Il grande scienziato indiano J.C. Bose

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Il grande scienziato indiano J.C. Bose

di Yoganandaji

Tratto da “Autobiografia di uno Yoghi”

(di Paramahansa Yogananda)

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IL GRANDE SCIENZIATO INDIANO J. C. BOSE

“Nell’invenzione del telegrafo senza fili, Jagadis Chandra Bose precedette Marconi”.

Questa azzardata asserzione, che giunse al mio orecchio da un gruppo appartato di professori
impegnati in una discussione scientifica, mi spinse ad avvicinarmi a loro. Se il motivo fu
l’orgoglio di razza, me ne dispiace. Non posso negare, però, che m’interessava vivamente avere la
prova che l’India può avere una parte di primo piano nelle scienze fisiche, e non soltanto in quelle metafisiche.

“Che intendete dire, signore?”

Con grande cortesia il professore mi spiegò: “Bose fu il primo a inventare un radioconduttore senza
fili e uno strumento per indicare la rifrazione delle onde elettromagnetiche. Ma lo scienziato
indiano non ha mai sfruttato commercialmente le sue invenzioni. Ben presto egli ha rivolto la sua
attenzione dal mondo inorganico a quello organico. Le sue scoperte rivoluzionarie quale fisiologo
delle piante superano perfino l’importanza dei suoi lavori nel campo della fisica”.

Ringraziai cortesemente il mio amabile informatore. Ed egli aggiunse: “Il grande scienziato è mio collega all’Università di Presidency”.

Il giorno seguente mi recai a visitare il grande scienziato nella sua casa situata vicino alla mia,
nella Gurpar Road. Da tempo l’ammiravo a rispettosa distanza. Il severo e solitario botanico mi
accolse amabilmente. Era un bell’uomo robusto, sulla cinquantina, con folti capelli, una larga
fronte e gli occhi assorti di un sognatore. La precisione delle sue parole rivelava l’abito scientifico di tutta una vita.

“Sono appena tornato da una spedizione scientifica in Occidente. Gli studiosi di laggiù hanno
mostrato un grandissimo interesse per i delicati strumenti di mia invenzione, che dimostrano
l’indivisibile unità della vita (Nota: Qualsiasi scienza è trascendentale, altrimenti scompare. La
Botanica sta ora mettendosi su questo piano teorico; gli avatar di Brahma saranno adesso i libri di testo della storia naturale” (Emerson). Fine nota)

Il crescografo Bose consente un ingrandimento di dieci milioni di volte. Il microscopio ingrandisce
solo di qualche migliaio di volte, eppure ha dato alla scienza biologica un impulso vitale. Il crescografo apre incalcolabili prospettive”.

“Avete fatto molto per acelerare l’avvicinamento fra Oriente e Occidente con le braccia impersonali della scienza”, gli dissi.

“Sono stato educato a Cambridge. Come è ammirevole il metodo occidentale di sottoporre qualsiasi
teoria a una scrupolosa verifica sperimentale! Tale procedimento empirico è andato in me di pari
passo con il dono dell’introspezione, che rappresenta la mia eredità orientale. Le due cose unite mi
hanno permesso di sondare i silenzi dei regni naturali, tanto a lungo inesplorati. I grafici
rivelatori ottenuti col mio crescografo mettono in evidenza, anche per i più scettici, che le piante
posseggono un sistema nervoso sensitivo e una vita emotiva complessa. Amore, odio, gioia, timore,
piacere, dolore, eccitabilità, stupore e innumerevoli altre adeguate reazioni ai vari stimoli sono universali, nelle piante come negli animali”.

“Il fremito unico di vita che pervade tutta quanta la creazione poteva sembrare solo una fantasia
poetica prima della vostra invenzione, professore! Un Santo che conobbi una volta non voleva mai
cogliere fiori. – Deprederò io il rosaio dell’orgoglio della sua bellezza? Posso con la mia crudele
e brutale spoliazione offendere la sua dignità? – Le sue parole pietose diventano verità tangibili con le vostre scoperte!”.

“Il poeta conosce intimamente la verità, mentre lo scienziato vi si avvicina titubante e maldestro.
Venite un giorno nel mio laboratorio a vedere l’inequivocabile testimonianza del mio crescografo”.

