I cinque aggregati (skanda)

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I cinque aggregati (skanda)

di Bhikkhu Sasana

traduttore: Guido Da Todi

Tratto da it.dhammadana.org

– Introduzione

– Dove sono i cinque aggregati?

Quando percepiamo una sensazione, qualunque essa sia, appena diventiamo coscienti di qualche cosa, si tratta in realtà dei cinque aggregati, mentre si trovano in opera. Che noi si stia pensando, ci si muova, si provi un dolore, un prurito, o una sensazione neutra, sono i cinque aggregati che agiscono. Quando siamo assorbiti nella meditazione, i cinque aggregati stanno agendo. Quando raggiungiamo degli stati di coscienza che qualifichiamo, spesso, come trascendenti, al di là del concetto, unione con il divino, o di qualunque cosa si tratti, sono sempre i cinque aggregati a farla da protagonista. Ogni esperienza che è possibile fare, in qualunque campo ci si trovi, in qualunque modo la si faccia, quando ciò avvenga, sono sempre i cinque aggregati a stare in azione. Allorchè nibbana è conosciuto, quando nibbana è raggiunto, quando nibbana viene osservato, sono sempre i cinque aggregati ad esprimersi.

Così, non v’è assolutamente alcun campo sperimentale che si trovi fuori dei cinque aggregati. Questa fu la grande scoperta che fece il monaco Gotama, il Risvegliato, Buddha, venticinque secoli fa, sotto l’albero di “boddhi”. Osservò molto chiaramente l’apparizione dei cinque aggregati e la loro sparizione. Ne trasse la conclusione seguente; chiunque sia, di qualunque cosa si tratti sono sempre i cinque aggregati ad essere protagonisti. Non esiste assolutamente nulla al di fuori dei cinque aggregati.

– La scoperta di Buddha –

Se Buddha avesse scoperto solo questo, ciò rappresenterebbe di già un apporto considerevole alle conoscenze dell’umanità. Ciò che è ancora più insolito, ciò che ha scoperto di ancora più sbalorditivo e rivoluzionario, tra tutti questi sistemi di pensiero, filosofie e religioni, inventati dagli uomini da tempi immemorabili, è che non vi è nulla al di fuori di questi cinque aggregati, e assolutamente nulla all’interno di essi. Sono completamente vuoti ed insostanziali. Di fatto, non esistono; diciamo che non esistono per se stessi. Appaiono e, subito, come sono apparsi, scompaiono.

Al di fuori di questo processo non hanno NULLA all’interno, proprio nulla. Ogni esperienza che possiamo fare, ogni conoscenza che possiamo acquisire, sia essa trascendente, al di là del mondo, al di là del piano dei fenomeni, fosse anche un’esperienza di “buddità”; cioè, il risveglio in sè, il risveglio totale, si tratta ancora di cinque aggregati. Ecco, QUESTA fu la scoperta di Buddha.

Quando ancora era un individuo ignorante sulla via, egli seguì l’insegnamento di certi grandi maestri, considerati essi stessi dei buddha, esseri che avevano raggiunto la “buddhità”. Cioè, il risveglio, la liberazione totale. Seguì il loro insegnamento, effettuò le diverse pratiche yoga che quelli insegnavano e ne raggiunse l’ultimo stadio, che tali maestri indicavano come quello del risveglio, di realizzazione totale. Lo si chiama, a volte, “stato di non meditazione”, che è uno stato in cui non appare assolutamente nulla chiaramente alla coscienza. E noi pensiamo che si tratti di uno stato che si trova al di là degli aggregati. Noi crediamo che sia uno stato di trascendenza.

