CARL GUSTAV JUNG – parte 1

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CARL GUSTAV JUNG

a cura di Anna Rita Fabbri

parte 1

La vita

Carl Gustav Jung nasce a Kesswill, in Svizzera il 26 luglio del 1875.
La sua infanzia è abbastanza malinconica e un po’ strana. Figlio unico di un pastore protestante,
avverte fin da piccolo un profondo senso di solitudine (nel TN il Sole è in VII casa quadrato a
Nettuno), ma forse proprio questa solitudine lo aiuta a contattare precocemente la sua creatività.

Celebre è il passo di “Ricordi Sogni Riflessioni”, in cui Jung fa alcune considerazioni seduto su
una pietra vicino alla propria casa, quella che egli considerava la sua pietra, e che dimostrano la
straordinarietà del suo pensiero fin dagli anni dell’infanzia:

“Spesso, quando ero solo, andavo a sedermi su quella pietra e cominciava allora un gioco fantastico,
pressappoco di questo genere: Io sto seduto sulla cima di questa pietra e la pietra è sotto, ma
anche la pietra potrebbe dire ‘Io’ e pensare: Io sono posata su questo pendio ed egli è seduto su di
me. Allora sorgeva il problema: sono io quello che è seduto sulla pietra, o io sono la pietra sulla
quale egli siede? Problema ch’era sempre il mio assillo, e allora solevo alzarmi chiedendomi chi,
ora, fosse qualcosa. La risposta era tutt’altro che chiara, e brancolavo nel buio, buio che però
stranamente mi affascinava. Non nutrivo dubbi che la pietra non fosse in qualche oscuro rapporto con
me, e potevo sederci su per ore, affascinato dal suo enigma.”

Il piccolo Jung fu da subito immerso nella religiosità della sua famiglia. Infatti non solo il
padre, ma anche otto zii e il nonno materno erano pastori protestanti. Fin dai primi anni di vita,
quindi, fu abituato a seguire sermoni, preghiere e a frequentare le chiese e i cimiteri. Tutto ciò
lo portò a porsi degli interrogativi sulla natura di Gesù.

Racconta, ancora, in “Ricordi Sogni Riflessioni”:

“Nel vicino cimitero il becchino aveva scavato una fossa, ammucchiando la terra bruna sconvolta;
uomini neri e solenni, paludati in lunghe finanziere, con strani cappelli a cilindro e stivaletti
neri e lucidi, portavano una cassa nera, e c’era mio padre, che indossava l’abito talare, e parlava
con voce sonora, mentre intorno le donne piangevano. Mi avevano detto che qualcuno stava per essere
sepolto in quella fossa. Persone che prima si erano viste nei dintorni improvvisamente sparivano, e
allora sentivo dire che erano state seppellite e che il Signore Gesù le aveva chiamate a sé.”

Da queste immagini, nella sua visione infantile, il piccolo Jung identificava Gesù come colui che
“prende con sé le persone e poi le infila nelle buche sottoterra”.

Egli ha sempre sostenuto che la sua vita intellettuale ebbe inizio intorno ai tre anni con un sogno
molto particolare a cui diede spiegazione solo molti anni più tardi. Sognò di scendere sottoterra,
passando attraverso una fossa lunga e buia, che lo condusse in una grande stanza con al centro un
tappeto rosso sul quale era situato un enorme e meraviglioso trono d’oro con sopra uno strano essere
seduto. Quando fu in grado di dare una spiegazione a questo sogno, capì che lo strano essere seduto
era un enorme fallo. Sempre da “Ricordi Sogni Riflessioni”:

“Era un trono splendido, un vero trono regale come in un racconto di Fate! Sul trono c’era qualcosa,
e a tutta prima pensai che fosse un tronco d’albero, di circa quattro o cinque metri di altezza e
cinquanta centimetri di diametro. Era una cosa immensa, che quasi toccava il soffitto, composta
stranamente di carne nuda e di pelle, e terminava in una specie di testa rotonda, ma senza faccia,
senza capelli, e con solo – proprio in cima – un unico occhio, che guardava fisso verso l’alto.

