NEURONI come BIOANTENNE

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NEURONI come BIOANTENNE

di Rita Pizzi, Danilo Rossetti, Giovanni Cino, Andrea Fantasia & Angelo Vescovi*

L’ultima parola resta al libro della natura, che spesso leggiamo meglio nel laboratorio e anche per
questi motivi consentitemi di proporvi un bel lavoro sperimetnale di Rita Pizzi e colleghi e che
credo abbia molto da dirci su come funziona la vita ed il suo sistema sensoriale, anche se ancora
nei libri di testo di queste osservazioni c’è poco o niente

Il gruppo Living Networks Lab porta avanti da tre anni ricerche sull’interfacciamento fra
elettronica e cellule neurali umane. All’interno di questi esperimenti sono state riscontrate alcune
anomalie nelle misure elettriche provenienti dai neuroni che potrebbero avere origine da processi
quantistici.
Diversi modelli teorici sono sorti recentemente in questa direzione allo scopo di render conto
delle funzionalità più evolute del cervello che ancora non hanno spiegazioni neurofisiologiche
adeguate.
Tuttavia nessuno di questi modelli ha avuto significativi riscontri sperimentali.
Le nostre ricerche sono partite da un setup sperimentale, tentativo costituito da due reti di
cellule staminali neurali coltivati in MEA (Micro Electrode Arrays) separati. Uno dei due MEA veniva
stimolato da un impulso laser mentre l’altro MEA, distante qualche centimetro, era schermato
otticamente ed elettromagneticamente da un doppio strato di alluminio.

I primi risultati hanno evidenziato valori molto alti di crosscorrelazione e di coerenza fra i due
segnali emessi dalle vaschette durante l’ impulso laser [PIZ04]; questi risultati ci hanno stimolato
a continuare la sperimentazione.
Nel corso di questi anni abbiamo preparato ed eseguito molti altri esperimenti, migliorando via via
sia il sistema hardware di rilevazione e controllo, sia le tecniche di schermatura, sia i protocolli
sperimentali, mirati di volta in volta ad escludere possibili bias ed ipotesi alternative.
Presentiamo qui i risultati del nostro ultimo esperimento, che se da una parte replicano e
confermano i risultati ottenuti in passato, dall’ altra indirizzano verso un modello fisico
plausibile del fenomeno osservato.

Materiali e metodi
Il nostro sistema è costituito da due o più reti di cellule staminali neurali umane coltivate su
microelettrodi di alcuni micron di diametro connessi ad un controller hardware a sua volta connesso
al PC.
Il controller è un circuito preamplificatore completo di generatore di stimolazione .
Dagli elettrodi posti a contatto con le cellule viene prelevato, tramite un cavo schermato, il
segnale elettrico da misurare.
Il segnale entra in un amplificatore ad alta impedenza d’ingresso per una prima amplificazione,
successivamente passa attraverso due filtri Notch, accordati sulla frequenza di 50 Hz, al fine di
eliminare l’eventuale presenza di disturbi generati dalla rete elettrica.
Dopo i filtri il segnale subisce un’ulteriore amplificazione e tramite accoppiatori isolati (ISO)
viene trasferito alla scheda di acquisizione installata a bordo del computer di gestione e
registrazione.
Il segnale di stimolazione è un segnale alternato a bassa tensione (mediamente 30 ˜ 100 mV) ,
regolabile a piacere insieme al tipo di onda emessa. Nell’esperimento qui descritto sono stati
impostati 100 mV con un segnale in onda quadra.
Tutto il circuito elettronico è completamente isolato e racchiuso in uno spesso contenitore
metallico il cui corpo viene connesso ad un conduttore di terra.

