CARL GUSTAV JUNG – parte 3

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CARL GUSTAV JUNG

a cura di Anna Rita Fabbri

parte 3

Struttura quaternaria della psiche

Accanto ai due atteggiamenti di introversione e estroversione, Jung introdusse anche una struttura
quaternaria che paragonò ad un mandala. Pensò ai quattro punti cardinali, alle quattro tipologie
umane individuate dai Greci: i collerici, i flemmatici, i melanconici, i sanguigni. Pensò alle
quattro stagioni che si basano su quattro qualità: freddo, caldo, secco, umido. Pensò alla natura
nei suoi quattro elementi: fuoco, terra, aria, acqua. Ipotizzò quindi che anche la psiche possedesse
una quaternità. Nacque così la teoria dei quattro tipi psicologici: pensiero, intuizione,
sensazione, sentimento.

Queste quattro funzioni si riferiscono alle modalità con cui una persona si mette in relazione con
il mondo, e al modo in cui percepisce le esperienze: l’adattamento di un individuo avviene
attraverso la funzione che è in lui più differenziata. Con il termine funzione, Jung individua una
forma di attività psichica che rimane sostanzialmente la stessa anche al cambiare delle circostanze.

Pensiero e Sentimento
Sono funzioni razionali influenzate dalla riflessione e sottoposte alla legge della ragione: il
pensare esclude tutto ciò che è fuori dalla ragione. Il sentire, invece, parte dal presupposto di
dare un valore ad ogni contenuto psichico. In questo caso opera pienamente il “giudizio” che mira ad
accettare o ad escludere i contenuti in questione.

Intuizione e Sensazione
Sono funzioni irrazionali, o meglio extra-razionali, che rientrano nell’ambito di tutto ciò che non
può essere fondato sulla ragione; esse raggiungono la loro perfezione nella “percezione assoluta”
che manca totalmente di indizi razionali. La sensazione è la funzione che trasmette uno stimolo
fisico alla percezione e che si configura come percezione cosciente. L’intuizione è la funzione che
trasmette la percezione per via inconscia; è una sorta di percezione istintiva che, anche se non
suffragata dai dati cosiddetti reali, ha una sua dimensione di sicurezza e di certezza.

Per Jung è impossibile sviluppare tutte quattro le funzioni. E’ quindi inevitabile che una o più di
queste rimangano scarsamente sviluppate e che una di esse prevalga sulle altre orientando il modo di
percepire della coscienza. Poiché si tratta di due coppie di opposti, la funzione meno sviluppata
sarà la funzione opposta a quella che prevale nella coscienza e si chiamerà funzione inferiore.

La salute fisica e psichica dipende dalla capacità dell’individuo di sviluppare la funzione
trascurata e dalla consapevolezza che per giungere all’armonia le quattro funzioni devono
integrarsi.

Sulla base di questi studi, Jung definì otto tipi psicologici:

1) Il tipo pensiero estroverso ha regole fisse e principi universalmente validi. Si basa sulla
realtà dei fatti materiali e su un principio di ordine.

2) Il tipo pensiero introverso si basa su fattori soggettivi. I fatti così come sono hanno scarsa
importanza, mentre ha valore l’idea soggettiva.

3) Il tipo sentimento estroverso è perfettamente inserito nel suo ambiente, è interessato al
successo e al riconoscimento sociale; è volubile e soggetto alle mode.

4) Il tipo sentimento introverso è inaccessibile. Ha grande talento per l’arte, per la musica e la
poesia; è enigmatico, profondo e misterioso.

5) Il tipo sensazione estroverso dà valore ai fatti oggettivi; è capace di godere delle cose e delle
situazioni in modo piacevole e attivo, tende però a sviluppare ossessioni e dipendenze.

6) Il tipo sensazione introverso si nutre di impressioni sensoriali e si cala nelle proprie
sensazioni interne. Ha uno spiccato senso estetico, è spesso assorto nei suoi pensieri e
generalmente ha scarse capacità artistiche.

7) Il tipo intuizione estroverso ha la capacità di “fiutare”, nelle situazioni, lo sviluppo di
eventuali prospettive; è spesso carismatico e sa imporsi soprattutto nelle situazioni di crisi.
Cerca sempre nuove possibilità ed è insofferente nelle situazioni stabili.