(…) Quello strano corpo non si muoveva, eppure io avevo la sensazione che da un momento all’altro
potesse scendere dal trono e avanzare verso di me strisciando come un verme. Ero paralizzato dal
terrore, quando sentii la voce di mia madre, proveniente dall’esterno, dall’alto della stanza, che
diceva ‘Sì, guardalo! Quello è il divoratore di uomini!’. Ciò mi spaventò ancora di più, e mi
svegliai, in un bagno di sudore, con una paura da morirne.

(…) Questo sogno mi ossessionò per anni, e solo molto tempo dopo capii che ciò che avevo visto era
un fallo, e passarono decenni prima che capissi che era un fallo rituale.

(…) In ogni caso, il fallo di questo sogno sembra essere una divinità sotterranea da non nominare, e
tale rimase per tutta la mia giovinezza, e riappariva solo quando qualcuno parlava con troppa enfasi
di Gesù. Il Signore Gesù per me non divenne mai del tutto reale, né del tutto accettabile e degno di
amore, perché sempre mi si ripresentava al pensiero la sua figura sotterranea, la paurosa
rivelazione che mi era stata concessa senza che la cercassi.”

Analizzando questo sogno, egli arrivò ad ipotizzare un collegamento con il cannibalismo che, secondo
lui, era insito nel rito dell’eucaristia; comprese che il fallo non era altro che una grandissima e
potente forza oscura, incredibilmente creativa, e passò buona parte della sua vita ad indagare
questa forza.

Il piccolo Jung trascorreva ore nella biblioteca paterna cercando di scoprire qualcosa sul mistero
che sentiva esistere al suo interno: si tormentava con una serie di domande sulla vita e sulla
morte, ma aveva tuttavia una grande certezza, quella che in lui ci fosse qualcosa di eterno che
doveva riuscire a contattare. Il nonno materno si interessava di spiritismo e spesso partecipava a
sedute spiritiche in cui parlava con la prima moglie morta, alla presenza della seconda moglie (la
nonna di Jung) e della figlia (la madre di Jung). Fin da piccolo, quindi, venne in contatto con il
mondo dell’occulto e dello spiritismo, attraverso la figura della madre, spesso imprevedibile e
misteriosa che, forse proprio per i suoi contatti con questo mondo, appariva al piccolo Carl
misteriosa ed inquietante.

Probabilmente fu proprio l’incontro tra le due parti della natura umana – l’eccessivo dogmatismo
protestante del padre e l’interesse per lo spiritismo e l’occultismo della madre – a portarlo a
riflettere costantemente su quelle due parti di sé che chiamò “Personalità n. 1” e “ Personalità n.
2”.

La Personalità 1 era quella di tutti i giorni: sensibile, indisciplinata e a volte molto infantile
tanto era emozionabile; questa personalità però era anche quella ambiziosa che voleva realizzarsi
nella vita accademica, nella scienza, acquisendo uno status sociale di tutto rispetto. La
Personalità 2 era definita “l’altro”, ed era quella che Jung identificava con il segreto della
pietra e con l’illuminazione del sogno; era quella, ancora, che gli portava i significati che
traevano sostanza dal mondo arcaico del passato. Egli associava la Personalità 1 al padre, e la 2 al
mondo misterioso della madre, identificandola in un omino vestito di nero, che aveva intagliato nel
legno, deposto in un astuccio in soffitta e a cui confessava e scriveva i suoi segreti. La lotta per
cercare di riconciliare le due Personalità durò praticamente tutta la vita.

All’età di 12 anni imparò cosa fosse una nevrosi: ebbe una serie di svenimenti che preoccuparono
molto suo padre, anche perché i medici fecero una diagnosi di epilessia. Jung invece riuscì a
sconfiggere la malattia con la forza di volontà e, proprio dopo la guarigione, ebbe un’altra
esperienza illuminante:

“Percorrevo, per andare a scuola, la lunga strada da Klein-Huningen, dove abitavamo, a Basilea,
quando, improvvisa ebbi – per un breve momento – la straordinaria impressione di essere appena
emerso da una nuvola. Tutt’a un tratto mi dissi: ora sono davvero me stesso! Era come se una coltre
di nebbia fosse alle mie spalle, e dietro di essa non ci fosse ancora un ‘Io’.

In quel momento io nacqui a me stesso. Prima ero esistito, certamente, ma avevo solo subito gli
avvenimenti: adesso ero io stesso l’avvenimento che mi capitava. Ora ero certo di essere me stesso,
ero certo di esistere.”