Al fine di evitare che eventuali segnali spuri possano influenzare il sistema di amplificazione si è
provveduto ad isolare completamente tutto il circuito elettronico della sezione di
preamplificazione.
I segnali analogici entranti (acquisizione) e uscenti (dopo l’amplificazione) sono completamente
isolati dal mondo esterno i tramite speciali circuiti elettronici realizzati dalla Texas
Instruments:questi circuiti impediscono, di fatto, qualsiasi accoppiamento tra i circuiti esterni da
quelli interni.
Anche i segnali digitali di controllo sono completamente disaccoppiati dal circuito interno tramite
fotoaccoppiatori.
In questa maniera gli elettrodi connessi alle cellule non vengono a contatto in nessun modo con il
mondo esterno di misura / controllo.
Quattro batterie ricaricabili a Ioni di Litio provvedono ad alimentare tutti i circuiti
elettronici, garantendo in questo modo una tensione “pulita”.
Il circuito di alimentazione del laser , che è completamente separato dal controller, è a sua volta
alimentato in corrente continua.
Le vaschette MEA (circoli blu) sono racchiuse da una gabbia di Faraday di ottone con una maglia di 1
mm (quadrato arancio).
Una delle vaschette è coperta da una scatola di plastica nera dello spessore di 2 mm ricoperta da
un foglio di alluminio (circolo rosso). E’ inoltre contenuta in una scatola di cartone dello
spessore di 3.5 mm come ulteriore schermatura ottica (quadrati verdi). Una delle vaschette è
lasciata all’ interno della gabbia di Faraday in maglia di ottone, un’altra libera da ulteriori
schermature in modo da poter ricevere direttamente impulsi luminosi provenienti da un diodo laser
(670 nm) posto all’ esterno della gabbia.
Il diodo laser (freccia blu) manda sulla prima vaschetta treni di impulsi random da 1 ms mantenuti
per 2.5 s.
Nell’ esperimento descritto sono presenti una vaschetta di neuroni e due vaschette di controllo
riempite la prima di matrigel e la seconda di liquido di coltura (entrambi presenti come substrato
anche nella vaschetta di neuroni), che vengono a turno poste sotto l’ impulso laser o
sotto/schermatura.
In una seconda fase , mantenendo le precedenti schermature, l’emissione del laser viene coperta da
doppio foglio di alluminio. In una terza fase il laser viene allontanato a più di un metro dalla
gabbia di Faraday e l’ emissione viene diretta in direzione opposta a quella delle vaschette .

Discussione e Risultati
In ciascuna delle situazioni sperimentali sopra descritti l’impulso laser (canale rosso) provoca,
nel segnale elettrico proveniente dai neuroni (canali grigio e lilla), un picco contemporaneo
all’impulso. Questo picco non è invece presente nei canali delle vaschette di controllo.

Nella seconda e nella terza fase il picco nel segnale dei neuroni è ancora presente, per quanto
attenuato.

Numerosi test sono stati eseguiti e documentati su file per verificare l’ efficacia degli
accorgimenti condotti in fase di progettazione per isolare i componenti hardware e delle schermature
elettromagnetiche applicate . Il test del crosstalk è stato effettuato iniettando un segnale
compreso tra 1 e 100mV su ciascun ingresso e misurando successivamente tutte le uscite.
Le misure del rumore sono state effettuate sia chiudendo gli ingressi di tutti i canali su
resistenze da 120K ohm sia lasciando aperti gli ingressi (impedenza massima) . Le uscite non sono
state chiuse su carico.
Le misure sono state effettuate iniettando un segnale con frequenze variabili da 100Hz a 500Hz e
ampiezza con valori di 1, 5, 30 e 80mV.
l rumore misurato in uscita su ogni canale è risultato sempre minore di 2 mV.

Sulla base di questi riscontri è possibile affermare che i picchi rilevati nei segnali neuronali in
concomitanza con gli impulsi laser non sono dovuti ad interferenze.
D’altra parte le interferenze , per definizione, dovrebbero essere presenti simultaneamente su tutti
i canali. Inoltre potrebbero essere positive oppure negative, ma non ambedue le cose
contemporaneamente, perché l’interferenza non produce energia propria.
Infine ogni fenomeno induttivo deve essere presente sia quando un circuito elettrico viene acceso ,
sia quando viene spento: mentre è stato verificato che la reazione dei neuroni avviene solo quando
si attiva l’emissione laser, ma non alla sua cessazione.

