In terzo luogo non è chiaro come si possa manipolare un estremo del wormhole:
si tratta di spazio vuoto (benché curvo); non lo si può afferrare con delle pinze giganti per
accelerarlo come si farebbe per un pezzo di materia ordinaria. Bisognerà allora riuscire ad
esercitare una forza elettrica o gravitazionale sull’estremo del tunnel e l’intera operazione dovrà
essere condotta senza che il diametro del wormhole si annulli mentre viene tirato e maltrattato
prima di portarlo nella posizione di partenza.

Al di là di queste difficoltà c’è poi il problema di creare il wormhole stesso.

Comunque, nessuno per ora afferma che i wormhole forniscano un modo praticabile di costruire una
macchina del tempo, ma il fatto è che la fisica che conosciamo non pare aver nulla in contrario a
che queste entità fisiche, in versioni così estreme, possano davvero esistere. Le leggi fisiche non
lo impediscono. Ma allora i casi sono due: o il nostro senso comune ha bisogno di essere rivisto
fino a fargli accettare l’idea della possibilità dei viaggi nel tempo oppure, se tutti i passaggi
del nostro ragionamento si confermeranno corretti, dobbiamo renderci conto che c’è qualcosa che non
quadra nella nostra comprensione delle leggi fisiche. E questo, al di là dalle conclusioni un pò
fantascientifiche a cui siamo giunti, è già un notevole risultato.

da xoomer.virgilio.it/fisicaeoltre/primo%20sito/articoli/notizie/ritorno.htm

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