La scienza del Kriya yoga XXVI da Autobiografia di uno Yoghi

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La Scienza del Kriya Yoga XXVI

Tratto da < Autobiografia di uno Yoghi >

di Paramahansa Yogananda

(Edizioni Astrolabio)

CAPITOLO XXVI

LA SCIENZA DEL KRIYA YOGA

La scienza del Kriya Yoga, così spesso citata in queste pagine, è
divenuta molto nota nell’India moderna ad opera di Lahiri
Mahasaya, il Guru del mio Guru. La radice verbale sanscrita di
Kriya è Kri, fare, agire, reagire; la stessa radice si trova
nella parola Karma, il principio naturale di causa-effetto. Kriya
Yoga perciò significa “unione (yoga) con l’Infinito attraverso
una data azione o rito (Kriya)”. Uno yoghi che ne segua
scrupolosamente la tecnica viene gradualmente liberato del Karma,
la catena della legge di causa-effetto e delle sue azioni
equilibranti.

In obbedienza a certe antiche regole yoghiche, non posso dare una
spiegazione completa del Kriya Yoga in un libro destinato al
pubblico. La tecnica effettiva va imparata da un Kriyaban o
Kriya-Yoghi autorizzato dalla SRF-YSS; qui dovrà bastare un ampio
cenno.

Il Kriya Yoga è un metodo semplice, psicofisico mediante il quale
il sangue umano viene purificata dell’anidride carbonica e
risaturato di ossigeno. Gli atomi di questo ossigeno in sovrappiù
si tramutano in correnti di vita per ringiovanire il cervello e i
centri spinali. Fermando l’accumularsi del sangue venoso, lo
yoghi può diminuire o interrompere il logorio dei tessuti; uno
yoghi molto progredito tramuta le sue cellule in pura energia.
Elia, Gesù, Kabír e altri profeti antichi furono maestri
nell’usare il Kriya o una tecnica simile, mediante la quale
riuscivano a smaterializzare i loro corpi a volontà.

Il Kriya è un’antica scienza. Lahiri Mahasaya la ricevette dal
suo Guru Babaji, che ne riscoprì e delucidò la tecnica perdutasí
nelle età oscure. Babaji la ribattezzò semplicemente Kriya Yoga.
“Il Kriya Yoga che attraverso te io do al mondo in questo
diciannovesimo secolo”, disse Babaji a Lahiri Mahasaya, “è la
stessa scienza, riesumata, che Krishna diede migliaia d’anni fa
ad Arjuna, e che in seguito fu conosciuta da Patanjali e Cristo,
da San Giovanni, San Paolo e da altri suoi discepoli”.

Krishna, il più grande profeta dell’India, si riferisce al Kriya
Yoga in due versetti della Bhagavad Gita: “Immettendo respiro
inalante nel respiro esalante, e respiro esalante nel respiro
inalante, lo yoghi neutralizza entrambi questi respiri; così egli
sottrae prana al cuore e lo porta sotto il suo controllo`. Ciò
s’interpreta nel modo seguente: Calmando l’attività dei polmoni e
del cuore, lo yoghi arresta la decadenza del corpo, e arresta
altresì le alterazioni di crescita nelle cellule mediante il
controllo di apana (la corrente eliminatoria). Neutralizzando
così il logorio e lo sviluppo, lo yoghi acquista il controllo
della forza vitale.

Un altro versetto della Gita dice: “Si rende libero in eterno
quell’esperto di meditazione (muni) che, cercando la Mèta
Suprema, è capace di ritrarsi dai fenomeni esterni fissando lo
sguardo nel punto centrale fra le sopracciglia e neutralizzando
le correnti uniformi di prana e di apana nelle narici e nei
polmoni, e di dominare la propria mente sensoria e l’intelletto,
nonché di rendersi libero dai desideri, dal timore e dall’ira”.

Krishna riferisce anche che fu lui, in una precedente
incarnazione, a comunicare l’indistruttibile yoga a un antico
illuminato, Vivasvat, che lo passò a Manu. Questi a sua volta
istruì Ikshwaku, fondatore della solare dinastia guerriera
dell’India. Passando così dall’uno all’altro, lo yoga regale fu
custodito dai rishi fino al sorgere dell’era materialistica. Poi,
per la segretezza dei sacerdoti e l’indifferenza degli uomini la
sacra sapienza divenne a poco a poco inaccessibile.