– L’intuizione di Buddha –

Quando Buddha giunse, i suoi maestri gli dissero: “Ora che siete pervenuto all’apice, potete associarvi a noi per insegnare questa verità.” Tuttavia, egli non rimase tra di loro. Fu insoddisfatto di questa esperienza, poiché ebbe un’intuizione, che non apparteneva ad un comune mortale. Anche se aveva raggiunto questo stato di trascendenza, giustamente il problema era che aveva raggiunto qualche cosa. Era unicamente per la loro mancanza di saggezza, la loro mancanza di intelligenza, la loro mancanza di conoscenza che questi maestri prendevano ciò per lo stato del risveglio, per la liberazione, per la fine della sofferenza. Anche se in quel periodo non aveva ancora realizzato quel che l’attendeva più tardi, sotto l’albero della “boddhi”, egli ebbe l’intuizione che tutto ciò era insoddisfacente. In diversi sistemi religiosi, in diversi sistemi filosofici, specialmente nel brahmanesimo, delle varie religioni dell’India, ci presentano spesso la liberazione, come uno stato soprasensibile del mondo, come uno stato d’essere, un modo di vivere, che supera ogni cosa e che si collocherebbe al di là di ogni cosa. Buddha non rimase soddisfatto di questa spiegazione. Pensava che ove fossimo, stavamo comunque in qualche parte. Qualunque sia l’esperienza che noi facciamo, essa è sempre un’esperienza, QUALUNQUE ESSA SIA. Quindi, per quanto trascendenti possano essere le nostre realizzazioni spirituali, le nostre esperienze, esse sono sempre realizzazioni spirituali, esperienze.

Così, disse: “Le esperienze fatte da questi maestri spirituali sono tutte esperienze nate dal contatto”. Vale a dire che sono ancora i cinque aggregati.
Cosa sono i cinque aggregati?

– Descrizioni –

Esistono diverse scuole di pensiero che insegnano i cinque aggregati. Vi è notoriamente quel che viene chiamato il “buddhismo” in senso largo, e che si dovrebbe piuttosto chiamare “I buddismi”. Così come vi sono anche “GLI induismi”. In breve, è quanto, nel theravada, noi indichiamo, generalmente, come brahmanesimi. Cioè, le religioni, le filosofie ed i sistemi di pensiero che concepiscono l’unità, la verità ultima, trascendente. Questi, a volte, ci parlano dei cinque aggregati.
Questi cinque aggregati si dividono in due categorie. Vi è la categoria dei fenomeni di ordine puramente materiale e la categoria dei fenomeni di ordine puramente mentale.

– L’aggregato della materia –
Vi è, dunque, l’aggregato della materia, l’aggregato delle propensiponi materiali, delle attività materiali. E’ il solo che rappresenta la categoria materiale.
L’altra categoria è quella dei fenomeni mentali, immateriali. Vi sono quattro aggregati che fanno parte di questa seconda categoria di fenomeni mentali, o immateriali.

– L’aggregato della sensazione –
Il primo dei quattro aggregati è la sensazione, che è la capacità di risentire quel che è gradevole, sgradevole, o neutro.

– L’aggregato della percezione –
L’aggregato della percezione è la facoltà di percepire, di memorizzare. E’ a questo punto che il processo della memorizzazione inizia.

– L’aggregato delle formazioni –
Vi è, subito dopo, l’aggregato delle formazioni. Se ne contano cinquantadue diverse. Le formazioni – dette, a volte, le volizioni – sono le proprietà della coscienza.

– L’aggregato della coscienza –
La coscienza è il quarto aggregato materiale; è la facoltà di conoscere. Quando la coscienza conosce un oggetto, essa lo conosce in una certa maniera; lo conosce, impresso da certe proprietà. Questo modo che la coscienza ha di conoscere l’oggetto è l’aggregato delle formazioni.

– Di cosa sono fatti? –

Questi cinque aggregati appaiono e scompaiono allo stesso tempo; sono indissociabili. Salvo qualche rara eccezione, non possono apparire separatamente>; oppure, eventualmente, lo fanno in modo momentaneo.

