I poteri nascosti del suono

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I poteri nascosti del suono

di Monica Marelli da Newton

01 giugno 2001

Musica? Parole? Macché. Le onde acustiche possono servire a mille usi non sonori: creare energia,
azionare frigoriferi, scoprire esplosivi, ridurre il grasso corporeo.

Abbassa il volume, se no si congela tutto. Scusa, aumenta i decibel perché mi serve più luce: il
concerto acquatico deve innescare la fusione. Sembrano frasi senza senso, vero? Eppure questo offre
la scienza che si occupa dell’invisibile mondo delle onde sonore: frigoriferi ecologici che non
hanno bisogno dei famigerati gas buca-ozono, sensori che “annusano” esplosivi, apparecchi per
rompere i calcoli renali. Le onde acustiche infatti trasportano suoni e parole all’orecchio umano
ma, quando cambia la loro energia, eccole trasformarsi in potenti fonti energetiche. Così producono
luce, calore, energia nucleare e diventano perfino “termometri” delle profondità oceaniche. La luce
acustica.

Una delle più promettenti fonti di energia pulita del futuro è racchiusa in un vaso pieno d’acqua
dove le onde sonore solleticano bolle d’aria. Sembra un gioco, invece è ciò che accade sui banchi da
laboratorio che sperimentano il fenomeno della sonoluminescenza. Questa venne osservata per la prima
volta nel 1934 da fisici tedeschi dell’Università di Colonia, che scelsero di non approfondire gli
studi perché ritennero poco interessante dal punto di vista pratico il fatto di poter ricavare luce
dal suono. Ecco perché soltanto oggi gli scienziati ricominciano a parlare e a “giocare” con la
sonoluminescenza: hanno finalmente compreso le sue enormi potenzialità. Alcuni ricercatori, infatti,
sostengono che dopo una migliore comprensione del fenomeno (che ha ancora parecchi aspetti
inspiegabili) si potrebbe sfruttare la sonoluminescenza per ottenere la fusione nucleare in modo
semplice e pulito. Ed ecco come i suoni possono trasformarsi in luce e calore.

Riscaldando un contenitore pieno d’acqua, si provoca la creazione di cavità di vapore, formate
dall’aria disciolta nell’acqua. Quando queste bolle vengono investite dalle onde sonore, cominciano
a vibrare rapidamente, secondo il fenomeno della cavitazione [l’esperimento è descritto nel box a
pag. 128]. La compressione causata dalle onde sonore fa restringere enormemente la bolla fino al
limite fisico che impedisce ulteriori avvicinamenti tra le molecole di gas e improvvisamente, per
motivi ancora da chiarire del tutto, la bolla implode emettendo un lampo di luce: l’energia sonora è
stata trasformata in energia luminosa. All’occhio umano la luce emessa dall’ampolla di vetro appare
continua, ma in realtà è costituita da un insieme di tanti impulsi luminosi, un po’ come se la
sonoluminescenza consistesse in un’esplosione di “pop-corn di luce”, come ha dimostrato il fisico
Seth J.

Putterman, della University of California a Los Angeles (Ucla). Grazie a un fotomoltiplicatore (un
dispositivo che raccoglie la luce e ne aumenta in modo proporzionale la quantità, un po’ come una
lente fa con le parole di un libro), Putterman ha scoperto che i lampi, in buona parte costituiti da
luce ultravioletta, sono molto regolari e non durano più di 40 picosecondi (un millesimo di
miliardesimo di secondo). Per ragioni ancora ignote, l’aggiunta di gas nobili (tipo elio, argo o
xeno) fa aumentare moltissimo l’intensità della luce emessa. Non esiste ancora una spiegazione
completa del fenomeno: Paul Roberts dell’Ucla, sulla base delle ipotesi elaborate dal fisico tedesco
Karl Guderley durante la seconda guerra mondiale, ritiene che sia fondamentale il ruolo della
ionizzazione del gas.

In pratica il gas che rimane intrappolato all’interno della bolla viene attraversato dalle onde
d’urto provocate dalle altre bolle: in questo modo si scalda così tanto che i suoi elettroni
acquistano l’energia per staccarsi dai propri atomi, ma poi collidono e vengono ricatturati,
restituendo l’energia cinetica (che avevano ricevuto “in regalo” dalle onde d’urto) sotto forma di
luce. L’applicazione più promettente della sonoluminescenza riguarda la fusione nucleare, cioè la
produzione di energia dall’unione di nuclei “leggeri” (come l’idrogeno), esattamente come avviene
all’interno del Sole e delle altre stelle, che si sostengono bruciando idrogeno proprio attraverso
la sua fusione. Arricchendo l’acqua con deuterio (un isotopo dell’idrogeno, cioè che ha
caratteristiche fisiche identiche a quest’ultimo ma un neutrone in più), i fisici hanno calcolato
che la bolla potrebbe restringersi fino a 10 nanometri (miliardesimi di metro) e innescare la
fusione del deuterio stesso. Gli atomi di gas delle bolle, infatti, sarebbero così compressi che la
sonoluminescenza potrebbe risolvere il costoso problema del confinamento (cioè del loro
avvicinamento a distanze infinitesime) dei nuclei da fondere. Data la loro carica positiva, infatti,
i protoni tendono a respingersi e confinarli richiede molta energia. Così, a quanto sembra,
nell’immediato futuro il suono potrebbe portare il cuore bollente delle stelle in un cilindro
d’acqua.