Il Kriya Yoga è citato due volte dall’antico saggio Patanjali,
principale esponente dello yoga, il quale scrisse: “Il Kriya Yoga
consta di disciplina corporea, controllo mentale e meditazione
sull’Aum (Om, Amen). Patanjali parla di Dio come del reale Suono
Cosmico Om che s’ode nella meditazione. Om è la parola Creativa,
il suono del Motore Vibratorio, il testimone della Divina
Presenza. Perfino colui che appena s’inizia allo yoga, spesso
riesce ben presto a percepire nel suo intimo il suono
meraviglioso dell’Om. Ricevendo questo sublime incoraggiamento
spirituale, il devoto ha la sicurezza di essere realmente in
rapporto con i reami divini.

Patanjali si riferisce una seconda volta al controllo vitale, o
tecnica Kriya, nel modo seguente: “La liberazione può essere
raggiunta mediante quel pranayama a cui si arriva separando i
processi dell’inspirazione e dell’espirazione “.

San Paolo conosceva il Kriya Yoga o una tecnica molto simile, con
la quale poteva immettere o togliere le correnti vitali nei
propri sensi. Per questo poteva dire: “Io muoio ogni giorno; sì,
per la gloria di voi, ch’io ho in Cristo Gesù, nostro Signore”.
Con un metodo per accentrare nel proprio interno tutta la forza
vitale corporea (che ordinariamente è diretta solo verso
l’esterno, cioè verso il mondo dei sensi, conferendo in tal modo
a quest’ultimo la sua apparente validità), San Paolo viveva
giornalmente una vera unione yoghica con la “gloria”
(beatitudine) della Coscienza Cristica. In questo stato di
felicità egli era conscio d’essere morto all’inganno sensorio di
maya.

Nel primo stadio della divina unione (sabikalpa samadhi), la
coscienza del devoto si immerge nello Spirito Cosmico; la sua
forza vitale è sottratta al corpo che appare “morto”, cioè
immobile e rigido. Lo yoghi è pienamente conscio del suo stato di
animazione sospesa del corpo. Progredendo però verso più alti
stadi spirituali (nirbikalpa samadhi) egli comunica con Dio senza
la fissità del corpo e mantenendo desta la sua coscienza normale,
anche nel mezzo delle attività e delle mansioni terrene.

“Il Kriya Yoga è uno strumento mediante il quale l’evoluzione
umana può essere affrettata”, spiegava Sri Yukteswar ai suoi
allievi.

“Gli antichi yoghi scoprirono che il segreto della Coscienza
Cosmica è intimamente legato alla padronanza del respiro. Questo
è il contributo impareggiabile e immortale che l’India ha
apportato al patrimonio di conoscenze del mondo. La forza vitale,
che normalmente viene assorbita dal compito di sostenere il
pulsare del cuore, deve essere liberata per svolgere attività più
elevate, con l’aiuto di un metodo per acquietare le incessanti
esigenze del respiro”.

“Il Kriya Yoghi dirige mentalmente la propria energia vitale
facendola rotare in su e in giù, attorno ai sei centri spinali (i
plessi midollare, cervicale ‘ dorsale, lombare, sacrale e
coccigeo) che corrispondono ai dodici segni astrali dello
Zodiaco, il simbolico Uomo Cosmico. Mezzo minuto di rivoluzione
dell’energia intorno alla spina dorsale dell’uomo determina
sottili progressi nella sua evoluzione; quel mezzo minuto di
Kriya equivale a un anno di naturale sviluppo spirítuale.

Il sistema astrale di un essere umano, con sei (dodici a causa
della polarità) costellazioni interiori che girano intorno al
sole dell’onnisciente occhio spirituale, è in rapporto col sole
fisico e con i dodici segni dello zodiaco. Tutti gli esseri umani
subiscono così l’influenza di un universo interiore e di uno
esteriore. Gli antichi rishi scoprirono che l’ambiente terreno e
quello celeste dell’uomo lo sospingono innanzi in cicli di dodici
anni sul suo naturale sentiero. Le Scritture dicono che all’uomo
occorre un milione d’anni di evoluzione normale esente da
malattie per perfezionare il suo cervello somatico in modo tale
da poter esprimere la Coscienza Cosmica.