8) Il tipo intuizione introverso è legato alle dinamiche interiori; è sognatore, un po’ eccentrico,
ha molta fantasia; rimanda all’immagine dell’artista genialoide ma incompreso.

I diversi tipi entrano spesso in relazione tra di loro e ognuno, inconsciamente, delega all’altro la
cura della propria funzione inferiore.

Il concetto di individuazione

Con il termine individuazione, Jung intende il cammino verso la realizzazione del Sé. Individuarsi,
quindi, significa diventare un essere singolo, ovvero attuare pienamente il proprio Sé.

Il percorso per l’individuazione è per lo più inconscio – a meno che non si ricorra alla
psicoterapia – e corrisponde alla messa in atto di tutte le qualità che un individuo può realizzare
spontaneamente. Nel caso di una terapia analitica prevede alcune tappe:

La conoscenza dell’ombra, cioè la conoscenza dell’altra parte di noi che, sebbene sembri invisibile,
fa parte della nostra totalità. Jung definisce l’ombra una figura archetipica che incarna tutte le
qualità nascoste e meno accettate della personalità. Anche per l’ombra esistono due dimensioni:
quella individuale e quella collettiva. La prima è strettamente connessa alla nostra storia
personale; la seconda, invece, contiene i tratti oscuri comuni a tutta l’umanità che si manifestano,
a seconda dell’epoca in cui si vive, con le caratteristiche peculiari dell’epoca stessa. Conoscere
l’ombra significa quindi ritirare le proiezioni, non solo quelle individuali ma anche quelle
collettive, non sentirsi più estraniati dalla vita ma parte integrante della stessa.

Il recupero del polo opposto, cioè l’incontro con l’Anima per l’uomo e con l’Animus per la donna.
Anima ed Animus rappresentano ciò che viene sempre parzialmente rimosso nella personalità, quindi
recuperando le due figure transessuali la donna si porrà di fronte al principio di Logos e l’uomo a
quello di Eros. Sul piano biologico Anima e Animus rappresentano i geni opposti alla nostra identità
sessuale. Conoscere questo aspetto significa completare ed amplificare la psiche a vantaggio
dell’identità totale.

Quando il lato oscuro e quello transessuale sono arrivati alla coscienza, può avvenire il
congiungimento dell’inconscio con il conscio ed il soggetto può orientarsi alla meta finale del
processo di individuazione: il Sé. La nascita del Sé corrisponde alla scoperta di quel punto
centrale che riesce ad equilibrare gli opposti psichici; si pone come entità autonoma rispetto
all’Io ed offre a quest’ultimo una visione del mondo meno limitata, amplificando la coscienza in
direzione della sua universalità.

Per spiegare il principio del Sé, Jung fa una parallelismo con il processo alchemico. Gli antichi
alchimisti infatti, si proponevano di trasformare la materia grezza in oro filosofale: nella Nigredo
alchemica Jung vede il confronto con l’ombra, nella Albedo il confronto con gli archetipi dell’Anima
e dell’Animus e nell’Opus la scoperta della coscienza integrata del Sé.

Il grande messaggio che la psicologia analitica junghiana ci ha lasciato è quello di diffidare
costantemente dell’unilateralità operativa delle funzioni psicologiche della mente, sia sul piano
individuale che su quello collettivo. Con l’uso dell’intelletto l’uomo si è illuso di poter dominare
la Natura credendo di soddisfare tutti i suoi bisogni: materiali ed emotivi. In realtà lo sviluppo
unilaterale del pensiero razionale e l’eccessiva tecnicizzazione hanno portato ad abusare delle
risorse naturali e hanno generato profonde insicurezze emotive. Ciò significa che l’uomo deve
iniziare a confrontarsi con le funzioni opposte, deve ritrovare il contatto con il suo inconscio per
recuperare il senso di totalità, deve capire che malgrado si illuda di dominare la natura, in realtà
ne è vittima essendosi allontanato troppo dagli aspetti irrazionali della psiche, che sono i soli
che possono permettere un rapporto non ambivalente con ciò che ci precede sul piano della realtà.
“Non ci sono più Dei da invocare per aiutarci”. E’ quindi necessario riascoltare le voci interiori,
quelle che Jung ha individuato nel senso più profondo del Sé come fattori omeostatici in grado di
equilibrare le funzioni psichiche.

La sincronicità

Il termine “sincronicità” è un concetto junghiano che indica la correlazione tra fatti esteriori e
interiori che apparentemente non hanno tra loro alcun significato casuale. L’idea di sincronicità
come principio di nessi acausali è ancora oggi da considerarsi assai originale. Non stupisce quindi
che, all’epoca, pur essendo già stata presa in considerazione da Schopenauer (e prima ancora
introdotta da Alberto Magno e da Avicenna e accennata da Leibniz) potesse essere considerata un po’
eretica.

Abbiamo visto come l’osservazione clinica e l’esperienza personale indussero Jung a supporre
l’inconscio come depositario di un sapere anteriore ad ogni elaborazione cosciente, concordando con
la posizione dello scienziato vitalista Hans Driesch.

Le prime formulazioni esplicite compiute da Jung sulla questione sincronicità si collocano intorno
al 1925; le approfondirà in seguito attraverso il contatto con il pensiero filosofico orientale,
oltre che con la riflessione su sorprendenti avvenimenti della sua stessa vita, sfuggenti ad ogni
interpretazione razionale. Per esempio, Jung ricorda un singolare fenomeno accaduto nell’ambito di
una seduta analitica: la corrispondenza tra l’evocazione di uno scarabeo apparso in sogno e
l’apparizione reale di uno “scarabeide”, la Cetonia aurata, alla finestra della stanza in cui si
svolgeva la seduta. L’emergenza simbolica aveva avuto il potere di sbloccare una situazione psichica
irrigidita nelle maglie del razionalismo esasperato della paziente. Jung racconta inoltre di essersi
trovato di fronte dei pesci, in varie forme concrete, in un periodo in cui era vivamente attratto
dal simbolo del pesce, sul quale evidentemente convergevano sia l’impegno dello studio che una più
profonda attività psichica, straordinariamente coeva al concretizzarsi di apparizioni apparentemente
occasionali eppur pertinenti al corso interiore della sua vita in quella fase.

Nel suo saggio “La sincronicità”, del 1952, Jung afferma che i cinesi sono i precursori di questa
idea, in quanto da tempo immemorabile la loro filosofia si fonda su un concetto centrale denominato
Tao (che i gesuiti hanno tradotto in Dio). Richard Wilhelm ha interpretato genialmente Tao con il
senso di scopo. Nel famoso Tao Te Ching, Lao Tze lo definisce “il Nulla” perché non compare in sé
per sé nel mondo sensoriale, ma ne è soltanto l’ordinatore. Chi ha intuito, dice Chaung Tze, “usa il
suo occhio interiore, il suo orecchio interiore per penetrare le cose e non ha bisogno di una
conoscenza intellettuale”. Qui si allude evidentemente al sapere assoluto dell’inconscio, cioè alla
presenza nel microcosmo di eventi macrocosmici. Grazie alla sua natura microcosmica, l’uomo è un
figlio del cielo, cioè del macrocosmo.

Oltre allo studio delle diverse filosofie, Jung si avvalse della collaborazione di un geniale
scienziato – Wolfang Pauli – per elaborare una teoria che affiancasse quindi al principio di
causalità quello finalistico, introducendo così, anche in campo psicologico, le teorie e i pensieri
che già cominciavano a scardinare le basi della scienza moderna e della chimica in particolare.
Tutti gli avvenimenti vengono così inquadrati in modo da consentire collegamenti significativi fra
di loro sia in senso verticale (causali) che orizzontale o, se si preferisce, trasversale, cioè
sincronici. Il concetto di casualità viene quindi ad essere rivisto e ridimensionato fino a poter
essere anche radicalmente eliminato dal contesto. I collegamenti sincronici si vengono infatti a
situare in uno spazio-tempo che implica una sorta di unicità del Tutto, che richiama la filosofia di
Bruno e degli alchimisti alessandrini, e senza cui l’intera teoria sembra priva di senso: in questa
dimensione “il caso” e “il destino” sono parole da ridefinire. Mentre le coincidenze significative
si basano sul concetto junghiano già definito di fondamento archetipico.

Tutto questo ebbe un’enorme rilevanza teorica per le scienze esoteriche: finalmente venne data una
spiegazione moderna, scientifica, del funzionamento delle tecniche mantiche, escludendo l’ipotesi di
poco verificabili e non meglio definiti “fluidi” astrali. Non è un caso che sia stato proprio Jung
ad introdurre e a tradurre l’I Ching in occidente. E che sempre Jung si sia cimentato fin dal 1952
in verifiche statistiche sugli aspetti Sole-Luna-Ascendente delle coppie sposate, così come erano
riportati dalla tradizione tolemaica.

Questo approccio così razionale alla metafisica è alla base di tutta la moderna psicosomatica (come
rapporto sincronico fra corpo e psiche), anche se, in fondo, non è che un recupero di un antico
pensiero iniziatico di origine orientale che, almeno fino al XVIII secolo, non era ancora stato
sconfitto dal positivismo scientista europeo.

David Richo, nel suo libro Quando le cose non accadono per caso, definisce il principio di
sincronicità come “fenomeno della coincidenza significativa”:

“E’ una rassomiglianza, una congiuntura, una corrispondenza o connessione tra qualcosa presente
fuori e qualcosa che ha luogo dentro di noi. In qualsiasi normale coincidenza, gli eventi sono
correlati tra loro grazie al significato più che a una legge di causa-effetto, e tuttavia ciò può
non considerarsi ancora una manifestazione di sincronicità, bensì puro e semplice sincronismo.
L’evento diventa sincronistico allorché stabilisce un nesso significativo con gli scopi
dell’esistenza o favorisce il progresso del destino personale in modo da consentirci di mostrare
amore, vedere con saggezza e risanare noi stessi e il nostro mondo. Tutte le coincidenze sono
collegate dal significato, ma la sincronicità si palesa quando tale significato attiene
all’evoluzione personale. E’ uno sprone improvviso, insito nell’attimo cruciale, nel senso che ci
incita a proseguire e si verifica senza preavviso. Inoltre si presenta al momento giusto – giusto
non solo nel senso di tempestivo, ma anche perché fa parte della giustizia dell’Universo inviarci
esattamente ciò di cui necessitiamo per foggiare il nostro destino, o esserne foggiati.”

Riassumendo, possiamo individuare tre tipi di sincronicità:

1) Coincidenza di uno stato psichico con un evento esterno contemporaneo corrispondente allo stato o
contenuto psichico stesso. Per esempio, a livello astrologico, il transito di un pianeta può
esplicitare all’esterno, tramite un accadimento oggettivo, una situazione psicologica interiore. Ciò
è evidentemente spiegabile non certo con il principio della causalità (nel senso che non è “colpa”
del pianeta), ma con quello del sincronismo.

2) Coincidenza di uno stato psichico con un evento esterno corrispondente, il quale però si svolge
al di fuori della sfera di percezione dell’osservatore e quindi, distanziato nello spazio, come tale
può essere verificato solo successivamente.

3) Coincidenza di uno stato psichico con un evento corrispondente non ancora esistente, futuro,
quindi distante nel tempo.

Jung e l’Alchimia

Jung ebbe l’innegabile merito di riscoprire l’Alchimia e darle una nuova dignità ai nostri giorni.
Quest’arte spirituale, oltre che pratica, si era adattata facilmente alla mistica islamica, ebraica
e cristiana, mentre era stata ferita a morte dalla progressiva laicizzazione del mondo: non è
possibile infatti, pensare ad un’Alchimia senza un Dio.
Sebbene Jung pubblicasse il suo grande lavoro sull’Alchimia poco dopo la fine della seconda guerra
mondiale, già nel 1912 scriveva a Freud che la loro divinità Sophia (la Sophia degli Gnostici)
sarebbe ben presto tornata a far parlare di sé…
Nel 1926 fece un sogno in cui si vedeva nel XII secolo, nei panni di un Alchimista, intento alla
Grande Opera. Nel 1928 un famoso sinologo, Richard Wilhelm, mandò a Jung la sua traduzione di un
trattato alchemico cinese, “Il segreto del Fiore d’Oro”, chiedendo allo psicologo un’introduzione:
finalmente Jung aveva trovato il ponte che avrebbe riportato la Sophia gnostica tra gli uomini
moderni. Quel ponte era l’Alchimia.

Egli cominciò a mettere insieme una delle più complete biblioteche sull’argomento, insieme alle
miniature che ornavano i codici alchemici. Nel 1941, in occasione di una conferenza data in
occasione dell’anniversario della morte di Paracelso, egli parlò dell’Alchimia come via di
redenzione e, come il suo più antico connazionale, Jung disse di credere nella Luce Divina
proveniente da Dio e dalla Luce di Natura, cioè a quella energia nascosta negli elementi naturali di
cui solo gli Alchimisti conoscono il segreto per riuscire a trattarla e ad utilizzarla. La
premonizione di mezzo secolo prima sul ritorno della Sophia si era realizzata, e il “mago svizzero”
non poté che essere soddisfatto quando Pio XII, nel 1950, proclamò il dogma dell’assunzione di Maria
(la Sophia cattolica) con immagini alchemiche.
Jung cominciò a trovare corrispondenze tra la sua psicologia analitica e l’alchimia medievale,
proprio perché quest’ultima aveva trovato la modalità di riunire gli opposti. Studiando i simboli
alchemici, arrivò alla conclusione che molti di questi erano simili alle immagini archetipiche che
apparivano nei sogni.

Questa scienza ermetica (dal nome del suo scopritore Ermete Trismegisto) aveva lo scopo di combinare
le sostanze al fine di trasformare i metalli grezzi in oro. Lo scopo degli alchimisti, però,
consisteva nel trasformare i metalli in “oro filosofico” il che equivale a dire che, per loro, la
trasformazione doveva avvenire sul piano spirituale. L’agente catalizzatore di questo processo
(fisico e spirituale) è la Pietra Rossa – o Pietra Filosofale o Lapis – che è in grado di
trasformare il piombo in oro e l’uomo in superuomo.

Esistono varie classificazioni delle operazioni alchemiche. Una delle più importanti è quella che
tiene conto della colorazione dei metalli: Nigredo o annerimento (Saturno), Albedo o candeggiamento
(Luna), Rubedo o arrossamento (Sole). Queste tre fasi sono collegate al liberarsi della forma
iniziale (Nigredo), alla purificazione o incorporamento dello spirito (Albedo) ed infine alla
manifestazione dello spirito sulla Terra (Rubedo).

Lo studio dei principi alchemici portò Jung ad individuare nella figura di Cristo il Lapis, cioè il
prodotto dell’unità degli opposti divini, arrivando alla comprensione che l’obiettivo degli
alchimisti era sì quello di redimere gli uomini, ma anche quello di liberare la Divinità
imprigionata nelle tenebre della materia. Accostò dunque il processo di individuazione al lavoro
alchemico, laddove sia il paziente che l’Alchimista intraprendono un viaggio interiore che serve ad
illuminare e a portare alla coscienza le tenebre interiori o quelle della materia.

I materiali che cuociono e distillano hanno un’analogia con la psiche. Ad esempio Jung interpretò
l’Argento (Luna) come tenace e suscettibile, il Ferro (Marte) come coraggioso e appassionato, il
Rame (Venere) come costante e sensuale, lo Stagno (Giove) come onesto e altero, il Piombo (Saturno)
come distaccato e crudele. Considerò poi quella di Mercurio una natura sfuggente, che con i suoi
vapori velenosi ed invisibili copre i pericoli, gli inganni e i sotterfugi dell’operazione
alchemica. Lo spirito di Mercurio, però, è la figura centrale attraverso cui si rende possibile
l’unione alchemica degli opposti.

Il rapporto con l’occulto

Jung mantenne sempre un rapporto privilegiato con l’occulto e i suoi fenomeni. Certamente questa
propensione derivava dalle sue capacità intuitive che gli consentivano di avere premonizioni di
fatti che dovevano ancora accadere. A questo proposito, sono note alcune sue celebre visioni, poi
avveratesi, come quella di essere stato assalito dall’immagine di una persona che stava annegando;
arrivò a casa sconvolto, e seppe che suo nipote aveva rischiato di annegare nel lago, cadendo dalla
barca. Ad un pranzo di matrimonio Jung iniziò a parlare di psicologia criminale raccontando una
storia dettagliata e particolareggiata, e si accorse che intorno era sceso un gran silenzio;
successivamente fu rimproverato da un amico per aver reso pubblica la storia dell’uomo con cui stava
parlando, di cui lui nulla conosceva. Ancora, nel 1944 si fratturò una gamba e di conseguenza cadde
in diversi stati di incoscienza che lo portarono quasi vicino alla morte; ebbe molti deliri e anche
un’esperienza extracorporea. In uno di questi momenti il medico che lo seguiva gli intimò di tornare
in sé; Jung fu molto contrariato dal fatto di non essere morto e informò il medico di averlo visto
nella sua “forma originaria” il che, spiegò, significava che il medico sarebbe morto al posto suo.
Il dottore pensò ovviamente che quella di Jung fosse un’allucinazione, ma quello stesso giorno, il 4
aprile del 1944, si mise a letto e non si rialzò più; morì di setticemia.

L’accettazione di questi fenomeni spiritici e telepatici, provati personalmente, insieme con le
esperienze che verificava nei suoi pazienti, lo portarono studiare e ad approfondire lo studio della
divinazione. Jung cominciò a parlare di “psicologia della religione” individuando una serie di
collegamenti tra la prima fase, quella che definì arcaica, caratterizzata dalla presenza degli
sciamani, dei guaritori e dei saggi; a questa prima fase seguì quella delle civiltà antiche,
caratterizzata dai profeti, dai sacerdoti e dai medici; infine l’era cristiana con i suoi mistici,
teologi e filosofi. Tutti questi personaggi, se pur inseriti in fasi diverse della storia, avevano
in comune l’esperienza interna della Divinità, quella che Jung chiamava “l’esperienza del Numinoso”.

Studiando i rituali delle diverse civiltà, constatò quanto questi fossero fondamentalmente uguali:
lo smembramento sacrificale degli sciamani che abbandonavano il corpo cominciando un pellegrinaggio
visionario in cui provavano malattia-tortura-morte-rinascita, lo ricondussero alla passione di
Cristo, ma anche al viaggio dell’anima dopo la morte presente nel Buddismo tibetano, nel Libro della
Morte egizio e in molte altre religioni. In altre parole Jung sostenne che queste esperienze
spirituali di morte e rinascita, mostravano il processo del divenire in un Tutto attraverso il
sacrificio e, secondo lui, il rituale della messa cattolica nasceva dagli stessi processi psichici
che sottostavano agli antichi riti pagani. In esso, il Mistero dell’Eucaristia trasforma l’anima
dell’uomo, e il Cristo rappresenta l’archetipo del Sé, ovvero la totalità della personalità che
supera ed include l’uomo comune, e che nella mistica cristiana includeva originariamente anche
l’Ombra dell’uomo; in seguito la Chiesa Cattolica sviluppò un’immagine di Cristo che comprendeva
solo la parte luce.

Il lungo studio sulla figura del Cristo e sull’era dei Pesci, portò Jung alla conclusione che il
pensiero occidentale moderno aveva eliminato “l’immaginazione mitopoietica”, facendo crollare il
ponte spirituale che univa gli opposti. Nell’ultima parte della sua vita, l’opera di Jung si
concentrò appunto nel tentativo di trovare un metodo che riunisse il metodo scientifico e
l’immaginazione mitopoietica. Questa aspirazione arrivò nel momento in cui ritenne di essere
finalmente riuscito a riunire le sue due personalità, potendo finalmente convogliarle in un progetto
comune utile a tutta la comunità occidentale.

Il 6 giugno 1961, Jung muore a Kusnacht.

Una scritta scolpita nella pietra sopra la sua porta diceva:

“Vocatus atque non vocatus, Deus aderit” (Invocato o non invocato, Dio verrà).

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Interventi di:

Lidia Fassio

Margherita Fiorello

Geneviéve Jama

Angelo Lo Presti

Nazzarena Marcheggiani

Maria Teresa Mazzoni

Mary Olmeda

Bianca Pescatori

Giovanni Pelosini

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