PNEI – PSICONEUROENDOCRINOIMMUNOLOGIA – 2

pubblicato in: AltroBlog 0

PNEI – PSICONEUROENDOCRINOIMMUNOLOGIA – 2

da “Enciclopedia olistica”

di Nitamo Federico Montecucco ed Enrico Cheli

PSICONEUROENDOCRINOIMMUNOLOGIA

A cura di Maria Carmela Sgarrella

Psiconeuroendocrinoimmunologia – il sistema di informazione con cui dialogano il corpo e la mente

di Candice Perth

Relazione al “Symposium on Consciousness and Survival” sponsorizzato dalI’Istitute of Noetic
Science, estratto da Whole Earth Review, Summer 88.

In questo articolo descriverò un insieme di affascinanti e, per lo più, nuove informazioni sulle
sostanze chimiche del corpo chiamate neuropeptidi. Basandomi su queste scoperte, avanzerò l’idea che
i neuropeptidi e i loro recettori formano una rete per le informazioni all’interno del corpo.
Potrebbe sembrarvi un’ipotesi di poca importanza, ma le sue implicazioni sono tuttavia vastissime.
Io credo che i neuropeptidi e i loro recettori sono la chiave per capire come la mente e il corpo
sono interconnessi e come le emozioni si manifestano nel corpo. In effetti più conosciamo i
neuropeptidi più diventa difficile pensare a ‘corpo e mente’ in modo tradizionale, risulta sempre
più evidente che bisogna parlare di ‘mente/corpo’ come un’unica entità integrata.

La maggior parte di quello che descriverò sono risultati di laboratorio: scienza ‘dura’; è
importante ricordare che, benché gli studi scientifici di psicologia sono tradizionalmente
focalizzati su una sperimentazione fatta su animali, se guardate l’indice di un recente libro di
testo di psicologia, non sarà difficile trovare termini come ‘consapevolezza’, ‘mente’ o anche
‘emozioni’. Questi argomenti finora non sono mai stati accettati nel regno della psicologia
sperimentale tradizionale, che, normalmente, studia esclusivamente il comportamento, perché può
essere osservato e misurato.

La specificità dei recettori

Esiste un campo della psicologia in cui la mente, intesa come stati di coscienza, è stata studiata
oggettivamente da almeno vent’anni: è il campo della psicofarmacologia in cui i ricercatori hanno
sviluppato metodologie molto rigorose per misurare gli effetti dei farmaci e gli stati alterati
della coscienza.

La ricerca in questo campo si è sviluppata partendo dall’assunto che una sostanza può agire solo se
è ‘fissata’, ossia se, in qualche modo, si ‘attacca’ al cervello. Quindi i ricercatori inizialmente
immaginarono degli ipotetici tessuti i cui costituenti erano capaci di legare una sostanza chimica,
proprio come una chiave con la serratura, e li chiamarono ‘recettori’. In questo modo, la nozione di
recettori cerebrali specifici per una sostanza, diventò in psicofarmacologia una teoria centrale. E
un concetto ormai vecchio.

Negli ultimi anni un punto focale nello sviluppo di questa ricerca si è avuto con l’invenzione di
tecniche che permettono di legare le specifiche sostanze ai loro recettori, di studiarne la
distribuzione nel cervello e nel corpo e di evidenziarne la struttura molecolare.

Il mio lavoro iniziale in questa area fu presso il laboratorio di Solomon Snyder, alla Johns Hopkins
University, dove focalizzammo la nostra attenzione sull’oppio, una sostanza che ovviamente altera la
coscienza e che è anche usata in medicina per alleviare il dolore. Ho lavorato a lungo e duramente,
superando molti mesi di iniziale fallimento, per sviluppare una tecnica capace di misurare il
materiale cerebrale con cui l’oppio interagisce per produrre i suoi effetti. Rendendo breve una
storia lunga (e tecnica), diversa dirò che abbiamo usato sostanze radioattive che ci permisero di
identificare i recettori per l’oppio nel cervello. Potete immaginare la molecola di oppio che si
lega ad un recettore specifico e come da questa piccola connessione si producano una grande sequenza
di eventi.