Mille Kriya eseguiti in otto ore e mezzo danno allo yoghi, in un
sol giorno, l’equivalente di mille anni di evoluzione naturale;
365.000 anni di evoluzione in un anno. In tre anni, un Kriya
Yoghi può così ottenere, con un proprio intelligente sforzo, lo
stesso risultato che la natura concede in un milione d’anni.
S’intende che la scorciatoia del Kriya può essere presa solamente
da yoghi profondamente evoluti. Con la guida di un guru, tali
chela hanno accuratamente preparato il loro corpo e la loro mente
per poter sopportare l’enorme potenza generata dalla pratica
intensiva di questa tecnica.

Il principiante Kriya Yoghi esegue il suo esercizio solo da
quattordici a ventiquattro volte, due volte al giorno. Alcuni
yoghi giungono alla liberazione in sei, dodici, ventiquattro o
quarantotto anni.

Uno yoghi che muore prima di aver raggiunto la piena
realizzazione, porta con sé il buon Karma del suo precedente
sforzo Kriya; nella nuova vita egli sarà sospinto verso la Mèta
Infinita.

Il corpo dell’uorno comune è come una lampada da cinquanta watt,
che non può sostenere i miliardi di watt di energia suscitati da
una eccessiva pratica del Kriya. Mediante un aumento graduale e
regolare del semplice e “comprovato” metodo del Kriya, il corpo
umano si trasforma astralmente giorno per giorno, e alla fine è
capace di sostenere quel potenziale infinito di energia cosmica
che costituisce la prima espressione materialmente attiva dello
Spirito.

Il Kriya Yoga non ha nulla in comune con gli ascientífici
esercizi di respirazione insegnati da alcuni zelanti male
informati. I tentativi di trattenere per forza il fiato nei
polmoni sono contro natura, e inoltre decisamente spiacevoli. Il
Kriya invece è accompagnato fin dall’inizio da un senso di pace
ritemprante, e dà sensazioni calmanti nella spina dorsale, che
producono un effetto rigenerante.

Questa antica tecnica yoghica trasforma il respiro in sostanza
mentale. Con l’evoluzione spirituale si diviene capaci di
conoscere il respiro quale atto mentale: un respiro di sogno.

Si potrebbero dare numerosi esempi del rapporto matematico tra il
ritmo respiratorio di un essere umano e le variazioni dei suoi
stati di coscienza. Una persona la cui attenzione è completamente
assorbita da qualche intricato argomento intellettuale, o da
qualche delicato o difficile atto fisico, automaticamente respira
con molta lentezza. La fissità dell’attenzione si unisce alla
lentezza del respiro; una respirazione accelerata o irregolare
inevitabilmente accompagna stati emotivi dannosi come la paura,
la lussuria, la collera. La scimmia irrequieta respira trentadue
volte al minuto.

L’elefante, la tartaruga, la serpe e altri animali noti per la
loro longevità, hanno un ritmo respiratorio più lento di, quello
dell’uomo. La tartaruga gigante, per esempio, che vive fino ai
300 anni, respira solo quattro volte al minuto.

Gli effetti ristoratori del sonno sono dovuti al fatto che l’uomo
perde temporaneamente la coscienza del proprio corpo e della
respirazione. L’uomo che dorme diventa uno yoghi; ogni notte egli
compie inconsciamente il rito yoga di liberarsi
dall’identificalzione col proprio corpo, e di fondere la forza
vitale con le correnti risanatrici nella regione principale del
cervello e nelle sei sotto-dinamo dei centri spinali. Il
dormiente attinge in tal modo, senza saperlo, al serbatoio di
energia cosmica che alimenta tutta la vita.

Lo yoghi volontario attua un processo semplice e naturale in modo
cosciente, invece che inconsciamente come fa colui che dorme. Il
Kriya Yoghi usa la sua tecnica per saturare e alimentare tutte le
cellule del suo corpo con una luce immortale, serbandole così
spiritualmente magnetizzate. Scientificamente, egli rende inutile
il respiro senza tuttavia entrare, durante la pratica, negli
stati negativi del sonno, dell’incoscienza o della morte.

Negli uomini soggetti a maya, la legge naturale, il flusso
dell’energia vitale è diretto verso il mondo esterno; le correnti
vengono sprecate e male utilizzate nei sensi. La pratica del
Kriya inverte la direzione del loro fluire; la forza vitale viene
mentalmente ricondotta verso il cosmo interiore e si riunisce
alle sottili energie spinali. Con tale rafforzamento della forza
vitale, il corpo e le cellule cerebrali dello yoghi vengono
rinnovati da un elisir spirituale.

