Giochi d’acqua: quel massaggio meditativo chiamato Watsu

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Giochi d’acqua: quel massaggio meditativo chiamato Watsu

di Pino Marinaro

Nell’ Antico Egitto, nel lontano mondo dei faraoni e delle piramidi, si diceva che l’acqua fosse un
prezioso dono dato all’anima per compensarla di aver preso forma corporea. E proprio nell’acqua i
nostri corpi ritrovano la libertà che l’anima ha perso. Galleggiare e fluttuare nella madre acqua,
infatti, riporta ad uno stato dimenticato di benessere prenatale.

L’idea del nostro corpo che si scioglie nel liquido primordiale liberandosi dai suoi mali, ha
ispirato, a cavallo tra gli anni ‘ 70 e gli anni ‘ 80, il poeta-terapeuta americano Harold Dull,
inducendolo ad applicare nell’acqua calda pressioni e allungamenti corporei derivati dalla sua
conoscenza dello Zen Shiatshu. L’ eclettica tecnica giapponese, elaborata nel corso del ‘ 900 dal
celebrato sensei Shizuto Masunaga, ha così fatto da canovaccio alla nascente creatura di Dull.

LE ORIGINI E LE PROPRIETA’

Veniva dunque alla luce, tra intuizioni nuove e conoscenze consolidate, un nuovo genere di bodywork,
da subito ribattezzato Watsu o “Water Shiatsu” (shiatsu nell’acqua), che ha messo rapidamente radici
nei cinque continenti, raccogliendo interesse e consensi tra fisioterapisti, massaggiatori,
psicoterapeuti ed esperti in discipline orientali. Questa inedita tecnica, infatti, sin dai suoi
esordi, ha ampliamente dimostrato le sue potenzialità e un’intima vocazione ad alleviare, se non
rimuovere, un gran numero di condizioni di disagio fisico e psicologico.

Il Watsu, da tempo conosciuto anche in Italia, è utile a ridurre tensioni muscolari, sciogliere le
articolazioni, migliorare la postura, favorire la circolazione, lenire stati di ansia, combattere lo
stress, superare blocchi psicologici legati alla sessualità, dare sostanziale giovamento allo schema
respiratorio. Esso, dunque, può essere di particolare aiuto e sostegno a disabili, portatori di
handicap, depressi cronici, tossicodipendenti, malati di AIDS, minori che hanno subito abusi e
maltrattamenti, donne in stato di gravidanza e in menopausa, bambini iperattivi e coppie in crisi di
relazione.

Il movimento del Watsu, con la sua danza acquatica, libera il corpo, la mente e le emozioni, come
ricorda lo stesso Dull:

“In Oriente lo stiramento è una terapia ancora più antica dell’agopuntura: rafforza i muscoli,
aumenta la flessibilità e accresce la possibilità dei movimenti. Dopo svariate applicazioni, scoprii
che questi effetti potevano essere rafforzati e approfonditi mediante lo stretching in acqua calda,
con il risultato che il Watsu esercita una maggiore azione sull’estensione delle movenze rispetto ai
metodi tradizionali. L’acqua, attraverso il continuo sostegno che offre, è ambiente ideale per
liberare la colonna vertebrale, rilassare i muscoli, calmare e regolarizzare la respirazione.
Permette alla spina dorsale di essere mossa in modi che sarebbero impossibili sulla terra. E anche
gli individui più irrigiditi traggono subito benefici da dolci e graduali torsioni o dall’essere
semplicemente cullati…”.

UN MASSAGGIO MEDITATIVO

Il Watsu, dunque, si può ben considerare un massaggio meditativo e, prima di iniziare ogni pratica,
diventa fondamentale concentrarsi per ascoltarsi in profondità. L’acqua riscaldata della piscina,
che non deve essere al di sotto della temperatura corporea, il silenzio e il raccoglimento
favoriscono uno stato di abbandono, calma e serenità. Il clima ideale, insomma, per debellare
affanni e dolori, per ritrovare un’identità profonda ai più sconosciuta.

Il Watsu comporta un lento, delicato risveglio della memoria cellulare della nostra vita acquatica
prenatale. E ha la forza di influenzare tutti i piani del nostro essere: da quello fisico a quello
spirituale. Ma ogni individuo è diverso, unico e irripetibile.