Risultò poi che l’intera classe di sostanze a cui appartiene l’oppio, chiamate oppiacei, che
includono la morfina, la codeina e l’eroina, si attaccano agli stessi recettori. Scoprimmo poi che i
recettori erano sparsi non solo per tutto il cervello ma anche per il corpo. Dopo aver trovato i
recettori per gli oppiacei di provenienza esterna, ci fu un nuovo sviluppo nelle ricerche. Se il
cervello e le altre parti del corpo hanno dei recettori per sostanze che provengono dall’esterno, è
logico supporre che le stesse sostanze debbano essere prodotte anche all’interno del corpo,
altrimenti perché dovrebbero esistere tali recettori? Questa nostra ipotesi ci condusse
all’identificazione delle sostanze chimiche chiamate beta endorfine, gli oppiacei endogeni del
cervello. Le beta endorfine sono sostanze peptidiche create nei neuroni del cervello e sono quindi
dei neuropeptidi. I peptidi vengono prodotti direttamente dal DNA che contiene le informazioni della
costruzione Del nostro cervello e del nostro corpo. Se immaginate una normale cellula nervosa potete
visualizzare il meccanismo generale. Nel centro della cellula, il nucleo, c’è il DNA, una parte di
questo DNA codifica la produzione dei neuropeptidi, che poi si spostano lungo gli estesi
prolungamenti della cellula nervosa (gli assoni) e vengono immagazzinati in piccole sfere vicino
alla superficie della membrana cellulare, in attesa di una certa carica elettrofisiologica che li
libera. Il DNA produce anche i Rettori che sono costituiti dalla stessa sostanza dei peptidi, ma che
sono molto più grandi. Bisogna aggiungere che sono stati identificati più di 60 neuropeptidi ognuno
dei quali specifico, come le beta endorfine. Abbiamo quindi un sistema enormemente complesso. Fino a
pochi anni fa, si pensava che le informazioni del sistema nervoso erano distribuite presso la
superficie tra due cellule nervose: la sinapsi, questo comporta che la sinapsi dei neuroni determina
ciò che viene comunicato. Ora invece sappiamo che una grande parte delle informazioni che partono e
giungono al cervello, non dipendono direttamente dalle sinapsi di una serie di neuroni posti uno
dopo l’altro, ma dalla specificità dei recettori.

Infatti quando una cellula nervosa secerne i suoi peptidi oppiacei, questi possono agire a
‘chilometri’ di distanza da quella cellula nervosa, e lo stesso vale per tutti i neuropeptidi. Nello
stesso istante moltissimi differenti neuropeptidi possono scorrere nel corpo, e attaccarsi ai loro
specifici recettori. I recettori quindi servono come meccanismo che sceglie le informazioni
trasmesse nel corpo.

La biochimica delle emozioni

A cosa ha portato tutto ciò? A qualche cosa di molto affascinante, il fatto che i recettori dei
neuropeptidi sono, a tutti gli effetti, la chiave biochimica delle emozioni. Negli ultimi anni i
ricercatori del mio laboratorio hanno formalizzato questo concetto in un grande numero di
pubblicazioni scientifiche, di cui vi parlerò in breve. Molti scienziati giudicherebbero questa idea
oltraggiosa, in quanto non è ancora stata accettata dalla ‘saggezza’ ufficiale. Infatti, venendo da
una tradizione in cui i libri di testo di neurofisiologia non contengono neanche la parola
‘emozione’ nell’indice, non è senza un certo imbarazzo che abbiamo iniziato a parlare di substrato
biochimico delle emozioni.

Inizierò puntualizzando un fatto su cui i neuroscienziati sono concordi da molto tempo, ossia che le
emozioni sono mediate dal sistema limbico del cervello. Il sistema limbico include l’ipotalamo (che
controlla i meccanismi omeostatici del corpo, e che a volte è chiamato il ‘cervello’ del cervello) e
l’amigdala, due aree di cui noi tratteremo particolarmente.