Un naso elettronico che ascolta gli esplosivi. Le onde sonore possono trasformarsi anche in “nasi
elettronici” che avvisano della presenza di particolari sostanze chimiche. Succede grazie a un
sensore messo a punto dal Department of Energy dei Sandia National Laboratories americani:
combinando le prestazioni elettroniche con quelle meccaniche di speciali materiali, permette di
condurre l’analisi chimica di decine e decine di sostanze in pochi minuti. Inoltre, l’apparecchio ha
le dimensioni di un libro ed è collegabile ai computer portatili. Ogni microsensore è grande quanto
un chicco di riso e un insieme di quattro o cinque di essi può essere costruito su un chip non più
grande di un bottone da camicia, tanto che ai Sandia Laboratories si divertono a mostrarlo inserito
in un baccello. Spiega Steve Casalnuovo, il ricercatore che per tre anni ha condotto gli esperimenti
e la miniaturizzazione dell’apparecchio: “La grande innovazione tecnica consiste nell’aver
accoppiato sullo stesso supporto sia la sostanza che traduce in impulsi elettrici l’azione chimica
dell’elemento ignoto, sia la parte di microelettronica che serve per elaborare tali impulsi
elettrici”. Il cuore del dispositivo, infatti, è un cristallo di arseniuro di gallio, un ottimo
semiconduttore che, come il quarzo, ha proprietà piezoelettriche: quando la corrente lo attraversa,
il cristallo oscilla. In questo modo dalla sua superficie partono piccole onde sonore, proprio come
gettando un sasso in una pozza d’acqua nascono piccole onde. Il sensore è realizzato rivestendo la
superficie del cristallo con uno strato di “assorbimento”: quando le molecole della sostanza si
depositano su di esso, infatti, vengono emesse onde acustiche, poi amplificate e tradotte in impulsi
elettrici che, come una specie di “urlo” elettronico, rivelano la sostanza in questione. Le
applicazioni saranno molteplici: per esempio il microsensore sonoro potrà equipaggiare robot che
andranno ad analizzare luoghi contaminati per determinarne il livello di tossicità (impianti
nucleari, zone colpite da disastri ecologici o ambienti extraterrestri. Non ti sento, abbassa il
frigo. Se il suono può essere trasformato in luce, allora non c’è molto da stupirsi se può essere
“ammaestrato” per funzionare come refrigerante.

Fra qualche anno, infatti, arriveranno nelle nostre case i cosiddetti frigoriferi termoacustici.
Rispetto agli attuali saranno più economici, non avranno bisogno di particolare manutenzione e non
utilizzeranno come fluidi refrigeranti i gas dannosi per l’ozono. Ed ecco come le onde sonore sono
state sfruttate per il regno del freddo (per ora solo sperimentalmente). Il cuore del frigorifero è
un tubo metallico riempito con una miscela di gas inerti come elio, argo, xeno. Il tubo è più largo
al centro, chiuso a una estremità, mentre l’altra è collegata al dispositivo acustico: un diaframma
vibrante simile a un altoparlante, ma molto più potente. Quando il diaframma vibra, gli atomi di gas
chiusi nel tubo risentono di una pressione che sale fino a 20 atmosfere: così iniziano ad oscillare
avanti e indietro, generando delle onde di pressione e depressione. Un po’ come quando si espira e
inspira in un sacchetto: questo si gonfia e si sgonfia. Le fluttuazioni di pressione all’interno del
tubo sono accompagnate da variazioni di temperatura. In questo fenomeno non c’è nulla di nuovo:
comprimendo rapidamente un gas, le molecole acquistano energia cinetica, che si traduce in un
aumento della temperatura. Viceversa, provocando l’espansione rapida, il gas si raffredda.

Ebbene, il gas del frigorifero acustico diventa alternativamente caldo e freddo con una frequenza di
200 oscillazioni al secondo, spostandosi lungo il tubo dove incontra una serie di strati di
materiale poroso ricco di fenditure attraverso le quali il gas può fluire agevolmente. Così quando è
compresso e caldo, è a contatto con una estremità del materiale poroso e cede il suo carico di
energia termica. Ma durante l’espansione il gas si spinge verso l’altra estremità, dove può
assorbire calore (cioè raffreddare gli oggetti con cui si trova a contatto). Alla fine il calore
risulta “pompato” verso un’estremità del tubo, mentre la parte opposta rimane fredda. Come in un
normale frigo, dove il gas refrigerante gira nella serpentina a contatto con il vano che contiene i
cibi, sottraendo loro calore, anche in quello termoacustico c’è bisogno di un refrigerante che
scorra per sottrarre il calore accumulato. Stavolta però il nostro tetto di ozono non corre rischi:
si usa una miscela a base d’acqua. Il “suono che raffredda” è in fase di sperimentazione in molti
centri di ricerca, tra cui i laboratori statunitensi di Los Alamos e la Purdue University. Potrà
essere utilizzato anche per condizionatori d’aria o frigo portatili ma anche per raffreddare i chip
dei computer.

Storditi dal suono che non si sente. Purtroppo la potenza dei suoni è stata sfruttata anche per
scopi militari. Alcune nazioni stanno sperimentando le onde acustiche come armi adatte a fermare i
tumulti nelle città o a difendere proprietà private. Sono considerate armi non letali, che non
causano cioè danni permanenti, ma non per questo devono ritenersi meno pericolose. Secondo il
ricercatore tedesco Juergen Altmann dell’Università di Dortmund molte di queste sperimentazioni si
basano sugli infrasuoni, onde sonore di frequenza inferiore alla soglia di udibilità dell’uomo (16
Hz). Nonostante queste onde esistano anche in natura, pensiamo per esempio a quelle che si producono
poco prima delle scosse sismiche, l’utilizzo “artificiale” di intensi livelli di infrasuoni può
scatenare in una persona nausea e vomito, mentre nei metalli indebolisce le strutture.

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