Controllare la mente – Vidya Bharata

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Controllare la mente

– News Letter Vidya Bharata –

Una domanda che molti visitatori spesso ponevano era: «Qual e’ il modo migliore per controllare la
mente?». La ponevano coloro che non conoscevano i suoi insegnamenti, ma anche quelli che avevano
letto i suoi libri. La sua risposta, basata sull’auto-investigazione, era: «Chi vuole controllare la
mente? Chi e’ che vuole controllare l’io? Chi e’ a porre questa domanda? Se lo scopri, tutto sarà
risolto». Ma a tutti, quale che fosse il metodo che seguivano, diceva: «Non esiste alcuna
scorciatoia. C’e’ solo una cosa da fare, come dice la Gita, ogni volta che la mente si rivolge verso
le cose esterne, riportala all’interno e fissarla nel Se’. Non e’ facile, ma occorre farlo
costantemente. E’ attraverso una pratica costante che gradualmente si diverra’ padroni della mente».

Tratto da “I miei ricordi di Sri Ramana Maharshi” di A. Devaraja Mudaliar, opera in preparazione
Editrice I Pitagorici

Sono molti gli aspiranti che si confrontano con la propria mente. Questo perché si ritiene il
controllo una sorta di azione volitiva possibile, ma il soggetto che è identificato con la propria
mente come potrebbe mai controllare ciò che in realtà è il controllore?

Leggiamo dei libri, dove viene detto che gli yogi hanno il controllo della mente e che hanno
raggiunto questo controllo attraverso una determinata sadhana, spesso grazie allo yoga, o alla
meditazione. Il fatto che uno yogi attraverso una determinata sadhana abbia raggiunto una certa
posizione coscenziale che comporta determinate possibilità, non significa che quelle possibilità
siano state lo scopo della sadhana.

La meta di un aspirante in un percorso tradizionale è il raggiungimento della propria natura prima e
ultima, quella Realtà Assoluta o Brahman che la tradizione ci insegna essere identico alla Pura
Realtà o Essere o Atman. Per questo fine all’aspirante vengono proposte diverse vie:

Via dell’Azione o karma yoga Via dell’Amore o bhakti yoga Via della Conoscenza o jnana yoga

Tutte queste vie possono riassumersi nella ricomposizione della scissura fra soggetto e oggetto. Una
persona, o ente, deve sciogliere l’individuazione che lo rende proprio individuo, questa
individuazione è l’avidya, l’ignoranza che ricopre la Pura Realtà o Essere.

Un ente per prima cosa è. Solo dopo l’esistenza in sé, può dirsi persona, uomo, donna, buono o
cattivo. Per fare questo egli affronta un processo (che può essere più o meno lungo), ove discrimina
fra ciò che è reale e quanto è non reale.

La discriminazione fra reale e non reale procede attraverso una serie di passaggi. L’ente prima
discrimina fra quegli eventi che hanno una oggettività intrinseca e quelli che non la possiedono;
ossia, distingue fra quegli eventi di conoscenza che sono risultato diretto di una percezione da
quelli che sono invece il risultato di una inferenza.

Il dolore conseguente allo schiacciamento di un arto, o alla morte di un congiunto, hanno una
oggettività perché derivano da un evento oggettivo, che pur appartenendo al mondo duale, va
considerato in questa fase con un livello di realtà superiore ad esempio della causa di un dolore
non motivato da un evento oggettivo.

Se soffro perché non sono buono, il mio non essere buono non è evento oggettivo, ma piuttosto
un’inferenza. Si tratta di una conoscenza indiretta che nasce dall’avere definito determinate
categorie non oggettive a causa delle quali definisco me stesso come non buono.

Pur nella sua mancanza di oggettività, questo evento ha una sua causa (spesso una precedente
esperienza), e pertanto necessita una risoluzione o integrazione.

Ne segue che l’ente via via affronta tutte quelle opinioni o credenze o assoluti che costituiscono
la sua personalità. Durante questo processo si comprende che la mente non è altro che un organo
interno che mantiene in movimento queste convinzioni. E’ l’insieme delle convinzioni che si
strutturano nella mente come una sorta di solchi ben delineati che chiamiamo vasana e sono queste a
determinare l’insorgenza dei pensieri. Esse ne sono la causa.

Pertanto per controllare la mente occorre che queste vasana siano state sciolte. Inoltre controllare
la mente è una espressione infausta, infatti sarebbe più opportuno dire distaccarsi dalla mente,
perché parlando di controllo si presuppone che ci sia qualcuno che decida di controllare e che
mantenga questa decisione, ma sia il processo decisionale che il mantenimento dell’informazione
(memoria) sono proprio facoltà della mente.

Per questo motivo è preferibile parlare di consapevolezza, è la meta non è più il controllo della
mente ma la consapevolezza costante e presente di non essere la propria mente e quindi avere la
capacità di poter vedere i processi mentali nel pieno distacco da essi.

Una volta raggiunto questo stato, ci si chiederà chi sia il soggetto che assiste ai processi mentali
e allora si indagherà su cosa sia questo soggetto che Sri Ramana chiama “io” e che possiamo definire
come testimone.

Ecco come tutto il discorso ci ha portato comunque alle parole di Sri Ramana: «Chi vuole controllare
la mente? Chi e’ che vuole controllare l’io? Chi e’ a porre questa domanda? Se lo scopri, tutto sarà
risolto».

A cura dell’Associazione Italiana Ramana Maharshi

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