Gli esperimenti che mostrarono la connessione tra emozioni e sistema limbico furono iniziati da
Wilder Penfied e altri neurologi scoprirono che quando stimolavano con elettrodi la corteccia sopra
l’amigdala, provocavano un’intera gamma di manifestazioni emozionali: potenti reazioni di rabbia, di
dolore o di piacere associate a profonde memorie e sempre accompagnate da un comportamento del
corpo, connesso a quelle emozioni. Il sistema limbico quindi fu identificato tramite esperimenti
psicologici. Quando iniziammo a creare una mappa delle localizzazioni dei recettori oppiacei nel
cervello, scoprimmo che il sistema limbico conteneva alte concentrazioni di questi recettori e, come
scoprimmo poi, anche di tutti gli altri tipi di recettori. L’amigdala e, l’ipotalamo, che sono
ritenuti classicamente essere i più importanti costituenti del sistema limbico, risultano infatti
colmi di recettori oppiacei: quaranta volte di più che nelle altre aree del cervello. Questi ‘punti
caldi’ corrispondono a nuclei molto specifici o gruppi di neuroni che gli psicologi e i
neurofisiologi hanno identificato come i centri di controllo dell’appetito, del comportamento o del
bilanciamento dei liquidi nel corpo. La nostra mappa di recettori conferma ed espande in modo molto
importante gli esperimenti psicologici sul sistema limbico.

Introduciamo ora nel nostro quadro alcuni altri neuropeptidi, che, come ho già detto, sono ormai più
di 60. Da dove vengono? Molti di loro sono degli analoghi (composti chimici simili) di sostanze
chimiche psicoattive, ma, inaspettatamente, una grossa parte è rappresentata dagli ormoni. Gli
ormoni storicamente sono stati ritenuti essere prodotti dalla ghiandole endocrine, e non dalle
cellule nervose. Si pensava che un ormone fosse concentrato in una ghiandola del corpo e quindi
viaggiasse nel sangue, verso i recettori in un’altra parte del corpo. Uno degli ormoni principali è
l’insulina, secreta dal pancreas. Si è scoperto ora che questa insulina non solo è un ormone ma è
pure un neuropeptide, prodotto e conservato anche nel cervello, e che, naturalmente, esistono
recettori cerebrali per l’insulina. Quando abbiamo fatto la mappa dei recettori insulinici, di nuovo
abbiamo scoperto ‘punti caldi’ nell’amigdala e nell’ipotalamo. In breve, abbiamo chiaramente provato
che il sistema limbico, il luogo delle emozioni nel cervello, è il punto focale dei recettori dei
neuropeptidi.

Un altro punto focale: quando abbiamo studiato la distribuzione di questi recettori, abbiamo
scoperto che non sono esclusivamente localizzati nel sistema limbico ma che sono presenti in altre
parti del corpo. Abbiamo chiamato questi punti di grande concentrazione dell’attività chimica ‘punti
nodali’ e abbiamo rilevato che sono collocati in zone del corpo in cui esiste una forte modulazione
delle informazioni emozionali. Uno dei punti nodali è nella spina dorsale sulle corna posteriori del
midollo spinale, zona in cui vengono gestite le informazioni sensoriali. Abbiamo scoperto che ogni
area che riceve le informazioni, da tutti i 5 sensi, è un punto nodale che contiene recettori
neuropeptidi.

Credo che queste scoperte hanno affascinanti implicazioni per comprendere come le emozioni lavorano
e operano. Consideriamo ora la sostanza chimica angiotensina, un altro classico ormone diventato ora
un neuropeptide. Quando abbiamo fatto la mappa dei recettori per l’angiotensina, ancora abbiamo
trovato una grande concentrazione nell’amigdala. È noto da tempo che l’angiotensina controlla la
sete, infatti, se attraverso un tubicino inserito nel cervello di un topo, mandiamo una goccia di
angiotensina nell’amigdala, in dieci secondi il topo inizierà a bere anche se è totalmente sazio di
acqua. Chimicamente parlando l’angiotensina provoca un’alterazione dello stato mentale che può
essere tradotto come ‘ho sete’. In altre parole i neuropeptidi modificano gli stati di coscienza.