Da quel momento Jung cominciò ad identificarsi molto di più con la Personalità 1, allontanandosi
gradualmente dall’altra: studiava, faceva sport, diventò atletico, ironico e cominciò ad avere molto
successo con le donne. La scelta universitaria fu difficile: i suoi grandi interessi erano la
scienza e la filosofia. Dopo aver lungamente pensato si iscrisse alla facoltà di Medicina di
Basilea. Due anni dopo suo padre morì e Jung temette, a causa dei problemi economici che ciò
comportava, di non poter proseguire gli studi, ma fortunatamente gli venne in aiuto uno zio che con
il suo appoggio economico gli consentì di terminare l’università.

Jung fu uno studente molto brillante: parallelamente alla medicina studiava anche la filosofia e in
particolare i suoi autori preferiti, Nietche e Kant. In quegli anni riaffiorarono in lui l’interesse
per l’occultismo ed il mondo paranormale, interessi sempre finalizzati a cercare di avvicinarsi al
massimo della comprensione dell’animo umano, che esercitava su di lui un enorme fascino. Partendo
dallo studio di Kant, egli ipotizzò che esistessero due strade che l’anima poteva percorrere: una
verso il mondo “reale” e l’altra verso quello “spirituale”; sentiva questo molto vicino a tutto ciò
che aveva da sempre vissuto attraverso le sue due personalità. Ipotizzò poi la possibilità che i
fenomeni paranormali – quelli che consentivano di superare od alterare lo spazio-tempo – potessero
rappresentare qualcosa di molto preciso legato all’anima; pensò che sarebbe stato molto utile
studiare l’ipnosi, lo spiritismo, la chiaroveggenza, la telepatia e la parapsicologia, pur non
sapendo ancora come fare per indagare queste discipline.

Sempre in quel periodo, un’altra illuminazione lo portò a studiare psichiatria: l’incontro con
Krafft-Ebing, infatti, lo scosse profondamente fino ad accendergli il desiderio di studiare questa
materia.

Dopo la scelta di iscriversi a Psichiatria, Jung sentì di avere trovato un trait d’union tra i fatti
biologici e quelli spirituali; gli sembrò all’improvviso di poter mettere insieme ciò che per tanto
tempo non era riuscito ad unire. Le conferme non gli mancarono. In quel periodo, infatti, accaddero
in casa sua alcune esperienze che lo indussero a rivolgersi a una medium per cercare un collegamento
tra alcuni fatti straordinari (un tavolo che si spezzò in mezzo con un grande botto, una lama di
coltello in frantumi) e la morte del padre. In seguito a questi episodi cominciò a frequentare
sedute spiritiche che alcuni suoi parenti facevano ogni sabato sera. Sua cugina Helene, che aveva
come spirito guida il padre Samuel, durante le sedute incorporava lo spirito di una donna di nome
Ivenes. Anche se Jung si accorse ben presto che sua cugina si era presa una cotta per lui, e che
inscenava una serie di manifestazioni per attirare la sua attenzione, continuò comunque a ritenere
possibile l’esistenza di fenomeni spiritici e continuò a pensare che la psichiatria avrebbe potuto
spiegarli.

A questo proposito dobbiamo considerare che la psichiatria della fine dell’800 era ben diversa da
quella che conosciamo oggi; non era così disgiunta dalla dimensione paranormale, era più aperta, e
utilizzava anche delle vere e proprie “trovate” per cercare di spiegare tali fenomeni. Lo studio
della psiche intesa come anima, era visto da molti come legato ai fenomeni di psichismo e di
spiritismo. La Società per la ricerca sullo psichismo fu fondata nel 1882, per dar prova che la
psiche era immateriale e non dipendeva dal corpo.

In quegli anni Jung incontrò Charcot, un famosissimo neurologo dell’Ospedale psichiatrico di Parigi,
il quale sosteneva che l’inconscio era coinvolto nei casi di paralisi. Fin dalla metà dell’800 si
era giunti a conoscenza che esistessero delle “zone oscure” della mente subliminale; si era quindi
ipotizzato uno stato di inconscio capace di condizionare la coscienza fino a bloccarla. Già da
alcuni anni Freud aveva scoperto una via d’accesso all’inconscio attraverso la psicanalisi; si era
interessato molto di ipnosi, per poi abbandonarla, preferendole un metodo di libere associazioni che
potesse permettere al paziente di richiamare alla coscienza ricordi rimossi, riferiti a fatti
traumatici accadutigli. Freud studiava i sogni, il significato dei lapsus e delle dimenticanze, come
tutte vie che potevano portare ad aprire una porta sull’inconscio.