L’ effetto rilevato sembrava quindi , per esclusione, dovuto all’ azione dei fotoni provenienti dal
laser, per quanto ciascuno dei quattro criteri di schermatura ottica bastasse da solo ad impedire la
percezione ad occhio nudo dell’ emissione laser.
Una verifica della qualità della schermatura ottica, che ad occhio umano risultava perfetta, è stata
fatta utilizzando una telecamera a luce stellare (0.0003 lux).
L’ emissione laser è stata schermata utilizzando i quattro criteri di schermatura sovrapposti:
strato di alluminio intorno al laser, avvolgimento in cartone, altro strato di alluminio, ed
emissione laser in direzione opposta rispetto alla telecamera. L’esperimento è stato effettuato in
una stanza buia, in cui l’occhio abituato al buio non percepiva alcuna luminosità anche dopo
applicazione di una sola qualunque delle singole schermature.
Tuttavia la telecamera ha evidenziato ad ogni impulso laser un deciso aumento della luminescenza ,
che ha dimostrato l’emissione di uno o più fotoni anche in condizioni di massima schermatura.

I risultati dell’ esperimento, confortati da tutti i risultati sperimentali da noi precedentemente
accumulati, hanno evidenziato una sensibilità altissima dei neuroni alla radiazione luminosa,
sensibilità che sembra dipendere dalle sue caratteristiche: infatti in precedenti esperimenti in cui
erano stati confrontati gli effetti di luce laser e luce led (non polarizzata, 430 nm), anche senza
schermatura ottica ed elettrica i neuroni non presentavano alcuna reazione alla stimolazione led .

Per quanto non sia stato possibile quantificare il numero di fotoni che hanno colpito i MEA,
l’impossibilità di percepirli ad occhio nudo implica che il loro numero era ridotto a poche unità .

Conclusioni
La reattività dei neuroni a debolissimi impulsi luminosi potrebbe essere dovuta alla presenza di
microtubuli nella loro struttura cellulare, per i motivi che qui sotto analizziamo.
I microtubuli, formati da avvolgimenti di tubulina, sono strutturalmente simili ai nanotubi di
carbonio. In effetti ambedue le strutture sono di forma cilindrica cava, il diametro di un
microtubulo è intorno ai 20 nm e lunghezza fino a qualche micron, mentre le dimensioni dei nanotubi
possono essere inferiori o uguali a quelle dei microtubuli.
Dei nanotubi di carbonio si conoscono interessanti proprietà ottiche, elettriche e quantistiche: in
particolare recentemente è stato scoperto (Wang 2004) che i nanotubi di carbonio si comportano come
antenne per le altissime frequenze della radiazione luminosa visibile . La struttura tubolare ne fa
in effetti candidati ideali per costituire antenne di cavità.

L’ amplificazione del segnale captato da queste antenne biologiche richiede a sua volta una
spiegazione.
Diverse ipotesi già presenti in letteratura possono essere prese in considerazione, in particolare
che si tratti di un fenomeno di superradianza. Anche la risonanza stocastica è stata considerata
come fattore amplificante nei processi neurali.
Ma un’ipotesi più semplicemente applicabile alla nostra situazione sperimentale è che le
microantenne costituite dai microtubuli possano amplificare il segnale generato come antenna singola
allineandosi in configurazioni schematicamente parallele, creando cioè array di antenne, che hanno
la caratteristica di amplificare il segnale.
E’ d’altra parte noto che i microtubuli, così come i nanotubi, si comportano come oscillatori, e
questo potrebbe renderli dei ricevitori superreattivi in grado di amplificare il segnale.

Il lavoro descritto presenta in conclusione un’ evidenza sperimentale di reattività dei neuroni ad
impulsi luminosi di debolissima intensità.
La riproducibilità del fenomeno è già stata verificata attraverso una serie di esperimenti condotti
negli ultimi anni tre anni .
Un’ipotesi da verificare è che questa proprietà si estenda a tutte le strutture cellulari ed
extracellulari dotate di citoscheletro o di struttura fibrosa, contenenti cioè microtubuli o
microfili. Lo scambio di energia in forma di fotoni potrebbe comportare a livello cellulare diverse
funzionalità che in passato sono state ipotizzate da vari studiosi senza poter essere dimostrate in
modo incontrovertibile.
Vale la pena di citare a questo proposito che la capacità dei nanotubi di fungere da antenne per le
radiazioni luminose viene attualmente studiata in vista di un suo possibile sfruttamento tecnologico
per la demodulazione di segnali ottici e per rendere più efficiente la conversione dell’energia
solare.

Living Networks Lab – Dipartimento di Tecnologie dell’Informazione – Università di Milano
*Stem Cell Research Institute – DIBIT San Raffaele Milano

da www.scienzaeconoscenza.it

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