Il cibo adatto, la luce solare e i pensieri armoniosi produrranno
l’autorealizzazione nell’uomo che sottosta unicamente alle leggi
della Natura e del suo piano divino, solo in un milione d’anni.
Occorrono dodici anni di normale vita sana per produrre anche il
più lieve affinamento percettibile nella struttura cerebrale, e
si richiedono un milione di cicli solari per affinare la
struttura cerebrale in modo che possa esprimere la coscienza
cosmica. Un Kriya Yoghi può tuttavia sottrarsi, per mezzo di una
scienza spirituale, alla necessità di un lungo periodo di
scrupolosa osservanza delle leggi naturali.

Sciogliendo il legame del respiro che incatena l’anima al corpo,
il Kriya prolunga la vita e allarga la coscienza all’infinito. La
tecnica yoga supera l’eterna lotta esistente fra la mente e i
sensi legati alla materia, e rende il devoto libero di rientrare
in possesso della sua eredità del regno eterno. Egli riconosce
allora che il suo vero essere non è incatenato né all’involucro
fisico, né al respiro, simbolo dell’asservímento dei mortali
all’aria, alle coercizioni elementari della natura.

Padrone della mente e del corpo, il Kriya Yoghi consegue alla
fine la vittoria sull’ultimo nemico”: la Morte. Così ti nutrirai
di morte, che d’uomini si ciba; E, morta la Morte, non vi sarà
più il morire. L’introspezione, lo “stare nel silenzio”, è una
maniera ascientifica di tentar di dividere la mente dai sensi,
legati gli uni all’altra dalla forza vitale. La mente
contemplativa che cerca di effettuare il suo ritorno alla
divinità, viene costantemente trascinata indietro verso i sensi
dalle correnti vitali. Il Kriya, che controlla la mente
direttamente attraverso la forza vitale, è la via più facile,
efficace e scientifica per giungere all’Infinito. A differenza
del lento e incerto “carro a buoi” della via teologica verso Dio,
il Kriya Yoga può essere giustamente detto la via aerea”.

La scienza yoga è basata sull’esame pratico di tutte le forme di
esercizi di concentrazione e meditazione. Lo Yoga permette al
devoto di inserire e interrompere a volontà la corrente vitale
nei sensi, i cinque “telefoni” della vista, dell’udito,
dell’odorato, del gusto e del tatto. Avendo raggiunto questa
facoltà di distacco dai sensi, lo yoghi troverà facile immergere
l’anima a volontà nei reami divini o nel mondo della materia.
Egli non è più costretto dalla forza vitale a rientrare suo
malgrado nella sfera terrena delle sensazioni turbolente e dei
pensieri irrequieti.

La vita d’uno yoghi già progredito è influenzata non dagli
effettidelle azioni passate, ma solo dalle direttive date
dall’aníma. Il devoto evita così la lenta azione evolutiva svolta
dagli effetti delle azioni egoistiche, buone e cattive, della
vita comune: educatori, questi, incomodi e tardi come lumache per
chi ha il cuore d’aquila.

Questo metodo superiore di vita dell’anima rende libero lo yoghi,
il quale, svincolato dalla prigione dell’ego, respira l’aria
libera dell’onnipresenza. La schiavitù della vita naturale segue,
al confronto, un ritmo umiliante. Conformando la propria vita
solo a un ordine di evoluzione naturale, l’uomo non può esigere
dalla natura alcuna remissione di tempo: pur vivendo senza
contravvenire alle leggi che governano le sue facoltà fisiche e
mentali, egli avrà bisogno ancora per un milione d’anní circa, di
prendere travestimenti vari reincarnandosi, prima di conoscere
l’emancipazione finale.

I metodi telescopici per mezzo dei quali uno yoghi si libera
delle identificazioni fisiche e mentali a favore
dell’individualità dell’anima, si addicono a chi si ribella alla
prospettiva di attendere migliaia e migliaia d’anni. Questo
panorama numerico si allarga ancora per l’uomo comune che non
vive in armonia né con la natura, né con la propria anima, e
insegue invece complessità innaturali, offendendo così nel corpo
e nei pensieri la dolce sanità della natura. Per lui, due milioni
d’anni saranno scarsamente sufficienti per condurlo alla
liberazione.