Grato, accettai l’invito e presi congedo. Seppi in seguito che il professor Bose aveva lasciato
l’Università di Presidency e progettava di istituire un centro di ricerche a Calcutta. Assistetti
all’inaugurazione dell’Istituto Bose. Una folla entusiasta visitò tutti gli impianti. Fui
affascinato dalla bellezza e dal simbolismo spirituale del nuovo edificio scientifico. Il cancello principale, notai, era formato da antichi frammenti di un remoto santuario.

Dietro lo stagno dei loti si ergeva una scultura rappresentante una donna con una torcia in mano.
Essa esprimeva il rispetto che si ha in India per la donna quale immortale apportatrice di luce. Nel
giardino era stato costruito un tempietto dedicato al Noumeno al di là del Fenomeno. Il pensiero
della divina incorporeità era simboleggiato dall’assoluta mancanza d’immagini sacre. In questa
occasione solenne, il discorso che Bose pronunciò, avrebbe potuto sgorgare dalle labbra di un
ispirato, antico rishi. (Nota: Il fiore del Loto è un antico e divino simbolo in India. I suoi
petali che si schiudono suggeriscono l’idea dell’espansione dell’anima. Lo sbocciare della sua pura
bellezza dal fango delle sue origini contiene una dolce promessa spirituale. Fine nota).

“Inauguro oggi questo istituto non come un semplice laboratorio, ma come un tempio. La reverente
solennità delle sue parole si distese quasi come un manto invisibile sulla folla dei presenti. “Nel
corso delle mie ricerche, sono giunto inconsapevolmente al limite tra la fisica e la fisiologia. Con
mia somma meraviglia trovai che le linee di separazione svanivano, e emergevano invece i punti di
contatto con i reami del vivente e del non-vivente. La materia inorganica veniva percepita come una
cosa tutt’altro che inerte; essa palpitava tutta sotto l’azione d’innumerevoli forze.

“Una reazione universale sembrava porre metalli, piante e animali sotto una legge comune: essi
presentavano tutti gli stessi fenomeni fondamentali di stanchezza e di depressione, con possibilità
di recupero e di esaltazione, e si notava in loro anche la perenne mancanza di reattività che si
associa alla morte. Pieno di rispettosa emozione dinanzi a tale stupenda generalizzazione, animato
da grandi speranze presentai i miei risultati alla Royal Society: risultati avvalorati da
esperimenti. Ma i fisiologi presenti mi consigliarono di limitare le mie ricerche al campo della
fisica in cui i miei successi erano già noti, invece di invadere il loro terreno. Senza volerlo ero
penetrato in un sistema di caste a me estraneo, offendendone la rigida etichetta.

“Erano in gioco anche inconsci pregiudizi teologici, che confondono l’ignoranza con la fede. Spesso
si dimentica che Colui che ci circonda con il grande mistero della creazione in continuo sviluppo,
ha anche radicato in noi il desiderio di chiedere e di comprendere. Attraverso molti anni
d’incomprensione mi sono infine convinto che la vita di colui che si vota alla scienza è
inevitabilmente piena di lotte senza fine. Egli deve dare la sua vita come un’ardente offerta, in cui il vincere o il perdere, il successo o l’insuccesso, sono tutt’uno.

“Ormai le principali società scientifiche del mondo hanno accettato le mie teorie e i risultati da
me raggiunti, e hanno riconosciuto l’importante contributo dato dall’India alla scienza

(Nota: “Al presente, solo il puro caso porta l’India a conoscenza d’uno studente universitario
americano. Otto Università (Harward, Yale, Columbia, Princeton, Johns, Hopkins, Pennsylvania,
Chicago e California) posseggono cattedre di Indologia e di Sanscrito, ma l’India è pressoché
ignorata dalle facoltà di storia, filosofia, belle arti, scienze politiche e sociali, o qualsiasi
altro campo intellettuale in cui, come abbiamo visto, l’India ha portato larghi contributi…
Crediamo perciò che nessuna facoltà, specialmente umanistica, in una grande università possa essere
completa senza un professore specializzato in quel settore delle due discipline che riguarda
l’India. Crediamo pure che ogni istituzione che voglia preparare i suoi studenti ad un lavoro
intelligente nel mondo in cui dovranno vivere, debba avere nel corpo insegnante un cultore
competente della civiltà indiana”. Estratto da un articolo del prof. W. Norman Brown dell’Università
di Pennsylvania, che fu pubblicato nel maggio 1939 nel Bollettino del Consiglio Americano delle
Società Culturali, 907 15th Street, Washington, D.C. Questo numero contiene più di 100 pagine di una
Bibliografia-base per studi indiani. (Recentemente le università del Kentucky e di Washington, di
Cornell e Colgate hanno inserito nei loro corsi degli studi sull’India). Fine nota)

