La Bhakti: perfezione dello Yoga – di Shriman Matsyavatara Prabhu

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La Bhakti: perfezione dello Yoga

di Shriman Matsyavatara Prabhu

L’esperienza del Divino è sempre originale, immotivata, unica e personale, non riducibile a qualcosa
di diverso da sé. E’ un’esperienza che include il fascinans e il tremendum e, inconcepibilmente, li
trascende entrambi armonizzando gli opposti, incluso il principio di attrazione-repulsione. Il
credente che sperimenta la Divinità nella Sua Realtà personale, come nel caso della bhakti
vaishnava, vive una trasfigurazione antropologica che potenzia tutte le sue qualità e
caratteristiche individuali, depotenziando contestualmente gli interessi egoico-mondani e le
pulsioni distruttive inconsce. Al contrario, colui che si dedica alla ricerca religiosa
dell’Infinito impersonale, prima di pervenire all’esperienza del Divino nega e mortifica a lungo la
propria umanità, per non parlare dell’angosciante prospettiva che presto o tardi si presenta a chi
segue il sentiero dell’annullamento della personalità (nichilismo). La Bhakti, abbandono con
devozione amorosa a Dio, è l’insegnamento conclusivo delle Sacre Scritture vedico-vaishnava. In
quanto religione dell’amore essa troneggia sulle contrastanti forze titaniche della natura e le
armonizza, conseguendo con prodigiosa naturalezza la coniunctio oppositorum che fu tanto ricercata
anche dagli alchimisti.

La Bhakti è la via per giungere allo stato di nirdvandva (libertà dagli opposti). Delle tre vie
tradizionali (trai-marga)124 per raggiungere la liberazione (moksha), bhakti-marga è infatti
considerata quella principale, il cuore del Sapere enunciato nella Bhagavad-gita e nella tradizione
bhagavata in generale; la strada che può condurre ogni individuo alla riscoperta dell’eterna
relazione d’amore che lo unisce all’Essere supremo, al Signore glorioso; una via per la completa
reintegrazione nell’ordine socio-cosmico, grazie alla quale la persona può raggiungere tutti i
propri fini terreni e nel contempo riscoprire la sua natura divina. La Bhakti sviluppa armonicamente
tutte le fondamentali funzioni psicologiche: pensiero, sentimento e sensazione, poiché la sua
pratica richiede appunto integrazione tra pensiero e sentimento, tra ragione ed intuizione. Nella
triade Purusha (in questo caso Dio), jivabhuta (esseri incarnati) e prakriti (Natura), quest’ultima
è costituita di tre elementi sottili, detti guna, i cui influssi sugli esseri che vivono nel mondo
fenomenico determinano due grandi tipologie psicologiche di valenza universale: quella degli esseri
di natura divina, daivim, e quella degli esseri di indole malvagia, asurim. Oscillante tra questi
due poli emblematici si colloca una folta schiera intermedia di individui caratterizzati, nella
misura in cui un guna predomina sugli altri, da infinite sfumature psicofisiche, da una vastissima
gamma di “colorazioni” e formae mentis che costituiscono la peculiare maschera di ciascuno di loro.
Nel diciassettesimo capitolo della Bhagavad-gita Krishna, quale esperto e supremo Conoscitore e
Signore della mente, descrive quelli che potremmo definire, con un linguaggio moderno, i principali
profili psicologici, influenzati e dunque caratterizzati dai tre costituenti della Natura o guna:
sattva (luminosità, saggezza), rajas (passione, azione) e tamas (tenebra, inerzia).

Nello stesso capitolo Krishna spiega che, a seconda del guna dominante, generato a sua volta da
particolari desideri ed attitudini, gli individui sviluppano gusti e tendenze; in questo modo si
delineano tipi di fede, di culto, di abitudini alimentari e di inclinazioni pratiche di varia
gradazione, rispettivamente sotto il segno della virtù, della passione o dell’ignoranza. Ovviamente
è pressoché impossibile incontrare individui esclusivamente dominati da sattva, da rajas o da tamas;
il carattere della stragrande maggioranza delle persone è infatti la risultante di una mescolanza
dei tre guna. Sebbene si possano riscontrare affinità tra una categoria ed un’altra, sarebbe dunque
quantomeno artificiale postulare un’unica fede che, per i presupposti suddetti, non può esistere.
Infatti a causa degli influssi della Natura, da cui sono immuni soltanto i rari saggi illuminati, le
persone vedranno l’unico Principio divino come attraverso un caleidoscopio, cogliendone le forme più
diverse, talvolta apparentemente inconciliabili. Guna, tra i vari significati, ha anche quello di
‘corda’, come dire che gli influssi dei costituenti della prakriti “legano saldamente l’individuo e
ne condizionano l’esistenza, obbligandolo a muoversi più o meno come una marionetta e provocando
comportamenti coatti e automatici che diventano l’apparente natura di chi li esprime. Ma all’essere
che Gli si abbandona col sentimento della Bhakti Krishna indica la cura, fornendo la teoria e il
metodo che consentono di superare le altrimenti ineluttabili influenze testé descritte.

