ALLUCINOGENI E CERVELLO

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ALLUCINOGENI E CERVELLO

di Flavia Busatta

Benché ancor oggi i botanici non sappiano quante specie di piante vi siano sulla terra, il loro
numero sembra superi le 800.000 di cui circa 200.000 sono angiosperme, ovvero piante che portano
fiori; di queste ultime circa 3.000 specie sono state utilizzate per l’alimentazione umana, ma oggi
il numero va velocemente riducendosi tanto che solo 150 circa sono oggetto di commercio mondiale e
praticamente 12 o 13 sono coltivate su scala così vasta da “allontanare” lo spettro della fame.

Anche per le piante “allucinogene” – per quel che se ne sa gli esseri umani utilizzano solo membri
della famiglia dei funghi e delle angiosperme – possiamo tracciare un percorso analogo: si pensa che
vi siano almeno 5.000 piante contenenti alcaloidi, tuttavia vengono utilizzate solo circa 150
specie, ivi comprese le fanerogame e le crittogame. Di queste solo una ventina hanno diffusione
significativa e solo quattro sono commerciate su scala mondiale: l’oppio, la coca, il tabacco e la
canapa. A parte la canapa, le altre tre sono cultivar, ovvero sconosciute allo stato selvatico il
che indica un’antica associazione con le culture umane. Questa associazione tra piante
“allucinogene” e culture umane è anche la causa dell’enorme diffusione di tali specie nelle
Americhe, dal momento che anche altre piante, meno diffuse, come ad esempio la Brugmansia, non
crescono spontaneamente.

Considerando l’enorme numero dei composti organici è significativo che le sostanze psicotomimetiche
appartengano a pochi modelli strutturali. Uno dei più importanti sono le strutture dell’indolo,
sempre sotto forma di derivati della triptammina, della feniletilammina, del tropano, del
isossazolo. Tale specificità è certamente spiegabile con il fatto che questi composti sono simili
come struttura chimica a mediatori chimici del cervello di primaria importanza. I farmaci
psicoattivi esercitano la loro azione sui punti di connessione tra particolari cellule cerebrali
situate in determinate aree del cervello. La massa della sostanza cerebrale è costituita da due tipi
di cellule: i neuroni, caratterizzati da un prolungamento caratteristico, detto assone (l’estremità
del nervo), che permette loro di entrare in contatto con altri neuroni anche molto distanti, e la
glia che fornisce anche un supporto metabolico ai neuroni. La proprietà più importante dei neuroni è
quella di trasmettere informazioni: pensieri e sensazioni non sono altro che il frutto della
“discussione” chimica che i più di 10 miliardi di neuroni hanno tra loro. La terminazione assonica,
infatti, può suddividersi in un numero molto elevato di ramificazioni – anche più di 10.000 –
ciascuna delle quali può prendere contatto con i ricettori di un diverso neurone ricevente,
trasmettendo il segnale. Le terminazioni nervose entrano in contatto con altri neuroni o
direttamente sul corpo cellulare o, più spesso, su un altro tipo di prolungamento della cellula, il
dendrite. Convenzionalmente un impulso nasce nel dendrite e procede nel corpo cellulare e lungo
l’assone tramite un meccanismo di natura prevalentemente elettrochimica attraverso un flusso e
riflusso di ioni sodio (Na+) e potassio (K+) secondo un meccanismo di trasmissione on-off. Il modo
in cui l’impulso elettrico, che si propaga lungo l’assone, viene trasmesso alle cellule nervose
adiacenti che sono separate da un minimo intervallo – lo spazio sinaptico – richiede l’utilizzo di
sostanze chimiche, dette neurotrasmettitori.

