METODI DI VERIFICA DELLE CAPACITA’ PRANOTERAPEUTICHE

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METODI DI VERIFICA DELLE CAPACITA’ PRANOTERAPEUTICHE

(Pubblicato su Metapsichica, 1996, pag 107-117)

di William Giroldini

Nell’ambito della medicina naturale un posto di rilievo è occupato dalla pranoterapia, che consiste
essenzialmente nella imposizione delle mani sul corpo del malato, nella maggior parte dei casi senza
contatto diretto, e senza la somministrazione di farmaci di qualsiasi genere. Questa tecnica,
chiamata con diversi nomi, si ritrova sostanzialmente nelle tradizioni più antiche della medicina di
quasi tulle le culture umane.

Nella nostra cultura occidentale, permeata dal moderno pensiero scien­tifico e da un grande sviluppo
della medicina basata su tecnologie estre­mamente sofisticate, sopravvive comunque la pranoterapia,
seppure molto osteggiata dalla medicina ufficiale, che la considera priva di basi scientifiche e
soprattutto di una effettiva azione terapeutica.

Da queste accuse i pranoterapeuti (e le associazioni in cui sono varia­mente associati) si difendono
mostrando una vasta casistica di malati su cui la pranoterapia avrebbe conseguito risultati
eccellenti. I critici ribattono attribuendo tali risultati positivi (che indubbiamente non si
possono negare) al cosiddetto “effetto placebo’, un fenomeno di origine psicologica che consiste
essenzialmente in un miglioramento dei sintomi di molte malattie a opera di una riconosciuta
capacità della nostra mente di poter agire sul corpo (soma) attraverso una grande varietà di
meccanismi biochimici ed ormonali che sono sotto un controllo almeno parziale del sistema nervoso
centrale, e quindi dipendenti a loro volta da fattori psicologici.

Per esempio gli stati depressivi tendono a diminuire l’attività del sistema immunitario, aumentano
la sensibilità al dolore, ed influenzano in senso negativo una vasta serie di altri meccanismi
biochimici. Uno stato di sere­nità e fiducia in sé stessi agisce in senso opposto, normalìzzando o
miglio­rando molti aspetti della nostra biochimica.

Pertanto può essere sufficiente la fiducia nelle capacità del pranotera­peuta e sua abilità a
circondarsi da un alone di fama e rispetto, per conse­guire un miglioramento del livello psicologico
del malato, e da qui anche un miglioramento del livello somatico su una vasta serie di malattie le
più diverse fra loro.

Pur non negando esistenza dell’effetto placebo, che è stato dimostrato dalla medicina scientifica
con un gran numero dì sperimentazioni in doppio cieco in cui si confronta l’azione di un farmaco con
un prodotto inerte (all’insaputa del paziente), i pranoterapeuti sostengono tuttavia che questa
visione è riduttiva, e che la pranoterapia può indurre sul paziente degli effetti positivi che vanno
ben oltre l’effetto placebo.

Se la pranoterapia fosse interamente riconducibile a tale effetto, a mio parere sarebbe comunque
giustificata la sua esistenza, nonché la libertà individuale di ricorrere ad essa, in quanto
l’effetto placebo potrebbe essere considerato, a tutti gli effetti, una terapia (sintomatica)
generale di molte malattie, specie di quelle a base psicosomatica e dove entra una compo­nente
dolorifica in tutte le sue forme.

E’ peraltro molto interessante stabilire scientificamente se la pranoterapia possa indurre effettivi
miglioramenti o complete guarigioni al di là dell’effetto placebo.

In tal caso, si potrebbe supporre esistenza di una componente squisi­tamente paranormale in tale
risultato, dato che la tecnica normalmente utilizzata non implica alcun tipo di contatto fisico col
paziente.

Storicamente sono state descritte un certo numero di tecniche per dimostrare la obiettiva capacità
del pranoterapeuta di indurre guarigioni, escludendo effetto placebo.

Sempre dal punto di vista storico, uno dei concetti più comuni che circolano nell’ambiente dei
pranoterapeuti, è che il sensitivo-pranotera­peuta sia in grado di emettere un quid, variamente
denominato fluido “prana’, “bioenergia’ etc che sarebbe responsabile dell’azione guaritrice. Alcune
di queste tecniche sono state specificamente ideate ed utilizzate per dimostrare l’esistenza di tale
fluido, e quindi la obiettiva esistenza dell’azione guaritrice.

