Studio e ricerche sulla meditazione

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Studio e ricerche sulla meditazione

della dott.ssa Anna Fata

– Introduzione –

La meditazione si può definire come uno stato di puro essere, di chiara consapevolezza, di attenzione, di osservazione. L’accento non viene posto tanto sul cosa si fa, ma sul come.

Essa rappresenta il ritorno ad uno stato originario naturale in cui mente e corpo non sono in un rapporto di dualità, ma di unità.

E’ una condizione non tanto da raggiungere, quanto da riconoscere. E’ un essere presenti e consapevoli nell’hic et nunc.

E’ una forma di rilassamento, un abbandonarsi al presente, una condizione autoevidente che si deve re-imparare ad assaporare.

E’ la condizione naturale della mente di quiete, di vuoto e di unità.

In essa si riduce la sensibilità agli stimoli esterni e si accentua quella agli stimoli interni.

Essa non solo consente di entrare in contatto con se stessi, ma anche con la realtà che ci circonda. Permette, inoltre, di avviare un percorso di crescita spirituale in cui le parole, la logica, la razionalità lasciano il posto ad una forma di osservazione silente, priva di giudizi e di filtri.

La sua pratica, infatti, non resta circoscritta al momento specifico della meditazione, ma si estende al resto dell’esistenza quotidiana al punto da favorire un profondo mutamento del proprio essere nel mondo.

Esistono vari tipi di meditazione ognuna con caratteristiche specifiche, modi di azione a livello fisico, psichico e psicologico. Esse sono accomunate dal fatto di comportare un addestramento volontario da parte della persona della propria attenzione e consapevolezza.

Ad esempio, alcune insegnano alle persone a focalizzare la loro attenzione su un mantra da ripetere in silenzio, un suono, un’immagine visiva, un oggetto o una domanda. Nella meditazione consapevole il soggetto viene invitato a focalizzarsi sulla respirazione al fine di allenare le proprie capacità di concentrazione.

La pratica costante quotidiana promuove lo sviluppo della stabilità, della calma interiore e una condizione di mente non reattiva. Quest’ultima, a sua volta, permette di affrontare tutti gli aspetti che la vita presenta, compresi l’ansia, la paura, il dolore. Sono proprio la stabilità e la non reattività che fanno sì che sia possibile diventare degli osservatori compassionevoli di se stessi e degli altri.

Quando si presentano delle sensazioni spiacevoli nel corpo, come nel caso del dolore, la reazione più immediata è quella di contrarre i muscoli, anche se ciò accentua tale percezione. L’osservazione compassionevole, d’altra parte, favorisce l’accettazione di tale vissuto e la comprensione di quelli che possono essere i primi segnali che possono indicare l’innesco di dolore acuto che, in questo modo, si può prevenire o quanto meno attenuare.

Gradualmente, nel tempo, si è cominciato ad impiegare la meditazione anche in ambito clinico. In questo senso, infatti, non solo offre una possibilità per ridurre le sofferenze, ma rappresenta anche un modo per rafforzare la sensazione di potere e di autostima dei pazienti.

Kabat-Zinn è stato uno tra i primi ricercatori a introdurre la meditazione in ambito clinico.

Le ricerche scientifiche sulle modalità di azione e sull’efficacia della meditazione risultano piuttosto complesse. Spesso è difficile progettare e realizzare situazioni sperimentali accurate con gruppi di controllo, numeri

sufficientemente estesi di partecipanti, accordo tra domande che ci si pone e relativi progetti di ricerca, oltre che definire in modo corretto e condiviso il termine. Una proposta convenzionale in tal senso considera la meditazione una procedura che comporta:

· l’uso di una tecnica specifica

· il rilassamento muscolare in alcuni momenti del processo

· la “relazione logica”

· lo stato autoindotto

· l’uso di una abilità focalizzata su se stessi (“self focus”, o “áncora”).

Il rapido incremento del numero di ricerche e la loro crescente qualità nel tempo sembrano essere, nel complesso, elementi alquanto promettenti nella direzione di un’indagine scientifica del fenomeno.

Làmbito clinico

In ambito clinico, accanto alle terapie convenzionali, oggi più che mai si stanno affiancando da una parte le terapie complementari, dall’altra quelle alternative.

Le terapie complementari racchiudono tutte quelle terapie, quei sistemi e quelle modalità che non fanno parte della medicina tradizionale o allopatica. Si tratta di pratiche finalizzate alla prevenzione, al trattamento delle malattie o alla promozione della salute. Esse hanno potenzialmente la capacità di rafforzare le pratiche mediche convenzionali. Tra esse si possono citare: i massaggi, il biofeedback, la guided imagery, la meditazione.

Le terapie alternative, tra cui l’omeopatia, invece, sono costituite da quelle pratiche terapeutiche che non sono considerate fondamentali tra quelle mediche convenzionali. Esse si presentano come
potenzialmente sostitutive della medicina occidentale tradizionale.

Il mercato della medicina alternativa e complementare è continua espansione oltreoceano, così come in Italia. Coloro che vi fanno ricorso in genere hanno un’età tra i 35 e i 49 anni, possiedono un livello culturale ed economico medio alto, sono propensi ad un approccio olistico della persona. In genere si rivolgono ad esso perchè affetti da uno o più disturbi di tipo cronico.

Questa rinnovata attenzione si inserisce in un contesto in cui si sta passando lentamente da un modello medico biomedico a biopsicosociale in cui l’individuo viene considerato in senso olistico, come unità di corpo e mente e su cui influiscono anche i fattori del contesto sociale in cui vive.

Anche se gli approcci mente-corpo sono stati studiati prevalentemente sugli adulti, si è visto che tali pratiche possono arrecare dei benefici anche in ambito pediatrico. Nello specifico è possibile insegnare la meditazione anche ai bambini con buoni risultati in termini di aiuto non invasivo, utile e piacevole, per la riduzione dello stress, da applicare in condizioni di salute, così come di malattia.

Allo stesso modo, anche le persone più anziane si sono dimostrate ben disposte e ricettive. Nel loro caso la meditazione si affianca solitamente ad altre forme di terapia complementare e alternativa (omeopatia, preghiera, vitamine, dieta, massaggi) e all’assunzione di farmaci tradizionali (6 in media).

Purtroppo, ciò che in molti casi risulta assai carente è la quantità, la tipologia e le fonti di informazioni: spesso esse derivano da contesti non sempre attendibili, gli amici, i familiari, la
televisione, la radio e solo più raramente i medici.

Il rapporto costo-efficacia sembra essere l’aspetto più difficile da quantificare, anche se in alcuni casi si sono registrate delle consistenti diminuzioni di ricorso a visite mediche e prescrizioni farmacologiche.

In ogni caso, data la possibile presenza di effetti collaterali in alcuni pazienti (paura di perdere il controllo, angoscia, ansia, agitazione, senso di vulnerabilità, pensieri disturbanti, crampi, spasmi), che però possono essere a loro volta utilizzati a scopo terapeutico, è sempre consigliabile che la tecnica venga appresa con la supervisione di un professionista preparato ad hoc.

Le ricerche

La pratica costante della meditazione è in grado di indurre vere e proprie modifiche a livello neurocerebrale.

L’esecuzione costante quotidiana di almeno 40 minuti di attività è in grado di rendere più spessa la corteccia cerebrale di coloro che vi si dedicano rispetto ad un gruppo di controllo che non la pratica.

Tale regione cerebrale svolge un ruolo cruciale nel processo decisionale, nella memoria di lavoro, nelle interazioni mente-corpo.

In questo senso, pare che la meditazione sia in grado di modificare il modo in cui il cervello lavora e questo può essere misurato tramite tecniche di ‘neuro imaging’.

Probabilmente questo avviene in quanto la meditazione altera gli impulsi elettrici cerebrali.

La maggiore attenzione verso l’interno di se stessi e la maggiore autoconsapevolezza si riflettono in modifiche peculiari del tracciato elettroencefalografico. Nello specifico: vi è un aumento delle onde veloci teta e lente alfa nell’area frontale cerebrale, un incremento degli indici parasimpatici e un abbassamento di quelli simpatici.

Tali modifiche indotte dalla meditazione offrono importanti
opportunità al fine di proteggere dai danni connessi
all’assottigliamento di tale area cerebrale concomitanti con l’avanzare dell’età.

La pratica della meditazione è in grado di favorire l’esecuzione dei compiti mnemonici specie quelli a breve termine. Essa favorisce il ricordo libero degli eventi evitando di compiere degli errori.

Essa pare essere in grado di favorire la riduzione dell’emissione di risposte abituali e di favorire all’opposto quelle nuove. Per certi versi, la meditazione sarebbe in grado di stimolare la creatività.

Nel corso della meditazione si verifica un rilascio della dopamina endogena in corrispondenza con un aumento dell’attività delle onde teta registrate tramite elettroencefalogramma. Sembra che la maggiore presenza di dopamina sia dovuta alla soppressione della trasmissione cortico striale glutamatergica. Tali riscontri neurofisiologici hanno un corrispettivo a livello fisico che i soggetti riferiscono in termini di minor desiderio di azione durante la meditazione e di maggiore tendenza alla visualizzazione sensoriale.

Sembra che la pratica della meditazione sia in grado di influenzare le complesse interazioni tra le reazioni ossidative e anti ossidative che regolano l’emissione dei fotoni ultradeboli, che sono dei costituenti dei processi metabolici dei sistemi viventi.

La pratica meditativa si differenzia rispetto al mero riposo per il fatto che stimola maggiormente una diminuzione della frequenza dei battiti cardiaci sia durante la sua pratica sia a distanza di un’ora dal termine di essa. Essa, inoltre, pare essere in grado di favorire un processo di sincronizzazione attiva tra le dinamiche cardiache e quelle respiratorie.

A livello di caratteristiche di personalità si è visto che in coloro che riportano un’ansia di tratto molto basa la meditazione li porta prevalentemente a focalizzare la loro attenzione verso l’interno, mentre, al contrario, in coloro ne hanno un livello molto elevato la meditazione induce per lo più un senso di rilassamento.

Le persone predisposte alla meditazione meno frequentemente credono in Dio, sono più portate ad affidarsi ad una forma di saggezza interna, sono più propense alla quiete mentale, al rilassamento, al legame con l’infinito. La meditazione, a sua volta, favorisce ulteriormente la quiete mentale, il senso di amore, di gratitudine, la tendenza alla lode, al ringraziamento e la riduzione delle preoccupazioni.

I benefici specifici che si sono riscontrati nella applicazione clinica della meditazione sono stati:

· riduzione della mortalità cardiovascolare in persone affette da ipertensione. La meditazione riduce i rischi cardiaci e di altri disturbi cronici come la pressione sanguigna elevata, l’abitudine a fumare, lo stress psicologico, ormonale, il colesterolo e
l’arteriosclerosi. L’abbassamento di tali fattori di rischio rallenta i processi di invecchiamento e diminuisce i livelli di mortalità. La meditazione ha un valore sia preventivo, primario e secondario, dei disturbi cardiovascolari, sia di riduzione del ricorso a spese mediche, farmacologiche e di ospedalizzazione. I programmi di educazione alla salute dei pazienti in questo senso sono in grado di indicare loro quali possono essere le reali aspettative e benefici e possono sgravare l’assistenza sanitaria di ampie quote economiche;

· riduzione dei livelli di pressione sanguigna non solo nelle situazioni cliniche, ma anche nelle persone sane e questo può comportare un forte valore preventivo nell’ambito della vita quotidiana, scolastica, ad esempio, oppure professionale;

· abbassamento dei livelli urinari di cortisolo nelle donne in post menopausa: questi diminuiscono tanto più quanto si protrae tale pratica. Tale riduzione sembra riflettere una migliore capacità di regolazione a livello endocrino che risulta fondamentale per la riduzione dei rischi cardiovascolari che nelle donne in post menopausa si elevano a tal punto da arrivare a superare quelli degli uomini;

· in ambito oncologico: la meditazione è in grado di ridurre la paura nei malati terminali, l’ansia, la depressione, lo stress, i disturbi dell’umore, in particolare tra le donne, aiuta a combattere la fatica mentale e la sensazione di spossatezza fisica,

· nei pazienti epilettici può favorire il rilassamento che si evidenzia anche in modifiche del tracciato elettroencefalografico. Ad eccezione di un’unica ricerca che sembra mettere in luce il rischio che la meditazione possa suscitare attacchi epilettici può severi e frequenti in coloro che sono predisposti, per via dell’aumento dei livelli di glutammato e di serotonina nel cervello, numerose altre ricerche sia precedenti, sia seguenti a questa hanno rilevato non solo che la meditazione non favorisce l’insorgere di attacchi epilettici, ma anche che questa è in grado di ridurne le manifestazioni;

· la pratica di almeno tre mesi della meditazione sembra essere in grado di elevare i livelli di melatonina nel sangue e con essa indurre un profondo senso di benessere percepito;

· la meditazione sembra essere utile anche a supporto di un approccio psicoterapeutico in cui, in genere, gli aspetti spirituali vengono scarsamente affrontati. Questo pare essere particolarmente utile per pazienti con tentato suicidio o a rischio d’esso perchè li stimola a ricercare la loro saggezza interiore e li mette in connessione con la conoscenza che proviene interiormente;

· la pratica costante della meditazione è anche in grado di rafforzare il sistema immunitario nelle persone sane in un ambiente lavorativo, di accentuare i vissuti emotivi positivi e di favorire l’attivazione dell’emisfero frontale anteriore sinistro;

· la meditazione si è rivelata utile anche nell’ambito di un programma per la riduzione della delinquenza giovanile. Al termine d’esso i ragazzi si sono dimostrati meno impulsivi, più concentrati e consapevoli di se stessi e della loro condizione;

· la pratica meditativa può essere benefica per il controllo di crisi acute di mal di testa;

· e, infine, può essere utile per i disturbi legati alla sindrome del colon irritabile: nello specifico, essa è in grado di ridurre nel breve e nel lungo termine alcune delle manifestazioni legate a tale patologia tra le quali la flatulenza, le eruttazioni, il senso di gonfiore, la diarrea, la costipazione.

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