Il lavoro personale è strettamente connesso anche con dimensioni, flessibilità, galleggiabilità,
capacità di controllo del praticante. E ciò che ogni persona guadagna dalla pratica del Watsu è
certamente differente. Alcuni superano una paura atavica ad immergersi nell’elemento originario;
altri sperimentano nuovamente la loro nascita. Ma non mancano quelli che imparano a sentire
l’energia scorrere attraverso le loro membra e quanti, invece, scoprono un’aumentata consapevolezza
dei punti in cui la tensione è accumulata e comprendono come affrontarla e vincerla.

Il cordone ombellicale con lo Zen Shiatsu rimane inscindibile, come pure restano illuminanti le
intuizioni del maestro Masunaga, che in quest’arte ha saputo integrare tecniche e modalità curative
disparate, preferendo usare l’intero corpo per lavorare con il corpo dell’altra persona, utilizzando
rispetto ai metodi tradizionali non solo la pressione dei pollici ma anche gli avambracci, i gomiti,
le ginocchia e, ancora, stiramenti e manipolazioni, respiro sintonizzato e uso della “mano madre”.
La pratica acquatica, dunque, si arricchisce di ulteriori possibilità.

I BENEFICI… IN PRATICA

Una qualità del Watsu è l’attenzione per il sostegno che faciliterà l’abbandono. Spiega Harold
Dull:”Una volta che si sia compreso che il sostegno è continuo e la fiducia si sia istaurata, si
realizza un potente legame. Un legame che ricorda quello tra madre e figlio o tra due amanti…”.

Lavorando in piscina, l’altezza ideale è di circa 120 centimetri. In acqua più profonda, il
praticante potrebbe essere limitato nel mantenere le gambe divaricate e nei movimenti verticali; in
acqua meno profonda, invece, potrebbe risultare difficoltoso realizzare le posizioni verticali.

Il clima ideale dell’acqua è lo stesso della superficie corporea, intorno ai 35,5° C (lavorare a
temperature un po’ più alte rispetto a quella interna del corpo potrebbe risultare dannoso), anche
perché quando l’acqua ha la stessa temperatura della nostra pelle pori e capillari si dilatano e il
corpo avverte la benefica sensazione di essere senza più confini.

Le sequenze si susseguono in modo lieve e suggestivo: danza del respiro, offerta a spirale,
accordion (fisarmonica), spremere il respiro dal braccio, tirare in cerchio, dondolio, culla della
testa, pressione sulla coscia, cambiamento di lato, la balestra, fluttuare libero, la quiete, le
alghe, sella aperta, cullare il cuore, ritorno alla parete. C’è poesia in questi movimenti.
Desiderio di scoperta.

Ma uno dei momenti in assoluto più efficaci della sessione è quando, dopo aver tenuto qualcuno
vicino a sé per quasi un’ora, staccando le mani e togliendo il contatto fra i corpi, come per
incanto permane la sensazione di essere ancora uniti. La considerazione fondamentale è che alla base
di tutte le separazioni esistenziali c’è la separazione alla nascita, evento traumatico che lascia
vuoti difficili da colmare quando non è seguita da una completa e prolungata ricongiunzione
affettiva. Per questo ogni persona con cui pratichiamo Watsu è nostra maestra: questa terapia
interpersonale , infatti, favorisce il ritorno a quell’unicità sulla quale l’antica ferita non ha
finalmente più alcun potere.

Insomma, questo bodywork acquatico ci indica una nuova consapevolezza di noi stessi e ci insegna
come stare con un altro essere, in sintonia con esso. Si crea un’unione senza invasione che
accomuna, sostiene e apre la via all’abbandono fiducioso e che conduce alla “gioia nel dare e gioia
nel ricevere Watsu”.

ESERCIZIO DI BASE: IL FLUSSO “BASIC FLOW”

Entrate con il partner in piscina ad una profondità a metà tra il vostro ombelico e il petto.

Prima di iniziare chiedete alla persona con cui condividete il Watsu se soffre di problemi al collo,
alla schiena o a qualche altra parte del corpo. Domandategli anche se galleggia in modo confortevole
o se c’è qualcosa in particolare che gli crea disagio. Se c’è una parte della piscina idonea per un
appoggio, potete praticare iniziando dalla parete.