In questo articolo descriverò le principali tecniche che sono state utiliz­zate e fornirò un parere
circa la effettiva capacità della tecnica di dimostrare qualcosa.

TECNICHE STRUMENTALI NON BIOLOGICHE

La tecnica della Camera Kirlian

Questa tecnica è stata inventata negli anni trenta da un fotografo russo Semeyon Kirlian, e consiste
in una elettro-fotografia (oggi a colori) che mette in evidenza il cosiddetto “effetto corona”
prodotto dalla scarica ad alta tensione (oltre 6000 volts) e ad alta frequenza (circa 10000 Hz) che
av­viene fra l’oggetto da fotografare ed una piastra conduttrice della macchina.

L’oggetto da fotografare può essere inanimato oppure (è il caso più comune) è la mano del
sensitivo-pranoterapeuta oppure del paziente.

Si ottengono immagini molto suggestive e pittoriche che mostrano tipi­camente un alone luminoso più
o meno accentuato attorno alle dita e alla mano del soggetto.

Da queste foto gli aspiranti pranoterapeuti ricavano spesso la convin­zione di possedere
straordinarie capacita’ concesse solo a pochi comuni mortali.

Il problema principale con la foto Kirlian è che manipolando opportuna­mente i parametri della
macchina (tempi di esposizione, tensione delle correnti e loro frequenza, qualità della pellicola,
modalità di sviluppo) si possono modificare i risultati entro ampi limiti.

Peraltro, anche se si tengono rigorosamente costanti i parametri della macchina e dello sviluppo, si
osservano differenze significative sullo stesso soggetto a distanza di ore e giorni.

Come interpretare le differenze individuali nella forma e qualità degli aloni luminosi che
circondano le dita della mano? Il principale parametro che determina l’alone attorno le dita è dato
dalla umidità cutanea (la pelle emette continuamente vapore acqueo, e questo è un gas conduttore che
contribuisce in modo determinante all’effetto corona). L’effetto corona si ottiene anche
fotografando oggetti metallici, i quali sono conduttori, ma non emettono sicuramente prana.

Se si riveste la mano con un sottile guanto di materiale plastico isolante (esempio guanti da
chirurgo in polivinile) l’effetto corona scompare quasi del tutto. Pertanto non ha senso considerare
l’alone attorno alle dita come una prova diretta dell’esistenza del “fluido” in quanto si tratta
soprattutto di vapore acqueo, che può essere bloccato da un sottile strato di materiale isolante, Il
presunto “fluido” o “prana”, se fosse quello fotografato dalla Kirlian, non dovrebbe certo essere
facilmente bloccato in questo modo, dato che nella comune descrizione data dai pranoterapeuti viene
immagi­nato come un quid in grado di agire a distanza, e di penetrare in profondità nel corpo del
malato.

Detto questo, occorre dire che la foto Kirlian può mettere in evidenza variazioni di conducibilità
elettriche della pelle che sono in diretta relazione con variazioni della sudorazione, che a loro
volta sono fortemente connesse con variazioni dello stato emozionale, oppure con altri parametri
psicofisiologici.

In particolare la relazione che esiste fra conducibilità elettrica cutanea e stati emozronali è nota
in psicofisiologia da moltissimi anni e correntemente utilizzata da molti medici e psicologi tramite
opportuni strumenti attualmente in commercio.

Esiste anche una diffusa interpretazione delle foto Kirlian secondo criteri proposti dal medico
tedesco Mandel, che mette in relazione forma ed ampiezza degli aloni luminosi attorno alle dita di
mani e piedi con tutta una varietà dì disfunzioni organiche. Sulla validità di tale correlazione è
molto difficile esprimere un’opinione, trattandosi comunque di teorie che si pongono al di fuori
della medicina convenzionale.

Si può solo affermare con una certa sicurezza che la foto Kirlian non può costituire una prova
dell’esistenza del “prana’ così come sostenuto nell’ambiente dei pranoterapeuti, mentre potrebbe
costituire un mezzo dìagnostico indiretto per molte malattie, sempre che si possa dimostrare la
corrispondenza fra “segni” sulla foto e le varie malattie.