La neurotrasmissione è un processo chimico tramite il quale, in corrispondenza della terminazione
nervosa, l’impulso elettrico scatena la liberazione (formazione) di una sostanza chimica, il
neurotrasmettitore, che diffonde attraverso lo spazio sinaptico tra la terminazione stessa e il
neurone adiacente. La maggior parte dei neurotrasmettitori viene sintetizzata all’interno della
terminazione nervosa da cui si libera, altri però possono essere sintetizzati nel corpo cellulare e
trasportati lungo l’assone alla terminazione sinaptica. Una volta sintetizzati i neurotrasmettitori
sono immagazzinati in piccole strutture sferiche, le vescicole sinaptiche, all’interno della
terminazione nervosa; quando giunge l’impulso elettrico le vescicole si fondono con la membrana
esterna della terminazione e riversano nello spazio sinaptico le molecole del neurotrasmettitore che
si legano a recettori specifici presenti sui dendriti del neurone sinaptico, con un meccanismo
chiave serratura. Una volta all’interno della sinapsi, dunque, la molecola di neurotrasmettitore
dovrebbe attraversarla e legarsi a recettori specifici presenti sui dendriti del neurone
postsinaptico. I recettori sono proteine di membrana conformate in modo da riconoscere la loro
specifica molecola di neurotrasmettitore. L’interazione neurotrasmettitore recettore innesca nella
membrana sinaptica l’apertura dei canali per gli ioni Na+, K+, Cl-, il cui passaggio attraverso le
membrane provoca l’eccitazione o l’inibizione della cellula nervosa. È l’interazione tra
neurotrasmettitore e recettore che conferisce specificità al processo sinaptico che è un processo di
breve durata : non appena si ha l’interazione il neurotrasmettitore viene tolto di mezzo liberando
il sito per la successiva ondata di neurotrasmettitore e alla trasmissione di un nuovo impulso
nervoso. Il destino del neurotrasmettitore può però anche quello di essere reinviato dentro l’assone
che lo ha emesso grazie alla presenza sulla membrana nervosa di un sito che riconosce uno specifico
neurotrasmettitore e che attiva un sistema enzimatico che, consumando energia, risucchia il
neurotrasmettitore all’interno dell’assone. In altri casi è la glia che si incarica di rimuovere il
neurotrasmettitore. In una neurotrasmissione vi sono poi presenti altre molecole e interazioni
cellulari, denominate “secondi messaggeri” perché intervengono tra il messaggio originario e il suo
effetto finale sulla cellula nervosa, messaggeri che traducono il riconoscimento del
neurotrasmettitore da parte del ricettore in una alterazione della velocità di eccitazione e
nell’attività metabolica generale del neurone.

Tra i più importanti “messaggeri secondari” ricordiamo l’AMP ciclico (adenosin-3’,5’-monofosfato),
il GTP (guanosintrifosfato) e i fosfoinositidi. Le sostanze psicoattive possono agire sulla
trasmissione sinaptica in diversi modi: poiché tutti i neurotrasmettitori sono formati a partire da
precursori in presenza di enzimi, un farmaco che inibisse anche uno di tali enzimi impedirebbe la
formazione del neurotrasmettitore. Un esempio sono i farmaci ipotensivi che bloccano la produzione
di noradrenalina Altri farmaci invece hanno una struttura chimica simile a quella del
neurotrasmettitore e sono in grado di penetrare le vescicole sinaptiche cacciandolo fuori nello
spazio sinaptico, esemplari sono le amfetamine che liberano noradrenalina e dopamina. Altri agenti
inibiscono invece gli enzimi che degradano il neurotrasmettitore aumentandone concentrazione nello
spazio sinaptico, un meccanismo di azione tipico di alcuni antidepressivi. Infine alcune sostanze
somigliano talmente chimicamente al neurotrasmettitore da imitarne l’effetto sui recettori o
occupando direttamente il sito e impedendone l’accesso al neurotrasmettitore stesso.

Il cervello umano è diviso in aree, alcune più recenti nella scala evolutiva, altre antichissime,
cioè presenti anche in animali inferiori; queste parti del cervello hanno funzioni diverse e i
neuroni sono organizzati in circuiti che inviano e indirizzano i messaggi in differenti aree. La
corteccia cerebrale è sede della percezione, del pensiero logico e di certe componenti dell’attività
motoria, le aree extrapiramidali sotto la corteccia integrano l’informazione per ottenere il
movimento che viene coordinato dal cervelletto, il talamo trasmette le sensazioni alla corteccia
cerebrale, il sistema limbico, una delle parti più antiche del cervello, dà coloritura emotiva a
percezioni e pensieri, mesencefalo, ponte di Varolio e midollo allungato dirigono funzioni
fondamentali per la vita come il respirare o il battito cardiaco.

Il sistema limbico in particolare comprende diverse strutture collocate immediatamente sotto la
corteccia cerebrale e ha connessioni nervose con molte altre parti del cervello; alcune di queste
connessioni si uniscono all’ipotalamo, una parte del cervello strettamente collegata con l’ipofisi,
una ghiandola fondamentale per la secrezione ormonale. Queste connessioni fanno sì che i nostri
stati “emotivi” possano alterare i livelli ormonali di tutto il corpo preparandolo a “fuggire” o ad
“aggredire” in caso di necessità. I legami nervosi con la corteccia cerebrale colorano di
“sensibilità” i processi mentali. Si suppone che, tra le varie strutture del sistema limbico,
l’amigdala sia la causa prima dei comportamenti emotivi, come regolatrice dell’ipotalamo e
dell’ipofisi. Un’importante via nervosa invia i suoi assoni dall’amigdala all’ipotalamo, mentre dal
locus ceruleus, i cui neuroni utilizzano la noradrenalina come neurotrasmettitore, invia reti di
terminazioni nervose nell’amigdala stessa. Un’importanza del sistema limbico nella definizione degli
stati emotivi si può osservare marcando sostanze oppiacee e seguendone il percorso cerebrale: le
varie strutture del sistema limbico contenevano i più elevati addensamenti dei ricettori degli
oppiati, una concentrazione che era altissima anche nel locus ceruleus.