L’uomo rozzo si rende conto solo raramente, e forse mai, che il
suo corpo è un regno governato dall’Anima, Imperatrice assisa sul
trono del cranio, la quale ha dei reggenti sussidiari nei sei
centri spinali o sfere di coscienza. Questa teocrazia si estende
su una folla di sudditi ubbidienti: ventisettemila miliardi di
cellule munite di sicura, sebbene apparentemente automatica,
intelligenza, mediante la quale esse assolvono tutti i loro
compiti per lo sviluppo, la trasformazione e la dissoluzione del
corpo, e cinquanta milioni di pensieri-base, di emozioni e
variazioni di fasi che si alternano nella coscienza umana in una
vita media di sessant’anni.

Ogni apparente insurrezione delle cellule fisiche o mentali
contro l’Anima Imperatrice, sotto forma di malattia o di
depressione, non è dovuta a slealtà degli umili cittadini, ma
all’uso inopportuno, passato o presente, che l’uomo fa della
propria individualità, o del libero arbitrio, donatogli
simultaneamente all’anima e mai più revocabile.

Identificando se stesso con un ego superficiale, l’uomo ritiene
per certo d’essere lui che pensa, vuole, sente, digerisce
alimenti e si conserva vivo; non riflette mai (e di riflessione
ne basterebbe poca!), che nella vita d’ogni giorno egli non è che
un burattino manovrato dalle sue azioni passate (Karma), dalla
natura e dall’ambiente. In ogni uomo, le reazioni intellettive, i
sentimenti, gli stati d’animo e le abitudini sono il corollario
di cause passate, da ricercarsi sia nella sua vita attuale, sia
in quelle precedenti.

Intoccabile, tuttavia, e al di sopra di tali influenze sta la sua
anima regale. Disdegnando le verità e libertà transitorie, il
Kriya Yoghi trascende ogni disillusione per giungere al suo
Essere finalmente libero. Tutte le Scritture dichiarano che
l’uomo non è un corpo corruttibile, ma un’anima immortale; nel
Kriya egli possiede un metodo preciso per attestare la verità
delle Scritture.

“I riti esteriori non possono distruggere l’ignoranza, perché non
sono in contrasto con essa” scrisse Shankara nel suo famoso
Century of Verses. «Solo la conoscenza realizzata distrugge
l’ignoranza… La conoscenza non può scaturire se non dalla
ricerca. – Chi sono io? Come è nato questo universo, chi lo ha
fatto? Qual è la sua causa materiale? Questo è il genere di
domande e di ricerche cui si allude”. L’intelletto non ha
risposte per tali quesiti; perciò i rishi svilupparono lo yoga
quale tecnica di ricerca spirituale.

Il vero yoghi, negandosi integralmente – mente, volontà e
sentimento – alle false identificazioni coi desideri del corpo,
unendo la ropria mente alle forze supercoscienti nei sacrari
spinali, vive in questo mondo come Dio ha stabilito, non
costretto da impulsi del passato né dalle stoltezze di nuovi
moventi umani. Un tale yoghi ha appagato il Desiderio Supremo ed
è giunto sano e salvo al porto finale dell’inesauribile beato
Spirito.

Riferendosí alla sicura e metodica efficacia dello yoga, Krishna
loda lo yoghi che pratica le tecniche, con le seguenti parole:
“Lo yoghi è più grande degli asceti che si sottopongono alla
disciplina corporea, più grande anche di coloro che seguono il
sentiero della saggezza (Jnana Yoga), o il sentiero dell’azione
(Karma Yoga); sii tu, o discepolo Arjuna, uno Yoghi!”.

Il Kriya Yoga è il vero ‘rito del fuoco’ spesso esaltato nella
Bhagavad Gita. Lo yoghi getta le sue brame umane in un
monoteistico falò dedicato all’impareggiabile Iddio: questa è la
vera, yoghica cerimonia del fuoco; cerimonia in cui tutti i
desideri presenti e passati sono combustibili che si consumano
nel fuoco dell’amore divino. L’Ultima Fíamma accoglie il
sacrificio di tutta l’umana follia, e l’uomo si libera così da
ogni scoria. Scarnite metaforicamente le sue ossa dalla desiosa
carne, sbiancato il suo scheletro karmico dall’antisettico sole
della saggezza, alla fine egli è purificato, non più atto a
offendere né l’uomo, né il Creatore.

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