Può una qualsiasi nozione ristretta e circoscritta appagare la mente indiana? In forza di una
continua, viva tradizione e di un vitale potere di ringiovanimento, il nostro paese è sempre
riuscito a rimettersi in sesto attraverso innumerevoli trasformazioni. Vi sono sempre stati degli
indiani i quali trascurando l’ebbrezza dell’immediato successo, hanno cercato di realizzare i più
alti ideali della vita, non attraverso la rinunzia passiva, ma lottando strenuamente. Il debole che
si è sottratto alla lotta e non ha conquistato nulla, non ha niente a cui rinunciare. Solo colui che
ha lottato e vinto può arricchire il mondo, offrendogli i frutti della sua vittoriosa esperienza.

“Il lavoro già compiuto nel Laboratorio Bose sulla relatività della materia e le inattese
rivelazioni sulla vita delle piante hanno aperto un vastissimo campo di ricerche nella fisica, nella
fisiologia, nella medicina, nell’agricoltura e perfino nella psicologia. Problemi prima considerati insolubili sono stati portati nella sfera delle ricerche sperimentali.

“Ma non è possibile ottenere grandi risultati senza un’assoluta esattezza. Ecco perciò la lunga
batteria di strumenti super-sensibili, e di apparecchi di mia invenzione che oggi vedete nella sala
d’ingresso entro le loro custodie. Essi vi parlano dei lunghi sforzi compiuti per penetrare al di là
dell’illusoria apparenza, nella realtà che rimane invisibile; di tutto il lavoro, la tenacia e
l’ingegnosità messi in opera per superare le limitazioni umane. Tutti i veri scienziati che creano,
sanno che il vero laboratorio è la mente dove, dietro le illusioni, essi scoprono le leggi della verità.

“Le conferenze che si terranno qui non saranno semplici esposizioni di fatti appresi di seconda
mano. Annunzieranno invece nuove scoperte che saranno dimostrate per la prima volta in queste aule.
Mediante regolari pubblicazioni sul lavoro svolto dall’Istituto, il contributo indiano alla cultura
universale sarà conosciuto in tutto il mondo. Esso diventerà proprietà pubblica. Non si prenderà mai
alcun brevetto. Lo spirito della cultura nazionale esige che noi rimaniamo sempre liberi
dal’esecranda abitudine di utilizzare le nostre conoscenze solo per un profitto personale.

“Desidero inoltre che le agevolazioni offerte da questo Istituto siano a disposizione – per quanto è
possibile – degli studiosi di tutti i paesi. In tal modo cerco di continuare la tradizione del mio
paese. Già venticinque secoli fa, l’India accoglieva nelle sue antiche università di Nalanda e di
Taxila studiosi provenienti da tutte le parti del mondo. “Sebbene la scienza non sia un monopolio né
dell’Oriente né dell’Occidente, ma sia internazionale nella sua universalità, l’India è specialmente
adatta per apportarvi un vasto contributo. La fervida immaginazione indiana che può trarre nuove
leggi da una massa di fatti in apparenza contraddittori, è tenuta sotto controllo dell’abitudine alla concentrazione.

Questo freno conferisce la facoltà di mantenere la mente con pazienza infinita sul sentiero della
ricerca della verità”. (Nota: La struttura atomica della materia era ben nota agli antichi Indù.
Uno dei sei sistemi della filosofia indiana è il Vaisesika, dalla radice sanscrita visesas,
“individualità atomica”. Uno dei maggiori esponenti del Vaisesika fu Aulukya, chiamato anche Kanada,
“il mangiatore dell’atomo”, nato circa 2800 anni fa. In un articolo di “East-West” dell’aprile 1934,
un sunto delle conoscenze scientifiche del Vaisesika fu dato nel modo seguente: “Sebbene la teoria
atomica moderna sia comunemente considerata un progresso scientifico, essa fu brillantemente esposta molti, moltissimi anni fa da Kanada, il mangiatore dell’atomo.