Negli anni Sessanta, studiando le attività di sostanze psichedeliche o allucinogene sul cervello
Kjell Fuxe e Annica Dahlström cercarono di definire quali erano le vie contenenti la serotonina e
scoprirono che tutte le terminazioni che nel cervello la utilizzavano avevano origine dai “nuclei
del rafe”. I neuroni contenenti serotonina, nei nuclei del rafe, danno origine ad assoni che salgono
e si ramificano nel cervello, ma in particolare nel sistema limbico. George Aghajanian (1970) scoprì
che dosi anche bassissime di LSD, una sostanza presente nei semi della Turbina corymbosa (Ipomea
sidaefolia) facevano arrestare l’eccitamento dei neuroni contenenti la serotonina nei nuclei del
rafe, ma nessun altro neurone delle vicinanze rispondeva allo stesso modo. Benché anche psilocibina,
psilocina – presenti nei funghi Psilocybe o “funghi sacri” mazatechi – e dimetiltriptammina,
presente nella Virola (l’epená degli yanomami), agissero nello stesso modo, la mescalina non
presentava un analogo rallentamento uniforme nella velocità di eccitamento dei neuroni dei nuclei
del rafe. Studiando non solo i neuroni dei nuclei del rafe contenenti serotonina, ma anche quelli
del locus ceruleus contenenti noradrenalina e che forniscono la maggior parte dell’input neuronale
di questo neurotrasmettitore in tutto il cervello egli si accorse che gli psichedelici influivano
sul locus ceruleus e dimostrò che gli stimoli sensoriali (olfatto, udito, vista, gusto e tatto)
acceleravano l’eccitazione dei neuroni del locus ceruleus e che questa eccitazione è notevolmente
potenziata dal trattamento con LSD o mescalina.

Le sostanze allucinogene tuttavia non fanno eccitare spontaneamente i neuroni del locus ceruleus in
assenza di stimoli sensoriali, per cui si può supporre che esse interagiscano con un insieme
differente di neuroni che stabiliscono un contatto diretto con il locus. Poiché il locus ceruleus è
un meccanismo a “imbuto” che integra tutti i messaggi sensoriali in un sistema di eccitazione
generalizzato all’interno del cervello, la sua eccitazione farà provare sensazioni che travalicano i
confini delle differenti modalità percettive: un fenomeno chiamato sinestesia. La sinestesia è
quella particolare percezione per cui, ad esempio nelle allucinazioni da peyote (mescalina), si
“sente” la luce dell’alba “cantare” o si “vedono” i colori dei suoni e del contatto. Anche il “senso
di sé”, che spesso conferiscono le sostanze allucinogene e che le rendono fondamentali nei riti di
passaggio iniziatici, è probabilmente legato all’eccitazione dei neuroni del locus ceruleus e alla
liberazione, in tutto il cervello, di una potente dose di noradrenalina che creerebbe un’azione
allertante molto più pronunciata di quella posta in essere dalle anfetamine. Questa azione
allertante spiegherebbe lo stato mentale “trascendente”, cioè quello stato di consapevolezza elevata
che permetterebbe di scoprire l”io interiore”. Il dolore possiede analoghi effetti di stimolazione
dei siti recettori del cervello e di emissione di serotonina e noradrenalina: trance per
autotortura, tipiche degli indiani delle pianure come la Danza del Sole, o di molti santi cattolici,
hanno motivazioni “chimiche” analoghe a quelle delle sostanze allucinogene. Gli allucinogeni,
infatti, esplicano potenti effetti sui ricettori S,, (5- HT2) della serotonina collocati nel SNC,
nei vasi della muscolatura liscia, nel tratto gastrointestinale, nei polmoni e nelle piastrine
(trombociti) e sono coinvolti nella contrazione della muscolatura liscia gastrointestinale e
vascolare, nell’aggregazione delle piastrine, nell’ipertensione, nelle emicranie e nella
depolarizzazione neuronale. Derivati dell’acido lisergico sono perciò utilizzati come farmaci
antiemicranici (melati di metisergide), stimolanti uterini e vasocostrittori (ergotamina,
ergocristina, ergonovina). Il sito S, e la serotonina giocano anche un grande ruolo nel morbo di
Alzheimer dove le funzioni dei siti recettori vi appaiono molto ridotte.

Bibliografia

Snyder, S. H., Fannaci, droghe e cervello, 1989, Bologna;
Schultes, R.E., Hofman, A., Botanica e chimica degli allucinogeni, 1983, Roma;
Altrove n’1-2-3, rivista del SISSC, Torino.

fonte: Hakomagazione n.9

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