Abbiamo tutti un pò l’idea di cosa sia l’aggregato della materia. Il caldo, il freddo, il duro, il molle, il secco, ecc. Tutto questo entra nella categoria dell’aggregato delle proprietà materiali. Poi, c’è la coscienza, che è la facoltà di conoscere, di sperimentare. Noi possediamo queste facoltà, perchè esistono una sensazione ed una memorizzazione; vi è una percezione, una sorta di “ricevuta della percezione”. Vi è dunque un aggregato della sensazione E un aggregato della percezione. Nel momento in cui vi è la conoscenza del suo oggetto, questo è forzatamente impresso da quel che noi chiamiamo l’aggregato delle formazioni, o delle volizioni. Ciò che interessa, ciò che Buddha ha scoperto, a differenza di tutti questi maestri, di tutti questi filosofi, è che, al di fuori di questi aggregati, non esiste null’altro. Si ha la tendenza ad immaginare, da una parte, che possono esistere questi aggregati, effimeri, cangianti, che appaiono e scompaiono tanto presto quanto sono apparsi, in una succsssione senza fine. D’altro canto si pensa che esista dentro, o fuori questi aggreegati, una sostanza, una natura, una conoscenza – chiamiamo tutto ciò come vogliamo; si immagina che vi sia qualche cosa che prosegue al di là.

A volte, si pensa a tutto questo come esteriore agli aggregati; a volte, come interno agli aggregati. “Falso!” ci dice Buddha, il monaco Gotama. Quanto egli ha scoperto è che non vi è nulla al di fuori degli aggregati e nulla all’interno degli stessi. Egli rigetta l’idea di ciò che viene chiamato “buddhatatatha”; ciè, la natura di ciò che esiste in sè, immanente, non condizionato, spontaneo, auto apparso, eterno, immutevole, per non dire anche atemporale. Per alcuni, ciò rappresenterebbe la natura intrinseca degli aggregati, o la sostanza dalla quale provengono gli aggregati e nella quale si fonderanno. Sarebbe ciò verso cui gli aggregati tendono, o da dove vengono. Secondo essi, gli aggregati nascono dal mondo ordinario “lokka”; dal mondo dei fenomeni. Si vorrebbe, allora, anche, attraverso qualche magia, qualche purificazione, rituale, oppure yoga, giungere a trascenderli, per arrivare a questa natura immutevole, che li trascende del tutto, che sta “al di là” di essi, in essi. La scoperta fatta dal monaco Gotama, venticinque secoli fa, è sconcertante, da diversi punti di vista, ed a più di un titolo, poichè egli ha scoperto che tutto ciò non esiste affatto. Egli afferma che non vi è altro che gli aggregati e nell’altro che essi, che appaiono e scompaiono.

Ma,allora Buddha come mai ci ha insegnato una via si liberazione? Una via di liberazione degli aggregati, giustamente? Com’è che questo monaco ci ha insegnato la possibilità di raggiungere la stabilità, la pace, per non restare più agitati, o perturbati dal vento degli aggregati?

La trascendenza

La fine della sofferenza

La risposta è molto semplice. E’ tanto senmplice che nessuno ci aveva mai pensato. E’ proprio nell’ARRESTO degli aggregati che sta l’ARRESTO della sofferenza. Quando gli aggregati cessano di apparire, si attua la cessazione di tutto quel che la loro apparizione provoca. La rivelazione sta qui, assieme a tutta la sua semplicità.

Mentre alcuni ci dicono che vi è qualcosa che può trascendere la luce del tubo al neon, una luce diversa, più colorata, più intensa, che può addirittura attraversare le mura, e gli ostacoli, Buddha ci afferma che qualunque sia l’intensità della luce si tratta sempre di luce. Ci sottolinea che la sola alternativa alla luce è semplicemente la sua assenza.

Certi ci insegnano che vi sono dei suoni che trascendono il suono, che sono al di là del suono. Buddha ci dice che, qualunque sia il suono, è, tuttavia, sempre un suono. La cui sola alternativa è la sua assenza.