La tecnica elettroencefalografica (EEG)

Questa tecnica è stata applicata estesamente per primo dal Dr. Marco Margnelli per conto deII’ANPSI
(Margnelli, 1987). In seguito ho utilizzato anch’io questa tecnica nell’ambito di una serie dì
ricerche più estese che implicavano anche lo studio della psicocinesi.

Questa tecnica permette di vedere innanzi tutto le capacita di concen­trazione mentale di un
soggetto, vale a dire principalmente il ritmo alfa, oltre che altri parametri elettroencefalografici
quali la simmetria e correlazione fra l’attività dei lobi cerebrali destro e sinistro, ed i ritmi
theta e beta.

Una ricerca eseguita dall’autore (Giroldini, 1994) che conferma dati precedenti raccolti dal Dr.
Margnelli, ha mostrato che nei migliori sensitivi pranoterapeuti il ritmo alfa è molto sviluppato, e
si presenta spontanea­mente appena il soggetto chiude gli occhi e comincia rilassarsi, oppure quando
esercita la sua azione prana su di un soggetto.

Per contro, il ritmo alfa è decisamente meno sviluppato e profondo nei soggeetti ”normali” e nei
pranoterapeuti dilettanti, cioè con poca esperienza o capacità.

Il ritmo alfa è dato da onde elettriche misurabili a livello dello scalpo, generate dalla corteccia
cerebrale, nella banda di frequenze comprese fra 8 e 12 Hz (oscillazioni al secondo) con una
ampiezza compresa fra 10 e 60 microvolt.

Questo ritmo è tipico del rilassamento profondo, ad occhi chiusi, ed è particolarmente sviluppato
nei soggetti che praticano tecniche quali lo Yoga o la Meditazione, o altre tecniche di
autocontrollo mentale. Nei migliori pranoterapeuti che ho potuto esaminare, il ritmo alfa si
instaura spontaneamente nel giro di pochi secondi, appena sono chiusi gli occhi, con una ampiezza ed
una stabilità molto elevate, a differenza di quanto succede nella maggior parte delle persone dove
si presenta in ‘fusi” della durata di uno-due secondi seguiti da intervalli di assenza dell’ordine
dei 10-30 secondi.

Cosa ancor più sorprendente. il ritmo alfa permane in alcuni pranoterapeuti anche quando operano su
di un soggetto ad occhi aperti, condizione questa (apertura degli occhi) che è normalmente
sufficiente per far sparire il ritmo alfa.

La stretta relazione fra capacità pranoterapeutiche (valutate sulla base dell’esperienza e dei
risultati clinici ottenuti dal pranoterapeuta) e ritmo alfa, sembra essere attualmente l’ indice più
obiettivo e di facile misurazione oggi disponibile per valutare velocemente le capacità praniche.
Questa misura naturalmente non permette di evidenziare direttamente alcun “fluido” nè alcuna
capacità paranormale in senso stretto, ma solo di valutare una caratteristica psicofisiologica,
secondo tecniche standard, che corrisponde alla attitudine di un soggetto a entrare facilmente in
uno stato di rilassa­mento profondo, isolandosi notevolmente dal mondo esterno, in cui diventa piu’
facile avere accesso ad una serie di esperienze parapsicologiche di tipo generale (ESP e PK).

Test di psicocinesi (PK) computerizzata

Ho proposto ed iniziato per primo questa tecnica nel 1992 per conto dell’ANPSI, in associazione al
test EEG, a completamento di una speri­mentazione di cui ho parlato in alcuni articoli (Giroldini,
1991).

Consiste in un test della durata di circa 10 minuti che si esegue al computer, dove un soggetto
cerca di influenzare mentalmente un disposi­tivo elettronico che è collegato al computer.

Il dispositivo elettronico è un generatore di segnali elettrici casuali, mediante il quale il
programma che gira sul computer modifica la traiettoria di una traccia (o altro disegno) che compare
sul monitor. La traccia ha un andamento casuale verso l’alto o verso il basso dello schermo. Il
presup­posto teorico è che sia possibile, mediante una azione psicocinetica, agire sul generatore di
segnali in modo da modificare la traccia in una direzione predeterminata (per esempio verso l’alto).
Il test è ispirato ad una serie di analoghe sperimentazioni sulla psicocinesi descritte nella
letteratura scien­tifica.