State di fronte al partner con le braccia distese, senza toccarlo. Tenete le gambe allargate e
flesse, restando ben appoggiati al fondo della piscina e lasciando che il vostro corpo affondi e
risalga al ritmo del respiro.

Dite al vostro partner:”Ogni volta che espiri il tuo corpo affonderà nell’acqua, spontaneamente.
Quando inspiri lascia che l’acqua ti sollevi senza sforzo. Arrenditi all’acqua”.

Continuando a guardarvi affondate e risalite con lo stesso ritmo del respiro, e quando l’altro
appare sufficentemente abbandonato e rilassato dite:”chiudi gli occhi e lasciati sostenere dal
respiro dell’acqua”.

Con la pianta dei piedi ben appoggiata e le gambe modicamente divaricate e flesse ascoltate tutto il
radicamento al fondo della piscina. Ascoltate il respiro. Percepite il vostro centro, tra ombelico e
pube, in quella zona definita Hara.

Daremo al nostro partner tutta l’attenzione e la presenza di cui saremo capaci. Non distoglieremo
mai il nostro sentire e il contatto con il “centro del cuore” di entrambi.

Solo da questa attenzione e presenza può arrivare il sostegno che consente l’abbandono fiducioso tra
le nostre braccia dell’altro. La persona che offre il Watsu avrà “la determinazione del samurai e la
tenerezza di una madre”.

Allora sollevatevi e avvicinatevi al lato destro del partner e con il braccio sinistro scivolate
sopra il suo dorso che galleggerà dietro la vostra schiena. Scivolate con la superfice esterna
dell’avambraccio destro sotto il coccige del partner e sollevatelo verso la superfice quando
inspirerà.

Questa è la prima posizione e il primo contatto fisico che si realizza. Si inizia da questo lato, in
modo che il vostro braccio più forte regga il peso della persona con più facilità. L’inverso,
naturalmente, sarà per i mancini.

Copyright © 2001 Pino Marinaro

I LIBRI SUL WATSU IN ITALIA

La giovane storia dello Watsu attualmente nel nostro paese è raccontata con cognizione da un paio di
pubblicazioni in particolare.

Il primo libro, “Watsu – Liberare il corpo in acqua” porta la firma della massima autorità in
materia, l’americano Harold Dull, ed è edito dalla Apogeo/Urra (£ 32.000).

Di recentissima stampa, invece, per la Xenia Edizioni, il “Manuale di Watsu”, opera di Italo
Bertolasi e Roberto Fraioli (£ 22.000)

Nonostante affrontino il medesimo argomento, più che apparire una sterile ripetizione l’uno
dell’altro, i due libri mostrano sia la capacità individuale di scendere nel dettaglio a proposito
del “lavoro con l’acqua” sia l’apprezzabile qualità di integrarsi vicendevolmente.

Articolato, sapiente e ricco d’informazioni lo scritto di Dull che, tra l’altro, nel terzo capitolo
parla del suo Tantsu (praticamente il Watsu sulla terra) e ospita in appendice interventi di altri
esperti in Acquatic Tai Chi, Waterdance e stretching. Particolarmente nutrita e ben curata la
sezione fotografica per meglio spiegare esercizi e movimenti.

Molto più spartano, sul fronte delle immagini, il libro “italiano”(che tra l’altro riporta la
prefazione dell’immancabile Dull) che si fa apprezzare dal neofita per la semplicità e chiarezza
espositiva, e ben corredato nelle pagine finali di interessanti testimonianze

Questa nuova realtà terapeutica, comunque, sta trovando un crescente numero di estimatori per cui è
probabile che ben presto aumenteranno i manuali e le guide alla pratica.

Nel frattempo non manca in circolazione un video Red del 1996 titolato “Watsu, lo shiatsu
acquatico”, e una serie di siti internet tra cui Watsu Italia dove figura anche l’elenco degli
insegnanti accreditati. (P.M.)

L’AUTORE

Pino Marinaro

Giornalista freelance ha collaborato con riviste specializzate in musica e spettacolo, quotidiani
locali e nazionali, periodici culturali e agenzie stampa.

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