E’ la stessa cosa per le percezioni olfattive, gustative, tattili e mentali. Le percezioni mentali, ecco la trappola! Esattamente qui si trova il laccio. Pensiamo che, considerato il fatto che ci avventuriamo in un cammino spirituale, giriamo nel contempo il dorso al mondo materiale, a quello dei sensi, per entrare nel mondo della spiritualità, della saggezza, della conoscenza. Pensiamo che non appena abbiamo cessato di dinteressarci direttamente alle nostre percezioni ordinarie siamo, di conseguenza entrati nel mondo della trascendenza.

In realtà, ci informa il monaco Gotama, non vi sono più delle percezioni sensoriali ordinarie; quanto resta sono semplicemente delle sensazion mentali. Pensiamo di avere effettuato un viaggio, oppure crediamo che lo ha compiuto il nostro maestro spirituale e che, seguendone le tracce, realizzeremo le stesse conquiste.
In realtà, ci dice il monaco Gotama, si tratta proprio di nulla. Semplicemente, cambiamo di mondo. Passiamo da un mondo grossolano di percezioni sensoriali pesanti ad un mondo sottile, di sensazioni sensoriali sottili, che, in effetti, operanao unicamente nell’ordine mentale. Per il monaco Gotama si tratta dei cinque aggregati.

Si parla di felicità, di “buddhità”. Si parla di risveglio, di stato di risveglio, di conoscenza, di luvidità. Non sono altro che i cinque aggregati.
Così, quando Buddha ci parla della sofferenza, dukkha, non si tratta solo di quella che tutti conoscono. La pena,il lavoro, la difficoltà, tutte le prove difficili della vita. Non c’è solo questo. Quando Buddha parla della “sofferenza” si riferisce ad una qualità inerente ai cinque aggregati. Cioè, che esiste ancora il dolore, quando si pensa di averne raggiunto la trascendenza. Dopo tutto, la trascendeza della pena non si basa ancora sulla sofferenza?

Si parla della soprannaturalità della sofferenza, mentre, in realtà, si tratta tutt’al più, di un dolore trascendentale.

Si parla di trascendere l’ignoranza. Al massimo, quando si crede di esserci arrivati, si è raggiunto l’ignoranza trascendentale.

Per il monaco Gotama, non esiste la trascendenza. La nozione di trascendenza è un’utopia. Crediamo di trascendere la nostra mediocrità e che, allora, raggiungeremo qualcosa che sta al di là di questa. Come potremmo giungere ad altro che la mediocrità, utilizzando giustamente questa stessa mediocrità? Come potremmo giungere al di là degli aggregati, con gli stessi aggregati?

Il pesce nella foresta

Riflettiamoci cinque minuti. Possediamo questo corpo, abbiamo queste percezioni, queste sensazioni, piacevoli, spiacevoli, solleticanti, dolorose; abbiamo questi pensieri, queste assenze di pensiero, tutte queste facoltà, corporali, intellettuali (a volte, si chiamano psichiche). Ed è utilizzando un simile “materiale” che supponiamo di giungere a trascenderlo! E’ straordinario!

E’ come un pesce che immagina, visto che sta per saltare fuori dell’acqua, che dei polmoni, improvvisamente, gli spunteranno e, così, potrà vivere nella foresta. E’ un’utopia. Un pesce è un pesce; ha delle pinne, delle scaglie e delle branchie. Per il fatto che sia un pesce è condannato durante l’intera sua esistenza, a vivere sotto l’acqua. Sicuramente, all’occasione,qualche esperienza poco abituale lo condurrà fuori dell’acqua, per il tempo necessario ad un piccolo salto. Ma cosa succederà una volta che sarà uscito dell’acqua? Vi ricadrà dentro! Perchè la sua condizione, la sua vita, non sta altro che nel liquido.
Allo stesso modo, quando ci dedichiamo ad ogni sorta di pratiche spirituali, o mistiche, a delle recitazioni di mantram, a degli yoga, a delle meditazioni, siamo come il pesce che inturgidisce le sue pinne, o che sta apprendendo a fare apnea, per eseguire un grande salto. Beninteso, crediamo che, una volta realizzato questo grande salto, resteremo in eterno al di là del mondo, al di là della vita fenomenica; cioè, al di là degli aggregati.