Trattandosi esplicitamente di un test di psicocinesi, la relazione con le capacità pranoterapeutiche
è quindi indiretta, ed è basata sull’ipotesi che i pranoterapeuti possano ottenere risultati
migliori (in questo test) rispetto alle persone normali.

Sembra che le cose stiano effettivamente cosi’. dal 1990 al 1993 ho potuto condurre personalmente
questo test su circa 70 pranoterapeuti (o aspiranti tali) ed ho ottenuto dei risultati che mostrano
chiaramente come il risultato medio del test migliori sensibilmente all’aumentare dell’esperienza
del pranoterapeuta.

Per pranoterapeuti aventi una esperienza compresa fra 0 e 1 anno (N=57), il risultato medio del test
è +0.048, per quelli (N=R) con esperienza compresa fra 1 e 3 anni, il risultato medio vale +1.83, e
per quelli (N=5) con esperienza oltre i 3 anni, il risultato sale a +3.11.(Questi numeri esprimono
una deviazione percentuale dalla attesa casuale, che vale esattamente 0.0 in assenza di effetti
psicocinetici). Questi risultati confermano che l’effetto PK esiste ed è decisamente migliore nei
più bravi pranoterapeuti.

Il test ha valore solo indicativo, in quanto diversi sensitivi, anche bravi, si trovano a disagio
nell’agire mentalmente su un sistema elettronico che assomiglia ad un videogame.

Test della azione a distanza su un colloide di ossicloruro di bismuto

Questo test è stato proposto presso l’Università di Milano da A. Ansaloni e P. Vecchi, e consiste
nel modificare la velocità di sedimentazione di un colloide di ossicloruro di bismuto (Ansaloni e
Vecchi, 1991).

Il soggetto (o il pranoterapeuta} impone le mani, a distanza, per circa 20 minuti su dell’acqua
distillata.

L’acqua così ottenuta viene denominata “acqua bioattivata’ ed essa viene quindi utilizzata per
effettuare il test con il bismuto, confrontando il risultato con quello ottenuto con acqua
distillata non trattata.

Gli sperimentatori hanno riportato i risultati dei loro esperimenti, condotti su un centinaio di
pranoterapeuti, confrontandoli coi risultati ottenuti da soggetti normali e con le prove in bianco.
I loro dati mostrano una signifi­cativa modificazione (in media) della velocità di precipitazione
del bismuto ossicloruro da parte dei soggetti pranoterapeuti, mentre i controlli ed i soggetti
normali forniscono risultati sovrapponibili, cioè molto simili.

La realizzazione pratica di questi esperimenti richiede una buona manualità e riproducibilità delle
condizioni sperimentali.

In particolare sarebbe stato meglio realizzare gli esperimenti in condi­zioni tali da minimizzare
gli effetti di interferenza dovuti a campi elettroma­gnetici e radiazioni ionizzanti naturali che
sono suscettibili di modificare sensibilmente la velocità di precipitazione dei colloidi. Ciò
nonostante, i risultati complessivi di questa sperimentazione sono molto interessanti e meritevoli
di ulteriore attenzione.

Essi indicano con chiarezza che i pranoterapeuti possono agire su un sistema chimico particolare
(come i colloidi) modificando un parametro chimico-fisico, senza contatto diretto.

TEST SU SISTEMI BIOLOGICI

Test sulla velocità di sedimentazione del sangue

La velocità di eritro-sedimentazione (VES), cioè la velocità con cui gli eritrociti sedimentano
spontaneamente separandosi dal siero, e’ stata utiliz­zata da Ansaloni e Vecchi (1991) come
ulteriore metodo per verificare le capacità dei pranoterapeuti.

Lo scopo era quello di tentare un approccio sperimentale che passasse da sistemi inorganici, come il
colloide all’ossicloruro di bismuto, a colloidi decisamente biologici, come il sangue.

I soggetti dovevano trattare a distanza le provette contenenti sangue umano, passando per un certo
tempo le loro mani sopra le provette. Il test di sedimentazione veniva successivamente effettuato
esprimendo il risul­tato secondo l’ indice di Katz.