È ugualmente importante considerare il fatto che i recettori non sono solo nel cervello ma anche nel
corpo. Le nostre mappe mostrano infatti gli stessi recettori dell’angiotensina sia nel cervello che
nei reni, dove favoriscono la ritenzione dell’acqua. Quindi la produzione di angiotensina conduce
sia al comportamento del bere che alla conservazione dei liquidi.

La mia convinzione di base è che i neuropeptidi rappresentano la base fisiologica delle emozioni.
Come i miei colleghi ed io abbiamo recentemente discusso in un articolo sul Journal of Immunology:
la particolare struttura della distribuzione dei recettori neuropeptidici nelle aree della
regolazione umorale del cervello, tanto quanto il loro ruolo di mediazione delle comunicazioni
nell’interno organismo, rende i neuropeptidi gli ovvi candidati quali mediatori biochimici delle
emozioni. È possibile che ogni neuropeptide veicoli un certo tipo di informazioni solo quando occupa
un recettore in un certo punto nodale del corpo e del cervello. Se così fosse ogni neuropeptide
potrebbe evocare un particolare ‘tono’ emozionale equivalente ad un preciso stato psichico.

All’inizio del mio lavoro di ricerca credevo, a tutti gli effetti, che le emozioni fossero nella
testa ossia nel cervello.

Ora sono persuasa che sono realmente presenti anche nel corpo, esse sono prodotte dal corpo e parte
del corpo. Ora non posso più fare la distinzione precisa tra cervello e corpo.

Comunicazione con il sistema immunitario

Voglio portare ora in questo quadro il sistema immunitario. Abbiamo già visto che il sistema
ormonale, ritenuto da sempre separato dal cervello, è invece concettualmente parte del sistema
nervoso. Quantità di ‘succo’ vengono secrete e diffuse molto lontano dal luogo dove verranno
ricevute. L’endocrinologia e la neurofisiologia sono quindi due aspetti dello stesso processo.

Parlerò ora dell’immunologia, che considero parte di questo stesso processo e che non può più essere
considerata una disciplina separata. Una proprietà fondamentale del sistema immunitario è che le sue
cellule si muovono. Se non fosse per questo, esse sono identiche agli stabili neuroni del cervello.
I monociti, per esempio, che ‘mangiano’ gli organismi estranei, iniziano la loro vita nel vostro
midollo spinale e vengono quindi diffusi nelle vene e nelle arterie. Un monocita viaggia lungo le
vie sanguigne e ad un certo punto può ricevere un certo neuropeptide,che si attacca a un recettore
sulla sua memoria, ricevendo l’informazione di iniziare un processo di aggregazione (chemiotassi). I
monociti non sono solo responsabili del riconoscimento e della gestione dei corpi estranei ma sono
anche coinvolti nel meccanismo di riparazione dei tessuti e della guarigione delle ferite. Stiamo
parlando del fatto che le cellule del sangue hanno una funzione importante nell’elaborazione delle
informazioni che proteggono il nostro intero organismo.

La nuova scoperta a cui voglio dare enfasi ora, è che ogni recettore dei neuropeptidi che abbiamo
analizzato (usando un elegante e preciso sistema sviluppato dal mio collega Michael Ruff) è presente
anche sui monociti umani. I monociti umani hanno recettori per gli oppiacei, per il PCP, per un
altro peptide chiamato bombasina e così di seghetto. Questi motori biochimici delle emozioni
sembrano attualmente controllare il ricambio e le migrazioni dei monociti. I monociti comunicano con
i linfociti B e T, agendo in tutto il sistema sanguigno, per combattere le malattie e per
distinguere il Self da non

Self, decidendo, diciamo, quali parti del corpo sono degenerate (come le cellule tumorali) o
estranee e devono essere eliminate dai linfociti K (Killer). Sembra anche che le cellule del sistema
immunitario, non solo hanno i recettori per i neuropeptidi, ma che esse stesse producono
neuropeptidi. Ci sono categorie di cellule immunitarie che producono beta

endorfine e altri peptidi oppiacei. In altre parole, queste cellule producono le stesse sostanze che
sono sempre state ritenute i controllori biochimici degli umori del cervello. Queste cellule
controllano l’integrità dell’intero corpo e producono sostanze che modificano l’umore: ancora una
volta psiche e soma sono fusi in una unità complessa.