Ciò che immaginiamo

Siamo come quel pesce che pensa che, una volta fuori dell’acqua, rimarrà in eterno in aria, nei cieli, che immagina immacolati, illimitati, eterni. Forzatamente, là dove si trova, il pesce è mal sistemato per conoscere cosa vi sia al di sopra della sua testa. Se lo sapesse, non si darebbe tanto da fare per cercare di raggiungerlo. Di sicuro, possiamo dire che non vi è dell’acqua; e, probabilmente, che si fanno meno sforzi per spostarsi nell’acqua. La massa liquida è pressante ed opprimente come lo sono i cinque aggregati. Cosa c’è nell’aria? Vi è ancora dell’aria. Vi è ancora qualcosa. Se sapesse che nel cielo esistono ancora delle stelle, che vi sono ancora delle nuvole e che vi è ancora dell’acqua quando piove, non si darebbe tutta questa pena.

Così, ci siamo messi in testa che esiste una trascendenza di questo mondo, una specie di natura immacolata, immutevole, indistruttibile, e che noi possiano raggiungerla. Ci immaginiamo che per poterla raggiungere, abbiamo la possibilità di utilizzare quanto abbiamo a nostra disposizione. Cioè, esattamente quanto qualifichiamo come male, come aggregato
dell’attaccamento. Si tratta degli aggregati impuri, “sporcati dai veli del karma”, come ci viene detto sovente. Crediamo che sia utilizzando ciò che noi trascenderemo questi veli. Pensiamo che, servendoci di questo corpo, lo potremo superare;adoperando questo spirito, lo potremo sconfinare. Che utopia!

Il monaco Gotamo, sotto il suo albero, ha scoperto qualcosa di nuovo. Ha raggiunto quegli stati di “trascendenza”, di “risveglio”, quegli stati di non meditazione, quegli stati che non sono né la coscienza, nè l’assenza di coscienza. E quando lo ha fatto, egli ne è ritornato, come tutti, come quei maestri spirituali, quei “grandi esseri risvegliati”, che noi ammiriamo e che seguiamo. A questo punto, ha avuto un’idea. Si è detto: “Poichè ne sono ritornato, è per il fatto che quella vita è cangiante. Poichè sono ritornato da questi “stati di risveglio” è perchè essi non durano. E’ perchè non sono la fine della sofferenza”. Il fenomeno è durato qualche tempo, ma non più di tanto.

Colui che crede di avere raggiunto il risveglio

Prendiamo l’esempio di questo “maestro spirituale” che crede di avere raggiunto la divinità, la ” buddhità”. Scriverà un libro nel quale comincerà a giustificarsi; cioè, a dare la sua posizione, a definirsi. Detto altrimenti – passatemi il termine – comincerà a vendersi. Vi dirà che è il discepoloi di tale grande maestro e che quello lì era, a sua volta, discepolo di quell’altro grande guru. Esprimendo delle generazioni “di grandi maestri”, che si succedono. Ecco la discendenza, ecco la sicurezza, ecco la solidità; il retro-bottega è solido. Quindi, se il retro-bottega è solido, lo sarà anche la vetrina.