L’espressione sanscrita anus può essere appropriatamente tradotta in ‘atomo’ nel senso letterale
greco di ‘non-sezionato’, o ‘indivisibile’. Fra le esposizioni scientifiche del trattato Vaisesika
dell’era prima di Cristono sono da menzionare: 1) imovimenti degli aghi verso i magneti, 2) la
circolazione dell’acqua nelle piante, 3) l’akash o etere, inerte e senza struttura, quale base per
il mondo delle forze sottili, 4) il fuoco solare quale causa d’ogni altra forma di calore, 5) il
calore quale causa di mutamenti molecolari, 6) la legge di gravità causata dalla qualità inerente
agli atomi della terra, tale da dar loro un potere d’attrazione o trazione verso il basso, 7) la
natura cinetica d’ogni energia, e ogni causa sempre radicata in un dispendio di energia o una
ridistribuzione del movimento, 8) la dissoluzione universale a causa della disintegrazione degli
atomi, 9) la radiazione di raggi di calore e di luce, particelle infinitamente piccole che si
lanciano in ogni direzione con inconcepibile velocità (‘la teoria moderna dei raggi cosmici’), 10)
la relatività del tempo e dello spazio. Il Vaisesika attribuì l’origine del mondo agli atomi, eterni
nella loro natura, e cioé nella loro ultima essenza. Si consideravano questi atomi come dotati di un
incessante movimento vibratorio. La recente scoperta che un atomo è un sistema solare in miniatura,
non sarebbe affatto una novità per gli antichi filosofi Vaisesika, che ridussero anche il tempo al
suo estremo concetto matematico descrivendo la più piccola unità di tempo (kala) come il periodo impiegato da un atomo per attraversare la propria unità di spazio”. Fine nota)

Alle ultime parole dello scienziato mi vennero le lacrime agli occhi. La “pazienza” non è forse un sinonimo dell’India, che sconcerta sia il Tempo che gli storici?

Visitai di nuovo il Centro di Ricerche qualche giorno dopo l’inaugurazione. Il grande botanico,
rammentando la promessa fattami, mi condusse nel suo tranquillo laboratorio. “Applicherò il
crescografo a questa felce; essa diventerà enorme. Se lo strisciare di una lumaca venisse
amplificato nelle stesse proporzioni ci sembrerebbe di vederla filare come un treno espresso”.

Il mio sguardo era fisso sullo schermo che rifletteva l’ombra ingigantita dellafelce. Ora si
vedevano chiaramente i minutissimi movimenti vitali; lo scienziato ne toccò la cima con una piccola
sbarra di ferro: la pantomima che si stava svolgendo si arrestò bruscamente e riprese il suo ritmo eloquente non appena la sbarretta venne ritirata.

“Avete visto come la più piccola interferenza esterna è nociva ai sensibilissimi tessuti”, mi fece
rilevare Bose. “Osservate: ora somministrerò alla pianta del cloroformio e poi un antidoto”.

L’effetto del cloroformio arrestò la crescita; l’antidoto la riattivò. L’andamento dello sviluppo
che appariva sullo schermo mi teneva avvinto più di un film dal complicato intreccio. Il mio
compagno (che ora aveva assunto la parte dell’ “uomo cattivo”), inferse alla felce un colpo con uno
strumento tagliente. Spasmodiche contrazioni indicarono il dolore. Quando egli infilò un rasoio nel
gambo, l’ombra si agitò con violenza, poi si arrestò con i sobbalzi finali della morte.

“Sono riuscito a trapiantare con successo un enorme albero, cloroformizzandolo. In genere questi re
della foresta muoiono assai presto, quando sono stati rimossi dal luogo d’origine. Jagadis sorrideva
contento mentre raccontava la sua manovra di salvamento. “I grafici del mio sensibilissimo
apparecchio provano che gli alberi posseggono un sistema circolatorio; i movimenti della loro linfa
corrispondono alla pressione sanguigna del corpo animale. L’ascesa della linfa non è spiegabile
mediante i concetti meccanici comunemente ammessi, quale, ad esempio, l’attrazione capillare. Il
fenomeno è stato spiegato per mezzo del crescografo come un’attività di cellule vitali. Le onde
peristaltiche vengono emesse da un tubo cilindrico che si estende lungo l’albero e funziona da
cuore! Più profonde sono le nostre percezioni, più diventa per noi chiaro che un ordine unico
abbraccia ogni forma della multiforme natura”. Il grande scienziato m’indicò un altro suo strumento.