Parte della cura consiste nell’inscindibile combinazione di due princìpi essenziali: conoscenza
(jnana) e distacco (vairagya). Come conferma la Shvetashvatara-upanishad, la guarigione sarà
definitiva allorché l’individuo approderà alla bhakti, la quale si configura come impegno costante
nel servizio di amore e devozione dedicato in egual misura al Maestro spirituale e a Dio, capaci di
liberare l’essere dai suoi condizionamenti, grossolani e sottili, per restituirlo alla
consapevolezza della sua vera natura, quella spirituale. Le molteplici turbe mentali, oggi sempre
più frequenti, come è noto originano principalmente in ambiente familiare e lavorativo, nell’ambito
della sfera sessuale e in quello del culto. Nella famiglia, nella sessualità o nella religione non
c’è in sé e per sé niente di negativo; è la persona che, ponendosi nel modo sbagliato di fronte ad
ambienti, oggetti e tendenze naturali, instaurando con essi una relazione unilaterale, può
trasformare ciò che è neutro o propedeutico al suo evolvere in qualcosa di addirittura
controproducente, paralizzante, che può gravemente compromettere il suo percorso evolutivo.

Nella tradizione vaishnava sono frequenti le guarigioni da gravi deformazioni caratteriali: le
patologie della psiche possono essere curate con la pratica di vita della Bhakti in quanto essa
investe l’essere su tutti i piani antropologici, ristabilendo l’equilibrio tra pensiero ed azione,
sensazione ed emozione, soggetto ed oggetto. Grazie a questa antica scienza spirituale, esperita
sotto la guida amorevole di un guru autentico, l’individuo perviene gradualmente alla consapevolezza
della propria natura ontologica: cadono le maschere e il sé riscopre il proprio volto, ripristinando
una corretta percezione e relazione con la realtà che lo circonda, estinguendo così la ragion
d’essere di ogni azione volta a ledere l’ambiente, le persone, e in primo luogo sé stesso. Questa è
la dinamica che sta a fondamento di altrimenti inspiegabili profonde trasformazioni che dissolvono
il carattere criminale, essendo ormai venute meno le motivazioni prodotte dall’errata percezione di
sé. Anche i due “tipi” caratteriali universali definiti da Nietzsche come apollineo e dionisiaco,
con i loro corrispondenti e specifici stati psicologici del sogno e dell’ebbrezza, possono
benissimo, con la pratica della religione dell’amore, perfezionare gradualmente la propria
personalità fino alla realizzazione spirituale. Nella Bhakti possono coesistere entrambe le
necessità di cultura e natura; qualcuno, seguendo le proprie inclinazioni, privilegerà l’intelletto
mettendolo al servizio del sentimento, altri agiranno in maniera opposta.

Ma la Bhakti, se correttamente praticata, può soddisfare le varie istanze individuali,
armonizzandole tra loro. Essa sviluppa nell’individuo un’attitudine lontana tanto da un’adesione
illusoria identificantesi con l’immanenza, quanto dalla fuga verso una trascendenza astratta e
spiritualistica, negatrice dei valori terreni e dispregiatrice del corpo, esortando piuttosto ad un
agire pieno ma distaccato, efficace ma non mosso da volontà di possesso e di potere, un agire
offerto con gioiosa devozione al Signore supremo, Krishna. La Bhakti non si compie soltanto per
mezzo di esercizi psico-spirituali; anche l’azione esterna, l’attività nel mondo può sapientemente e
decisamente essere usata quale mezzo efficace di integrazione della personalità. Però, affinché essa
serva a tale scopo, l’attività non deve essere affrettata, tesa, convulsa, disordinata, esauriente,
come troppo spesso avviene. Dobbiamo portare nelle nostre attività esterne ordine e disciplina;
creare un opportuno avvicendamento ritmico ed armonico nel quadro della giornata, della settimana,
del mese, dell’anno, alternandole in modo da usare in esse facoltà ed energie diverse, sì che l’una
quasi riposi dell’altra. Si tratta di creare delle buone abitudini (sattviche) che incanalino gli
impulsi impetuosi (rajasici) e richiamino quasi automaticamente, al momento adatto, le energie
sopite o riluttanti (tamasiche). A ciò aiutano anche gli impegni esterni e i doveri imposti dalla
vita familiare e sociale. Perciò non dobbiamo dolerci di queste limitazioni e ribellarci ad esse, ma
utilizzarle invece per costruirci. L’ordine, la disciplina, il ritmo esterno aiutano a disciplinare
e riordinare la mente e le emozioni.

Affinché questo avvenga occorre però eliminare lo stacco, anzi quasi l’opposizione esistente spesso
fra vita interna e vita esterna sì da costituire quasi due vite separate e contrastanti; occorre
invece intessere intimamente l’una nell’altra in modo che una chiara visione, un ideale di armonia e
di sintesi orienti il nostro stile di vita esterna e pratica, e che l’attività nel mondo sia
continua occasione di interna disciplina (buddhi-yoga), volta allo sviluppo delle facoltà interiori
quali la compassione, la misericordia, la carità e l’amicizia verso tutte le creature, fino al
raggiungimento dell’obbiettivo più alto: l’amore puro per Dio (parama-prema-bhakti). Nel
Bhagavata-purana alla Bhakti viene riservata una posizione di rilievo; in questo importante Testo
Sacro essa viene infatti definita param dharma, il dharma più elevato, scevro da qualsiasi sfumatura
di egotismo, ben superiore a moksha che è semplicemente una sua conseguenza.

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