Quindi, comincerà a parlarvi delle sue esperienze di non dualità, di trascendenza, di felicità pura. Ecco,allora, la domanda che noi possiamo porre e che sfortunatamente non facciamo mai: se ci parla di questo, vuol dire che se ne ricorda. Se se ne ricorda, egli ne era cosciente; ebbe un’esperienza consapevole, da cui è ritornato. Chi ci dice che queste cose si trovano al di là degli aggregati, del concetto, dell’intelletto, della materia e dello spirito?
Sia; ma, ora che ci parla, non si trova ancora in questo aldilà; ora che ci parla, si è “reincarnato”; ora che ci parla, sono… degli aggregati, che ci parlano. Il che vuole dire che, per un momento, è rimasto sospeso nel vuoto, nella vacuità e che adesso sta qui. La prima constatazione che ci viene concessa di fare è che tutto ciò non è durato.

– L’eternità –

Ci parla di eternità. Che ne sa che si tratta dell’eternità, se ne è ritornato? Se si trattava di una realtà eterna, ci sarebbe rimasto. Il suo corpo e la sua mente si sarebbero dissolti, evaporati. E ancora, ciò non rappresenterebbe l’eternità, perchè prima di raggiungerla, lui non si trovava in essa. Se ciò fosse stato eterno, voleva dire che egli vi ci si trovava dai tempi senza un inizio e che quello stato sarebbe durato per sempre. E quindi, o noi vi ci troviamo dai tempi senza un’origine, oppure ciò non è un fatto eterno.

A meno che non ci immaginiamo che essa sia una sostanza, un’essenza, che sta sempre là e che noi possiamo avvicinarla, possiamo contattarla. Come si può credere che sia possibile avvicinare questa essenza e, allo stesso tempo, essere questa essenza? Cioè, come si puo essere, alla volta, sia l’eternità, che il temporale? Il fatto non regge.

Inoltre, per ritornare al presente aspetto di memoria, colui che ha raggiunto questa divinità, questa buddhità, colui che ha raggiunto questa sostanza, ne era consapevole; poichè, se non lo fosse stato, come avrebbe potuto ricordarsene? Se lo ricordò, fu perchè ne era cosciente. Se era consapevople, si tratta degli aggregati: quelli della coscienza. Egli era cosciente di qualche cosa.

Ecco, in ogni caso, quel che ha compreso il monaco Gotama. Ha compreso che coloro che credono di avere raggiunto l’essenza hanno, tutt’al più, realizzato uno stato transitorio della coscienza. Certamente, uno stato esaltato, certamente uno stato superiore, nel senso che non vi era alcuna percezione sensibile e che momentaneamente si trovavano al riparo da ogni sofferenza, da ogni inquietudine, da ogni concetto, da ogni intellettualità; ma, erano consapevoli, poichè se non si è coscienti non si ricorda, poi, nulla. Se non ci si ricordasse di qualche cosa, invece, nessuna religione esisterebbe, al mondo.
E’ proprio questo che il monaco Gotama ha trovato insoddisfacente. Ciò che non è eterno, che non dura. Bisognava avere una sacra dose di intuizione per rendersene conto.

– La grande scoperta –

La semplicità stessa
Ma,allora, che cosa scoprì Buddha, che rappresentasse la fine completa della sofferenza, dell’insoddisfazione, se non si trattava di questa trascendenza? Era, giustamente, la sua assenza, la sua cessazione. Il suo arresto, la sua interruzione.

Così, disse: “E’ per il fatto che esiste la sofferenza in questo mondo, che c’è la possibilità della sua cessazione. E’ perché c’è questa possibilità che la sofferenza appare nel mondo.”

Ci ha anche detto: “E’ proprio perchè c’è la luce, che deve esserci l’oscurità. E’ proprio perchè c’è l’oscurità, che deve esserci la possibilità che la luce appaia.”
Per Buddha, questa è l’alternativa; non ve n’è un’altra. E’ tento semplice e stupida, la cosa! Tuttavia, è tanto singola, da apparire non raggiungibile. Soprattutto, il fatto distrugge ogni nostro sogno di trascendenza, i nostri sogni di divinità, quando ci viene promesso di divenire Dio, il divino; di divenire la “buddhità” eterna, l’essenza, il cosmo, l’universo intero. Ci viene promesso di acquisire questa onniscienza, che sarebbe la capacità di essere tutti i fenomeni dell’universo e, quindi, di conoscere ognuno di essi e, ciò, per l ‘eternità. Ah! Quale prospettiva beata!