“Vi mostrerò degli esperimenti su di un pezzo di stagno. La forza vitale nei metalli risponde agli
stimoli sia in modo positivo che negativo. Dei tracciati a inchiostro registreranno le varie reazioni”.

Affascinato, fissavo il grafico che registrava le caratteristiche onde della struttura atomica.
Quando il professore applicava del cloroformio sullo stagno, i grafici vibratori si arrestavano;
ricominciavano non appena il metallo riprendeva lentamente il suo stato normale. Il professore
propinò una sostanza chimica velenosa: col cessare dell’ultimo brivido dello stagno, l’ago descrisse sul foglio un tragico segno di morte.

“Gli strumenti Bose hanno dimostrato che i metalli, quale ad esempio l’acciaio usato per le forbici
e i macchinari, sono soggetti a stanchezza, e riprendono la loro efficienza dopo un periodico
riposo. Il polso vitale dei metalli viene seriamente danneggiato e perfino distrutto dall’applicazione di correnti elettriche o di un’alta pressione.

Mi guardai intorno per la stanza dov’erano raccolte le numerose invenzioni, eloquenti testimonianze di un’instancabile genialità.

“Signore, è davvero un peccato che il progresso agricolo non venga accelerato mediante un più largo
uso delle vostre meravigliose macchine. Non sarebbe possibile impiegare alcune di esse in rapidi
esperimenti di laboratorio per stabilire l’influenza dei vari tipi di concimi sullo sviluppo delle
piante?”. “Avete ragione, le future generazioni useranno in infiniti modi gli strumenti Bose. Lo
scienziato ottiene raramente un riconoscimento dai contemporanei. La gioia di aver creato qualcosa di utile deve bastare”.

Presi congedo dall’infaticabile Saggio con espressioni d’illimitata gratitudine, pensando: – La sua meravigliosa fertilità d’ingegno potrà mai esaurirsi?

Gli anni non la diminuirono. Con l’invenzione di un complicato strumento, “il cardiografo sonoro”,
Bose compì molte ricerche su innumerevoli piante indiane. Si rivelò così un’enorme e insospettata
farmacopea di utilissimi medicinali. Il cardiografo è costruito con straordinaria precisione, tanto
da registrare graficamente la centesima parte di un secondo. Registrazioni sonore misurano
pulsazioni infinitesimali nelle piante, negli animali e negli esseri umani. Il grande botanico
predisse che l’uso del suo cardiografo avrebbe condotto a praticare la vivisezione, più umanamente, sulle piante invece che sugli animali.

“Registrazioni comparate degli effetti prodotti da una medicina somministrata simultaneamente a una
pianta e a un animale, hanno dato una stupefacente uguaglianza di risultati”, egli dichiarò. “Ogni
cosa esistente nell’uomo è abbozzata anche nelle piante. Le conoscenze acquisite con gli esperimenti
sulla vegetazione contribuiranno a lenire le sofferenze negli animali e negli uomini”.

Dopo molti anni le scoperte del pioniere Bose sono state utilizzate da altri scienziati. Il lavoro
fatto nel 1938 alla Columbia University è stato riferito nel New York Times con queste parole:

‘In questi ultimi anni fu stabilito che, quando i nervi trasmettono messaggi dal cervello alle altre
parti del corpo, si generano minuscoli stimoli elettrici. Questi stimoli sono stati misurati e
amplificati milioni di volte con sensibilissimi galvanometri e moderni apparecchi amplificatori.
Finora non era stato trovato alcun metodo atto a studiare il passaggio degli stimoli lungo le fibre
nervose degli animali o degli uomini, data la loro enorme velocità. ‘I dottori K. S. Cole e H. J.
Curtis hanno riferito di avere scoperto che le singole cellule della pianta acquatica nitella, che
di frequente si usa mettere nei globi di vetro dei pesci rossi, sono virtualmente identiche alle
singole fibre nervose. Inoltre essi hanno scoperto che le fibre della nitella, se eccitate,
propagano onde elettriche simili in tutto, fuorché nella velocità, a quelle delle fibre nervose
degli animali e dell’uomo. Si è trovato che gli impulsi nervosi sono molto più lenti nella pianta
che negli animali. Tale scoperta fu utilizzata dagli studiosi dell’Università di Columbia, i quali
ripresero cinematograficamente, al rallentatore, il passaggio degli stimoli elettrici sui nervi.

La pianta di nitella può così diventare una specie di stele di Rosetta per decifrare i segreti
gelosamente custoditi che si trovano al confine tra lo spirito e la materia’ (Nota: Stele trovata a
Rosetta sul delta del Nilo durante la campagna napoleonica (1799) recante lo stesso scritto in greco
e in egizio, nelle due grafie feroglifia e demotica. Questa iscrizione servì di base per la decifrazione dei geroglifici. Fine nota)

Il poeta Rabindranath Tagore era un fedele amico dello scienziato idealista indiano. A lui, il dolce
cantore bengali dedicò i seguenti versi (Nota Tradotti in inglese dal bengali di Rabindranath Tagore da Manmohan Ghoshi in Visvabbarati Quaterly, Santiniketanm, India. Fine nota) :

O Eremita, chiama tu con le autentiche parole Di quell’antico inno detto Sama: “Sorgi! Ridestati!
Richiama il presuntuoso Che vanta la sua shastrica sapienza Dalle infruttuose dispute pedanti,
Richiama quel millantatore stolto, Fallo venire in faccia alla natura Di questa vasta terra. Manda
il richiamo alla tua banda d’eruditi Riunisci tutti intorno al sacro fuoco Sacrificale. Possa così
la nostra India, La nostra antica terra ritornare a se stessa, E ritornare al solido lavoro, A
dovere e devozione ed al suo rapimento Nella meditazione; fa’ che sieda Di nuovo calma, senza
avidità, nè lotta, pura Un’altra volta sul suo alto seggio E piedistallo, ad insegnare al mondo

(Nota: L’inno detto Sama della poesia di Tagore è uno dei quattro antichi Veda. Gli altri tre Veda
sono: Rig, Yajur e Atharva. I Vedanta, brevi riassunti dei Veda, hanno ispirato molti grandi
pensatori occidentali. Lo storico francese Victor Cousin disse: “Se leggiamo con attenzione i
monumenti poetici e filosofici dell’Oriente – e soprattutto dell’India – vi scopriamo molte verità
così profonde… che siamo costretti a flettere il ginocchio davanti alla filosofia dell’Oriente e a vedere in questa culla dell’umana razza la patria della più alta filosofia”.

Schlegel osservò: “Perfino la più elevata filosofia europea – l’idealismo della ragione dei filosofi
greci – appare, a confronto del vigore vitale dell’idealismo orientale, come una debole scintilla
prometeica accanto all’inondante luce solare”. Nell’immensa letteratura dell’India, i Veda (dalla
radice vid, sapere) sono gli unici testi cui non viene attribuito alcun autore; il Rig, Veda (X, 90,
9) ascrive loro un’origine divina, e ci dice che essi ci sono stati tramandati da ‘tempi antichi’,
rivestiti di un linguaggio nuovo. Si dice che i Veda, rivelati da fonte divina d’epoca in epoca ai
rishi o ‘veggenti’, posseggono nityatva, ossia ‘validità che trascende il tempo’. I Veda furono rivelati per mezzo del suono, ‘direttamente uditi’ (shruti) dai rishi.

Essi sono principalmente opere di canto e di recitazione. Per millenni perciò, i centomila versi dei
Veda non furono scritti, ma vennero tramandati oralmente dai sacerdoti brahmini. La carta e la
pietra sono entrambe soggette agli effetti distruttori del tempo. Queste Scritture hanno sfidato i
secoli perché i rishi compresero la superiorità della mente sulla materia, e quale fosse il vero
mezzo imperituro di trasmissione. Quale cosa può mai superare le ‘tavole del cuore’? Osservando
l’ordine particolare (anupurvi) in cui si succedono le parole vediche, e con l’aiuto di regole
fonetiche per la combinazione dei suoni (sandhi) e per i rapporti delle lettere fra loro (sanatana),
nonché “provando” con determinati metodi matematici l’esattezza dei testi mandati a memoria, i
brahmini hanno conservato in maniera unica, da un’antichità remotissima, l’originale purezza dei
Veda. Ogni sillaba (akshara) di una parola vedica è dotata di significato e di efficacia (V. Cap. XXXV). Fine nota).

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