Una analoga serie di misure di controllo veniva effettuata sugli stessi campioni di sangue, che non
erano stati trattati dal pranoterapeuta. Anche in questo caso gli sperimentatori hanno riportato una
differenza significativa della velocità di sedimentazione fra campioni di sangue trattati e non
trattati, osservando nella maggior parte dei casi un aumento dell’indice di Katz. Quindi i risultati
sono stati congruenti con quelli ottenuti coi collodi inorganici.

Ansaloni e Vecchi interpretano questi dati in termini di ‘bioenergia” che agisce su strutture molto
sensibili a deboli effetti chimico-fisici quali i colloidi.

Io preferisco interpretare questi risultati col concetto più generale di psicocinesi, cioè azione
diretta della mente sulla materia, poiché gli effetti psicocinetici sono stati riportati in
letteratura scientifica su una grande varietà di sistemi fisici, quali il decadimento di atomi
radioattivi, le micro­sfere di polistirolo, i circuiti elettronici, i colloidi inorganici, fino ai
sistemi biologici (sangue, microrganismi, semi, piante, ed animali).

Test dell’azione a distanza sulla velocità di crescita di semi e piante

In letteratura sono stati riferiti molti esperimenti di questo tipo, per esem­pio possiamo citare
Loehr (1959); Grad, (1965); Miller, (1978). I soggetti che tentavano di influenzare la crescita di
semi e piante erano persone qualsiasi, peraltro ben motivate psicologicamente, ed anche
pranotera­peuti.

I risultati riportati mostrano che è effettivamente possibile, mediante la sola azione mentale,
influenzare la velocità di crescita di semi e piante, nel senso generalmente di favorire un più
veloce sviluppo dei semi o delle piante.

Tipicamente gli esperimenti sono condotti preparando un certo numero di vasetti contenenti semi di
piante a crescita eloce (esempio: fagioli) avendo cura di creare e mantenere delle condizioni di
umidità, tempera­tura, e illuminazione molto omogenee fra due gruppi eguali di vasi. Il primo gruppo
viene giornalmente “trattato” da uno o più sensitivi-pranoterapeuti per almeno 20 minuti, alla
distanza di almeno un metro, per circa due settimane.

L’altro gruppo di controllo non riceve il trattamento prana, ma solo le stesse cure ordinarie
riservate a tutti i vasetti.

La valutazione dei risultati si effettua documentando per via fotografica o altro la velocità di
crescita dei due gruppi di semi o piantine.

A mio giudizio questo è un test molto sensibile, ma richiede tempi di esecuzione piuttosto lunghi
(almeno due settimane) per poter seguire la crescita dei semi trattati dal pranoterapeuta rispetto
al gruppo di semi di controllo.

E’ assolutamente necessario assicurare una elevata omogeneità delle condizioni ambientali ai semi
in modo da eliminare differenze di crescita dovute a cause diverse dall’azione prana.

Per ovviare a queste difficoltà si potrebbe adottare un altro metodo che ho descritto in esperimenti
che ho condotto diversi anni fa (Giroldini, 1986).

In quegli esperimenti descrivevo un procedimento consistente nel misu­rare, con un opportuno
strumento, la debole attività elettrica presente sulle foglie delle piante. Questa attività
elettrica spontanea, che per certi versi ricorda l’attività EEG, ma ha ovviamente un significato
bioelettrico molto diverso, può essere misurata con continuità, e quindi è possibile misurare il
valore medio in una certa pianta in un certo intervallo di tempo, e poi

chiedere ad un sensitivo di cercare di aumentare questo valore, per esempio durante 5 minuti,
mediante una azione mentale a distanza.

Gli esperimenti che ho eseguito nel 1986 in questo modo, hanno mostrato che effettivamente si può
ottenere un aumento dell’attività elet­trica spontanea sulle toglie per semplice concentrazione
mentale.

Se si ha cura di eseguire correttamente l’esperimento, schermando in una gabbia di Faraday le
piante, e misurando l’attività elettrica prima e dopo l’azione prana, si può disporre di un test dì
accettabile velocità di esecuzione e sensibilità­. E’ un test che assomiglia molto alle reali
condizioni operative del prano­terapeuta perché agisce su un sistema biologico vivente, con la
completa esclusione del famigerato “effetto placebo” (o suggestione) che inquìna sempre qualunque
azione prana su di una persona.