E questo piccolo monaco, questo piccolo rinunciante, che viene fuori da sotto il suo albero, che esce dalla sua “piccola meditazione”, ci insegna che codesta non è che un’utopia.

Di fatto, è solo un’utopia. E si accorda all’idea che tutto ciò può venire raggiunto. Non nega tali realtà; non nega l’insegnamento e non dice che quei maestri sono degli impostori. Afferma semplicemente che non siamo ancora alla fine della sofferenza. Qui, beninteso, la parola sofferenza deve essere compresa ad un livello un pò più sottile, un pò più astratto. Qui, “sofferenza” (dukkha) deve venire intuito come una caratteristica inerente a tutte le cose. Qui, “sofferenza” rappresenta il fatto di esistere.

– La concezione degli altri-

Certuni ci diranno: “Norvana è un luogo. Un luopgo al di là del mondo; un luogo che raggiungeremo, forse, dopo questa vita”. Altri ci affermeranno: “Nirvana non è un luogo. Nirvana è già qui; è solo un modo di essere. E’ un modo di esistere, di conoscere. Così, samsara e nirvana sono le due facce di una medesima moneta. La sola cosa che cambia è come la si guarda.”

Secondo il monaco Gotama, la liberazione completa non è un luogo di esistenza, nè un modo di essere. Per lui, il problema è giustamente il fatto di esistere. Mentre, la fine del problema sta nel fatto di non esistere PIU’; è la cessazione del sussistere, del divenire. Per Gotama, la questione del mondo si pone unicamente in termini di essere o di cessare di essere. Non esistere in questo modo, o in quel modo; oppure, come questo, o come quello.

Per Buddha, la questione della coscienza non è un buon argomento. Che noi si raggiunga un consapevolezza non duale, immutevole, spontanea… Poco importa! Il problema resta sempre lì, dal momento in cui esiste la coscienza. Il problema, per Buddha, sta solo in essa; cioè, nei cinque aggregati. Perchè i cinque aggregati sono indissociabili e se vi è consapevolezza, debbono esistere probabilmente ancora degli aggregati. La prova: questi “maestri spirituali” che credono di avere raggiunto il risveglio, il nirvana, oppure al di là del nirvana;ebbene, il loro corpo è scomparso, durante questa esperienza? Si è evaporato? E’ restato lì, sotto l’albero; i cinque aggregati sono rimasti lì. Non è successo nulla, assolutamente nulla. Diciamo che è come quando si riavvia un computer; venne fatta una sorta di riavvio. Mentre c’è stata una sospensione momentanea dello stesso. Di conseguenza, nulla è cambiato.

Per il monaco Buddha, questa non è ancora la soluzione. Tutti i sistemi spirituali dell’umanità, senza alcuna eccezione, comprese tutte le scuole del “buddismo”, dell’induismo, del sufismo ed altre ancora fanno parte di un abbaglio. Questo abbaglio è che si pensi ad una essenza, ad una sostanza. In sanscrito, le si chiama “dharmakaya”, il corpo della verità. L’errore è che certuni suppongono di averlo raggiunto, o di esserne l’incarnazione, o anche la manifestazione.
Infatti, Buddha non adopera il termine “dharmakaya”. Utilizza la parola “atta”, che significa letteralmente “in sè”. E vi sono due maniere per capirlo…
Primo modo di capire l'”atta”