L’unità della varietà

Il prossimo punto che voglio sviluppare riguardo ai neuropeptidi è davvero sorprendente. Come
abbiamo visto i neuropeptidi sono molecole che mandano segnali: esse inviamo messaggi in tutto il
corpo compreso il cervello. Naturalmente per avere una tale ampiezza di comunicazioni, c’è bisogno
di componenti che possano ‘parlare’ tra di loro e che possano ‘ascoltarsi’. Nel quadro di quello che
stiamo discutendo, le componenti che ‘parlano’ sono i neuropeptidi e quelle che ‘ascoltano’ sono i
recettori. Come può essere? Come possono cinquanta o sessanta neuropeptidi essere prodotti, muoversi
nel corpo e parlare a cinquanta o sessanta tipi di recettori che ascoltano? Perché regna l’ordine
invece del caos? La scoperta che mi appresto a discutere non è accettata totalmente ma i nostri
esperimenti dimostrano che ciò è vero. Ci sono migliaia di scienziati che studiano i recettori e i
peptidi oppiacei, e tutti riscontrano una grande eterogeneicità nei recettori. Essi hanno dato una
serie di nomi greci a questa apparente diversità. Comunque, con ogni evidenza, l’esperienza dei
nostri laboratori suggerisce che esiste solo un tipo di molecola nel recettore oppiaceo: una lunga
catena polipeptidica di cui si può scrivere la formula. Questa molecola è in grado di mutare
facilmente la propria conformazione all’interno delle membrane, assumendo così un diverso numero di
forme. Ho notato così che questa interconversione può avvenire ad una forte velocità, così veloce
che è difficile dire, in un preciso istante, in quale stato essa si trovi. In altre parole è come se
questa molecola possegga sia una struttura tipo ‘onda’ che tipo ‘particella’, ed è importante notare
che l’informazione è memorizzata in relazione alla forma che il recettore aveva in quel preciso
momento. Come ho detto, l’unità molecolare dei recettori è davvero straordinaria. Il tetrahymena, un
protozoo, uno degli organismi più semplici, nonostante la sua semplicità unicellulare, è capace di
fare tutto ciò che anche noi possiamo fare, può, mangiare, fare del sesso e naturalmente produrre
gli stessi componenti neuropeptidi di cui abbiamo parlato. Questo protozoo produce insulina e beta

endorfina. Abbiamo preso la membrana del tetrahymena e studiato in particolare i recettori oppiacei
presenti nella loro superficie, abbiamo anche studiato i recettori oppiacei nel cervello dei topi e
nei monociti umani. Crediamo di aver dimostrato che la sostanza molecolare di tutti questi recettori
è la stessa. L’attuale molecola del nostro cervello è identica a quella dei recettori oppiacei del
più semplice degli animali! Io spero che la forza dei miei argomenti sia evidente. I recettori
oppiacei nel mio cervello e nel vostro sono fatti delle stesse sostanze molecolari di quelle del
tetrahymena: questa scoperta tocca la semplicità e l’unità della vita ed è comparabile alle quattro
coppie di basi del DNA che formano il codice per la produzione di tutte le proteine, che sono il
substrato fisico della vita. Sappiamo ora che in questi substrati fisici esistono all’incirca 60
molecole segnalatrici neuropeptiche che prowedono all’elaborazione di tutte le differenti
manifestazioni fisiologiche delle emozioni o, se preferite, per esprimere le emozioni vitali da un
fluire di energie.

L’identica forma dei recettori del tetrahymena dimostra che i recettori non diventano più complessi
nell’evoluzione della complessità degli esseri viventi. Identiche componenti molecolari che
gestiscono il flusso di informazioni, attraverso l’evoluzione si conservano. L’intero sistema nel
suo complesso e semplice, elegante e completo in se stesso.

La mente è nel cervello?