Test dell’azione a distanza su animali da laboratorio

Questo test si basa su animali da laboratorio (in genere topi o ratti) a cui viene indotta una
ferita (per esempio un edema sottocutaneo), che il pranoterapeuta dovrà curare a distanza senza mai
toccare gli animali.

Un esperimento di questo tipo è stato descritto da Bellentani et al. (1987) sui topi, mentre Wirth
et al. (1992) hanno descritto esperimenti condotti con salamandre a cui furono amputati gli arti
anteriori (in questi animali le zampe ricrescono spontaneamente). In entrambi gli esperimenti i
pranoterapeuti riuscirono ad accelerare la guarigione negli animali da loro trattatì.

Il test si esegue su due gruppi eguali di animali, di cui solo un gruppo viene trattato dal
sensitivo allo scopo di accelerare la guarigione, l’altro funge da controllo.

Il tempo di esecuzione è di un paio di settimane circa, con trattamento giornaliero.

Si richiede la collaborazione di un biologo o di un medico che sappia come trattare gli animali,
come indurre la ferita e decidere un valido proce­dimento per misurare la velocità di guarigione. Il
test si presta bene per valutare le capacità pranoterapeutiche di un soggetto, escludendo
completamente l’effetto placebo, ma richiede che il lavoro sia ben condotto sperimentalmente da
persone esperte, in un laboratorio attrezzato.

Questo test è quello che più assomiglia alle reali condizioni operative del pranoterapeuta, ma non è
facilmente eseguibile in tempi brevi, e neppure per un numero elevato di soggetti (quanti animali e
quanto tempo occorre­rebbe impegnare?).

CONCLUSIONI

Da questa breve disamina, emerge che oggi sono disponibili (in linea di principio) una grande
varietà di test per valutare le reali capacità pranote­rapeutiche di un soggetto. Ciascun metodo
presenta vantaggi e svantaggi, alcuni sono veloci, ma indiretti, quelli più diretti (come l’ultimo
descritto) sono troppo complessi per essere eseguiti correntemente, per questi motivi le varie
Associazioni di pranoterapeuti continueranno ad utilizzare princi­palmente il metodo Kirlian, poi
l’analisi EEG, ed anche altri metodi che qui non ho descritto perché penso che non abbiano alcuna
relazione con le capacità pranoterapeutiche.

Bibliografia
M. Margnelli, “Risultati preliminari di una ricerca suIl’elettroencefalo­gramma durante la
pranoterapia”, in: Psicobiofisica in Pranoterapia, a cura di L. Muti, Musumeci Editore, (1987).

W. Giroldini. “Analisi spettrale elettroencefalografica durante la pranoterapia’, in: L‘Uomo e il
Mistero, a cura di Paola Giovetti, p.l77-185, (1994).

W. Giroldini, “Psicocinesi mediante tecniche computerizzate”, Quaderni di Parapsicologia, VoI.
22(2), p.29-42, (1991).

A.Ansaloni, P. Vecchi “La pranoterapìa in laboratorio”, Quaderni di Parapsicologia, Vol. 22(1),
p.l5-30, (1991).

F. Loehr “The power of prayer on plants”, Doubeday, New York (1959).

B. Grad “Some biological effect of the laying on of hands”, Journal A. S. P. R., 95, 129 e 59,2
(1965).

R. Miller “Metodi per scoprire e misurare le energie guaritrici”, da Parapsicologia scienza del
futuro, di J. White e S. Krippner, Armenia (1978).

W. Giroldini “Esperimenti di azione mentale sulle piante”, Quaderni di Parapsicologia,
p21-30, (1986).

P. Bertolani, M.S. Bellentani, Gradellini, G. Noera “Proposta per un corretto approccio
medico-scientifico allo studio dei guaritori pranotera­peuti”, Metapsichica, p.34-44, (1987).

D. Wirth, C. Johnson, J. Horvath, and A. MacGregor “The effect of alternative healing

therapy on the regeneration rate of salamander forelimbs’, Journal of Scientific Exploration,
6(4), p375-390, (1992).

www.elemaya.com/research/Paper1996.htm

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