Immaginiamo che questo “in sè”, questa sostanza, fosse, di fatto la creatrice del mondo, dei fenomeni, dell’universo. Immaginiamoci che tutti i fenomeni dell’universo fossero all’origine, fossero il cuore di questo “in sé”, di questo “essere”, di questa “quiddità”. Ossia, l’essenza che conserva la capacità di rimanere in sè, l’essenza che è in sè, che è la sua propria natura, increata, o creata da essa stessa. Tale scuola di pensiero,noi la incontriamo, oggi, nelle religioni del gruppo giudaico, cristiano, islamico e in certe scuole induiste. Esse concepiscono il dio creatore, l’essere creatore, Brahma, Vishnu, Dio, Allah; chiamiamolo come vogliamo. Secondo modo di capire l'”atta”

In quest’altro modo di concepirlo, il mondo non avrebbe alcun creatore. Sarebbe sempre stato là, costituito solamente da fenomeni che si incatenano gli uni agli altri, i cinque aggregati; e, ciò, dai tempi senza origine. Tuttavia, esisterebbe in questo mondo, al di là di esso, o come sua natura, o destinazione, una sostanza, una “essenza”, una”quiddità”. Qui, ritroviamo il gruppo delle religioni, come i buddismi moderni, detti speculativi; o certe scuole dell’induismo, in particolare quelle che si trovano fra i Veda, o le Upanishad.

Il monaco Goitama ci insegna che non esiste, invece, nulla di tutto ciò, nè mai è esistito. Ci insegna che vi sono molti fenomeni che si incatenano, dai tempi immemorabili. E’ questo, semplicemente, che soltanto esiste. Si incatenano, si rovesciano, si riproducono, ed ogni volta che si spengono, riappaiono. Al di fuori di ciò, null’altro c’è. Questo dura dai tempi senza origine e continuerà ancora per molto. E, qual’è la fine della sofferenza, per Buddha? Qual’è la liberazione completa di questo mondo? E’semplicemente la cessazione di tutto questo; il suo arresto.

Giunti sin qui, potremmo immaginare che l’insegnamento del monaco Gotama, che oggi è veicolato nel theravada, sia una lezione di annichilimento. Una volta, qualcuno venne a trovarlo e gli disse: “Voi insegnate gli aggregati e l’estinzione degli aggregati. Il vostro insegnamento è quello dell’annichilimento”. Sicuramente non si tratta di ciò! Se lo fosse, avremmo il nulla, Buddha avrebbe, allora, insegnato il mondo, l’universo e, immediatamente, la sua sparizione totale, il suo svanire, la sua estinzione, il suo annientamento. Ciò vorrebbe significare che appena un individuo raggiungesse il risveglio, vi sarebbe, dunque di necessità la sparizione di tutto l’universo e dei suoi fenomeni. Non resterebbe più…nulla. Siamo dell’avviso che questo non si regga in piedi. Se tutti i fenomeni fossero spariti,noi non staremmo, oggi, più qui!

I fenomeni si trovano, invece,attorno a noi, visibilmente; esiste qualche cosa; noi possiamo percepire, provare, conoscere. In ogni evidenza non esiste, dunque, il nulla; nessuno si è perso nel nulla. Non vi è il nulla: vi è invece qualche cosa. E’ questo qualche cosa che preme, opprime, per non cessare di apparire. Si tratta di dukkha, la caratteristica opprimente e premente, che appare e dura per un certo tempo. E’ precisamente per sussistere che è compulsiva. E’ come se, con una pompa da incendio, proiettassimo su di una porta un getto d’acqua sotto pressione: sarebbe impossibile aprire la porta, dall’altra parte, semplicemente spingendola, a causa del pesante getto d’acqua, che vi urta contro. E’ un pò in questo modo che vorremmo arrestare questi suoni, ma non possiamo. Che vorremmo arrestare questi pensieri, ma non ci riusciamo. Che vorremmo arrestare queste sensazioni, ma non siamo in grado di farlo. Allora, immaginiamo di utilizzarli, di trasformarli e di trascenderli. Ma, tutto ciò aumenta il potere del getto, sino a che esso rompe la porta.

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