Abbiamo parlato della mente e sorge la questione: dove si trova? Nel nostro lavoro la coscienza è
apparsa nel contesto dello studio sul dolore e sulla sua modulazione svolta dai recettori oppiacei e
dalle endorfine. Moltissimi laboratori stanno misurando il dolore e siamo tutti d’accordo nel
ritenere la sostanza grigia periacqueduttale (situata intorno al terzo ventricolo del cervello) come
una sorta di area di controllo del dolore, in quanto piena di recettori oppiacei. Noi abbiamo
trovato che la sostanza grigia periacqueduttale è anche piena di recettori per virtualmente tutti i
neuropeptidi finora studiati.

È ormai noto a tutti che ci sono Yogi che possono esercitare certe pratiche volontarie in modo da
non percepire più il dolore; a volte le partorienti possono fare la stessa cosa. Sembra che questo
tipo di persone siano capaci di ‘inserirsi’ nelle loro sostanze grigie periacqueduttali. In qualche
modo riescono ad avervi accesso, con la loro coscienza suppongo, e a modificare la soglia di
percezione del dolore. Notiamo cosa accade in queste situazioni una persona ha un’esperienza che
produce dolore, ma una parte della stessa persona fa coscientemente qualcosa in modo che il dolore
non venga sentito. Da dove viene questa coscienza, questo io cosciente, che si inserisce nelle aree
cerebrali del dolore in modo che il dolore non venga percepito?

Vorrei ritornare all’idea di rete di informazioni (network).

Una rete è differente da una struttura gerarchica che possiede una parte superiore e una inferiore.
Teoricamente ci si può inserire in ogni punto di una rete e raggiungere qualsiasi altro punto. Il
concetto di rete mi sembra adatto a comprendere il processo di come la coscienza è presente nelle
aree del dolore e di come le modifica per controllarlo.

Tanto lo Yogi che la partoriente usano una tecnica simile per il controllo del dolore: il respiro.
Anche gli atleti lo usano. Il respiro è estremamente potente. L’area neurofisiologica della funzione
respiratoria è nei nuclei del tronco cerebrale. Io ritengo che questi nuclei dovrebbero essere
inclusi nel sistema limbico in quanto sono ‘punti nodali’ fittamente disseminata di neuropeptidi e
dei relativi recettori.

La mia idea si potrebbe mettere così: il respiro ha una base fisica nei nuclei del tronco cerebrale
che sono anche un punto nodale, questo punto nodale è parte di una rete di informazioni in cui ogni
punto è in contatto con ogni altro, per cui la coscienza può, tra le altre cose, inserirsi sulle
funzioni delle aree del dolore.

Io ritengo sia possibile concepire la mente e la coscienza come prodotto dell’elaborazione delle
informazioni emozionali, e, in quanto tali, la mente e la coscienza apparirebbero esse re
indipendenti dal cervello e dal corpo.

La mente può sopravvivere alla morte fisica?

Un’ultima congettura, oltraggiosa probabilmente, ma coerente con il tema di questo simposio su
‘Sopravvivenza e Coscienza’. Può la mente sopravvivere alla morte del cervello? Credo che ora
dovremo ricordare come la matematica ritiene che le entità fisiche possono improvvisamente
collassare o espandersi all’infinito. Io penso sia importante realizzare che l’informazione è
immaganizzata nel cervello e mi sembra plausibile che l’informazione possa trasferirsi in qualche
altra dimensione. La molecola di DNA contiene sicuramente le informazioni che producono il cervello
e il corpo, e lo psicosoma sembra scambiare (nella riproduzione-fecondazione n.d.r.) le molecole
dell’informazione che danno vita all’organismo.

Dove vanno le informazioni dopo la distruzione fisica della molecola (la massa) che la compone? La
materia non può essere creata né distrutta, ed è plausibile che il flusso di informazioni biologiche
non possa scomparire alla morte e debba essere trasformato in un’altra dimensione.

Chi può razionalmente dire ‘impossibile’? Nessuno fino ad ora ha unificato matematicamente la teoria
dei campi gravitazionali con la materia e l’energia. La matematica della coscienza non è ancora
stata applicata. La natura dell’ipotetica ‘altra’ dimensione è correttamente riconosciuta nella
realtà religiosa e mistica, in cui alla scienza occidentale è inibita ad addentrarsi.

continua…

Condividi:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *