SENTIMENTI E RISENTIMENTI

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SENTIMENTI E RISENTIMENTI

di Marco Ferrini

Ri-sentimento letteralmente significa “sentire un’altra volta”. In tali casi il soggetto rimane
intrappolato in bolle psichiche generatesi nel passato che hanno motivo di esistere solo in esso e
non appartengono quindi al presente. Il risentimento è dunque un tornare col sentire ad eventi
passati. Questo è un errore gravissimo da compiersi, privo di ogni prospettiva di successo, in
quanto solo staccandosi emotivamente da qualunque cosa successa ed occupandosi degli esiti, che ne
sono gli effetti nel presente, si può trarre vantaggio da tutte le esperienze. La soluzione ai
problemi va ricercata sempre nel presente, poiché relativamente al passato, qualsiasi cosa occorsa
non esiste se non nei suoi effetti al presente appunto e, relativamente al futuro, ancora non si è
manifestato per cui ci si occuperà di esso quando diverrà presente. Le persone di solito vivono
prigioniere del passato e contemporaneamente proiettate nel futuro. L’ego si preoccupa sempre di
mantenere vivo il passato perché in esso trova la propria – erronea – identità e si proietta
costantemente nel futuro per cercarvi qualche fonte di godimento, perché così pensa di poter
garantire la propria sopravvivenza. Quando questo tipo di persone, che sono poi la quasi totalità,
guardano al presente, lo osservano con gli occhi del passato o lo riducono ad un mezzo rivolto a
conquistare un obiettivo futuro.

Nonostante le apparenze pochissime persone vivono nel presente, consapevoli che l’unica realtà è il
presente, il qui ed ora. Le persone illuminate invece dimorano nel presente e compiono brevi visite
nel passato e nel futuro, solo se necessarie per affrontare aspetti pratici del presente. Nel
sedicesimo secolo l’astronomia conobbe una svolta clamorosa che venne chiamata rivoluzione
copernicana (la concezione del sistema solare divenne da teocentrica ad eliocentrica); la
comprensione che il presente è l’unica realtà esistente, potrebbe costituire un’altra svolta
clamorosa e decisiva. Rimanere prigionieri del passato o proiettarsi nel futuro sono due forme di
evasione. L’unico tempo reale è il presente. Chi agisce bene nel presente non deve preoccuparsi del
futuro: grazie ad una potentissima legge psicologica che è la coazione a ripetere, chi compie il
bene oggi è sicuro di compierlo anche in futuro e chi compie il male oggi è sicuro di compierlo
anche in futuro, a meno che non si convinca ad attivarsi per la propria evoluzione positiva.

“Quando si dice che qualcuno è in un certo modo, qualche altro è in un altro modo, si deve intendere
che lo si diventa a seconda delle proprie azioni, del proprio comportamento. Chi agisce bene diventa
buono, chi agisce male diventa cattivo; virtuoso diventa con l’azione virtuosa e cattivo con la
cattiva”.(Brihadaranyaka Upanishad, IV, 4, 5).

Il risentimento, anche se riferito a torti o ingiustizie reali, non permette di vivere bene: a volte
diviene una vera e propria dipendenza ricercare i torti, perché ormai si è assuefatti al
risentimento e, se non si trova qualche torto, lo si inventa. Il risentimento, come una vera e
propria droga, crea dipendenza e diviene un’abitudine emotiva: questa è la caratteristica di una
mente malata. Il saggio vede un torto e lo riduce a zero tollerando il comportamento dell’offensore
in virtù della maturata comprensione che chi compie un torto, lo fa a causa dei propri
condizionamenti ed è per questo da considerarsi una persona sfortunata, che non necessita quindi di
una punizione supplementare. Colui che si sente per abitudine vittima di ingiustizie si immedesima
nel ruolo della vittima, portando in sé quel risentimento che cerca di volta in volta un appiglio
cui aggrapparsi, reale o immaginario che sia. Infatti diviene semplice, con questo tipo di
predisposizione, cogliere la ‘prova’ dell’ingiustizia o convincersi di essere stati oggetti di un
torto anche se obiettivamente si è ricevuta un’osservazione innocente o si è incappati in una
circostanza sommariamente neutrale. Il risentimento abituale porta inevitabilmente
all’autocommiserazione, che è uno dei sentimenti peggiori che si possano nutrire, in quanto coloro
che si lasciano invadere da questo sentimento disperdono tutte le loro energie nel trovare
giustificazioni a proprie carenze e difetti, incolpando le altre persone per questi. In tal modo non
rimangono loro ulteriori energie da investire in positivo, per comprendere le possibile soluzioni al
problema e per adoperarsi costruttivamente nell’applicarle. Quando queste abitudini si sono
sedimentate, la persona comincia a cercare con ansia le “ingiustizie” e non si sente a suo agio
quando esse sono assenti. Questi individui si sentono “bene” solo quando subiscono torti, è si
potrebbe ipotizzare che questo perverso meccanismo sia una delle dinamiche alla base del cosiddetto
masochismo.

Il risentimento e l’autocommiserazione vanno poi di pari passo con una immagine inferiore e
inefficiente di se stessi: una vittima creata proprio per essere infelice. Il risentimento non è
provocato dagli altri, dagli eventi o dalle circostanze, ma dalla vostra risposta emotiva alle
situazioni. Solo voi avete il potere di farlo sorgere e potete controllarlo solo se vi convincete
fermamente che risentimento e autocommiserazione non conducono alla felicità e al successo ma alla
sconfitta e all’infelicità, sempre. Chi si nutre di risentimenti non riesce a concepire se stesso
come un individuo fiducioso di sé, autonomo, capace di prendere le sue decisioni, timoniere sicuro
della propria vita, responsabile quindi del proprio destino. Un individuo malnutrito lascia le
redini agli altri, che gli detteranno come deve sentire e come deve agire. Egli dipende interamente
dagli altri, come un mendicante; e se qualcun altro vorrà dedicarsi a farlo felice, si sentirà pieno
di rancore nel momento in cui questo non accadrà più. Se nutrite la convinzione che gli altri vi
devono eterna gratitudine, stima o riconoscimento, vi risentite se questi debiti non vengono
continuamente pagati e se ritenete che la vita vi debba una determinata qualità di esistenza,
proverete lo stesso risentimento qualora l’aspettativa non si avverasse. Il risentimento è
incompatibile con la lotta creativa verso una meta, perché in questa lotta voi siete attori, non
spettatori passivi, siete voi a stabilire i vostri traguardi. Il risentimento non fa parte di questo
schema e per questo costituisce un meccanismo per il fallimento: nessuno vi deve niente, siete voi
che perseguite i vostri scopi, siete voi gli unici responsabili del vostro successo e della vostra
felicità!

Tratto da ‘Pensiero, Emozioni e Realizzazione’.

da psicologiaespiritualita.blogspot.com/

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