Nonostante l’occultismo continuasse ad avere grande successo, l’approccio non spiritualistico di
Freud ebbe un grande impatto sulla psicologia del XX secolo. Questo sarà uno dei tanti dissidi con
Jung che, invece, nonostante la formazione di quegli anni fosse di stampo materialistico, non perse
mai l’interesse per il mondo dell’occultismo. Prova ne è che la sua tesi di dottorato fu proprio
sulle sedute spiritiche: con l’aiuto degli studi di Janet, Jung investigò sua cugina che in stato di
trance si trasformava in Ivenes; egli ipotizzò che dei frammenti di inconscio potevano apparire in
un’altra personalità sotto forma di allucinazione oppure, come accadeva durante le sedute, potevano
giungere ad impadronirsi della mente cosciente. La conclusione di questo studio fu quella che
l’inconscio era capace di “compensare” le attitudini consce con una “intenzionalità” e uno “scopo”
solo a lui noto. L’energia psichica quindi, secondo la tesi di Jung, aveva una propria funzione
teleologica.

Nel dicembre del 1900, Jung iniziò il suo tirocinio da psichiatra nell’Ospedale Burghoizii, che era
la clinica universitaria di Zurigo. Il Direttore era il dott. Bleuler – il più famoso psichiatra
svizzero – che fu definito da Jung come “autoritario con lo staff, ma molto comprensivo con la
malattia mentale”. I Medici erano tutti interni. Più che in una clinica sembrava di essere in un
monastero.

E’ in questo momento che Jung si trovò a vivere all’improvviso con il mondo della follia. Lavorò
nella clinica universitaria per circa nove anni, partecipando ad un programma pionieristico di
psicologia – condotto dal dott. Bleuler – sui problemi della dementia praecox, ribattezzata
successivamente “schizofrenia” dal dott. Bleuler stesso. Fino a quel momento la maggior parte degli
psichiatri riteneva che la schizofrenia fosse dovuta a una degenerazione del cervello di origine
puramente neurologica e organica: il dott. Bleuler invece – aperto sostenitore delle teorie di Freud
sull’inconscio e sulla formazione psicogenetica dei disturbi mentali – cercava di prevenire la
cronicizzazione della malattia, con terapie di analisi basate sulla comprensione della personalità
del paziente. Fu proprio sotto la guida di Bleuler che Jung mise a punto le tesi sulle associazioni
di parole e, da questo studio, nacque la sua teoria sui complessi. Scoprì infatti che le
associazioni di parole erano connesse con emozioni inconsce che, proprio perché tali, formavano
complessi di diverso genere.

Le ricerche di quegli anni diedero a Jung una fama internazionale. Nel 1905 iniziò ad insegnare
psichiatria e fu nominato Primario della Clinica Psichiatrica dell’Università di Zurigo. Cominciò
però ben presto ad interessarsi di psicanalisi, abbandonando totalmente la psicologia sperimentale
che, a suo parere, non aveva nulla da dare. Sempre di quegli anni è il matrimonio con Emma, donna
molto bella e colta, figlia di un industriale. Fu proprio la stabilità economica di lei a dare a
Jung la libertà per continuare il proprio lavoro e le proprie ricerche. La coppia si stabilì a
Zurigo ed ebbe cinque figli.

Nel 1911, Jung conobbe Antonia Wolff che diventò la sua amante. La relazione durò praticamente fino
alla morte di lei, nel 1952. Questo menage a tre fu molto complesso da portare avanti, anche perché
sia Emma che Antonia, essendo entrambe analiste, lavoravano con lui.

Emma studiò moltissimo i miti di Re Artù. Molto interessante è la sua ricerca sul significato del
Sacro Graal, ricerca che fu portata avanti dopo la sua morte dalla sua allieva Marie Luoise Von
Franz.

continua…

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