Il cervello e la sua coscienza

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Il cervello e la sua coscienza

da: “Il cervello e la sua coscienza”

di Lino Missio

www.psicofilosofia.it

Erga edizioni

Che cosa è la coscienza

La coscienza è il più grande dei misteri. È forse uno dei problemi più
difficili al quale la scienza deve ancora dare una risposta. Le scienze
fisiche sono ben comprese, e le scienze biologiche hanno rimosso molti degli
antichi misteri che circondavano la natura della vita. Molti progressi sono
stati compiuti anche nella scienza della mente. Gli studi recenti
nell’ambito della scienza cognitiva e delle neuroscienze ci hanno portato ad
una migliore comprensione del comportamento umano e dei processi sottostanti
che lo guidano. Certo non conosciamo nei dettagli la cognizione umana ma le
ricerche fanno prevedere che nuovi risultati non siano così lontani.
La coscienza, tuttavia, sembra sfuggire alle leggi fisiche, chimiche e
biologiche; è qualcosa di straordinariamente familiare e indiscutibile, ma,
nello stesso tempo, diviene misteriosa non appena la pensiamo sullo sfondo
dell’immagine fisica del mondo.

La nostra esperienza cosciente è costituita da innumerevoli stati
qualitativi, ovvero colori, odori, sapori, dolori, sensazioni tattili,
cinestetiche, propriocettive; e ancora piaceri, emozioni, stati d’animo ecc.
Tutte queste sensazioni sono profondamente reali e indubitabili e contornano
la nostra vita soggettiva. Eppure non è chiaro in che rapporto la coscienza
sia con la realtà che ci circonda; la realtà scoperta e illustrata dalle
leggi fisiche. Negli ultimi anni è stato scritto molto sulla coscienza e
questo potrebbe far pensare che stiamo facendo dei progressi. Tuttavia, la
gran parte dei lavori non tocca i problemi più spinosi relativi alla
coscienza. Essi si occupano spesso di quelli che potrebbero essere chiamati
i problemi semplici della coscienza. Si rimane quindi con la sensazione che
il problema centrale resti enigmatico come d’altronde è sempre stato. Questo
enigma, come sostiene Chalmers non deve essere fonte di scoraggiamento; esso
piuttosto fa del problema della coscienza una delle più eccitanti sfide
intellettuali del nostro tempo.

Lo studio della mente nei secoli

Fin dal pensiero greco l’uomo ha cercato di capire il funzionamento della
mente. Ippocrate è uno dei pochi ad attribuire la vita psichica al cervello
(i suoi studi più importanti si basarono, appunto, sugli effetti di danni
traumatici o malattie del sistema nervoso). Con questa affermazione,
Ippocrate pone in evidenza una concezione che si sta affermando nel pensiero
greco, e che troverà la sua espressione più elevata in Aristotele: il fatto
cioè, che l’uomo è parte della natura, e può essere studiato con i metodi
delle scienze della natura. Con Aristotele si afferma decisamente la
concezione dell’uomo come oggetto di studio naturale.

Il pensiero medioevale è del tutto alieno dallo studio dell’uomo, di cui
nega addirittura la possibilità. È evidente che la scienza medioevale è ben
diversa, comunque, da quella greca. Il mondo è concepito secondo una precisa
struttura gerarchica, con alla testa Dio, e immediatamente sotto l’uomo, che
non viene però visto come facente parte della natura. Esiste il mondo
dell’alchimia e dei maghi ma la ricerca, è impregnata di spirito magico, a
tal punto da non assomigliare al concetto di scienza che oggi noi abbiamo.
Per molti secoli verranno evitati gli studi anatomici. È solo sulla fine del
XIV secolo, e poi soprattutto nei due secoli successivi, con il
Rinascimento, che sarà possibile iniziare un nuovo rivolgimento del pensiero
umano.

A riportare sulla scena l’interesse per la mente è Cartesio che ridisegna i
confini tra anima e corpo che in precedenza Aristotele aveva unificato.
Tuttavia è a Wilhelm Wundt che va riconosciuto il merito di aver costituito
la psicologia come scienza indipendente e come studio della mente. Infatti
nel 1879 a Lipsia Wundt fondò il primo laboratorio di psicologia
sperimentale nella storia della psicologia scientifica. Nel laboratorio,
insieme ai suoi studenti si affrontarono sperimentalmente soprattutto
quattro campi d’indagine: la psicofisiologia dei sensi in particolare la
vista e l’udito, il tempo di reazione, la psicofisica e l’associazione
mentale.

Alcuni anni dopo, nel 1913 nasce il comportamentismo, con a capo Watson, che
si propone come l’unica maniera di fare scienza psicologica. Per il
comportamentismo, l’oggetto “psiche” viene esplicitato nei “contenuti
psicologici” (emozione, abitudine, apprendimento, personalità, ecc.) e per
essi si propone lo studio attraverso la loro manifestazione osservabile nei
termini di comportamenti emotivi, comportamenti abitudinari, comportamenti
d’apprendimento, comportamenti costitutivi della personalità. Con il
comportamentismo viene eliminato del tutto ogni riferimento a stati
interiori.

È con la nascita del cognitivismo e della scienza cognitiva che il discorso
mentalistico ritorna al centro della scena. La scienza cognitiva, che è lo
studio interdisciplinare della mente, integra discipline diverse come la
filosofia, la psicologia, l’intelligenza artificiale, la neuroscienza, la
linguistica e l’antropologia. Di recente, con l’aiuto di nuove
strumentazioni sofisticate, come la risonanza magnetica, la tomografia ad
emissione di positroni, ecc., la scienza cognitiva è riuscita ad analizzare
sempre più a fondo i meccanismi cerebrali avanzando teorie moderne sul
funzionamento della mente. E’ grazie all’evoluzione delle tecniche di
visualizzazione in vivo (che hanno reso possibile l’esame e la
rappresentazione del cervello in azione), agli studi neurofarmacologici (che
hanno fatto luce sul ruolo di molti neurotrasmettitori nei meccanismi
cerebrali) e al progredire degli studi sul cervello che oggi si è arrivati
ad una conoscenza sempre più dettagliata dei processi neurobiologici che
danno origine al nostro comportamento e ai nostri processi cognitivi.

L’importanza dello studio interdisciplinare

La coscienza, come sostengono alcuni studiosi, con molta probabilità
scaturisce dal cervello ed è per questo motivo che filosofi e studiosi di
discipline con scarse conoscenze sul funzionamento del sistema nervoso
dovrebbero prendere in seria considerazione lo studio della neuroanatomia.
In effetti, come ha sostenuto Eccles:
Troppa poca considerazione è stata dedicata in passato al meccanismo
neuronale implicato nelle varie manifestazioni della mente auto-cosciente. I
filosofi che presentano teorie fisicaliste del problema cervello-mente, come
la teoria dell’identità di Feigl o la teoria dello stato centrale di
Armstrong, dovrebbero costruire le loro filosofie sulla comprensione
scientifica più accreditata del cervello loro disponibile. Sfortunatamente
essi si accontentano di informazioni sommarie o antiquate che spesso li
inducono ad abbracciare idee erronee. C’è una tendenza generale a
sopravvalutare la conoscenza scientifica del cervello, che riguarda,
deplorevolmente, anche molti studiosi del cervello e scrittori scientifici.

Tuttavia, anche la filosofia è di estrema importanza per la comprensione
della coscienza, dunque allo stesso modo i neuroscienziati dovrebbero
considerare, per i loro studi sulla coscienza, le tematiche filosofiche
della mente. È proprio in questa visione dei fatti che dobbiamo, esaminare
la coscienza. È grazie a studiosi di discipline diverse, che vanno dalla
neurofisiologia, alla psichiatria, dalla neuropsicologia alla filosofia, che
si potrà arrivare ad una conoscenza più approfondita della coscienza.

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